𝘊𝘈𝘗𝘐𝘛𝘖𝘓𝘖 7: "Patto di silenzio"

ᏗᎷᎧᏒᏋ ᎥᏁᎦᎥᏁᎥᏖᎧ

"Endless Love"

" A volte
devi stare lontano
dalle persone che ami,
ma non significa
che le ami di meno,
a volte questo te le fa amare
ancora di più... "
- NICHOLAS SPARKS.

∞❤️∞

Dovevano essere le due o le tre quando arrivai a casa e Margot mi accolse aprendo la porta. Tutti erano andati a letto da un pezzo e per fortuna mi sarei risparmiata l'interrogatorio. Scesi le scale e oltrepassai l'atrio avvolto nell'oscurità per dirigermi in camera. Tolsi il vestito azzurro ancora umido ed aprii la manopola lasciando scorrere l'acqua. In quel momento la porta si richiuse piano e mi trovai di fronte il ragazzo appoggiato al mobiletto.

"Cos'è successo, stanotte?"

"Di cosa ti preoccupi? Non capisco, Louis."

Ci pensò su un momento e mi squadrò dall'alto in basso. "Mi preoccupo per te, amore. Mi preoccupo per mia moglie. Dovrei venire a saperlo dai giornali che stavi per annegare?" Apparve seccato.

"Sono scivolata."

Stavo per far scorrere la porta, ma lui si alzò e la bloccò con la mano specchiandosi nei miei occhi. "Ho pensato che fossi così gelosa di me e volessi suicidarti. Che peccato... Ancora una volta non sono io la ragione, visto?"

Ero esausta. "Louis, dimmi cosa vuoi e fai in fretta. Voglio fare la doccia e dopo andare subito a letto. È stata una giornata pesante." Gli rivolsi le spalle per controllare la vasca e lui riprese.

"Perché mi odi così tanto?" Avvertii i suoi passi, poi la sua mano mi agguantò il braccio voltandomi. "Sono passati cinque anni, Amybeth." mi ricordò.

Già, e avrei voluto dimenticare... il giorno in cui avevo pronunciato quel 'sí, lo voglio', sull'altare. Non fu il momento memorabile che avevo immaginato.

"Lo so." ribattei con fermezza.

Portò la mano sulla mia guancia e percepii una sensazione di repulsione, come se a toccarmi fosse stato un viscido serpente. "È da cinque anni che aspetto..." Abbassò la voce. "Sto aspettando che mi ami."

Mi ritrassi e digrignai i denti seccata. "Louis... Puoi lasciarmi?"

"Per cinque maledettissimi anni, non ho fatto altro che aspettare il momento in cui questo matrimonio sarebbe diventato vero!" disse facendo scontrare le nostre fronti. Sentivo il suo respiro sfregarmi le guance e questo non fece che aumentare il disgusto.

"Louis, non capisci? Io sono intrappolata in questo matrimonio. Non aspettarti nient'altro da me."

"Anch'io sono prigioniero" Dichiarò attaccando i nostri corpi con le mani ancorate alla mia schiena. "Sei come una droga. Il pensiero di non averti... mi logora dentro."

"Louis, lasciami!" ringhiai dimenandomi e spingendolo con una manata brusca. Mi fissò come un uccello rapace prima di avventarsi sulla povera preda e fare a pezzi la sua carne.

Fece un passo. "Volevo te!" Strinse i denti. "Ho avuto una possibilità e l'ho sfruttata. Ma non ti ho obbligata!"

"Tu mi hai minacciata su mio fratello!"

"I tuoi genitori hanno fatto questa scelta, tesoro mio. Non volevano mandare il loro povero figlioletto dietro le sbarre e hanno voluto sacrificare te. Ti hanno venduta a me!"

Quella cruda verità mi fece fluire la rabbia nelle vene, fino a che non esplose... gli tirai uno schiaffo brutale e lui indietreggiò, ruotando il collo. "Che tu sia maledetto! Marcirai all'inferno!" Iniziai a spintonarlo fuori dalla cabina urlando. "Vattene, Louis. Vattene! Canaglia!" Provai a chiudergli la porta in faccia, ma lui me lo impedí.

"Non sono affatto cambiato. Sono rimasto lo stesso uomo del passato. Ma tu... Tu sei cambiata!" Mi accusò mentre contemplavo il mio riflesso nei suoi occhi scuri. "Ti ho amata in ogni istante. Volevo sposarti... Tu hai cambiato idea. Prima non mi volevi e la mia presenza era addirittura deleteria. Poi, qualunque sia stata la ragione, hai accettato di sposarti con me!"

"Farabutto." Abbassai il suo braccio per passare e lui mi afferrò con veemenza, tenendomi in trappola.

"Ora, se lo desideri, puoi cambiare la posizione subito, subito, subito..." Rivolsi lo sguardo altrove. "Aymeric si costituirà, verrà condannato e sconterà la sua pena per il crimine che ha commesso. Tutti subiranno le conseguenze delle tue azioni. Che cosa ne pensi? Ti va bene così?" Mi strattonò e tuonò. "Rispondimi!"

"Louis, d'accordo, ora lasciami. Ok, lasciami!"

Alzò le mani in alto e indietreggiò di qualche passo. "D'accordo... Da questo momento in avanti cambierò tutte le condizioni. Questo matrimonio non sarà più una pagliacciata per nessuno! Questo vuol dire che dal nostro quinto anniversario di matrimonio tu sarai davvero mia moglie e ti concederai senza fare storie!"

Dopo avermi ammonita con un'occhiata da pazzo malato, abbandonò la stanza.

Aveva fatto a pezzi la mia anima, l'aveva calpestata e ridotta a brandelli. Ormai era una lotta continua per resistere, ma ogni volta si stava rivelando sempre più difficile.

Louis sapeva bene come tenermi in pugno senza che potessi fare niente per osteggiarlo. Quelle catene erano indistruttibili...









Alzai leggermente la testa e vidi mia sorella con la bocca totalmente spalancata e le mani ancorate alla maniglia. Emise un urlo così assordante, devastandomi le orecchie. Quella ragazza era distruttiva quanto un uragano e ne aveva dato piena dimostrazione.

"Oh! Non posso crederci!"

Tolsi il lenzuolo leggero di dosso e mi spostai, disturbando anche Tom, che si era appisolato sul mio petto scambiandolo per un comodo cuscino. "Zitta, piccola, zitta. Hai fatto svegliare tutto il vicinato! Accidenti!"

Appena mi alzai dal divano - che avevo usato come "letto" per quelle poche ore -, mi si gettò nelle braccia e mi strinse forte mentre sorridevo sulla sua spalla. "Che m'importa! Si sveglino pure! Mio fratello è tornato! Non sai quanto mi sei mancato."

"Anche tu, piccolina."

Una voce dolce dalla soglia ci fece separare.

"Lucas?" La sua espressione era sorpresa ed emozionata, infatti le lacrime non tardarono a solcare i suoi occhi verdi.

"Mammina?" Le sorrisi con molto affetto e lei, come l'altra, mi si buttò addosso stritolandomi. "Il mio bambino! Oh, bentornato a casa!" Mia sorella si unì a quell'abbraccio e, poco dopo, anche Jacob attirato dagli schiamazzi apparve sulla soglia.

"Ma guarda... Il signor Lucas è tornato. Ha ritrovato la strada per tornare qui, Ingegnere?" Mi punzecchiò e l'abbracciai, dandogli delle pacche.

"Sei il solito. Gli anni non hanno scalfito la tua ironia." Gli passai la mano nei capelli, scompigliando il suo ciuffo. "Stai bene? Che mi racconti?"

"Bene... Anche tu stai molto bene"

"Sto bene." Poi mi rivolsi anche alle due donne, Kyla coccolava intanto il cucciolo Tom. "Beh, vi sono mancato? Avete sentito un po' la mia mancanza?"

"Tanto, tesoro mio." rispose mia madre adagiando il capo sul mio petto.

"Certo che ci sei mancato! Guarda... anche lui era triste e adesso non la smette più di scondinzolare."

Mia madre continuò a singhiozzare.

"Mamma, non piangere, ti prego." Lei provò a smettere con scarsi risultati. Delle volte si lasciava trasportare dall'emozione. "Non ti sono mancato abbastanza! Mi avevi già dimenticato!" Sdrammatizzai, fingendomi offeso. Feci un occhiolino al castano, che annuì.

"Ah... Ma che discorso è? Come puoi pensare una cosa del genere?"

"Beh, sì... Dai un'occhiata qui dentro. Dov'è finito il mio letto? Hai trasformato la camera in un ripostiglio. Fortunatamente c'era il divano altrimenti avrei dovuto sdraiarmi sul pavimento." Tutti scoppiarono a ridere.

"Tua madre aveva quasi perso ogni speranza... Cos'altro poteva fare?" S'intromise l'uomo di casa entrando.

"Papà."

"Il mio ragazzo!" esclamò prendendomi il volto nelle sue mani e mi stampò un bacio sulla guancia. Poi si rivolse a mia madre che mi accarezzava il petto con la punta delle dita. "Non te l'avevo detto? Non ti ho detto che nostro figlio un giorno sarebbe tornato?"

"L'hai detto e avevi ragione. Lui è qui, grazie al cielo."

Lo guardai e gli chiesi preoccupato. "Non ti stai prendendo cura di te? Sei un po' dimagrito."

"Tua madre mi nutre con le erbe che fanno bene al cuore... Ecco perché." Quel commento provocò un'altra ondata di risate.

"Erbe? Ma se mangia tutto quello che cucino! Dimagrito? Figuriamoci. Non ascoltarlo! Tu e lui siete identici." Poi si girò verso la biondina. "Kyla, tesoro, corri a comprare pane e delle salsicce!" Sprizzava gioia da ogni poro. "Dobbiamo comprare un sacco di cose! Presto... Il frigo è vuoto! Prepariamo la tavola! Mio figlio è tornato!" continuò a urlare.

Kyla mi abbracciò prima di uscire anche lei dalla mia vecchia stanza. Com'era bello respirare di nuovo il profumo di casa...












Sentivo la necessità di scaricarmi di tutte le emozioni negative che avevo accumulato negli ultimi giorni, così di prima mattina feci una corsetta nei dintorni di un parco.

Un gruppo di uccelli si librarono in volo quando passai. Poi mi fermai per riprendere fiato e mi sedetti su degli scalini, contemplando il panorama. Questo mi riportò a galla dei momenti dolorosi, il miraggio di una felicità che ora non avevo più...

Con gli occhi sempre più arrossati, piegai il viso e portai le mani a mo' di preghiera contro la fronte. Più tentavo di liberarmi e più mi assillava... Mentre stavo confinata nella mia sofferenza, qualcuno mi allungò qualcosa.

"Vuole comprare dei fazzoletti, bella signora?" Alzai la testa e guardai la piccola venditrice. Aveva l'aspetto trasandato, un completo interamente arancione e l'espressione imbronciata. Faceva elemosina.

"Grazie, tesoro..." Accettai e mi soffiai il naso sotto il suo sguardo, e ridacchiai. "Ma un pacchetto non è abbastanza per me. Dovrai portarmi tutto il pacco."

"Ti sei lasciata con il tuo ragazzo?" Chiese con molta perspicacia e annuì con il naso arrossato e gli occhi gonfi di lacrime. "Quando?"

Distolsi il volto e abbassai lo sguardo, giocando con lo strappo. "Cinque anni fa." Lei rise, coprendosi la bocca e la fissai, chiedendole con dolcezza. "Cosa c'è? Perché ridi?"

"È così divertente... Stai piangendo da quando sono nata." Una lacrima mi rigò la guancia. "Chiedigli scusa e fate pace." Mi consigliò.

"Vorrei che fosse così semplice." Poi sbuffai, stropicciando il fazzoletto. "Vedi, quando si è grandi... le cose che desideriamo non sempre si realizzano. Dobbiamo rinunciare a qualcosa. Quello che non ho potuto confessargli per tutti questi anni mi comprime il petto. Mi tormenta." Mi asciugai il naso e continuai, mentre la bambina mi ascoltava. "Ma ho dovuto farlo... Non ho avuto altra scelta, in quel momento. Se solo sapesse che l'ho fatto per mio fratello... forse riuscirebbe a perdonarmi." Ma, dopo qualche secondo di silenzio, realizzai. "Ma non posso dirglielo. Non posso venir meno al giuramento che ho fatto..."

Se non mi fossi arresa, se mi fossi opposta al destino... probabilmente sarei partita con lui e non avrei mai dovuto sposare quell'essere meschino. Non potevo incolpare nessuno per questo dolore che provavo, perché ero stato io l'artefice.

"In questo caso... Piangerai per molto tempo" disse la bambina allungando la "o" di "molto" e poi si alzò, lasciandomi sola con i miei pensieri.

In fondo, non aveva torto.
Ma non potevo abbandonare la mia famiglia e condannare mio fratello.
Quando tornai a casa dopo la sessione di jogging, i miei e Aymeric stavano chiacchierando. Gli andai incontro ed esibii un sorriso da moglie soddisfatta, salutandoli. "Buongiorno!"

"Buongiorno, mia cara." rispose papà e mia madre sorrise di rimando.

"Come stai, papà?"

"Bene, mio stupendo girasole."

I suoi complimenti mi miglioravano l'umore ed allargò le braccia per accogliermi.

"Ah, papà... Sono così sudata e scusa per ogni incoveniente che ti ho causato." Rispose 'va bene' e presi la bottiglia d'acqua sopra il tavolino tutta sorrisi. "Avete già fatto colazione?"

"No, ti stavamo aspettando."

"Ok, mi cambio e torno subito." Mi congedai.

"Ehm... Amybeth?" Mi richiamò e mi bloccai guardando il suo volto farsi più teso, quando si trattava di affrontare l'argomento. "Dov'è Louis? Divan si unirà a noi per la colazione."

"Sì, lo so, papà."

Mi allontanai bevendo un lungo sorso d'acqua ed entrai in camera. Appoggiai la bottiglia sul mobile e presi il telefono per accenderlo. Mi sventolai con le mani e recuperai un asciugamano per tamponare il sudore, mettendolo poi attorno al collo.

Improvvisamente il cellulare mi avvisò di una notifica. Notai una chiamata persa... lessi il suo nome sullo schermo e mi apprestai a richiamarla, sperando che potesse parlare e non fosse occupata.









"Si tratta di una grande offerta, è un'importante gara d'appalto. Sono venuto qui a Dublino per rappresentare al meglio la mia azienda." spiegai con la bocca piena, appoggiato contro il mobile.

"Il nostro ragazzo è proprio oro colato!" esclamò mia madre, rivolgendosi a mio padre che dava un'occhiata al giornale.

"Ben fatto, figliolo!"

"Se dipendesse dal signor Dawson non esiterebbe a lasciare tutto nelle mie mani. Ormai non si sente più in forze per questi progetti così impegnativi."

"Bravo!"

Si alzò prendendo il cestino del pane e mi diede una pacca sul braccio, poi uscì.

Ad un certo punto, il cellulare cominciò a squillare.

"È il tuo?" chiesi alla biondina e prima che potessi afferrarlo, me lo confiscò.

"Fermo, fratellino!" Mi rimproverò e se lo portò all'altezza del viso, impedendomi di guardare chi la stesse chiamando. "Pronto, Sarah?"

"Cosa posso fare? Mi sforzo di non essere imbarazzato." confessai poi ai presenti.

"Certo, stai lavorando molto sodo." Jacob entrò in cucina e mi voltai di scatto nella sua direzione masticando il boccone. "Non dovresti lasciarti scappare una simile opportunità per la tua carriera, naturalmente." Percepii quasi del sarcasmo nelle sue parole.

"Buona fortuna, tesoro. Vedrai... riuscirai a realizzare tutti i tuoi progetti. Credici fermamente." disse mia madre.

Intanto la biondina parlava sottovoce e nel frattempo mi spiava con la coda dell'occhio. "Sì... sto per fare colazione e poi esco. Volevo che lo sapessi." Sembrava piuttosto in difficoltà e la cosa m'insospettí non poco. Anche se non poteva essere tanto assurdo che avesse un ragazzo, dopotutto.

"Andiamo, non facciamo raffreddare i cornetti! A tavola, ragazzi!" Intervenne mia madre, sfrecciando all'esterno.

"Ok, incontriamoci tra un'ora a scuola, va bene?" disse mia sorella con gli occhi puntati nei miei. Poi stette in silenzio e, dopo qualche secondo, continuò. "Sì... Certo." Mi fissò. "Ok, ti mando un bacio enorme, ci vediamo dopo, Sarah." Riagganciò.

"Ti accompagno io a scuola."

Mi osservò perplessa e rispose.
"Come vuoi."

Uscimmo insieme per raggiungerli nell'incantevole giardino, che non era cambiato per niente.

Erano già seduti sotto il gazebo, la tavola era stata apparecchiata a dovere e quel profumo invitante stuzzicava il mio stomaco, che iniziò a gorgogliare.

"Ah, tesoro... ho preparato il tuo piatto preferito! Vieni pure a sederti! Devi rimetterti in forze. Sei così asciutto. In America non hai mangiato come si deve!"

"Mammina, non esagerare. Ho mangiato bene anche lì... ma devo ammettere che mi sono mancati i tuoi manicaretti."

Presi posto accanto a mio fratello che, stava guardando una rivista, commentando.

"Beh, questa ragazza dovrebbe sbattere la testa sulle rocce."

"Mettilo via, avanti. A quest'ora del mattino, non guastiamoci l'appetito. Grazie al cielo, ci siamo salvati." Disse nostra madre, avendo qualche remore nei confronti di quella donna ch'era stata la colpevole del malore di papà.

"Hai ragione, mamma. Queste persone sono così capricciose e insulse. Pretendono l'universo e non si accontentano di tutte le ricchezze che già possiedono. Come possono vivere così?"

"Ognuno è felice nel luogo in cui appartiene e vive. Questi due mondi non possono combaciare." affermai.

"Se vuoi, possiamo parlare di questa famiglia, in modo pittoresco, eh?" Propose papà.

"Oddio, Henry. È molto meglio che stiano alla larga da noi e da questa casa, direttamente all'inferno."

"Infatti io..." tentai di replicare.

"Spero proprio che le nostre strade non si incrocino mai più. Ne ho veramente abbastanza di quella gente ipocrita."

"Speriamo che sarà così." concordò papà, emettendo un sospiro. "Ognuno dev'essere felice con la vita che ha scelto. Loro sono aristocratici, noi no. Ecco il grande diverbio... In ogni caso, chiudiamo l'argomento e gustiamoci questa meravigliosa colazione."

Il mio cellulare interruppe la conversazione, guardai lo schermo e balzai in piedi.

Il dovere veniva anche prima del mio stomaco.

"Tesoro, non farlo raffreddare. Fai colazione mentre parli al telefono."

"Ok, torno subito. Non ci metterò molto." Le risposi, accettando poi la chiamata e allontanandomi leggermente. "Mi dica."

"Signor Lucas, buongiorno." Avevo riconosciuto la voce, la marionetta di Hynes, e abbozzai un sorriso. "Ci sarà un piccolo cambio di programma, l'ho chiamata per informarla. Il signor Hynes ha anticipato un po'... Vuole incontrarla oggi, nel pomeriggio."

"Davvero?"

"Proprio così. Al club, alle cinque in punto."

Sentire ciò mi fece tornare in mente un ricordo di cinque anni prima.
Quando al telefono le confessai quanto fossi a disagio in quei posti... ma lei volle rassicurarmi: l'aveva scelto suo fratello per l'incontro e gli piaceva molto trascorrere il suo tempo lì.
Che strana coincidenza...

"Certo, sarò lì per le cinque."

"La ringrazio, signor Zumann."

Poi riattaccò.

"Abbiamo molto tempo fino alle cinque. Possiamo fare un incontro preliminare. Sì, la ringrazio..." conclusi la breve discussione con uno dei soci, per poi sedermi con la mia famiglia.

"Guarda, guarda... Parla proprio come un Capo." Dichiarò mia sorella orgogliosa picchiettando il braccio di nostra madre, per farglielo notare.

"È un Capo. Come dovrebbe parlare? Deve avere un tono impostato in una certa maniera!" intervenne Jacob sogghignando.

"Beh, adesso non infastidirmi più, così posso finire di mangiare queste prelibatezze. In America non ho fatto altro che mangiare surgelati! Non avevo mai tempo di cucinare."

"Mangia, figliolo!" M'incitò papà, battendomi la mano sulla spalla e addentai un cornetto.

"Tesoro, siamo così orgogliosi di te e dell'uomo che sei diventato. Grazie a te e ai tuoi sforzi, abbiamo un tetto sopra la testa. Non potremo mai sdebitarci per quello che hai fatto in tutti questi anni." riprese a parlare mia madre raggiante, spezzando il silenzio.

"Lascia perdere, mamma."

"Se tocchi qualcosa in questa casa si converte subito in oro, fratellino. Guarda, una baracca è diventata una villa per noi in due minuti, vedi." aggiunse Jacob divertito, stendendo le braccia sullo schienale.

"Spero di poter acquistare una villa, un giorno. Ho anche detto alla mamma di trasferirci in una casa più grande." Lei, dal suo canto, roteò la mano in aria.

"Abbiamo bisogno di una casa più grande, ragazzo mio? Per noi questa è già una villa lussuosa. Abbiamo sofferto e pagato l'affitto per anni e anni. Guarda tu stesso: adesso siamo felici della nostra casetta." Mi diede un'altra pacca sulla spalla e mi sorrise con affetto. "Grazie a te, Lucas."

"Smettila di ringraziare, papà."

"Grazie a te." Mi scherní affettuosamente il castano, scuotendo la testa e guardandomi negli occhi. "Spero che conquisterai il successo che meriti."

"Lo spero..."

"Anch'io!" esclamò la piccola.

"Lucas, mangia un altro po'." Mi supplicò mia madre, indicandomi il piatto con il dito.

"Ma così rischio di esplodere mamma!" protestai.

"Non te ne andrai subito, vero?" domandò lei di rimando.

"Sì, in realtà ho un paio di cose di cui occuparmi. Poi ripartirò."

"Non dire così..." fece lei intristendosi e si drizzò contro lo schienale.

"Dai, cara... Non cominciare a metterlo alle strette chiedendogli in continuazione 'quando tornerai?' fin dal mattino."

"Vergognati, Henry! Ho detto questo per caso?" sbraitò la mamma.

"Allora? Come va lì? Ci sono belle ragazze?" Ammiccò facendomi roteare gli occhi. Possibile che fosse sempre quello il suo chiodo fisso! Beh, era da tempo che non avevo tempo per certe questioni, soprattutto sentimentali.

"Sotto terra devono esserci un sacco di belle ragazze, vero Jacob? Si potrebbe organizzare una sfilata." Lo stuzzicò la biondina.

"Beh, ce n'era una, ricordi? La nipote...
del signor Dawson?"

"Ah, lavori nella stessa azienda di quella ragazza?" Ipotizzò nostra madre.

"Mamma!" esclamai alzando le mani in alto. "Ti dico già che non c'è nulla per cui tu possa fantasticare." Poi abbassai lo sguardo. "Shannon è solo un'amica."

"Non sviare l'argomento rispondendo ch'è solo un'amica."

"Beh, ma lo è." ripetei con più sicurezza.

"La mamma sta già pensando ai nipotini. Ti dirò che ha scelto il colore delle culle, in tua assenza e hai cominciato anche a fare un correndino. È andata oltre il matrimonio..." rispose mia sorella, andando a premere un tasto piuttosto dolente dentro di me.

Presi un respiro profondo, sapendo che avrei dato un dolore a mia madre.

"Non penso di sposarmi. Sappiatelo.

"Perché questo?" Chiese. "Hai intenzione di rimanere bloccato a cinque anni fa e vivere ancora nel passato?"

"Ezra!" proruppe papà.

Ma lei lo ignorò, concentrandosi solo su di me. "Guardami!" mi ordinò e lo feci con fare scocciato. "Non tutte le ragazze ti spezzeranno il cuore come ha fatto quella. Lei era solo una ragazzina viziata... bugiarda ed egocentrica. Dimenticala e vai avanti. Prima o poi, salterà fuori quella giusta."

"L'ho già dimenticata, mamma. Tranquilla."

"No, non l'hai dimenticata."

"L'ho dimenticata!" insistei.

"No, non l'hai dimenticata!" ripeté. "Altrimenti non avresti detto che non hai intenzione di sposarti. Tu hai detto ch'è finita, che non esisteva più." ribadí facendomi distogliere il volto.

Ed era così... ormai lei faceva parte di un passato che mai e poi mai avrei riaperto. Le ferite che mi portavo dentro non erano mai guarite, ma col tempo quel dolore sembrava essersi ammorbidito.

"Ezra, basta! Questo sembra un Tribunale, smettetela! Poi, ti chiedi perché resti qui per così poco tempo..." Le fece notare papà, imbronciandosi. "Se continui a fargli l'interrogatorio tutte le volte è logico che se ne andrà. Lascialo stare un po', ti prego." Poi mi si rivolse, strizzandomi un occhio. "Non dar retta a tua madre. Lei è fatta così."

Alzai gli occhi, risoluto.
"Ma io sto bene. Non preoccuparti."

"Dai, prova la marmellata all'arancia!  Stai diventando magro, di questo passo ti sentirai male sul serio." Mi incitò spostandomi il piatto più vicino, ma in quel momento la mia testa era da un'altra parte.





















Il mio atteggiamento in quel frangente denotava una certa falsità.
"In effetti, avrei voluto passare il nostro anniversario da sola con Louis a Parigi... Ma lui preferisce fare sempre di testa sua." Spostai lo sguardo sull'uomo, che mi era accanto sul divanetto, e lui mi massaggiò le spalle.

"Sarebbe più bello celebrarlo in famiglia, tesoro mio. Inoltre, questo anniversario è molto importante per entrambi." rispose e lo fissai senza dire una sola parola, mantenendo a fatica la compostezza.

"Avete deciso di avere un bambino finalmente?" Chiese mio fratello impaziente, mettendosi seduto. Il mio sorriso di prima lentamente si affievolì.

"Senza chiederlo a te, potrebbe mai succedere?" affermò Louis con tono arrogante, per poi voltarsi verso di me. "Sono riuscito a convincere Amybeth che sarà una madre meravigliosa."

I presenti sfoggiarono delle espressioni turbate, specialmente mio padre.
Cercai di accennare a malapena un sorriso e dare l'idea di quanto quel progetto m'intrigasse, ma in realtà mi faceva accapponare la pelle...

"Amybeth... Sei forse incinta?" Esclamò mia madre su di giri alla notizia di poter presto sentirsi chiamare nonna da un bambino.

Strano che non fosse spaventata dalla prospettiva di invecchiare.

"No, mamma. Per ora... Ci bastiamo a vicenda."

Louis mi attirò verso il suo petto e pur non volendo dovetti assecondare quel gesto pseudo-romantico, celando una smorfia di disgusto.

"Ovviamente non è abbastanza." Prese parola Divan. "Dovreste impegnarvi per formare una famiglia. Sull'altare avete giurato di prendervi cura dei figli che il Signore vorrà mandarvi."

Quelle affermazioni plateali fecero piombare il gelo nel giardino. Mio padre lo fissò in tralice e mia madre si scostò una ciocca bionda dal volto.

"Anche Adamo ha avuto una stirpe tutta sua. Hai ragione, papà. Ma cerchiamo comunque di fare le cose con molta calma. Amybeth ama molto questa casa e immagino già tanti piccoli Hynes che scorrazzano in questo giardino..." Mi tirò vicino al suo viso e sussurrò. "Amybeth, vorresti due gemelli?"

"Guardami." Scattò mia madre facendomi alzare la testa. "Se sei incinta e me lo stai nascondendo." Mi mosse l'indice contro, lanciandomi un'occhiataccia.

"Mamma, non sono incinta... e non lo sarò così presto." La informai e si accomodò nuovamente con aria delusa.

"Non vogliamo più aspettare, signorina." Mi ammoní Divan e mi rialzai. "Intendo dire... tua madre." Si corresse prontamente. "Anche Louis vorrebbe un figlio a cui poter lasciare in mano le redini della nostra azienda un giorno. Anzi... meglio due." Roteai gli occhi facendo intendere ai tre di esserne stufa marcia di quell'argomento. Poi l'uomo rise pienamente soddisfatto.

"Aymeric? Che succede? A cosa pensi?" Lo richiamò Louis, tirandolo in ballo in quella discussione vomitevole.

"Stavo pensando al regalo da farvi. Devo la mia vita a questo matrimonio. Qualunque cosa sarà sempre troppo poco."

"In realtà, siamo noi a esserti debitori. Questo matrimonio... Questa felicità, vero, tesoro?" dissi sdraiandomi accanto all'uomo per tenere in piedi quella pantomima.

"Aymeric, che ne dici di correre in pista? Ti darò filo da torcere... È da tempo che non lo facciamo." Propose.

"Certo." rispose, incerto.

"Pensi che sia un messaggio, Aymeric?" Domandò Divan. "Mi domando se Louis voglia una nuova macchina da corsa da te, come premio..." E gli indirizzò un risolino.

"Spero di no." Dichiarò mio fratello.

Incrociai lo sguardo criptico di mio padre, che aveva le braccia strette al busto, e mi separai dal biondino rimettendomi in piedi. "Bene... Devo andare all'atelier. Suppongo che anche voi abbiate degli impegni."

Divan si alzò e mi pose la mano sul braccio. "Hai ragione, mia cara. Il tempo è denaro..."

"Divan, hai dieci minuti per me?" chiese papà con espressione seria.

L'uomo lo fissò stranito. "Ok."
I due si allontanarono insieme mentre ascoltavo mia madre rivolgere le solite raccomandazioni al castano.
Aymeric scuoteva la testa, cercando di rassicurarla. La pista era controllata e avendo al suo fianco Louis sarebbe uscito incolume da quella sfida.

Poi, si avvicinò e mi stampò un bacio sulla guancia, bisbigliando all'orecchio.
"Buona giornata, amore mio"

"Anche a te." risposi provando ad essere affettuosa almeno un po'... prima di andarmene.
















Uscii scortato dal piccolo Tom che continuava a scodinzolare, trovandomi davanti la mia limousine tirata a lucido, ferma davanti al portone.

Ovviamente mia sorella Kyla era già in visibilio... Per una tale scoperta.

"Buongiorno, signore." Mi salutò prontamente l'autista, messo a disposizione dal signor Dawson per ogni emergenza.

Mio fratello ridacchiò, incredulo.
"Ha detto 'signore!' Ah, l'ha detto a te!"

Ignorai le battute di Jacob e posai la mano sulla spalla del giovane. "Ivan, non avevamo detto di incontrarci più in là? Perché sei venuto qui?"

"Scusi... aveva detto all'inizio della strada." Si discolpò.

"D'accordo, non fa niente." gli dissi dandogli una pacca per rassicurarlo. "Dai, salite." Mia sorella non ci pensò neanche una mezza volta a prendere posto sprofondando in quel comodo sedile.

"Dove stai andando, Jacob?" Lo fermò nostro padre mentre stava aprendo la portiera. "Dobbiamo andare al negozio a bordo di una limousine e scatenare ridicoli pettegolezzi?" Negò con la testa. "Sarebbe una vergogna... Direbbero che ci diamo delle arie. Forza, cammina, che ti fa bene!" Il castano sbuffò e proseguì. "Buona giornata. Buona fortuna per la riunione."

"Grazie, papà." Li vidi allontanarsi a piedi e chiamai a gran voce. "Jacob!" E lui si girò. "Buona giornata... Non far arrabbiare il Capo."

"Se sarà buona."

L'autista mi aprì la portiera e mio fratello si mise alle calcagna di nostro padre, che aveva accelerato il passo. Poi vi salii.

Durante il tragitto, mia sorella si cimentava a fare selfie per immortalare quel viaggio indimenticabile per le strade di Dublino. Non riusciva a togliersi il sorriso dalla faccia.

"È tutto così bello! Vorrei tanto che fosse tua, Lucas." Mi disse estasiata, facendomi distogliere gli occhi dai documenti e alzare un sopracciglio. All'improvviso le squillò il telefonino, ma lei rifiutò.

"È di nuovo.. Sarah?" Chiesi e mi rispose con un imbarazzato. "Hum..."

Increspai un sorrisetto e in quel momento, girando gli occhi verso il finestrino, intravidi Dalmar.

"Ivan, fermati!" sbottai. Scesi immediatamente dall'auto e strillai. "Dalmar! Vecchio mio!"

"Lu... Lucas! Amico mio!"

Era incredulo e l'abbracciai con forza, stringendogli la spalla con affetto.

In tutto questo tempo mi era mancato non poter chiacchierare del più e del meno con lui.

Fin da bambini era entrato a far parte della mia vita, non come un semplice amico, ma come un fratello.

"Stai bene?" Gli chiesi dopo che ci fummo staccati.

"Sto bene, sto bene!" esclamò. "Sei realmente tornato!" Poi mise il broncio e mi guardò di sbieco mostrandosi fintamente arrabbiato. "Ma perché non ti sei degnato di farmi una telefonata?"

"Sono appena arrivato. Sono arrivato questa notte. Ma tu come lo sapevi?" Lui mi sorrise, o meglio... sorrise guardando un punto oltre le mie spalle.

"Me lo sentivo, semplicemente. Sentivo che il tuo posto è qua. Sapevo che non potevi sopravvivere lontano da noi. E alla fine sei ritornato nel tuo quartiere."

"No, vecchio mio." Gli poggiai di conseguenza la mano sulla spalla.

E il suo sorriso sparì.
"Come sarebbe, Lu?"

"Sono qui per occuparmi di un paio di questioni... Poi tornerò in America."

"Io credevo che..." Provò a dire.

Mi misi le mani nelle tasche e lui aveva lo sguardo perso altrove.

"Non te la prendere. Passeremo un po' di tempo insieme, come in passato prima della mia partenza, non preoccuparti. Mi occupo di questo lavoro e poi andiamo a berci un drink al Jingles."

"Vedrai cosa succederà se non ti presenti, Lucas." Sorrise. "Grazie a te, ho un posto dove posso guadagnarmi da vivere. Vieni a vedere come lavoro." L'abbracciai di slancio. Sembrava che il tempo non avesse scalfito la nostra amicizia, sembrava tutto come un tempo.

"Passerò, lo prometto. Porto Kyla a scuola e finisco quel lavoro di cui ti ho parlato, e poi ti raggiungo ok?"

Andai verso l'auto.

"Mi devi raccontare tutto, anche i più piccoli dettagli. Guarda che ci conto!"

"D'accordo." risposi mentre Ivan metteva in moto e ripartiva, lasciandosi dietro un sorpreso Dalmar.

"Vuoi affittare una villa gigantesca come quella di AB, eh?" Chiese a bruciapelo la biondina mentre riportavo forzatamente lo sguardo su quelle scritte per non perdere la concentrazione. Certe volte, mia sorella aveva la lingua lingua... fin troppo. "Fratellino?" Mi richiamò.

"Non vedi che sono occupato a leggere queste carte, Kyla."

"La mia è solo curiosità... Non volevo mica infastidirti. Dimmi... Hai partecipato a qualche riunione per questo hai fatto tardi, stanotte?" continuò e feci un sorrisetto, guardando l'autista dallo specchietto retrovisore centrale.

"Sei proprio uguale a nostra madre."

Sorrise. "Sei andato da qualche parte?"

Mi girai. "Perché lo chiedi?"

"Ecco... Ieri sera Amybeth mi ha chiamato." Voltai di scatto il viso con fare indifferente. "Non l'ho chiamata io, se questo è ciò che stai pensando."

"Com'è che ti ha chiamata? Che vuole da te? Vi vedete ancora?"

"No! Non ci vediamo... Te lo giuro!" Esclamò cercando di convincermi della sua buona fede, mentre distoglievo lo sguardo. "L'altra notte mi ha chiamato. Mi ha chiesto sconvolta: "Lucas è tornato?" e io le ho risposto di no." L'ascoltai in assoluto silenzio, senza farle alcuna sfuriata, con i documenti ancora aperti sulle gambe. "Allora? Non vuoi chiedermi niente? 'Cosa ti ha chiesto?' oppure 'Perchè ti ha chiamato?'." m'incalzò con un po' di difficoltà.

"Non ti chiederò nulla, Kyla." tagliai corto. "Ma voglio qualcosa da te... Non le dirai che sono tornato qui, ok?"

La guardai negli occhi e si mordicchiò il labbro inferiore come se le costasse fare quello sforzo, per poi sviare il discorso e spostare gli occhi sulla strada.

"Ah, puoi farmi scendere qui, per favore?" chiese.

"Kyla!" esclamai e mi guardò di nuovo. "Amybeth non dovrà mai scoprire che sono tornato qui a Dublino. Promettimelo."

Ci pensò su, poi rispose con un filo di voce. "Ok... cioè... lo prometto." Mi stampò un bacio sulla guancia. "Ci vediamo." Scese dall'auto salutandomi con un cenno della mano mentre si accingeva a salire le scale.






***

Ecco a voi il nuovo aggiornamento... e come al solito, non abbiamo ancora molto scene di Amybeth e Lucas dopo il salto temporale, ma presto ci saranno migliaia di scene e potremo assistere al fatidico vero incontro tra i due!

Siete curiosi di scoprire le prossime vicessitudini dei nostri personaggi principali? Kyla riuscirà a resistere a non dire niente alla sua amica AB?

BEH... per scoprirlo non vi resta che attendere i prossimi capitoli, ogni domenica. Io intanto aspetto con molta impazienza i vostri commenti (con tanto di lavagnette per quel bastardo di Louis Hynes) quanto lo odiate?

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