𝘊𝘈𝘗𝘐𝘛𝘖𝘓𝘖 6: "Una mano dal passato"
ᏗᎷᎧᏒᏋ ᎥᏁᎦᎥᏁᎥᏖᎧ
"Endless Love"
" Pensavi che le regole fossero infrangibili
come un vetro antiproiettile.
Ma ci sono sguardi
più violenti di un proiettile.
E cuori di vetro. "
(Matteo Grandi)
∞❤️∞
Stavo versando del caffè e andai verso il laptop appoggiato sul mobile, quando delle grida catturarono la mia attenzione. Una donna urlava e scalpitava disperata, mentre veniva tenacemente trattenuta dagli agenti.
Appena lessi quei titoli... e appresi del disastro avvenuto, una voragine mi si allargò nello stomaco, i polmoni si svuotarono e la tazza si sfracellò al suolo.
La giornalista documentava la situazione con meticolosità.
C'era stato un incidente, le cause erano ancora da accertare e non si sapeva esattamente quanti fossero i feriti o peggio... i deceduti.
Il panico s'impossessò di ogni fibra del mio corpo, colonizzò ogni pensiero e non riuscivo a far altro che ripetere: "Lucas non è morto!"
Continuai a cercare nei vari siti delle notizie inerenti all'America o a quella miniera seduta sul letto, quando ricevetti in quel momento una chiamata.
Lasciai cadere il tablet sul grembo e risposi immediatamente in preda all'ansia. "Pronto?"
"Ah, Amybeth. Ho appena parlato con mio fratello e sta bene. Sta molto bene, non preoccuparti. Ti ho chiamata per fartelo sapere."
La voce di Kyla fu una morbida carezza per la mia anima, mi restituí la serenità che si era infranta.
Saperlo fuori pericolo era di per sé un gran sollievo nonostante tutto.
"Grazie a Dio! Stavo leggendo le notizie proprio ora. Riportano che non ci sono state vittime... Ma chiaramente finché non senti la sua voce continui ad avere dubbi che sia realmente così."
"No, mio fratello sta benissimo, non ha un solo graffio. Non preoccuparti. È anche apparso in televisione. L'abbiamo visto qualche minuto fa." Raccontò con un certo orgoglio.
Mi girai verso la televisione a schermo piatto posizionata di fronte.
"Davvero? Non l'ho visto."
"Dovevi sentirlo!" esclamò per poi sbattere una porta e abbassare il tono, come se temesse di essere scoperta. "Accidenti, AB... Mi stanno chiamando! La mamma mi ha quasi beccato l'altro giorno quando ci siamo incontrate. Ascolta, non creiamoci problemi, d'accordo? Altrimenti non mi permetteranno più di uscire."
"D'accordo, cara, ok. Non voglio metterti nei guai. Ci sentiamo più tardi."
"Va bene, un bacio. Ci sentiamo dopo..." Mi salutò e riagganciammo. Ovviamente i nostri rapporti si erano inaspriti per colpa di mia madre e la sua intromissione, ma Kyla era l'unica persona a cui potevo chiedere di lui senza insospettire nessuno.
Presi il telecomando dal comodino e accesi, cambiando le stazioni fino a quando non apparí la giornalista.
Il mio cuore fece un triplo salto mortale rischiando di sfondarmi la cassa toracica per quanto stava battendo quando lo nominò.
Mi avvicinai e apparve poco dopo nell'inquadratura, sporco, ma vivo.
Non era il ragazzino che ricordavo, di cui mi ero innamorata...
Quel lavoro l'aveva irrobustito e la barba ormai incolta gli ricopriva tutto il mento. I suoi occhi però erano gli stessi, quelle screziature verdi non potevano mutare così tanto, nonostante l'aria spaesata mentre gli rivolgevano domande ininterrottamente. Rivederlo era stato un colpo durissimo inferto nel mio punto debole.
Era andato via e aveva portato con sé gli ultimi brandelli della mia felicità. Improvvisamente sentii le lacrime pungere e scivolare poi sulle guance, mentre mi coprivo le labbra con la mano sinistra. Lo fissai ancora e lui rivolse lo sguardo in alto, disinteressato alla donna, poi il mio cellulare squillò.
"Pronto? Lo sto guardando proprio ora! Lo stanno ritrasmettendo. Hai ragione, lui è..." dissi emozionata non badando a guardare il mittente sullo schermo.
"Cosa?" rispose una voce maschile dall'altro lato. Il sorriso mi morì sulle labbra e quell'entusiasmo si smorzò. "Amybeth?"
Mi ricomposi e abbassai il volume.
"Dimmi... Louis."
"C'è una cena con Cáel stasera. Ci sarà anche sua moglie. La mia amata moglie mi onorerebbe della sua presenza, vero?" La sua non era una richiesta, ma piuttosto una pretesa.
"Farebbe qualche differenza se ti dicessi che non voglio?"
"Certo che no."
"Bene. Allora non ti sei stancato di chiedermelo ogni volta? Conosci già la mia risposta." ribattei con indifferenza.
"Hai ragione. Infatti non te lo sto più chiedendo, il mio è un ordine. Inizia a prepararti..." Staccai senza degnarlo di una risposta. Ormai quegli eventi erano così noiosi che vi partecipavo solo per dovere nei confronti della mia famiglia.
Mi sedetti nuovamente e continuai a guardare il televisore.
"Non trovo le parole per dirtelo, ragazzo mio. Se non fosse stato per il tuo intervento, non so cosa ne sarebbe stato di me. Sarei morto." Dichiarò l'uomo dai baffi neri e il soprabito scuro, mentre osservavo le impalcature di ferro che troneggiavano nel cielo plumbeo.
"Signore Dawson, non dica così. Siamo sopravvissuti tutti a questo disastro, per fortuna."
"Hai ragione, abbiamo unito le forze, siamo stati un ottimo TEAM. Ma tu..." Mi sorrise. "Eri lì e mi hai salvato da una morte inevitabile. Non potrò mai ringraziarti... Inoltre, uscito da lì sarei potuto finire in prigione. Se non è accaduto... è di nuovo grazie a te." Abbassai leggermente la testa pensieroso e trasse un sospiro, guardando i dintorni. "Comunque... Ho un affare da proporti."
"Di che affare si tratta, signor Dawson? Spero di esserne all'altezza." chiesi rigirandomi nelle mani un pezzo di carbone.
"Dal mio punto di vista, lo sarai, ne' sono certo." dichiarò senza ombra d'incertezza, inchiodando gli occhi vispi e assottigliati nei miei.
Annuì. "Mi dica. L'ascolto..."
"Non è un ordine, Lucas... È una richiesta." Si girò di rimando verso il panorama con le mani nelle tasche. "Voglio che tu assuma la direzione di questa miniera. E ti chiedo di diventare il mio socio."
La sua richiesta mi lasciò perplesso, soprattutto perché chiunque avrebbe rischiato la pelle per salvare una persona in difficoltà e specie in quell'inferno.
"Se me lo sta proponendo per via dell'incidente."
"Non potrò mai ripagarti a dovere per l'incidente." M'interruppe mentre facevo scivolare le braccia lungo ai fianchi. "Te lo sto proponendo perché sei un ingegnere di talento." Il suo sguardo vagò sull'entrata della miniera da cui, qualche giorno prima, ne eravamo usciti miracolosamente indenni. "Se quel giorno ci siamo salvati è stato perché hai avuto il coraggio e la testardaggine di farlo... per quegli uomini e per le loro famiglie sei stato un eroe. Non essere così modesto..."
"Ho fatto solo quello che andava fatto."
"Questo è quello che sto dicendo. Voglio lasciare la mia miniera in buone mani, come le tue quando non sarò più in grado di gestirla." Ripeté marcando per bene ogni frase mentre riportava l'attenzione su di me. "Cosa ne dici? Vuoi diventare il mio socio, ragazzo?"
Ancora una volta, negli ultimi tempi, mi ero ritrovato a fare i conti con alcune decisioni che avevano apportato molti cambiamenti nella mia vita. Dopo averci riflettuto per qualche secondo, risposi. "Se lei creda che possa farcela."
"Lo credo, sì." Fissai il volto sorridente dell'uomo mentre stritolavo ancora di più la pietra. "Perché credo in un ingegnere che si è sporcato per anni le mani con il carbone." Affermò alzando il mento.
A quel punto, abbozzai un lieve sorriso e aprii il palmo per poi richiuderlo. Quella pietra mi aveva dato il coraggio di proseguire anche nei momenti di maggiore sconforto, quando quella strada sembrava in salita e mi ero lasciato qualcosa di vitale alle spalle, che mi aveva polverizzato. E alzai ancora gli occhi. Era notte fonda quando feci ritorno nel mio minuscolo appartamento con solo tre camere, che avevo affittato appena giunto in città. Non avevo soldi, quindi mi ero accontentato di un tetto per ripararmi dalle intemperie.
Percorsi l'atrio, dopo aver posato le scarpe sull'uscio. Poi lasciai scivolare l'ennesima pietra nel fondo del recipiente di vetro, assieme alle altre. Ogni volta me le mettevo in tasca dopo aver finito di lavorare e le conservavo gelosamente. Accesi la luce e mi diressi verso la camera da letto per terminare l'ennesima giornata faticosa. Anche se, in realtà, le cose sarebbero cambiate.
Effettivamente il mio impiego nel sottosuolo volse al termine, quella vita non esisteva più. Un anno dopo, un'altra sfaccettatura era riemersa dalla fuliggine.
L'appartamento era arieggiato, spazioso, le tende blu gli conferivano un aspetto colorato e si mescolava con l'intonaco bianco e i divanetti in pelle. Presi le chiavi sul mobile, dove c'era il cilindro di vetro riempito di pietre scure, che tintinnarono mentre mi passavo una mano nei ricci e mi davo un'ultima occhiata allo specchio, dopo aver rasato un po' la barba e aggiustato anche le pieghe dell'abito d'ufficio.
Poi uscii, le chiavi di riserva ovviamente le infilai sotto il tappetino, anche se Milly non aveva il suo bel da fare con il sottoscritto.
Il signor Dawson mi accolse con fare paterno e mi fece accomodare sul divano, mentre prendeva posto su una morbida poltroncina.
"Eccoci qui."
"Cosa voleva mostrarmi?" chiesi prendendo la cartella blu, che aveva appoggiato sul tavolino.
"Ci sarà una gara d'appalto per un nuovo impianto energetico. Poi si firmerà un accordo... la prossima settimana a Dublino." Diedi una rapida occhiata a quei fogli, prima di guardarlo un'altra volta negli occhi. "Conosci i nostri nuovi soci. Vogliono che sia presente anch'io... in ogni singolo progetto, il che mi stanca parecchio."
"Signor Dawson... io però sono un principiante in questo tipo di affari."
"Non lo sei. Hai fatto grandi progressi ultimamente e potresti sostituirmi. Sei giovane, hai una marcia in più... e capisci subito come funzionano le cose. Non avresti alcun tipo di problema."
Gli rivolsi un sorriso ampio, forse lui mi dava troppa fiducia per ogni cosa, ma ormai era nettamente impossibile farlo desistere dall'intento. "Alla mia età, non voglio essere più infastidito. Così ho pensato che potresti occupartene tu Lucas al posto mio."
"Signor Dawson, sa che sono pronto a fare tutto ciò ch'è in mio potere per aiutarla. Sempre! Lei è come un padre. Mi ha insegnato tutto e le sarò sempre grato per l'opportunità che mi ha dato."
"Molto bene, giovanotto. Ti darò i dettagli..." M'indicò la cartella, con la mano poggiata sul ginocchio mentre giravo la pagina fino ad arrivare a quella interessata. "Le aziende partecipanti sono elencate nel retro. Puoi fare delle ricerche sul web... Ma questo è il nome su cui devi prestare la massima attenzione..."
Puntò l'indice su quel nome... e appena il mio sguardo vi si soffermò, il respiro mi si mozzò in gola.
Non c'erano errori. Solo... un crudele scherzo. Era tornato... come uno dei peggiori incubi e mi aveva travolto come un treno lanciato al massimo della velocità. I miei problemi erano sorti grazie alla sua presenza. Non era un caso... Louis Hynes, la sua azienda, faceva parte del progetto di cui mi sarei occupato.
I piani non potevano essere così contorti e meschini per farmi incontrare proprio con quell'uomo!
Chiusi la cartella e pensai: "è fuori discussione!" e fissai il mio mentore che stava in silenzio.
"Signor Dawson." Mi alzai in piedi e posai la cartella. "Mi dispiace, non posso accettare questo lavoro. Mi perdoni."
L'uomo sbatté le ciglia confuso e non potevo spiegargli per filo e per segno la mia ostilità. Non potevo ricordare, mi faceva troppo male. Andai via dal giardino senza aggiungere nient'altro, ma determinato a non voler toccare quell'argomento. Non ero così pazzo per lavorare a stretto contatto con l'uomo che mi aveva rovinato la vita.
Per colpa sua, avevo perso tutto.
Mio fratello era nervoso e intrattabile. Si sforzava di prendere le medicine dopo ogni pasto, ma in realtà gli pesava mantenere questa bugia ogni volta che apriva bocca.
Aveva paura di non reggere a lungo e prima o poi di confessare l'orribile segreto che da cinque anni aveva stravolto le nostre vite.
Mio padre entrò nel salotto, in mia compagnia, per mostrare a mia madre due cravatte selezionate dal suo armadio. La donna si alzò, sfoggiando un elegante abitino aderente e afferrò quella turchese con le strisce nere.
"Se portassi me a cena, questa." Poi gli strappò l'altra dalle mani, rosa pastello con strisce bianche. "Ma per una cena di lavoro, decisamente meglio... quest'altra." Abbozzò un piccolo sorriso, mentre l'osservavo armeggiare con il nodo. "A che ora è?" S'informò.
"Erick ha detto alle otto, ma usciremo quando arriva Louis."
Mia madre fece un cenno con la testa e, in quel momento, il diretto interessato fece il suo ingresso nella stanza.
Come sempre, parli del diavolo e spuntano le corna.
"Casa dolce casa."
"Buonasera." Lo salutai voltandomi e si piegò per lasciarmi un bacio sulla testa.
"Ah, Louis... Io sono pronto. Possiamo andare quando vuoi." Disse mio padre voltandosi nella sua direzione.
"Dove?" chiese perplesso.
"Abbiamo una cena con il signor Loch."
"Oh, quella... Non c'è bisogno che tu venga Casey. Andrò con mio padre." Mio padre lo fissò interrogativo alzando un sopracciglio, mentre roteavo gli occhi, perfettamente consapevole che l'avrebbe estromesso dai suoi affari, come se lui non valesse niente. "Scusatemi, vado a cambiarmi altrimenti farò tardi."
Se la svignò e mio padre mi guardò di rimando. Forse era convinto che sapessi quali meccanismi subdoli stessero lavorando nella testa di Louis Hynes.
Aymeric, accovacciato sul pavimento, mi fissò e a quel punto mi fiondai nella nostra camera.
Entrai senza farmi troppi problemi e sbattei la porta con profonda stizza.
Il suo comportamento era inaccettabile, mi doveva delle spiegazioni, alla svelta.
"Sai di cosa sono più stufa? Del tuo atteggiamento da 'vi ho tutti sotto il mio controllo' come dei burattini."
"Ti penti di avermi sposato?" chiese togliendosi la camicia e restando a torso nudo. "Lo penso anch'io." Poi si piegò e ne infilò una pulita, mentre parlava con quel tono malvagio che mi dava l'orticaria. "Continui a dimenticare che questa è casa mia. Tecnicamente i tuoi genitori... sono dei senzatetto. Io possiedo l'atto di proprietà, posso fare quello che voglio... proprio come con te... Giselle e Casey non fanno parte dell'accordo. Specialmente il tuo inutile fratellino. Ho accettato di vivere con loro perché me l'hai chiesto tu. Vivono in questa casa per merito tuo." Sollevò la mano e si toccò il dito. "La loro presenza mi provoca un fastidioso formicolio proprio qui."
Afferrò la giacca e mi sorpassò infastidito, mentre rimanevo appoggiata al mobile.
Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, prima di smarrire del tutto la calma e m'imposi di sopportare tutto quel veleno che mi sputava addosso. Quel fragile equilibrio dipendeva esclusivamente dal mio self control che molte volte vacillava.
Purtroppo mi aveva in pugno.
Una mia parola di troppo e Aymeric avrebbe pagato con la prigione.
Non riuscivo a chiudere occhio da ore. Ero seduto vicino alla scrivania con davanti l'immagine del biondino con in mano un premio. Cliccai su un altro link e serrai le palpebre, facendo roteare il dito con un movimento circolare al livello delle tempie.
Ingoiai un fiotto di saliva e spuntò un'altra foto. Due uomini in abiti d'ufficio, l'uno era più anziano... probabilmente il padre. Quando feci scorrere la pagina mi ritrovai davanti l'immagine del matrimonio.
Indossava uno smoking costoso e stringeva a sé la sposa... Una mia vecchia conoscenza.
Distolsi il volto con una punta di fastidio e sollevai il braccio girandolo, mentre stringevo di più il pugno e lo aprivo lentamente, esercitando una manovra anti-stress.
Osservai quel punto attentamente dove non c'era più quel simbolo. Ormai era quasi del tutto sbiadito sulla pelle, ne restava solo una macchia rossiccia. Guardai quell'immagine che la ritraeva con la coda dell'occhio e sospirai.
Avrei dovuto buttarlo tempo prima e invece l'avevo relegato in quel cassetto. Presi quel cofanetto blu notte e l'aprii. La vista di quell'anello mi scatenò dentro una miriade di sensazioni e riportò a galla il momento in cui la bolla si era distrutta. Afferrai quell'anello con la punta delle dita e trasportai lo sguardo sulla coppia vestita elegantemente. "Ecco... La vita che meritava. O meglio, la vita che ha sempre voluto". Mi strofinai le labbra con il dorso e feci partire un video con un'intervista di qualche mese prima.
La voce della giornalista riempì il silenzio mentre dichiarava.
"Abbiamo qui come ospite di Associazione Economia la stella nascente del mondo degli affari, Louis Hynes." Poi si voltò e sorrise all'uomo seduto a qualche centimetro più lontano. "Benvenuto, signor Louis..." Cercai di captare ogni singola parola del discorso che avrebbe pronunciato, con gli occhi puntati sulla sua figura. "Ci sono molti brillanti giovani uomini d'affari in questo settore, ma lei è differente da tutti loro. Cos'è che la rende diverso?"
"Vediamo cosa rispondi, Louis Hynes. Cosa ti rende diverso?" mi dissi con gli occhi incollati allo schermo.
Ovviamente lui non si lasciò cogliere impreparato, dimostrò un invidiabile scioltezza oltre che arroganza. "La differenza è che Louis Hynes è nato ed esistito in questo mondo..." Assottigliai gli occhi, rendendoli due fessure. "Non ha cercato di occupare un posto che non gli apparteneva di diritto. Questa non è una storia di successi... Sono esattamente dove dovrei essere..."
Quel tono sfacciato mi fece ribollire il sangue. Interruppi il video a metà chiudendo il portatile e lo scaraventai contro il muro distruggendolo.
Odiavo le persone parassite come lui, tutto sembrava essere una sua proprietà e sarebbe arrivato a soggiogare le menti pur di raggiungere quello scopo.
Quella notte non chiusi occhio e il giorno seguente decisi di accettare l'incarico e fare ritorno a Dublino. Appena atterrato, a bordo di un Uber, stavo tornando in quella città che credevo di aver rimosso dalla mia memoria, come il resto. Feci scorrere il finestrino alla metà, osservando il paesaggio circostante mentre la strada a velocità moderata si stava per snodare in più punti contigui.
"Quando saranno pronti i tessuti?" chiesi alla mia amica alle mie spalle, mentre davo un'occhiata alla macchinetta e un olezzo di caffè si espandeva per tutto l'ambiente.
Ci pensò un po' su. "Mercoledì... L'hanno promesso, cara."
"Perché, per prima cosa, devo ricoprire le pareti dell'hotel con quelli." disse versando il liquido nelle tazze.
"Inizierai a lavorare all'hotel?"
"Certo. Cambierò la sostanza chimica del tuo tessuto con quello della vernice. Ma lo sai, sarà fantastico."
Appena mi girai sorridendole chiuse di scatto il portatile, poggiato sulle sue ginocchia e finse un'aria innocente, alzandosi dallo sgabello.
"Vieni a sederti, devo dirti una cosa."
"Cosa ci potrebbe essere che non so Miri?" puntualizzai, prendendole il portatile dalle mani, mentre lei avvolgeva le mani attorno al corpo. Posai la tazza sulla panca e guardai lo schermo dubbiosa, leggendo ad alta voce. "La stella del mondo degli affari, Louis Hynes, e l'addetta alle Pubbliche Relazioni, Brigitte Nielsen, hanno una relazione... extraconiugale?"
Nella foto affianco erano stati ritratti molto vicini, lei aveva una mano sulla sua spalla e sembrava la classica tipa lasciva. Non che m'importasse di come occupasse il suo tempo o in quale letto stesse sfogando i suoi istinti animali, ma dovevo fargli un discorsetto.
Afferrai il cellulare scavando nella borsa e sorpassando Miranda, rimasta in silenzio, uscii fuori.
Squillò un bel po', prima che la sua voce si facesse spazio nelle mie orecchie con quel solito menefreghismo che mi ripugnava.
"Cosa vuoi, Amybeth?"
"Ti ho chiesto una sola cosa, Louis. Una cosa! E sono stata abbastanza chiara. Non m'interessa delle tue scappatelle, puoi fare ciò che preferisci e andare a letto con chiunque tu voglia, ma non lasciare che la gente ne parli!"
"Perché? Cosa stanno dicendo di tanto brutto, mogliettina mia?" replicò con tono sfacciato e un accenno di ironia.
"Leggilo tu stesso nel sito di qualsiasi rivista scandalistica. Non importa perché ci siamo sposati, Louis. Devi tenere in considerazione i miei genitori, chiaro? Devi pensare alla reputazione della nostra famiglia. Non ti permetterò di rovinarla."
"So che non lo stai dicendo perché sei gelosa di me. Quindi non è alla tua reputazione che devo pensare, ma al mio benessere. Arrivederci... mogliettina."
A quel punto mise giù, come se avesse fretta di concentrarsi sull'ennesima preda capitata nelle sue grinfie.
"Sono a Dublino, signor Dawson. Mi unirò a loro alla riunione preliminare." Spiegai per poi attaccare e accontonare ogni pensiero per concentrarmi sull'incontro che sarebbe avvenuto di lì a poco. L'Uber accostò di fronte all'entrata di un locale sofisticato che, in passato, non avrei potuto frequentare e munito della valigetta mi bloccai a uno dei tavoli centrali e porsi la mano al biondino. "Lucas Zumann."
L'uomo si alzò e ricambiò quel gesto formale.
"Benvenuto... Erik Loch. Sono il rappresentante del signor Louis Hynes."
Annuì, senza scomporre l'espressione seria che mi si era dipinta in faccia.
"Lo so."
"Prego... Allora."
Allungai il braccio per stringere la mano agli altri due. Mi ero documentato parecchio sugli uomini con cui avrei avuto a che fare. "Signor Felix." Salutai l'uomo dalla tasca scarna e passai poi all'altro. "Signor Werner. Mettetevi pure comodi."
Loro obbedirono e appoggiai la valigetta sull'altra sedia prima di prendere il posto. Il biondino mi guardò e presi parola dopo aver gettato un'occhiata all'orologio sul mio polso.
"Dato che non sono in ritardo, suppongo che vi siate incontrati prima."
L'uomo accennò una piccola risata. "Siamo appena arrivati anche noi. Per lei va bene, se iniziamo?"
"Tutto qui?" Feci vagare lo sguardo sulla tavola e i commensali prima di osservare ancora il biondino e ribattere con aria sicura. "Mi aspettavo più rappresentanti."
"Questa è una riunione privata, signor Lucas. Non siamo interessati alle piccole aziende."
"Quindi avete una strategia diversa rispetto alle grandi aziende?"
"Proprio così." affermò ridacchiando sommessamente rivolgendo uno sguardo prima ai due e poi a me.
"Il signor Louis dice sempre 'non prendere in considerazione quelli che non valgano come concorrenti'. Estremamente giusto, non trova?"
"No. Non trovo." Lo fissai di sbieco e quell'aria spensierata svanì quando capì di non potersi burlare di me e che le intenzioni erano serie. "Perché non puoi sapere chi sarà il tuo concorrente in futuro."
"Se volete, possiamo iniziare." Esordì il signor Werner di fronte a me per raffreddare gli animi.
Ci riflettei bene, arrivando nel giro di qualche secondo alla conclusione che non ci avrei ricavato nulla. "Mi dispiace, signori..." Balzai in piedi, troneggiando sulle loro figure. "Ritengo che questo tipo di riunione privata vada contro l'etica della competizione. Con il vostro permesso... Signor Walter. Signor Felix." Ripetei il gesto di prima per salutarli e ringraziarli. Prima strinsi la mano all'uno e dopodiché all'altro.
Il biondino invece m'ignorò e mi osservò in tralice. "Questa riunione è una grande opportunità per lei, signor Lucas. Vorrei ricordarglielo a nome del signor Hynes." mi disse senza giri di parole, mentre facevo un passo avanti.
"Se si presume che abbia bisogno di un'opportunità... Dobbiamo anche presumere che il signor Louis abbia bisogno di etica." Si scambiò un'occhiata confusa con il collega, cercando di interpretare il significato. "Per favore, ricordi questo al signor Louis."
Recuperai la valigetta e abbandonai su due piedi la riunione senza neppure cominciarla determinato a non farmi più calpestare da quei soggetti.
Era appena calata la sera, che stavo osservando dal finestrino, quando l'autista improvvisamente mi strappò dai miei pensieri ingarbugliati.
"Da questa parte, signor Lucas?"
Deglutii un fiotto di saliva e mi resi conto che stavamo passando davanti al porto, un luogo che da bambino mi aveva sempre rassenerato.
"No, no. Scendo qui." L'uomo acconsentì con un cenno della testa e arrestò l'auto accanto al marciapiede. Aprii la portiera e fui investito dai ricordi, mentre camminavo avvicinandomi di più all'acqua, resa colorata dalle luci sprigionate dai fari.
Osservai gli yatch che galleggiavano dolcemente sulla superfice. Alzai il naso verso il cielo ricoperto di stelle e un altro ricordo mi saettò come un missile. Quel timido e impacciato ragazzino, seduto con lei vestita da capitano, mentre parlavano del più e del meno, dopo che l'aveva strappata a una fine inevitabile regalandole quella fuga per mare.
Era stato sufficiente tornare lì per risvegliare in me l'amarezza. "Basta!" mi comandai, prima di guardare l'orizzonte e vedere una barca che navigava indisturbata.
Ero relegata in un angolo, con tra le mani un bicchiere di champagne e una mano saldamente attaccata alla ringhiera. Sicuramente anche Rose sul Titanic si sarà sentita ingabbiata, per questo era corsa a prua, pronta a lanciarsi nelle acque dell'oceano per scappare ai suoi obblighi verso il suo aristocratico fidanzato. La musica era forte e, come sempre, a questi eventi sociali si presentava la crème.
Gli invitati ballavano.
Vidi il biondino gettare occhiate inequivocabili cariche di passione alla castana... ma distolsi subito lo sguardo. Poi si allontanò per parlare al cellulare e, oltrepassando la folla, lo raggiunsi alle spalle, poggiando la mano sulla sua spalla facendolo voltare.
Sul suo volto si palesò lo stupore, da quando l'avevo sposato non l'avevo mai sfiorato neanche per sbaglio, né tantomeno ero intenzionata a dargli quel tipo di soddisfazione.
Portai le mani ai lati delle sue spalle e lui fece scivolare le sue sui miei fianchi.
"Amybeth." Il suo tono era sensuale mentre le mie mani si aggrappavano alle sue clavicole fintamente civettuola.
"Ti avevo avvertito, Louis." Mi specchiai nei suoi occhi e sollevai un po' il mento. "Dopo oggi i giornalisti saranno ancora più insistenti."
"Quindi?" domandò, spostandomi una ciocca dal volto.
"Quindi... non scenderò da questa barca con te." Allacciai le braccia intorno al suo collo e alzò un sopracciglio. "Volevo informarti che non voglio essere il tuo trofeo per tutta la sera."
"Cosa vuoi fare? Nuotare?" Sbattei le ciglia più volte, l'unico modo per convincerlo e mi concesse di lasciare la barca a bordo di un gommone e di liberarmi da quella tortura.
Il cellulare squillò nella tasca interna della mia giacca e risposi. Era un numero non registrato nella rubrica.
"Pronto?"
"Lucas Zumann?" chiese una voce maschile dalla parte opposta.
"Sì."
"Parla Louis Hynes." decretò con lo stesso tono usato con la giornalista, quello per intimidire chi voleva mettergli i bastoni fra le ruote.
Doveva essere stato informato del fatto che non avevo accettato di partecipare alla riunione e negoziare un accordo con il suo rappresentante.
"Mi dica pure, signor Louis." dissi dopo qualche istante di silenzio.
"Oggi non siamo riusciti ad accontentarla, signor Lucas. Così mi sono detto: 'cosa possiamo fare?' Ed ecco la mia proposta..."
"Signor Louis." lo interruppi. "Sta commettendo lo stesso errore del suo assistente. Sta parlando come se fosse lei a determinare il processo di quest'affare, e non è così." Feci un'altra pausa, strinsi i denti e la mandibola si fece più tesa. "Se fossi in lei..."
"Lei non è me, signor Lucas." Ribatté. "Non potrà mai esserlo."
Avanzai di un solo passo, stringendo il cellulare nelle dita, avvertendo un tono che non mi piacque per niente. Lui riprese. "Le spiegherò perché abbiamo bisogno di quest'accordo quando ci vedremo, prima della gara d'appalto."
"Se ci incontreremo, naturalmente." Ribadii sentendo solo silenzio da parte sua. "Preferisco rimanere nella stessa posizione quel giorno. È la mia ultima parola."
"Diciamo che vorrei avere un confronto... Faccia a faccia con lei." puntualizzò. "Non so perché, ma voglio incontrarla. Mi dica... Lei vorrebbe avere l'onore d'incontrarmi?"
"Potrei."
"Domani. La chiameranno per dirle l'ora e il posto. Buona serata, signor Lucas."
Detto questo, riagganciò senza dire null'altro. Sembrava sicuro di sé, ma i suoi modi non mi spaventavano.
Il vento mi spostava i capelli e mi accarezzava la pelle, mentre il gommone si stava avvicinando alla terraferma.
Mi alzai in piedi e per poco non rischiai di cadere. Quel pensiero del passato mi strappò una piccola risata. Quando ripresi l'equilibrio, continuai a guardare l'orizzonte, nostalgica.
"Lo sa? Ho già vissuto una situazione del genere. Era il mio compleanno..."
Il giorno in cui l'avevo incontrato e avevo pronunciato quella frase:
"La mia vita è nelle tue mani adesso. Non credi che sia stato il destino ad architettare l'incontro sott'acqua?"
"Stia attenta, signora Amybeth!" mi ammoní l'uomo preoccupato.
Mentre ero immersa nei miei pensieri con aria malinconica e sul punto di rimettermi seduta, la scarpa s'incastrò sbilanciandomi e caddi in acqua.
Avevo la corda attorcigliata attorno alla caviglia e non potevo risalire in superficie nonostante tutti i miei sforzi, mentre il corpo sprofondava in basso, nell'oscurità. Improvvisamente qualcosa, o forse qualcuno, mi afferrò saldamente, mi liberò la scarpa e poi con una bella spinta m'incitò a salire in alto.
Mi girai di scatto, aprii gli occhi cercando di mettere a fuoco quell'ombra. Poi tornai in superficie, senza forze, mentre mi tiravano su da sotto le ascelle. Intanto dalle mie labbra fuoriusciva un unico nome.
"Lucas, Lucas..." L'uomo mi fece accomodare, mentre un altro ragazzo si aggrappava al gommone tirandosi su con le mani, con i vestiti fradici e i capelli lunghi appiccati alla fronte. Mi guardai attorno, urlando. "Lucas?"
"Signora Amybeth, sta bene, vero?"
"Lucas?" insistei.
"Signora Amybeth." Mi chiamò Bulut prendendo fiato e guardandomi, come se i miei fossero sproloqui senza senso.
"Sono sicura ch'era qui. L'ho visto con i miei occhi. Era qui."
"Bisogna subito informare il signor Hynes." Dichiarò facendo l'atto di scendere dal gommone, ma lo bloccai, tendendo la mano in avanti.
"No, no, no!" Mi rimisi in piedi e sussurrai. "No." Un breve flashback mi saettò nel cervello, la figura apparí più nitida. "Ho visto i suoi occhi." Spostai lo sguardo sul ragazzo e mi portai la mano sul petto. "Tu... avevi qualcosa al collo, vero?"
"No, nulla."
"No, c'era qualcosa. Come un ciondolo, un portafortuna, vero?" chiesi, probabilmente avrei dato l'idea di essere una povera pazza con tutte quelle insinuazioni assurde.
Ancora una volta... quel particolare mi balzò davanti e fissai il ragazzo.
"Non ho amuleti signora." riprese scendendo poi dal gommone.
"L'ho visto al tuo collo prima. Ti è caduto?"
L'uomo s'inginocchiò.
"La prego mi dia la mano, signora Amybeth." Osservai i dintorni titubante e confusa sul da farsi, prima di venir richiamata con tono più alterato. "Signora Amybeth. La mano..."
Alla fine mi convinse e l'afferrai mentre mi aiutava a scendere e mi stava accompagnando personalmente per evitare altri incidenti.
"Signora Amybeth... i giornalisti!" esclamò incitandomi ad accelerare il passo per raggiungere l'auto bianca parcheggiata lì vicino.
Ma quelli, appena mi notarono e conobbero, corsero trafelati per raggiungermi con i microfoni già impugnati, iniziando a sparare una serie di domande che francamente non ascoltai nemmeno.
"Signora Hynes! Perché ha i capelli bagnati? Dov'è il signor Louis? Signora Hynes! Perché non c'è nessuno con lei? Perché è venuta da sola? Anche la signorina Brigette era alla festa?" Premetti il pulsante per sbloccare la portiera mostrandomi indifferente e salii in macchina, poggiando la borsetta sul sedile del passeggero. I giornalisti continuavano a tempestarmi di flash e domande, ma rimasi in silenzio allacciando la cintura di sicurezza. "Signora Hynes... Dov'è il signor Louis? Dov'è suo marito? Perché non è con lei? Può guardare da questa parte?" Avevo le macchine fotografiche puntate sulla mia vettura, non avevano intenzione di lasciarmi in pace. Misi in moto e partii seminandoli. Era uno strazio dover fare i conti con quelle sanguisughe tutte le volte che Louis Hynes metteva gli occhi sulla sua segretaria.
Un altro flashback si fece spazio nella mia testa. La medesima dinamica, quell'ombra che nuotava verso di me, mi prendeva il piede, mi liberava... e poi vidi l'amuleto, un triangolo nero.
Quando giunsi a destinazione tirai il freno a mano e abbassai il finestrino, tenendo gli occhi incollati su quella casa.
Cinque anni prima... non avrei mai potuto cancellare il dolore, le lacrime che premevano per uscire mentre assistevo alla sua partenza da lontano.
Il padre gli schioccò un bacio sulla fronte, poi passò a stringere sua madre nelle sue braccia e dovetti spingere la mano sulla bocca per soffocare i singhiozzi.
Li salutò uno per uno con il sorriso stampato sulla faccia per non farli preoccupare, mentre sentivo la mia anima infrangersi come vetro.
Prese il suo cane nelle braccia, l'accarezzò dandogli un bacio sul dorso, e poi si avvicinò all'auto. Vidi il suo sorriso illuminare quella strada un'ultima volta, prima di salire, insieme all'uomo dalla carnagione bronzea - ch'era al porto, la notte che tornammo dalla fuga - e allontanarsi.
Iniziai a piangere, aggrappandomi al muro ricoperto di foglie fin quasi ad accasciarmi sull'asfalto. Sapevo di averlo di averlo distrutto e spinto a partire, ma sentivo quello stesso fuoco di rabbia ardere dentro di me.
Quasi mi mancava il fiato mentre singhiozzavo, e poi una voce dolce mi richiamò alle spalle.
"AB?"
La biondina mi guardò con espressione confortante, nonostante fossi io la colpevole. Avevo spezzato il cuore di suo fratello e lui non se l'era sentita di vedermi nelle riviste con un altro uomo, sposata con un altro. L'abbracciai di slancio, mentre le lacrime scivolavano a fiotti sulle mie guance, e lei dal suo canto mi massaggiava le spalle.
Poi vidi Mary farsi avanti e mi staccai lentamente da Kyla. I suoi occhi, prima gentili e accondiscendenti nei miei confronti, ora mi guardavano con disprezzo e indignazione.
"Cosa ci fai tu qui?" Non riuscii a parlare, mi limitai a fissarla con il viso bagnato di lacrime e lei ripeté a chiare lettere. "Ti ho chiesto... Cosa ci fai qui?"
"Io..." farfugliai.
"Oh, gli hai già detto addio. Inoltre l'hai fatto nel peggiore dei modi. L'hai calpestato senza ritegno e te ne sei andata. E ora cosa stai cercando? Huh? È un po' tardi per rimettere le cose a posto." Mi asciugai le guance con il dorso e lei mi parlò con scherno mentre tiravo su con il naso. "Oh, stai pure piangendo... Per cosa piangi? Eh? Per chi?" Kyla gettò un'occhiata alla donna, con le braccia incrociate al petto. "Forza, dimmelo... Sono tutta orecchi. Piangi per Lucas, il ragazzino ingenuo che hai preso in giro... o per te stessa? Per la tua bassezza morale?"
"In effetti, potrei dirlo solo a te." biascicai. "Io non..."
"Ahi, ahi, ahi... Non ascolterò le tue bugie. Quel ch'è successo, successo... Quel che rotto è rotto. L'hai distrutto, hai distrutto quel ragazzo che ti amava follemente, l'hai fatto a pezzi." Distolsi il viso mordicchiandomi il labbro. "Cos'altro puoi dirmi, uff... Amybeth? Vattene. Ti ho aperto le porte della mia casa, ma adesso non lo farò più. D'ora in poi non venire più a bussare alla mia porta." Chiusi gli occhi sentendoli pizzicare. "Hai fatto abbastanza. Ora... Stai lontana dalla vita di Lucas. Lascialo libero!" M'intimò e a quel punto non mi restò che andarmene.
Quel ricordo mi provocò altre lacrime silenziose, mentre chiamavo Kyla. Sicuramente era al corrente, se suo fratello fosse tornato in città.
"K-Kyla?"
La sentii parecchio sorpresa, specialmente perché doveva essere molto tardi. "Amybeth?"
Puntai lo sguardo sulla finestra e continuai.
"Kyla, Lucas è tornato? È qui? È a Dublino?"
"No... Come ti viene in mente?"
"Perché l'ho visto."
"Come? Hai visto mio fratello Lucas, dove?" esclamò lei sbalordita.
"Sulla costa." Poi sbuffai. "Comunque." Mi portai la mano sinistra contro la fronte, cercando di riordinare le idee. "È tornato o no? Ma guarda, dimmi la verità. Devo saperlo."
"Non credo... È fuori città. Inoltre, perché dovrei mentirti?"
"Allora, mi sono sbagliata." Rimasi per qualche minuto in silenzio per combattere la sensazione di pianto. "Credo di aver scambiato qualcun altro per tuo fratello..."
"Capisco."
"Comunque, ti ho disturbata per un'assurdità e nel bel mezzo della notte. Scusami..." sviai il discorso sorridendo leggermente.
"No... Sono contenta che tu mi abbia chiamata, in realtà. Sono felice di sentire la tua voce... È da un po' che non ci vediamo."
"Puoi chiamarmi quando vuoi. Possiamo anche vederci..." proposi.
"Va bene, incontriamoci. Ok, ma non ti dimenticare di me... Vediamoci al più presto. E poi mi hai detto che mi avresti portata dal tuo parrucchiere, AB... Me l'hai suggerito tu."
"D'accordo, cara. Chiamami e ci vediamo allora, ok?"
"Domani, sarei libera, in realtà. Anche tu non sei impegnata, giusto?" domandò agitata. "Ho bisogno di farmi delle fotografie. Me l'hanno richieste l'agenzia... A proposito sto per firmare un contatto con un'agenzia. Anzi, lo firmerò domani." Disse su di giri, ovviamente noi due eravamo molto simili. "È una lunga storia. Domani ti racconto tutti i dettagli, va bene? A che ora puoi, domani? Potresti venirmi a prendere fuori scuola, eh?"
"Kyla." La interruppi e tornai al discorso di prima. "Se tuo fratello chiama..."
"D'accordo. Non menzionerò mai questa telefonata, promesso."
Sorrisi. "Grazie..." Sussurrai, staccando poi la chiamata, mentre guardavo la finestra dell'abitazione per poi rimettere in moto e ripartire con il cuore gonfio d'angoscia.
"Vieni sulla strada principale domani. Non venirmi a prendere davanti casa, intesi?" ordinai al mio autista sulla soglia, consegnandogli la valigetta.
"Come preferisce, signor Lucas."
"Grazie."
"Buonanotte." Si congedò.
Anche Mary lo salutò gentilmente prima di chiudere la porta. Quando fummo da soli ridacchiò al massimo della contentezza e mi si gettò nelle braccia. "Oh, raccontami un po'..."
Le rivolsi un sorriso affettuoso, quando slegò il nostro abbraccio.
"Mi sei mancata tanto."
"Perché non mi hai avvisata che saresti venuto?" mi rimproverò fingendo di essere arrabbiata mentre mi tirava verso la cucina.
"È successo così all'improvviso. Non c'è stato tempo."
La seguii e squadrò il mio aspetto da cima a fondo, con la mano posata sul fianco. "Mhm? Ma hai trovato il tempo di fare una nuotata a quest'ora della notte?" Il sorriso mi si affievolì e lei capí al volo il concetto che mi ostinavo a nascondere. "Fammi indovinare... Ti sei imbattuto in lei, di nuovo..."
"Ti prego, non ho bisogno che tu mi faccia la morale, Mary. È stato un momento indimenticabile, bello e impossibile per essere vero..." prosegui sfregando le dita sul tavolo, provando a cancellarlo. "Ho visto la sagoma di Amybeth nel buio. È stata una totale perdita di coscienza, mentre pensavo se fosse lei o meno. Se fosse un sogno o realtà." Mary mi fissava attentamente, sostenendo il mento con una mano. "L'ho guardata negli occhi e ho ricordato il passato, era tutto come allora. Ho realizzato che quella rabbia e quell'odio che ho provato in tutti questi anni sono ancora qui." Mi drizzai, premendo la mano sul petto.
"Non ti ha visto, allora?" domandò e ricordai la sua voce che risuonava nell'aria. Mi stava cercando. Ma non glielo confessai, tenni quel segreto per me, e scossi la testa. "Sarai il rivale di suo marito allora. Sei tornato per vendicarti." Abbassai la testa. "Dici di provare ancora... della rabbia, dell'odio?" m'interrogò e alzai il mento prontamente. "Anche l'odio è un sentimento. Dicono che il confine tra odio e amore sia un filo sottilissimo... Non saprei." Sollevò le mani e fece spallucce. Poi mi guardò la parte interna del polso, ma non c'era più quel simbolo, l'avevo rimosso con tante sedute ma il dolore non era stato peggiore quanto quello subìto cinque anni fa. "Non l'hai più, a quanto pare... Puoi liberarti dei sentimenti nella stessa misura del tatuaggio Lucas? Sei davvero sicuro di aver sradicato per sempre Amybeth dal tuo cuore?"
Non riuscii a risponderle, perché un leggerissimo bussare ci bloccò.
"Aspettavi qualcuno?" chiesi con fare circospetto. Mary era confusa.
"No." Si alzò e andò verso l'atrio. Spalancò la porta e la sentii esclamare. "Tu!"
"Mi dispiace, so che non sarei dovuta venire qui, ma..." affermò una voce a me familiare, che mi fece scattare in piedi e avvicinare a piccoli passi al muro.
"Sì, Amybeth, perché sei venuta?" domandò Mary seccata.
"Io..."
"Per l'amor di Dio, cosa ti è successo? Ha piovuto o sei caduta di nuovo in mare?" la rimproverò.
"So che non ha molto senso, ma la seconda... opzione." Si strinse nelle spalle, coperte da un coprispalle bianco, con i capelli umidi che le incorniciavano il volto, mentre spiavo la scena di sottecchi.
"Stai tremando."
"Io..." Prese un bel respiro e chinò gli occhi. "Mi sono fatta coraggio... e sono venuta qui per chiederti qualcosa."
Mary stette un po' in silenzio, poi riprese. "Non posso invitarti ad entrare, ma dovresti asciugarti in fretta o rischi di ammalarti." A quel punto, mi spostai velocemente nascondendomi nell'altro corridoio prima che le due donne facessero il loro ingresso nella stanza.
"Infatti, mi piacerebbe bere qualcosa di caldo..."
"Non siamo nella stagione dei bagni... Non è periodo. In questo caso, entra pure, Amybeth." La fece accomodare e udii la sua voce farsi strada in casa.
"Grazie mille. Giuro che non ti farò perdere molto tempo, promesso." All'improvviso tacque e Mary la invitò a sedersi. "Sono passata per caso... Ho visto la luce accesa e mi sono fermata."
"Ah, Amybeth... Sappiamo entrambe che non ti sei fermata per puro caso."
Appoggiò le tazzine sul mobile e si affacciò, mentre le indicavo di non dirle nulla con l'indice sulle labbra.
"Ho visto Lucas." iniziò facendola voltare di scatto.
"Dove?"
"Sott'acqua... come molti anni fa." precisò facendo ridacchiare la padrona di casa.
"Hai bevuto un bel po' di champagne a quella festa, immagino. Anche tu sei un po' preoccupata, giusto?"
"Sì... Non né sono sicura, ma il mio istinto mi dice ch'era Lucas."
"Beh, allora?" La incalzò sarcastica. "Stai dicendo ch'è stato Lucas. Perché sei venuta qui, allora?"
Dopo qualche secondo di silenzio, riprese. "Perché ho pensato che sarebbe venuto qui da te, se fosse tornato a Dublino."
"Facciamo finta che lo sia."
"È tornato!" esclamò Amybeth entusiasta.
"No, gioia! Anche se lo fosse, cosa cambierebbe nella tua vita allora? Entrambi avete voltato pagina. Non è così?"
"Tutto. Voglio dire... che non potrei sopportarlo." Scossi la testa sentendo le sue parole addossato al muro. "Ci sono molte cose che non posso mettere a repentaglio... Per prima cosa, il mio matrimonio. Viene prima di tutto..." Il silenzio calò per poco nella stanza prima che lei lo rompesse. "A malapena riesco a rimanere in equilibrio... Avevo perfino dimenticato la probabilità di rivederlo. Non voglio che mi confonda." Distolsi il viso e ingoiai un boccone amaro, difficile da digerire.
Mary sghignazzò per stroncare quella tensione.
"Sei venuta qui di corsa, nel cuore della notte, per questo? Pensi che Lucas voglia rovinare il tuo matrimonio?" Scossi la testa alzandola verso il soffitto. "Ha aspettato così tanto e di punto in bianco ha deciso di rovinare il tuo matrimonio dopo cinque anni. Non è un po' ridicolo? Amybeth... Dovresti chiederti se lui ricorda ancora il tuo nome." Lei rimase in silenzio riflettendo e tirando su con il naso. "Lucas è tornato? Non sono affari tuoi se lui è qui. Qui c'è la sua famiglia. Può andare e venire quando vuole... ma tu sono cose che ti riguardano. Il passato si è cancellato, il destino ha deciso di separare le vostre strade."
"Hai ragione." dichiarò e sentii la sedia strisciare. "Non riesco a sopportare il pensiero che possa tornare. È un mio problema, credo. Comunque..." Avanzai di un altro passo e la vidi sospirare. "Parlo sempre troppo... Scusa per il disturbo, per favore. Queste sono solo delle mie paranoie... Arrivederci." La vidi andare verso l'atrio e Mary la seguì a ruota per accompagnarla.
"Tesoro, sei solo un po' confusa... Torna a casa. Fai una bella dormita e domani ti sentirai meglio." Le consigliò con premura mista a stizza poi la bloccò. "Amybeth... Non puoi controllare la vita di Lucas. Ma puoi controllare la tua. Devi ricordare che sei una donna sposata e hai un marito. Questo non porterà nessun cambiamento nella tua vita. Ok? Nessuno." La guardò negli occhi prima di andarsene e uscii dal mio nascondiglio, incrociando la sua espressione contrariata.
"Allora? Per cosa sei tornato? E non mentirmi." Sospirai e posai le mani sui fianchi. "Hai visto? Il tuo fantasma già la spaventa a morte. Cos'hai capito da questo?" chiese indicandomi la porta.
"Te l'ha detto lei stessa. Non vuole che la sua pace venga distrutta. Ma è riuscita a distruggere la mia."
"Non lasciarti travolgere." mi consigliò Mary, accarezzandomi le guance con fare materno. "Tieni a mente questo e... stalle lontano."
Eccoci qui, nonostante siamo quasi a Pasqua ecco il nuovo capitolo di "AMORE INFINITO 💔" Da questo momento inizia la vera storia... e il grande cambiamento che avverrà nei personaggi, quando le cose entreranno nel vivo. Innanzitutto...
Vedremo Lucas fronteggiare Louis Hynes negli affari, ma credete davvero che Lucas abbia dimenticato il grande sentimento che lo lega ad Amybeth?
Ovviamente per scoprirlo...
Aspettate il prossimo capitolo ogni domenica alle 21.30!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top