𝘊𝘈𝘗𝘐𝘛𝘖𝘓𝘖 5: "L'inizio... della fine"
ᏗᎷᎧᏒᏋ ᎥᏁᎦᎥᏁᎥᏖᎧ
"Endless Love"
∞ ❤️ ∞
Appena udii la voce di mia madre chiamarmi e avvicinarsi con gran fretta, mi voltai. Sfoggiava un'espressione incredula. "Cosa sta succedendo, Amybeth? Cosa fai qui? Di nuovo con le tue strane abitudini?" Poi rivolse un'occhiata interrogativa al riccio alle mie spalle. "Chi è lui?"
Afferrai la sua mano e intrecciai i nostri incavi, dichiarando senza mezzi termini. "Lucas, il mio ragazzo."
Lo scetticismo le si dipinse in faccia e roteò gli occhi forzando un sorrisetto. "Mi prendi in giro?"
"No, mamma, non sto scherzando. E non c'è nulla di tanto strano... Sono venuta a trovare Lucas, per questo sono qui. Va bene?" le risposi a tono.
"No, non va bene per niente, Amybeth." Mi apostrofò sputando il suo veleno con la sua lingua biforcuta. "Ascoltami... trovo molto di cattivo gusto dare una speranza a una persona sapendo come andrà a finire." Sfoggiò un sorrisetto soddisfatto. "Poi si arrabbieranno, non è vero?" Lucas, a quel punto, s'irrigidí e ritirò immediatamente la mano. "Mi scusi, la lascio tornare al suo lavoro." Poi mi si rivolse con tono autoritario. "Non fare tardi stasera. Verranno il signor Divan e Louis."
Non appena se ne fu andata, mi voltai verso di lui e lo vidi scuotere la testa concentrato a guardare l'acqua piuttosto che il mio viso.
"Lucas, per favore, non dare retta a mia madre, ok? Lei ce l'ha con me! Torno subito, va bene? Non andartene. Aspettami, per favore." Lo implorai, portando la mano sotto il mento per ruotarglielo, ma lui si ostinava ad evitarmi. Ero arrabbiata... quella donna rovinava sempre tutto. Mi accinsi a raggiungerla urlando a squarciagola. "Mamma... Mamma!" Lei si fermò a metà strada, restando di spalle. "Voglio che chiedi scusa a Lucas. Ora! Non dovevi trattarlo in quel modo!" le ordinai.
Si girò di scatto e mi fissò sarcastica. "Cosa? Stai bene, Amybeth? Come osi rivolgerti a me con questo tono, eh? Che assurdità è mai questa?"
Non aveva rispetto per nessuno.
Mi chiedevo come facesse a guardarsi allo specchio tutte le mattine e a non detestarsi per i suoi atteggiamenti riprovevoli.
"Mamma!"
"Ascoltami bene. Parleremo di questo a casa!" tagliò corto e, senza aggiungere nient'altro, si infilò nell'auto.
Quando mi voltai e lo vidi allontanarsi sul molo, quel pensiero abbandonò totalmente la mia testa e iniziai a correre per raggiungerlo.
"Non scappare da me!" gli urlai dietro tallonandolo, mentre incurante continuava a camminare e a fissare l'orizzonte avvolto da una leggera foschia. "Lucas, ti chiedo scusa per mia madre... Sa essere così crudele e velenosa a volte. Non aveva alcun diritto, andrò a casa e le parlerò chiaramente." Non ottenni nessuna risposta e a quel punto persi la pazienza e gli afferrai bruscamente il braccio. "Lucas!"
Si divincolò dalla mia presa e mi urlò in faccia. "Tua madre ha ragione! Anch'io direi le stesse cose." Respirò affannosamente e guardò altrove per un secondo. "Non siamo compatibili... Non potremo mai esserlo. Smettiamola di prenderci in giro..."
"Ascoltami bene tu!" sbraitai correndogli nuovamente dietro, posizionandomi di fronte a lui per intralciargli la strada. "A me non importa dell'opinione degli altri, hai capito? Questa è la mia vita! Non permetterò a nessuno di prendere decisioni al posto mio! Sei sordo per caso? Mi hai sentito prima? Ti ho detto con fermezza che ti amo moltissimo! Che voglio stare con te!" Mantenne lo sguardo altrove e non sul mio viso. Strinsi le sue mani e gli dissi con tono supplichevole. "Non lasciare che qualcosa ci separi, ti prego. Non voglio perderti, Lucas. Ti prego, amore mio."
"Sei tu a non capire... Partirò per l'America, Amybeth." affermò con tono determinato, come quella notte sulla barca. "Ho avuto il lavoro e andrò a lavorare in miniera."
Non ci sarei rimasta un minuto di più a Dublino... senza di lui. Era fuori discussione rimanere, avrei firmato la mia condanna a morte.
"Verrò anch'io in America!" Proposi a bruciapelo e mi guardò con la coda dell'occhio stupito. "Non posso? Abbandonerò quest'inferno e verrò con te. Posso farlo, Lucas..."
"Non puoi scappare... non è così semplice. Non te lo lasceranno mai fare." disse lui mentre la luna s'immergeva nell'acqua del porto ed eravamo seduti sul bordo della barca.
"Non devono lasciarmelo fare... Non ho intenzione di chiedere il loro permesso." risposi facendo dondolare su e giù le gambe. "E inoltre cosa potrebbero fare? Ripudiarmi... perché sono fuggita con un altro uomo e non ho sposato il loro pretendente perfetto? Tu non conosci mio padre... Se io sono felice, anche lui lo è. Certo, mia madre andrà su tutte le furie... ma se ne farà una ragione prima o poi." Distolse il volto mettendo il broncio, non tanto convinto e gli alzai il viso facendo scontrare i nostri occhi. "Ascoltami: se ti dico che verrò con te, allora verrò. Possono pure incatenarmi..."
"Verrai, certo, ma non resterai. Non so come ti possa sembrare da qui... ma quella vita non fa per te."
"Interessante... e, sentiamo, quale sarebbe la vita che fa per me?" Lo sfidai punzecchiandolo.
"Lo sai perfettamente che intendo, Amybeth. Non c'è nessuna villa lussuosa come quella in cui sei abituata a vivere."
Sorrisi di rimando. "Non ho bisogno di un castello... una stanza è sufficiente. Non ho chissà quante pretese."
"Ok... la lavanderia, il bucato, le pulizie... Non ci sarà nessun personale a farle per te." proseguí.
"Scusa? Mi stai dando dell'incapace?" gli feci notare fintamente arrabbiata sollevando il mento. "Occupati del lavoro mio caro, che alla nostra casa penso io...."
"Non ci sarà la tavola pronta ogni sera. Nessun gran banchetto, solo il poco che abbiamo in frigorifero."
"Ma la mia pasta ti è piaciuta, ricordi?" Gli puntai l'indice.
Avvicinò di più il volto come se cercasse di intimorirmi per farmi cambiare idea. "Non potrai neanche fare shopping tutte le volte che vuoi, perché non ci saranno soldi."
"Non ho bisogno di niente perché ho già migliaia di vestiti." ribattei.
"Non conosci la città. Qui hai la tua famiglia e la tua cerchia di amici. Ti mancheranno. Sarai sola."
Sorrisi fissando le sue labbra con espressione sognante.
"Perché? Tu non vieni?" Mi fissò senza dire niente e gli presi delicatamente il volto fra le mie mani, sussurrando. "Non ho bisogno di nessuno a parte te."
Le mie mani scivolarono verso le sue spalle mentre un sorriso smagliante mi andava da un orecchio all'altro.
"Ci verresti davvero?"
"Verrei fino in capo al mondo."
Mi sorrise e ricambiai al settimo cielo con il cuore che batteva all'impazzata, mentre un tuono squarciò la tregua e le nostre fronti si scontrarono come i nasi. Poi Lucas alzò gli occhi e una fitta pioggia cominciò a piombare giù.
"Piove, piove, piove... Vieni... Vieni."
Si alzò e mi tese la mano prontamente conducendomi al coperto e aiutandomi a scendere lo scalino. "Hai visto, è iniziato all'improvviso?" Inclinammo entrambi la testa per osservare l'acquazzone intensificarsi. Sembrava quasi la scena cult di un film.
Appena abbassò la testa, mi attirò a sé e poggiò la fronte sulla mia. Avvertii il suo respiro fondersi nel mio fino a diventare un tutt'uno, mentre portavo la mano sulla nuca e gliela accarezzavo, proseguendo poi verso la mandibola.
I suoi occhi si chiusero quando anche le labbra entrarono in contatto, timide e via via più consapevoli della grande passione che stava infiammando i nostri cuori.
Con una mano sulla schiena, mi permette di più al suo corpo mentre ondeggiavamo con in sottofondo il fragore dei tuoni e il ticchettio della pioggia sul tetto della barca. Lo baciai più volte, era il mio ossigeno e quel dolce sapore un potente incantesimo. Continuammo a baciarci senza sosta per ore ed ore.... indietreggiai leggermente trovandomi alle spalle un divanetto, su cui mi guidò facendomi sdraiare dolcemente.
Nelle sue mani, ero preziosa quanto fragile. Senza smettere di baciarmi, mi si adagiò addosso e quella notte fu la testimone silenziosa di una felicità eterna.
Quando il temporale si dissipò, decidemmo di fare una cosa che mia madre avrebbe trovato irresponsabile e per cui le sarebbero venuti i capelli bianchi dal dispiacere. Non ebbi paura quando l'uomo affondò l'inchiostro indelebile nella pelle, perché lui mi teneva la mano e mi sorrideva. Un po' mi pizzicava e strinsi i denti per resistere. Quando finí, sollevammo i polsi e c'erano due simboli dell'infinito di zecca e perfettamente identici.
Infinito come lo eravamo noi due.
Eravamo felici, entusiasti, e intorno a noi regnava la perfezione assoluta.
Gli girai la mano e gli sfiorai con il dito il simbolo e lui portò le mani ai lati del mio volto. "È un miracolo... Non voglio più svegliarmi da questo sogno."
"Non è un sogno..." Accarezzai le sue braccia robuste. "Vivremo questa felicità con gli occhi aperti." Ci sorridemmo a vicenda come due ragazzini innamorati, che hanno appena vissuto l'esperienza più bella del mondo. "Ci vediamo allora..."
"D'accordo, ci vediamo." Mi salutò con il sorriso sulle labbra e quelle fossette adorabili che tanto amavo. Sbloccai la portiera e salii.
Era passata la mezzanotte quando riaccesi il cellulare. Decisi di telefonare a mio fratello, sicuramente la mia sparizione doveva averlo impensierito.
"Pronto?"
"Pronto... Fratellino, scusami. Ti ho messo in una posizione scomoda, ma ti prometto che ti racconterò tutto."
"Sono Louis, Amybeth."
Sospirai con gli occhi puntati sulla strada. "Ah, scusa Louis. Se Aymeric è con te, potresti passarmelo?"
"Aymeric è con me, ma in questo momento non può parlare." dichiarò dall'altro capo della cornetta costringendomi a fermare l'auto e portarmi il cellulare all'orecchio.
"Louis, cos'è successo a mio fratello? Ha avuto una nuova crisi?"
"Calmati... Dove sei?" La sua voce appariva affannosa, il che mi insospettí.
"Louis, te lo ripeto per l'ultima volta... Dimmi immediatamente cos'è successo ad Aymeric. Passamelo!"
"In questo momento, non può parlare. Non posso passartelo. Vieni alla casa in campagna." Insisté.
"Louis, voglio sentire la voce di Aymeric! Passagli il telefono! Presto!" Dall'altro lato ci fu un silenzio infernale, prima di poter sentire Aymeric romperlo urlando.
"Pronto!?" Sembrava sconvolto.
"Aymeric... stai bene?" chiesi pietrificata.
"Ho ucciso una donna, Amybeth!" strillò con la voce rotta dai singhiozzi e m'immobilizzai sul sedile.
"Cosa?" ripetei con un filo di voce.
"Sono un assassino!" Poi gli strapparono il cellulare dalle mani e la voce pacata di Louis si fece largo.
"Non preoccuparti, Amybeth. È tutto sotto controllo. Vieni subito qui, tuo fratello ha bisogno di te."
Le mani mi tremavano quando ripartii, con la testa in subbuglio, riuscivo solo a pensare che per una ragione a me sconosciuta si era consumato un omicidio.
"D'accordo... sono già per strada."
Prima di riattaccare e mantenere la lucidità a tenere le mani sul volante, le parole di Louis continuavano a ripetersi come un disco rotto:
"Io salverò tuo fratello...."
"Fratellino, vieni... Anche tu, sorellina." Li chiamai. Da quando avevo varcato la soglia, mi sentivo leggero come una piuma e a nessuno dei miei era sfuggito il mio strano atteggiamento.
Tutto sembrava funzionare nel verso giusto. Avevo ottenuto il lavoro a cui aspiravo, Amybeth sarebbe venuta con me e non vedevo l'ora di informare la mia famiglia di quella notizia.
"Ch'è successo? Hai vinto alla lotteria?"
I miei fratelli entrarono nel salotto, prendendo le sedie da sotto il tavolo.
"Voglio che mi ascoltate. Dovete ascoltare tutti."
Mio fratello sprofondò nella sedia e mia madre m'interruppe.
"È qualcosa di positivo, spero."
"Parla, avanti. Non ci tenere sulle spine." Mi incalzò papà agitando la mano. Arcuai un sopracciglio.
"Dai, cosa aspetti? Sto morendo di curiosità" disse Jacob gesticolando nervoso come una ragazzina in cerca di gossip.
Presi un bel respiro e guardai tutti i presenti prima di dichiarare con un sorriso. "Ho intenzione di chiedere la mano di una ragazza molto presto." I miei genitori andarono letteralmente in vibilio per quella notizia improvvisa. "Sì!" Esclamai sentendoli esultare e applaudire. Kyla mi si gettò fra le braccia come un koala e mia madre mi lasciò un bacio sulle guance.
"Mio figlio... Mio figlio si sposa!"
"Congratulazioni, fratellino! Non vedo l'ora di conoscere la fortunata..." esultò la piccola di casa, accerchiandomi le spalle mentre mi faceva l'occhiolino.
Per tutto il tragitto, non so cos'avrei trovato al mio arrivo.
Speravo che si trattasse di un incubo, una manipolazione. Mio fratello non poteva essersi macchiato di un simile crimine. Appena fermai l'auto dinanzi al cottage, scesi in fretta e corsi su quel sentiero in pietra. Volevo aprire quella maledetta porta e tranquillizzarmi sullo stato mentale di mio fratello. Bussai energicamente alla porta e ad aprirmi fu Louis. Lo sorpassai e cominciai a chiamare mio fratello.
"Aymeric! Aymeric!" Corsi trafelata nel corridoio, il cuore batteva a mille quando entrai in quella camera.
Mio fratello era sdraiato sul divano, raggomitolato su se stesso, mia madre era lì con lui. Avrei voluto avvicinarmi, ma il signor Divan m'intralciò la strada.
Guardai con la coda dell'occhio alle sue spalle Aymeric... e poi il signor Divan che con fare paterno mi prendeva il viso fra le sue mani.
"Non preoccuparti di niente, figliola. Risolveremo la questione in famiglia. Risolveremo ogni cosa, non temere." La tensione tra i presenti si tagliava con un coltello.
Mio fratello continuava a muoversi convulsamente e mia madre tentava di rincuorarlo con leggeri carezze. Poi il mio sguardo si spostò verso Louis Hynes... rimasto dietro alle mie spalle, con le maniche arrotolate fino ai gomiti e i capelli appiccicati alla fronte per il sudore.
Lo guardai attentamente, prima di distogliere gli occhi e oltrepassare la figura di Divan per accovacciarmi accanto a mio fratello.
Gli passai più volte le mani nei capelli mentre le lacrime gli scorrevano copiosamente sul volto stravolto.
"Aymeric, sono qui, al tuo fianco piccolino mio. Andrà tutto bene, risolveremo questo problema, ok? Non aver paura." dissi con dolcezza prima di stampargli un bacio sulla tempia.
"Aiutami... Amybeth." sibilò. "Aiutami, aiutami... Per favore...." farfugliò singhiozzando mentre gli baciavo la testa, cercando di trasmettergli il mio calore.
Alzai la testa e in quel momento seppi che la fine era appena iniziata.
Quella mattina di buona lena, mi ero fatto accompagnare da Dalmar e, alla fine, avevo scelto un anello semplice con una pietruzza verde.
Ero deciso a fare quel passo, era stato qualcosa di spontaneo e improvviso, come i fulmini della notte scorsa. Avrei consegnato la mia vita nelle sue mani.
Feci incidere l'anello con i nostri nomi, doveva essere speciale. Dopo andai personalmente ad acquistare qualcosa per la colazione, l'avrei preparata sulla nostra barca, il tutto abbellito da un profumato mazzo di girasoli che avevo posizionato al centro della tavola.
La vidi arrivare, splendida come al solito, e mi apprestai a versare il caffè nelle tazzine facendo gli ultimi aggiusti prima di apprestarmi ad accoglierla.
"Com'è possibile che il più bel girasole l'ho conquistato io?" scherzai un po', porgendole una mano per aiutarla a salire. "Venga principessa." Si sistemò i capelli dietro le orecchie. "Siediti, dai."
"Lucas, io ti..." tentò di dire, ma le appoggiai l'indice sulla bocca per interromperla.
"Amybeth, lascia parlare prima me questa mattina. E dopo potrai dire tutto quello che vorrai, d'accordo? Su, siediti. Altrimenti i cornetti si raffreddano." Dopo molti tentannamenti si lasciò scivolare sulla panca e io la seguii. "Non è certo il banchetto di una corte reale ma..." L'osservò e parve accennare un leggero sorriso. Mi sfregai le mani e la richiamai. Ero in ansia, per tutto il tempo avevo ripetuto quel discorso temendo stupidamente di dimenticarlo. "Amybeth." Riportò il suo sguardo su di me e le strinsi la mano, baciandole le nocche. Poi presi un respiro. "Tu sai quanto ti amo, giusto?" Quell'affermazione le fece sollevare gli occhi di scatto mentre una lacrima le scivolava sulla guancia. "Se provassi a spiegartelo ora... probabilmente non troverei le parole giuste, farei solo la figura del cretino. Ricordi quello che mi hai detto ieri? '𝙉𝙤𝙣 𝙥𝙤𝙨𝙨𝙤 𝙫𝙞𝙫𝙚𝙧𝙚 𝙨𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙙𝙞 𝙩𝙚'." Si limitò a stare zitta. "Neanche io posso stare senza di te. Non ho mai avuto paura di nulla, ma ora sento ch'è diverso... ho una paura tremenda di perderti che potrei diventare pazzo. So che non ho niente da offrirti... lo sai questo. Ma posso darti un'unica cosa, la più importante..." Feci una pausa per contemplare il suo volto. "La mia vita... e una colazione così ad ogni nostro risveglio. Cosa ne dici?" Chiesi sorridendole ampiamente prima di prendere quel cofanetto e aprirlo davanti ai suoi occhi pieni di lacrime. "Mi vuoi sposare?" Cominciò a singhiozzare portandosi la mano contro la bocca per soffocarli. "Dimmi di sì e qui farò la colazione più bella di tutta la mia vita con te. Sarà l'inizio di qualcosa di meraviglioso. Ti prometto che sarà così. Ogni singolo giorno." Sgranò gli occhi ancora di più. "Rendimi felice e diventa mia moglie. Vuoi sposarmi? Mmh?" Ripetei. Non c'era più quella scintilla, in realtà vi regnava semplicemente il vuoto. Spenti. Vacui. Non era riuscito a far breccia nel suo cuore? Eppure mi ero impegnato!
Scosse la testa e sussurrò.
"No..." Un tuono rimbombò nel posto, del sole ormai era sparita ogni traccia. Si era nascosto dietro quelle nubi e in un batter d'occhio aveva cancellato la calma. Il suo rifiuto fu come essere infilzato da spille, come in quei riti Vodoo. "Non posso sposarti, Lucas." Aggiunse con voce rotta dai singhiozzi. "Per favore, perdonami." Abbassai lentamente gli occhi. Ogni sua parola incrementava il mio dolore. "Quando ti ho lasciato, dicendoti che sarei venuta con te, ci ho riflettuto... e non posso farlo. Ci sono cose che non posso lasciarmi alle spalle... per fuggire con te!" ringhiò stringendo i denti mentre non riuscivo a mandare giù quel groppo in gola. "Non posso venire con te. Non posso vivere quella vita al tuo fianco..." In fondo, lo sapevo, ne ero cosciente che non poteva continuare. "Avevi ragione. Non siamo compatibili. Siamo diversi... Non posso fare parte del tuo mondo." Nelle sue pietre azzurre dilagava la sofferenza. "Dimenticami, Lucas." Poi se ne andò, lasciandomi seduto a quel tavolo e camminò incurante della pioggia, mentre il mio sguardo ferito la seguiva. Faceva terribilmente male...
Delle lacrime mi scivolarono lungo la mandibola e per lo sdegno sbattei il pugno sul tavolo facendolo tremare.
La barca dondolava su e giù sull'acqua e mi rimisi in piedi per il bisogno di respirare e liberare il cervello. Rimasi fermo sotto quell'acquazzone.
Rivoli d'acqua mi scorrevano sul viso e mi girai quasi di scatto in quella direzione, ma lei era già sparita, non c'era più. I ricci mi si attaccavano alla fronte, mi feci coraggio e camminai arraccando ad ogni passo.
Mi tornarono in mente le sue parole, mi investirono in pieno. "Non siamo compatibili... Siamo diversi. Non posso far parte del tuo mondo. Dimenticami, Lucas..." Ero così perso che non m'importò dei tuoni che continuavano a turbare il cielo. Camminai ancora come un condannato per le strade immerso in mille pensieri, quando delle urla spropositate mi distolsero.
Provenivano dal nostro negozio?
Corsi trafelato verso il negozio e udii mio padre alzare la voce. "Signora, lei si sta sbagliando. Jacob non ha molestato sua figlia. Inoltre le ripeto ch'è stato tutto il giorno qui! Quindi stia attenta a come parla!"
"Papà, calmati... Signora, si tratta certamente di un malinteso."
"Non mi state ascoltando!" Sbraitò la donna in risposta. "Non è Jacob il colpevole. Il suo nome è... ehm..."
"Lucas!" urlai a pieni polmoni e la donna si girò. Mi feci avanti.
"Proprio così, Lucas."
Mi piazzai di fronte a lei, alle spalle degli altri due sconvolti dall'arroganza della donna. "Può parlare direttamente con me, signora Giselle. Non c'è bisogno di accusare la mia famiglia!" dissi con tono sprezzante.
Ma lei m'ignorò e si rivolse a mio padre. "D'ora in poi... Suo figlio Lucas dovrà stare lontano da mia figlia! Non deve mischiarsi con certa gentaglia! Perché mia figlia si sposerà molto presto con Louis Hynes!" Quel nome mi era terribilmente famigliare. "Non osare importunarla!" Mi guardò di nuovo arcigna. "Sparisci una volta per tutte dalla sua vita! Sono stata chiara?"
"Abbiamo capito perfettamente, signora Giselle!" risposi seccato. "Io e sua figlia non abbiamo più nulla da spartire... Ci lasci in pace!" La mia cassa toracica balzò su e giù e la donna m'indirizzò un mezzo sorriso, prima di girare i tacchi e liberarci della sua presenza. A quel punto, la guardai ancora.
"Papà!" All'improvviso mio fratello urlò terrorizzato. "Lucas!" Quando mi voltai, vidi nostro padre accasciarsi al suolo con la mano posata sul petto.
"Papà!" Tutte le persone di prima si ammassarono intorno a lui e fui costretto a sgomitare per passare. Gli presi il braccio e m'inginocchiai guardando i suoi occhi rivolti su. "Papà!" Ma non ottenni risposta. "Ambulanza! Serve un'ambulanza! Ambu..." Gli accarezzai il volto. "Papà, reagisci. Guardami! Papà, stai bene?"
Quell'auto si stava allontanando e la rabbia mi inondò i sensi mentre Jacob gridava ancora agli altri di chiamare i soccorsi. Per la prima volta, quel timido ragazzino stava sperimentando il sapore dolce della vendetta.
Un giorno... non troppo lontano... me l'avrebbe pagata!
𝗔𝗠𝗘𝗥𝗜𝗖𝗔,
𝟱 𝗔𝗡𝗡𝗜 𝗗𝗢𝗣𝗢
2019
Polvere, terra, oscurità... stretti passaggi era questa la mia nuova realtà.
L'avevo scelta... Ormai Dublino era solo una città fantasma nella mia testa. Non esisteva più un solo brandello.
Uno stuolo di uomini dalla faccia sudicia si stava dirigendo al montacarichi che cigolava a causa del peso. Tra quelli c'ero io. Il mio viso non era più lo stesso di tanti anni prima, neppure lo sguardo impassibile. Avevo archiviato quelle sensazioni. Mi preparai a scendere in un pozzo lungo e profondo.
La luce delle torce elettriche dei caschetti illuminava la galleria. Mentre camminavamo per il giro d'ispezione e la cartella stretta sotto il braccio. Due operai alle prese con un carrello mi salutarono con un cenno della testa e gli poggiai la mano sulla spalla.
"Le ho portato qualcosa, Ingegnere." Mi chiamò un giovane ragazzo.
"Cosa, Patrick?"
"Li ha fatti mia moglie... sono fagioli." Spiegò tirando fuori un barattolo.
"Beh, allora li assaggeremo nella pausa e vedremo se sono buoni." disse il signor Dawson in testa alla squadra.
Gli rivolsi un sorriso e fissai ancora il ragazzo.
"La prossima volta li porto anche a lei." L'anziano lo ringraziò e proseguí col resto del gruppo, mentre mi avvicinai al ragazzo e presi il barattolo.
"Ringrazia tua moglie da parte mia, Patrick."
"Sarà fatto, Ingegnere."
Seguii il signor Dawson in un altro tunnel e l'aria era rarefatta.
"Ottimo lavoro, Lucas."
"Per cosa, signore?"
L'uomo sospirò. "Abbiamo avuto molti ingegneri qui, ma nessuno è stato tanto amato quanto te. Una volta, a causa di un ingegnere..." Si fermò di colpo interrompendosi.
"Come si chiamava?"
"Ehm... Martyn, signore." rispose un altro alle mie spalle.
"Sì... è vero. A causa di quel Martyn, tutta la squadra voleva dimettersi. Siamo riusciti a tranquillizzarli quando l'abbiamo licenziato."
"Se non volevano quel tipo, avranno avuto un motivo valido. Da che mi ricordi... non li ho mai visti battere la fiacca, né si sono tirati indietro per scendere quaggiù. Non possiamo sottovalutare la loro esperienza." Cedetti il passo all'uomo con una mano, augurando ancora buon lavoro e procedemmo a scendere delle strette scalinate.
A quel punto, il signor Dawson, continuò ammiccante. "Allora per chi sono quei fagioli, giovanotto?"
Quella domanda mi lasciò l'amaro in bocca e inevitabilmente lei si fece largo nei miei pensieri. Prepotentemente.
Era passato così tanto tempo che credevo cancellato ogni cosa. E invece quando tornava a farmi compagnia.
"Non ho tempo per quello."
"Non aspettare troppo o te ne pentirai, ragazzo. La vita passerà... e ti ritroverai da solo." disse il signor Dawson e poi domandò. "Non c'è qualcuna che ami?"
Qualsiasi cosa ci fosse stato... non esisteva più. Quel fuoco di passione era stato spento, prima che mi divorasse centimetro per centimetro la pelle.
"No... No, signore." Ovviamente sviai il discorso e lui si bloccò. "Abbiamo interrotto i lavori in questo punto."
"Perché?"
"Abbiamo trovato della roccia sulla vena mentre risalivamo il tunnel. Abbiamo utilizzato della dinamite per liberare il passaggio e stiamo anche controllando eventuali fughe di gas."
"Fatelo, allora."
Diedi un'occhiata alla mia cartellina e lui si accostò. "Se guarda in questa sezione-" Poi all'improvviso, dal fondo della caverna, ci giunse un grido.
"C'è una perdita di gas! C'è una perdita signore!" Molte voci si accavallarono, erano nel panico assoluto e mi bloccai, mentre un operaio correva verso di noi. "C'è una perdita di gas!"
"Signore, presto, indossi subito la mascherina!" ordinai mantenendo il sangue freddo. Poi urlai a squarciagola, in modo che tutti gli uomini sentissero. "Indossate tutti le mascherine!" Mentre tiravo fuori la mia, un'esplosione potente sopraggiunse e fece vibrare le pareti. Me la misi al collo prontamente mentre tutto intorno si stava sbriciolando... stava tutto cadendo a pezzi e sollevò una nube asfissiante. Mentre stavo prendendo la rincorsa per mettermi al riparo, una trave pesante mi piombò addosso e tutto venne avvolto dal buio. Mi rialzai a fatica tossendo. Cercai di liberarmi i piedi rimasti bloccati e mi alzai barcollante. Durante il tragitto m'imbattei in un operaio di colore steso a terra che non si muoveva, tramortito, e lo presi per il braccio buttandolo sulla mia schiena a mo' di sacco. Proseguii con coraggio e quando arrivai di fronte a un cancello, sganciai il lucchetto e le catene e lo spalancai con un calcio. Poi mi tolsi per un attimo la mascherina e gridai. "Nella parte ovest c'è un'uscita!" Mi rimisi la mascherina e procedetti rasente alle pareti. A un certo punto, con la luce della torcia riuscii ad individuare una mano insanguinata.
"Signor Dawson!" Corsi a perdifiato e mi arrampicai agilmente sulle macerie e una volta raggiunto cercai di farlo svegliare come potevo. "Non può essere! Signor Dawson!" farfugliai muovedogli la testa.
L'uomo per fortuna reagì e si tirò su, anche se debole, e gli feci respirare l'ossigeno aiutandolo ad alzarsi.
Con lui in braccio, continuai a camminare nella melma anche se la gamba mi dava qualche problema. Non potevo mollare ora! Dovevo salire su! Dovevo salvare entrambi, maledizione!
Una volta giunto dinanzi a quell'unica via d'uscita, lo feci scendere dalle mie spalle e stremato mi sedetti per terra. Vidi altre luci raggiungerci e gli feci segno con il braccio di soccorrere il signor Dawson. Uno dei soccorsi mi fece segno con il pollice, come a dirmi "va tutto bene?" E a quel punto ricambiai il gesto.
Quando l'oscurità venne lacerata dalla luce del mattino, mi resi conto di aver appena scampato la morte.
L'ascensore ci riportò su e appena le porte si spalancarono dinanzi ai nostri volti macchiati, accompagnai il signor Dawson zoppicando un po'.
Eravamo increduli di essere vivi e l'uomo aveva gli occhi totalmente sgranati mentre si stringeva al mio braccio per sostenersi. Uno dei soccorsi me lo strappò dalle braccia per controllare le sue condizioni.
Appena gettai un'occhiata in basso notai uno stuolo di persone che mi acclamavano a gran voce. Continuai a tossire e alzai gli occhi al cielo.
"Dio, ti ringrazio... Grazie." sussurrai trascinandomi appoggiato al corrimano. Sul posto era giunta anche una troupe televisiva e una donna dichiarò. "Potete vedere alle mie spalle il resto dei minatori che si sono salvati. E adesso grazie al nostro operatore che l'ha inquadrato vediamo anche l'Ingegnere Lucas Zumann fra coloro che si sono salvati all'ultimo minuto. La squadra di soccorso li ha raggiunti, ma sembrano tutti in buone condizioni... Ora sto cercando di avvicinarmi per saperne di più." Ancora frastornato scesi le scale mentre qualcuno mi chiedeva con insistenza. "Sta bene?"
"Sto bene..." ripetei trovandomi presto dinanzi a una folla di gente e con il microfono puntato alla bocca.
"Mi dispiace, signor Lucas... Ha vissuto un'esperienza orribile! Hanno detto che non ci sono state vittime e questo ha dell'incredibile!" dichiarò la giornalista mentre cercavo di camminare. "Pensa che altri minatori nel nostro paese potrebbero uscire indenni da un simile disastro come questo?"
"Sì, potrebbero."
"Ma come? Ha compiuto un vero miracolo, lo sa?"
Mi avvicinò di nuovo il microfono.
"Non abbiamo bisogno di miracoli sottoterra... così come in superficie. Ci sono altre cose necessarie: precauzioni e controlli più approfonditi."
"Può dirci com'è successo?" riprese la donna, non mollando la presa.
"Mi scusi... ma preferirei chiamare la mia famiglia. Saranno preoccupati per me." dichiarai riuscendo poi a smarcarmi e allontanarmi per fare una semplice telefonata senza essere più importunato.
Appena mia sorella rispose mi tempestò di domande in preda all'ansia.
"Fratellino! Fratellino! Ci siamo spaventati molto quando abbiamo visto il servizio... Tu stai bene, vero?"
"Sto bene, sorellina... Tranquilla."
"Ah, devo dirti proprio che sei venuto bene in televisione! Sei fotogenico... potresti fare anche l'attore... ah, però sono anche un po' offesa perché sei diventato una celebrità prima di me!"
Mia madre, sentendo queste stupidaggini, le strappò il telefono dalle mani e la rimproverò.
Poi mi chiese con fare dolce. "Tesoro, stai bene? Quell'amuleto ti ha protetto... Hai visto?"
"Mamma... non eri preoccupata per me? Avevo tutto sotto controllo."
"Ma che cosa dici? Certo che lo ero! Tutte le volte, quando scendevi in quel posto infernale! Perché sapevo che poteva accadere un disastro!" Sbraitò lei mentre rallentavo il passo. "Ti prego... Lucas, torna a casa. Non ce la faccio più. Voglio abbracciarti... Ah, anche Mary ti saluta."
"Mamma..." mi passai la mano fra i capelli. "Ti prometto che ci farò un pensiero... Ma puoi farmi un favore?"
"Dimmi tutto, caro."
Eccomi qui... lo sapevo, vi avevo avvisato che questo capitolo avrebbe segnato una nuova "era". Ora inizierà il vero libro, avremo un Lucas differente da quello che avete conosciuto... Lui infatti si è sentito tradito, ha sofferto e si è allontanato dalla città...
Ma avrà davvero dimenticato Amybeth? L'avrà estirpata dal suo cuore ora ch'è diventato Ingegnere?
Beh... per scoprirlo, appuntamento ad ogni domenica - più o meno allo stesso orario...
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