𝘊𝘈𝘗𝘐𝘛𝘖𝘓𝘖 3: "C'è sempre una ragione per tutto."
ᏗᎷᎧᏒᏋ ᎥᏁᎦᎥᏁᎥᏖᎧ
"Endless love"
" Una coincidenza che si ripete
non è più un illusione,
ma un segnale.
Una strada ben tracciata
che vuole farsi vedere...
da te. "
(Fabrizio Caramagna.)
∞❤️∞
L'abitazione che si ergeva di fronte era maestosa, costruita su una roccia altissima e affacciava direttamente sulla baia di Dublino.
La scalinata esterna fatta in pietra conduceva fino a una splendida terrazza, curata in ogni minimo dettaglio. Le pareti bianche e gli infissi blu, ricordavano le case sulle isole greche e i fiori emanavano un profumo gradevole rendendo il luogo accogliente. La vista ti mozzava il respiro, il mare era perfettamente visibile e si perdeva a chilometri di distanza. Qui a Dublino avevamo una gran varietà di spiagge, ma la mia preferita per fuggire da ogni realtà è Portmarnock. Non è famosa quanto Dollymount Strand e Sandymount, ma è in testa alle mie preferenze.
"È realmente meravigliosa."
Anche quel posto poteva diventare il mio angolo di Paradiso.
Al centro della terrazza era stata allestita un'adorabile zona relax, composta da un tavolino e divanetti in vimini, e ad aspettarci trovai quella straordinaria donna che faceva luccicare tanto gli occhi di Lucas.
Era legatissimo a lei.
"Benvenuti, cari!" esclamò gioiosa venendoci incontro per presentarsi.
"Salve... Lucas mi ha parlato così tanto di lei. Ha scatenato un po' la mia curiosità e sono venuta a controllare se fosse reale o soltanto una leggenda!" dissi senza avere l'intenzione di offenderla.
Lei mi sorrise con una perfetta fila di denti bianchissimi. Era a dir poco bellissima. Qualche centimetro più alta di me e aveva una corporatura esile.
La sua bellezza era folgorante, con i suoi occhi scuri e molto truccati rendevano il suo sguardo più profondo. I capelli, neri come carbone, le sfioravano appena le spalle e la pelle bronzea le donava un'aria esotica, incantevole. Come quella di una principessa.
Lucas, da gentlemen, fece le presentazioni. Anche lui era estremamente entusiasta per quell'incontro, che sembrava voluto dal destino, come lo era stato anche il nostro nelle fredde acque del porto.
"Mary. Amybeth." Spostò la mano dall'una all'altra.
"Sono lieta di conoscerti, cara." disse mentre mi stringeva la mano.
"Oh, il piacere è tutto mio!"
Era un vero onore poter incontrare la persona che conosceva Lucas da più tempo.
"Ti stavo aspettando... Prego, accomodati." continuò indicando con il braccio il tavolino alle spalle.
"Vieni." Mi esortò e mi spostai velocemente delle ciocche dal volto.
Lucas mi fece lentamente strada cingendomi la schiena con la mano.
Era spensierato e felice, come me. Niente avrebbe potuto rovinare quell'atmosfera così tranquilla.
Dopo esserci accomodati, ci versò del tè in delle piccole tazzine di porcellana e iniziò a parlare con un pizzico di nostalgia, di quei tempi ormai lontanissimi: "Era il giorno della festa della mamma, quando incontrai questo bel bambino..." Si lasciò andare a qualche risata spensierata, poi chiese a Lucas. "Tua madre era incinta di Kyla, giusto? Se la memoria non m'inganna."
"Beh, sì."
"Sua madre voleva delle prugne. E lui voleva farle una sorpresa." Mi girai verso di lui sorridendogli. Aveva questa capacità preziosa di migliorare l'umore delle persone, un tratto che difficilmente avevo riscontrato in nessun altro ragazzo. "E così Lucas è diventato il mio primo amico in questo quartiere. Non mi sono mai sentita fuori posto o non accettata qui."
"Che dolce."
"È molto dolce e da piccolo era un vero ometto. Aveva raccolto alcuni fiori per strada e me li ha dati, in questo modo..." raccontò imitandolo in quel gesto. "In un certo senso, ha celebrato anche la mia festa della mamma. Non solo ha spalancato la porta della mia casa ma anche quella del mio cuore e mi ha fatto conoscere meglio il vicinato."
"Diciamo che si sono abituati a te." aggiunse lui, sfoggiando un ampio sorriso, ma anche un pizzico d'imbarazzo per tutte quelle lodi.
Il suo sguardo poi si concentrò su di me, studiava ogni mio gesto e scrutava attentamente la mia espressione di pura felicità. Mi sentivo veramente a casa in quel posto, che in tanti altri dove avrei potuto arrivare.
"Amybeth... Mi sembra di conoscerti già." Dichiarò, stupendo entrambi. Sorrisi al riccio. Dovevo averle dato una buona impressione. "Qual è il tuo cognome, cara?"
"McNulty. Amybeth McNulty." Scandii.
Improvvisamente il sorriso le morí sulle labbra e restò per un po' sulle sue. Il vento cominciò a sferzare nei suoi lunghi capelli e percepii una strana tensione che l'aveva di colpo zittita.
Forse avevo detto qualche parola che non andava?
Lucas le lanciò un'occhiata per strapparla dai suoi intimi pensieri.
Roteò gli occhi e riprese. "Sono così felice di aver finalmente incontrato qualcuno che non sia... Dalmar."
Fu il mio turno di rispondere.
"Anche io sono felice di averla conosciuta. In realtà, è stato un onore aver incontrato una persona tanto speciale come lei."
Girai lo sguardo verso di lui e sorrisi riconoscente, quello sarebbe potuto essere l'ennesimo regalo da parte sua.
"Dopo la chiamata, le ho raccontato come ci siamo incontrati." Intervenne Lucas.
Ridacchiai, allargando le braccia.
"È stata un'enorme coicidenza!"
Mary scosse la testa e la sua espressione tornò seria mentre ci guardava con il sorriso sulle labbra.
"Non esistono le coincidenze nella vita. C'è sempre una ragione per tutto." Poi lasciò cadere quel discorso nel vuoto, che risultava troppo incomprensibile, e proseguí. "Ho preparato una torta. È in frigo. Vado a prenderla."
"Adoro le torte!"
Si alzò e sparì un attimo dentro, lasciandoci soli in quel giardino.
Mi piaceva molto la sua ospitalità e l'incredibile dolcezza che mi aveva riservato, nonostante fosse la primissima volta.
Mi sentivo rilassata e totalmente a mio agio. Non potevo chiedere compagnia migliore per quel pomeriggio.
Lucas aveva un'espressione entusiasta e un sorriso contagioso.
"È proprio come ti ho detto, vero?" bisbigliò per non farsi sentire.
Rilassai le spalle e sospirai.
"È incredibile. È proprio un angelo."
"È come un libro aperto. Non ha segreti per me." continuò controllando se stesse tornando.
"Come un dipinto." aggiunsi lasciandomi cullare nella mia fantasia d'artista. "Inestimabile. Perfetta..."
"Mh... Forse un giorno poserà per te."
Alzai gli occhi al cielo. "Mi piacerebbe tantissimo. Sarebbe un soggetto stupendo, degno di essere esposto ad una mostra d'arte."
Restammo lí come se il tempo si fosse cristallizzato, a guardarci, ridere, scherzare senza alcun freno.
Succedeva in maniera spontanea, non c'era nessuna forzatura nelle parole o nei gesti.
Con lui stavo benissimo, ero al settimo cielo e la giornata migliorava di minuto in minuto.
"Meglio che l'aiuto." disse rimettendosi in piedi.
"Vengo con te." Feci l'atto di alzarmi dalla poltrona, ma lui tese le braccia in avanti per impedirmelo.
"No. Tu sei l'ospite."
E si allontanò per raggiungere Mary in cucina e controllare che fosse tutto a posto. Ormai da sola, mi persi in qualche pensiero riflettendo ardentemente su quella frase pronunciata prima e sul fatto che senza l'intervento di Lucas probabilmente a quest'ora non sarei stata qui.
Non volevo nemmeno pensare all'eventualità, ma se non mi avesse tirato fuori dall'acqua gelida per tempo non avrei avuto scampo. Sarebbe stato il mio ultimo e triste... compleanno.
Il suono del cellulare mi fece rinsavire e lessi il messaggio con molto fastidio. Era mio fratello Aymeric, un rompiscatole di professione.
"Dove diamine sei finita? Perché non rispondi? Non sei nemmeno all'Università, immagino."
Ero libera di andare dove desiderassi, non per forza dovevo dargli spiegazioni per filo e per segno, perché sicuramente si sarebbe fiondato da Louis a spiattellargli tutto.
Erano molto amici e quell'uomo sapeva cavargli di bocca le informazioni, approfittando dei suoi punti deboli. Feci un altro sospiro e riposi il cellulare al posto di prima.
"Buon compleanno!"
Mi voltai di scatto e li vidi scendere lo scalino con una torta fra le mani.
"Tanti auguri Amybeth!" canticchiò il riccio mentre per la sorpresa mi coprii la bocca con entrambe le mani.
Quel piccolo gesto mi scaldò il cuore, non ero abituata e non sapevo davvero come ringraziarli senza scoppiare a piangere. La torta era squisita, Mary era cuoca eccezionale e dopo aver scambiato qualche altra piacevole chiacchierata e aneddoto del passato, arrivò il momento di ritornare nella mia prigione dorata.
Sarei voluta rimanere un altro po', ma il sole stava calando e mia madre non mi avrebbe perdonato un'altra scaramuccia dopo la nottata scorsa.
"Grazie per essere venuti. Torna più spesso a trovarmi."
L'abbracciai forte. "Sono io che devo ringraziarti. È stato un giorno memorabile."
"Oh, dev'essere il mio cellulare... Sta squillando, suppongo." Cominciò ad indietreggiare verso il portone. "Ci vediamo... Torna a trovarmi, tesoro."
"D'accordo. A presto."
Guardai nella direzione della scala e poi mi ritrovai a fissare a pochissimi centimetri quegli occhi verde foresta. Eravamo l'uno di fronte all'altra, bastava veramente poco per sprofondare nelle sue braccia.
"Ci rivedremo, vero?" domandò con un filo di voce.
"Ci rivedremo." dissi sicura, sollevandomi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia e veder comparire di nuovo quel sorriso luminoso.
Salii in macchina, e mentre allacciavo la cintura di sicurezza con una goffaggine che non mi apparteneva, si calò verso il finestrino del passeggero e tracciò, divertito, il simbolo dell'infinito. Esattamente come avevo fatto anch'io sul palmo della sua grande mano. Come una promessa eterna.
Non era frutto dell'immaginazione, lui si stava innamorando di me.
Nonostante la sua timidezza proverbiale, i suoi sorrisi erano una chiara risposta. I suoi occhi meravigliosi e particolari si illuminavano di una luce intensa. E io ammisi, nel tragitto, che lo amavo.
La freccia di Cupido mi aveva colpito, lui rappresentava la felicità, aveva colonizzato le mie notti, i miei sogni e i miei risvegli. Non avevo mai provato una simile sensazione. Un'emozione strana mi annodava lo stomaco e tutte le volte mi trasferivo su altre dimensioni senza far caso a chi mi circondava. Mi tremava tutto il corpo, le mani e il cuore tamburellava.
Proprio come una ragazzina alle prese con il primo amore. Perché era quello il termine che mi si addiceva adesso.
Dopo aver tollerato a stento la cena e digerito le domande di mio fratello e mia madre, mi diressi in camera e il mio pensiero ricorrente era lui.
Così decisi di scrivergli un messaggio, sperando che non fosse occupato.
Quella sera, avrei dovuto occuparmi di un'altra barca giù al molo, e il mio amico a cui avevo confidato l'incontro con Amybeth, sembrava turbato mentre passava la carta ruvida.
"Spero solo che non ti deluda. Spero che tu non debba pentirtene... e ritrovarti devastato fra qualche giorno." affermò guardandomi appena con la coda dell'occhio e l'aria di chi già sapeva che non poteva finire bene.
"Come se mi avessi mai visto distrutto!"
"Esattamente, ecco perché ho paura. Non hai ancora esperienza per certe situazioni. Soffrire per amore è una cosa orribile." Il suo pessimismo mi fece innervosire.
"Dimmi... Parla. Che cosa vuoi dire con ciò? Che non potrebbe funzionare? Che non esiste nessuna possibilità?"
Mi guardò per qualche secondo.
"Beh... come si dice: 'chi si somiglia si piglia'. E chiaramente voi due non parlate la stessa lingua."
Distolsi il volto rabbuiandomi e farfugliai. "Non c'è nulla fra noi. Sono io quello che ci spera."
"Lei non dice nulla?"
"Solo che le ho salvato la vita. Insomma... è gentile e cerca di essere riconoscente." Si sedette sul tavolino e mi ascoltò con attenzione, mentre la barca dondolava su e giù seguendo il movimento delle onde. "Ma a volte una persona vorrebbe che accadesse un miracolo! Insomma... Potrebbe succedere."
"Non saprei. Forse accadrà." Scossi il capo abbassando il mento. "Però sii prudente." Appoggiò una mano sulla mia spalla e lo guardai di sottecchi. "Se tu stai male, sto male anch'io. Non perdere la testa troppo in fretta. Non devi morire per amore."
All'improvviso il cellulare squillò e feci scorrere la tastiera, accendendo lo schermo. Si trattava di un messaggio.
"Domani ti porterò alla mia mostra. Preparati."
"Ciò ch'è destinato ad accadere... accadrà." risposi nascondendo un mezzo sorrisetto.
❛...❜
"Così va bene?"
"Sì. Fermo così... Non. muoverti." Sentenziò facendomi mettere in posa dinanzi al mio ritratto, con le braccia strette attorno al petto. "È venuta così bene!" dichiarò raggiante.
Dopo quella parentesi, ripresi ad esaminare con estrema attenzione le sue creazioni, fino a soffermarmi su uno. L'uomo dalla folta barba seduto vicino al finestrino, dalla parte opposta.
"In realtà queste persone non sono così felici." Rammentai l'espressione di quell'uomo - triste, corrosa dai rimorsi e divorato dall'infelicità - che aveva tramutato in serena. Aveva quel dono straordinario di cancellare gli aspetti negativi e di mantenere intatto l'unicità, attraverso i suoi disegni.
"Dato che non posso intervenire nella loro realtà." finse di passarci sopra una gomma. "Elimino il dolore dai loro ritratti. Che posso farci? Non sopporto che stiano male. Mi rattrista."
Restai per qualche istante immerso nei suoi occhi, che mi parlavano come un libro aperto. Poi la suoneria del cellulare spazzò via quel magico scambio di sguardi.
Guardò lo schermo e staccò immediatamente la chiamata. Poi tornò a farmi da guida turistica.
"Guarda, questo è un pescatore. Non è bello?" spiegò indicandomi un altro disegno.
"Veramente... bellissimo." risposi folgorato dalla sua bravura e cura nel tratteggiare i dettagli dei soggetti.
Non fece in tempo a proseguire che il telefono riprese a squillare.
Fissai di sottecchi il nome che continuava a lampeggiare, a quanto pare era qualcuno di insistente.
Amybeth a quel punto rifiutò e alla fine spense direttamente il cellulare per risultare irraggiungibile.
Quel gesto mi insospettí abbastanza, ma decisi di non farle domande per non metterla a disagio.
"Mi chiedevo... se ti va di uscire. Andare da qualche altra parte, no?"
"Stai bene? C'è qualcuno che ti importuna?" La mia espressione mutò di scatto e divenne seria e preoccupata.
Lei alzò immediatamente gli occhi su di me, intrisi di confusione.
"Sto bene. Vogliamo uscire di qui?"
"Ok." Acconsentii e ci dirigemmo verso le scale mobili.
Spesso gettava occhiate rapide alle sue spalle, come se avesse il timore che qualcuno la stesse seguendo, e a quel punto non riuscii più a trattenermi dal chiederglielo.
"Amybeth... hai un ragazzo?"
"No. Cioè... c'è qualcuno che non mi dà pace, sì, ma non è il mio ragazzo. È una cosa che posso gestire. Non preoccuparti."
"No, non mi preoccupo."
Si lasciò sfuggire una risata per porre fine alla tensione.
"Certo, lo chiedi perché vuoi essere ancora il mio eroe."
"No, non è nemmeno questo. Comunque, lascia stare."
Feci cadere quel discorso nel vuoto, dato che non sembrava incline a volerlo affrontare in quel momento e varcammo la porta d'uscita.
"Quindi? Che facciamo ora?" chiese per scoprire dove fossimo diretti stavolta.
Mi fermai a pochi passi alzando leggermente le spalle e, con il pollice in su, le indicai la direzione.
"Io vado all'Università. Ho una lezione fra poco." Dissi stizzito, sperando che le mie pessime doti come attore non mi tradissero. Non fece una piega né mi pregò di rimanere.
"Va bene. Ci vediamo, allora."
"Ci vediamo." risposi con le mani affondate nelle tasche e mi fece un ultimo cenno con la mano prima di allontanarsi dalla parte opposta.
Quella sera, la cena era quasi pronta, ma nessuno aveva appetito e si respirava un'aria carica di ansia e preoccupazioni.
Louis, quel giorno, avrebbe dovuto firmare l'accordo con mio padre per il trasferimento delle azioni, ma per un motivo a noi del tutto sconosciuto, si era tirato indietro. Aveva deciso di prendersi del tempo e spremere ogni stilla d'energia dai nostri corpi.
Si vociferava che avesse messo a soqquadro l'ufficio, buttato a terra un paio di poltrone e sulla scrivania erano state trovate tracce di sangue.
Mio padre era un fascio di nervi.
Con la testa poggiata contro lo stipite della porta sospirava con amarezza e guardava la luna tuffarsi nell'acqua della piscina e mia madre seduta sul divano con i gomiti sulle ginocchia e le mani sulla faccia rincarò la dose.
"Stavate per concludere l'affare. Davvero non capisco questo viaggio a Londra da dove salti fuori... Hanno anche accettato le nostre condizioni." Io e Aymeric ci limitavano ad ascoltare i loro discorsi senza aprire bocca, ma letteralmente morivo dalla voglia di intromettermi. Si avvicinò a mio padre e gli porse una tazza di caffé con gentilezza. "Hai accettato anche tu, vero? Oppure c'è qualcosa che mi nascondi."
"Non c'è nulla che tu non sappia, Giselle. È come hai detto tu. Te l'ho già detto, è un ragazzo arrogante e viziato."
Mi alzai dal divano, traendo un sospiro profondo per tutte quelle parole di disprezzo che gli avrei voluto sputare in faccia. Ero sicura che c'entrassi io e il modo in cui l'avevo trattato il giorno del mio compleanno, dopo che aveva sfogato la sua frustrazione di uomo complessato su Hendrick.
"Shh, Casey!"
"È così." Obiettò impedendole di dire una sola altra parola in sua difesa. Poi si andò ad accomodare e sollevò le sopracciglia. "Sta giocando con me. Vorrà che gli venda l'azienda gratis, immagino. Non c'è altra spiegazione."
"Non vendergli l'azienda, papà."
"Cosa?!" sbottò mia madre.
Mi allontanai, sedendomi sul bracciolo, slittando gli occhi sui presenti.
"Voglio dire che, secondo me, possiamo trovare un altro acquirente. Non gli dobbiamo niente."
"Come parli facilmente, Amybeth." Intervenne ancora seccata.
"Se papà si è seduto al tavolo con loro significa che ha pensato a tutto e non c'è altra soluzione." Si espresse Aymeric con calma.
"Esattamente." Prese posto accanto a nostro padre e ripose la tazza al suo posto fulminandomi. "Tu non sai niente. Non hai idea di cosa abbiamo passato per mesi."
"Certo che lo so, mamma. Ma non voglio che papà ne esca distrutto."
"Non preoccuparti tesoro, è tutto sotto controllo." Spostai lo sguardo sul diretto interessato che appariva più rilassato. "Siamo alla fine. Una volta che avremo firmato saremo a posto. Sono un po' stanco, è stata una giornata complicata, per questo sono nervoso."
"Se solo tu provassi ad essere un po' più gentile con il ragazzo la nostra vita andrebbe meglio, ma sei così testarda!" riprese a parlare lei a denti stretti, scaricando su di me tutte le colpe.
"Mamma, per favore!"
"Giselle!" l'ammoní papà.
Una delle cameriere entrò nel salotto raggiungendo il divano trafelata e porse il coordles a mio fratello.
"Il signor Louis al telefono. Il suo cellulare è spento."
"D'accordo." Proferí con un filo di voce, uscendo fuori, a bordo piscina.
"Almeno è in buoni rapporti con Aymeric. Grazie al cielo." disse mia madre e roteai gli occhi.
Non avrebbe mai creduto che mio fratello era in realtà vittima di una mente diabolica e veniva manovrato da Louis Hynes come un burattino.
Preoccupata per quella conversazione, uscii fuori in giardino e notai la sua espressione palesemente smarrita.
"Che cosa ti ha detto?" chiesi.
"Chiediglielo tu stessa." tagliò corto lui innervosito e mi sorpassò.
"Può andarsene al diavolo!" sussurrai in risposta e mi misi a gironzolare lì, sotto un cielo ricoperto di stelle e in sottofondo il frinire dei grilli, che infestavano gli alberi intorno.
Feci un respiro profondo e girando gli occhi notai un auto nero parcheggiata davanti al cancello.
Mi accigliai quando vidi l'autista far scendere rapidamente un uomo che riconobbi essere il signor Divan.
Cosa faceva qui?
A quest'ora poi?
"Il signor Divan è qui." Li avvisai tornando dentro.
"Tu lo sapevi?" Si rivolse a mio padre, del tutto ignaro di quella visita.
"No."
Lasciammo il salone per trasferisci all'ingresso e lo vedemmo fiondarsi giù dalle scale dopo che la governante gli aveva aperto la porta.
"Come va ragazzi?" Salutò sorridente con le braccia allargate, come se volesse inglobarci in un abbraccio.
"Ho appena parlato con Louis." Esordì mio fratello.
Mia madre da buona padrona di casa mi affiancò e lo accolse calorosamente.
"Che bella sorpresa che ci hai fatto. Benvenuto."
La fissai velatamente disgustata, ci mancava solo che gli baciasse le nocche in segno di rispetto.
La ignorò, e concentrò tutta l'attenzione su mio padre.
"Se hai un minuto, vorrei parlarti in privato di una cosa... Faccia a faccia."
"Naturalmente." rispose facendogli strada verso il suo ufficio.
Quando i due sparirono al piano di sopra, mia madre diventò più nervosa. Qualcosa stava andando storto. Nonostante le avessi bisbigliato "non andare", si precipitò su per origliare quella conversazione importante. Dipendeva addirittura il nostro destino.
Riuscii solo ad afferrare la frase iniziale: "Se questa sarà una buona conversazione oppure no... dipende solo da te, Casey. Solo da te."
Mia madre si intrufolò nella stanza con la scusa di offrirgli qualcosa, per intromettersi nella discussione.
Capii subito che l'argomento riguardava la conclusione dell'affare, ma da lì non avrei capito nulla.
"Fammi sapere quando escono. D'accordo?" dissi a mio fratello e lui annuì. Corsi trafelata e mi precipitai in camera mia, chiudendo con violenza la porta. Il mio cellulare stava squillando e quando l'afferrai notai che mi stava chiamando Lucas. Un'espressione sognante si fece largo sul mio volto e bastò quello a restituirmi la serenità.
"Pronto?"
"Come va?" Avrei voluto confessare che era la causa del mio sorriso.
"Bene! Sono nella mia stanza."
"Va tutto bene?" domandò e mi resi conto che il mio tono alterato tradiva agitazione, per quello che stava capitando nell'altra stanza.
"Sì, sì. Tutto bene. Che stai facendo?"
"Niente... Volevo sentire la tua voce."
"Ah..." Mi pettinai i capelli sentendo le guance prendere lentamente calore. "Sei al molo?"
"Beh, mi hai scoperto. Sto lavorando... o almeno ci provo."
"Che bello." Alzai gli occhi contro il soffitto, poi li spostai verso il comodino e mi venne un'idea. "Sai... ho il tuo libro da quel giorno..." Mi schiarii la voce e lo presi. "Jane Eyre."
"Davvero?" Sembrava sorpreso.
"Quando ci siamo incontrati nell'autobus un mese fa... Mi sono poggiata a te per non cadere. Avevi le mani occupate."
"Pensavo di averlo perso. Ho perfino dovuto comprarne uno nuovo e darlo alla biblioteca per sopperire alla mancanza."
"Posso ridartelo ora."
"Ah... D'accordo, ma puoi tenerlo se vuoi. Voglio dire, così puoi leggerlo se ti interessa."
"Va bene."
"Bene." ribatté dall'altra parte della cornetta mentre sentivo il rumore delle onde, che scuotevano la sua barca.
"Sto ascoltando della musica..." continuai aprendo il mio portatile. "Ah, ti invio questo link Lucas. Ti inoltro la mia playlist, così potremmo ascoltare le canzoni insieme..."
"D'accordo."
Smanettai sulla tastiera.
"Te lo sto inviando."
"Arrivato."
"Ok. Adesso riattacchiamo, contiamo fino a tre e ascoltiamola insieme, d'accordo?"
"Va bene, Amybeth. Al tre..." Riattaccammo. Feci mentalmente il conto alla rovescia. Cliccai play e mi sdraiai sul mio letto sostenendomi la testa con la mano sinistra mentre le note di Piccola Anima invadevano l'ambiente.
Mi sentivo come un'anima fragile. Chiusi gli occhi immaginando il riccio fare lo stesso sotto il cielo stellato seduto sul bordo della barca.
Mi sembrava di percepirlo accanto a me, ammirare il suo sguardo profondo, giocare con i suoi ricci morbidi, ma il rumore di una porta sbattuta con violenza mischiato alle urla di papà mise fine a quell'incanto.
Mi tirai su e interruppi la musica precipitandomi giù. Mio padre era incollerito fino al midollo. Si stava avvicinando alla porta e intanto sbraitava, agitando le mani in alto.
"In vita mia non ho mai sentito un'offerta più disgustosa di questa!"
Mia madre e il signor Divan lo seguirono nell'atrio.
"Casey, calmati ti prego!" Lo supplicò mia madre per tentare di placare la sua furia.
"Credi sul serio che potremmo trattare un'offerta del genere?" Obiettò.
"Casey, ti prego." riprovò lei.
"Basta! Non vendo! Non ho intenzione di abbassarmi a questo livello. Non vendo più l'azienda. Fine!" Urlò in faccia ai due fuori di sé, e cominciò a passeggiare nervosamente con le mani poggiate ai fianchi.
"Prima di fare dichiarazioni così forti, dovresti pensarci un po'!"
"Sì, Casey, per favore..." piagnucolò mamma mentre osservavo la scena dallo spigolo del muro.
Non riuscivo a capire perché papà stava rifiutando l'offerta che poteva salvarci dal fallimento.
Ma la sua faccia non faceva presagire nulla di buono.
"Mia figlia non è in vendita, hai capito?" Mi gelai sul posto respirando affannosamente come se una pietra mi stesse comprimendo lo stomaco. "Lei non è in vendita!" tuonò.
"Casey, pensaci almeno..." lo supplicò mia madre. Per lei valeva solo la ricchezza e in cambio si sarebbe disfatta della sua stessa figlia! Quale madre possedeva un tale coraggio?
"Ora esci fuori da casa mia. Non voglio continuare a litigare." gli indicò l'uscita con il braccio. "E mentre te ne vai pensa a quanto sia disgustosa la proposta che mi hai appena fatto."
Mi avvicinai pronta a prendere parola, visto che si stava parlando a chiare lettere della mia vita.
Ma Divan Hynes non me ne diede modo. Mi puntò contro il suo indice e mi guardò dritto negli occhi.
"Amybeth, dipende da te. Prenderai tu la decisione per la tua intera famiglia."
Era assurdo. Mi volevano comprare, come un oggetto. Louis si era sempre detto 'pazzo' di me, ma il suo era un amore malato. Un'ossessione che l'aveva condotto ad usare degli stratagemmi infidi pur di mettere alle strette mio padre e rendermi sua con la forza. Se avessi potuto, avrei vomitato in quel preciso istante davanti a loro.
"Non puoi forzarla! Se Amybeth avesse voluto, sarebbe successo molto tempo fa. Ma non è quello che vuole!" sbottò mio padre.
"Non gliel'abbiamo mai chiesto, Casey!" aggiunse mia madre lanciandomi strane occhiate e incitandomi a parlare, sperando di poter salvare mio padre da quell'inferno e di scaraventarci dentro i miei progetti.
"Sai bene come stanno le cose! O accetti... oppure l'accordo non si firmerà."
"Vattene Divan... altrimenti non so davvero come andrà finire."
"Casey, io ho rilevato tutti i tuoi debiti! Se non vuoi perdere tutto..."
Ero terribilmente sconvolta. Tutto intorno a me sembrava cadere a pezzi. Mi buttai una mano nei capelli e mi voltai verso le scale.
Mio fratello diventò più paonazzo, respirava sempre più a fatica e poi si accasciò sul pavimento.
"Aymeric!" Corsi giù dalle scale attirando l'attenzione dei tre e del personale in casa. Il suo corpo si contraeva per le convulsioni.
"Porta un cuscino! Presto!" Ordinò mio padre e lo scavalcò prendendolo per le spalle per tentare di calmarlo.
"La testa! Tienigli la testa!" Tutti ci radunammo intorno a lui per aiutarlo a superare l'attacco.
Margot mi portò il cuscino nella confusione generale e gliel'appoggiai sotto il capo, affinché stesse comodo, mentre gli accarezzavo i capelli dolcemente.
Ci disponemmo sul divano senza più urla, il mio cuore batteva all'impazzata. Quella discussione l'aveva innervosito, scatenando una crisi ma ora dormiva profondamente.
Il cellulare squillò, Lucas mi stava chiamando, ma nonostante la mia gran voglia di trascorrere ore a parlare con lui, ora non sembrava il momento adatto. Mi allungai per spegnerlo e mi accoccolai al castano. Trascorsi tutta la notte senza poter chiudere occhio.
La mattina arrivò placidamente e appena svegliatasi mio fratello fu costretto ad andare in ospedale per degli accertamenti. Le sue condizioni non destavano preoccupazioni, ma la sua salute cagionevole doveva essere monitorata con più attenzione.
Mia madre lo prese a braccetto mentre abbandonavamo l'ospedale, ed era sollevata di saperlo ormai fuori pericolo.
Si era trattato di una piccola crisi.
"Stress. Dobbiamo tenere lontano lo stress!" A malapena aprivo bocca mentre camminavamo. "2+2... fa? 4."
"Facciamo una passeggiata?" Bisbigliò mio fratello passandosi la mano fra i capelli, esausto di ascoltare le solite raccomandazioni di nostra madre, ogni volta che stava male. Annuii. Avevo bisogno di un po' d'aria.
"Non guidare l'auto, Aymeric." disse nostro padre prendendogli il viso.
"Non devo guidare, non devo bere... Lo so. Ho sentito anch'io quello che ha detto il medico."
"Ok, bene." Gli diede una pacca sulla schiena e lo feci salire nella mia auto. Mentre stavo per fare lo stesso, mia madre mi bloccò.
"Non rattristare tuo fratello."
Le indirizzai una smorfia senza dare una risposta alla sua frecciatina velenosa, neanche la più banale che mi fosse saltata in mente, e misi in moto lasciandoceli alle spalle.
Nel tragitto il silenzio regnava nell'abitacolo, ma io incuriosita decisi di spezzarlo.
Spostai un attimo gli occhi per puntarli sulla figura di mio fratello.
"È stato Louis, vero? Ti sta torturando per colpa mia?"
"Sei innamorata, vero?" chiese con estrema convinzione.
"Di Louis?" Ribattei indignata.
"Del ragazzo del ritratto."
Mi ammutolii spostando nuovamente gli occhi sulla strada e celai un sorriso, inumidendo le labbra secche.
Come faceva a saperlo? Non poteva giustificarsi dicendo sempre che i gemelli hanno strane connessioni. Probabilmente mi aveva pedinato e mi aveva visto con Lucas.
Senza dubbio la sensazione che qualcuno fosse ancorato alle mie spalle non mi aveva abbandonata. Era senza dubbio lui dietro quel pilastro.
Fermai l'auto al solito posto, molto vicino al molo e raggiungemmo la piccola panchina in solitaria.
Le prime luci che bruciavano il cielo di colori, lo stridio dei gabbiani che planavano sull'increspatura dell'acqua e l'aria fresca che ti accarezzava come una carezza materna, tutti elementi che rendevano suggestivo il paesaggio.
"Mi sento come se fossi distesa sulla sabbia in riva al mare. Quando penso a lui, è come se un onda mi travolgesse con forza. Quando penso ai suoi occhi... immagino la sabbia sotto di me che scivola via tutt'uno con l'onda." Le parole uscirono lente e piene d'amore mentre guardavo le onde infragersi contro gli scogli. "Aspetto di rivederlo..." Sospirai e misi dritta, guardando mio fratello come alla ricerca di un suo consiglio. "Insomma, non lo so, sono molto felice con lui. Sono felice di pensarlo, sono così eccitata all'idea di vederlo. Certo, è troppo prematuro per dire qualcosa, ma..." Aymeric continuò ad ascoltarmi con attenzione e a sorridere. "Io credo che..."
"Ti sei innamorata." Mi prese il viso tra le mani e mi lasciò un bacio sulla fronte. "Il mio dolce tesoro."
Mi prese il viso tra le mani e mi schioccò un bacio sulla fronte, stringendomi in un abbraccio.
"Voglio sapere che ne pensi." Gli strinsi affettuosamente le mani. "Mi ha fatto conoscere la persona più speciale della sua vita." Gli accarezzai la spalla. "Tu sei l'altra mia metà. Voglio presentartelo." mi fissò appena con la coda dell'occhio. "Ma non voglio che appaia programmato o altro. Non voglio che pensi che sia pazza di lui. Non ti preoccupare, farò tutto io!"
Lo rassicurai. Trasse un respiro e lo vidi distaccarsi improvvisamente, indirizzando lo sguardo altrove.
"Certo, d'accordo. Lo conoscerò."
Mi fiondai su di lui e gli diedi un bacio sulla guancia per ringraziarlo.
Poggiai la testa sulla sua spalla e guardammo in silenzio il mare.
Era così rilassante.
"Questi contatti sono tutti bruciati!" Lo informai in piedi sulla scaletta.
"Non mi dire." rispose affranto mio padre dal basso.
"Sì."
"Non mi dire?" Lo rimbeccò Jacob voltandosi accomodato in panciolle sulla poltrona dinanzi allo specchio. "Da quanti giorni ti sto dicendo la stessa cosa? Ma hai dovuto chiederlo all'ingegnere... E ora esclami: 'non mi dire'? Questo ventilatore dell'età della pietra è ormai morto!"
Il cellulare, che avevo messo in carica, squillò in quel momento e mio fratello lo raccolse.
Scesi rapidissimo dalla scaletta.
"Jacob!"
Osservò lo schermo con un sorriso sornione. "Allora, la ragazza misteriosa si chiama... Amybeth?" Mi punzecchiò.
"Dammelo! Dai!" Lo minacciai riuscendo così a sottrarglielo da sotto il naso e uscii fuori, sentendolo urlarmi alle spalle: "Salutami mia cognata".
Che stupido!
Perché non poteva farsi i fatti suoi?
"Immagino che ieri fossi impegnata, dato che non hai chiamato più." Non volevo di certo rimproverarla.
"Sì, a casa c'è stata un po' di confusione."
Sembrava vaga, forse per non preoccuparmi sui miei sospetti nel centro commerciale.
"Va bene."
"Be'? Cosa stai facendo?"
Guardai in alto, puntando la punta del compasso sul muretto.
"Niente. Sono con mio padre e mio fratello in negozio. Si è rotto il ventilatore e cerco di ripararlo, altrimenti i clienti moriranno asfissiati." Abbassai leggermente il tono.
"Cosa fa tuo padre?"
"Mio padre?" Sorrisi. "È un barbiere."
"Un barbiere? Interessante."
Mi rabbuiai e il mio tono diventò teso.
"Non lo fa per interesse... È il suo lavoro."
"L'ho capito. Mi chiedo se stia tornando di nuovo la storia della ragazza ricca."
"No." Feci un sorriso luminoso che non poteva vedere. "Cosa stai facendo?" Chiedemmo all'unisono. Sembravamo connessi telepaticamente, e le venne da ridere.
"Dovrei andare sulla barca."
*𝗙𝗜𝗡𝗘 𝗧𝗘𝗥𝗭𝗢 𝗖𝗔𝗣𝗜𝗧𝗢𝗟𝗢*
Sono stati dei giorni complicati, come ho detto sul mio profilo, ma non volevo lasciarvi a secco dopo una settimana di forte attesa.
Non siamo ancora entrati nel vivo di questa storia, ma c'è qualcosa che bolle in pentola...
Naturalmente con la presenza di Divan Hynes che ha fatto un'offerta disgustosa al padre di Amybeth...
Ma cosa succederà?
Amybeth e Lucas riusciranno a vivere la loro straordinaria storia d'amore? Riuscirà Lucas a conoscere Aymeric?
Non vedo l'ora di sapere le vostre opinioni... anche sull'incontro speciale che hanno entrambi avuto con Mary.
Sempre pronti ogni domenica per il prossimo aggiornamento, mi raccomando!
Sempre alle 20.30 circa.
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