𝘊𝘈𝘗𝘐𝘛𝘖𝘓𝘖 2: "La mia vita è nelle tue mani"

ᏗᎷᎧᏒᏋ ᎥᏁᎦᎥᏁᎥᏖᎧ

"Endless love"


" Prima che c'incontrassimo,
vagavo per la vita
senza una direzione,
senza una ragione.
So che, per qualche motivo,
ogni passo che ho fatto
da quando ho imparato a camminare,
era un passo verso di te.

Eravamo destinati
ad incontrarci."
(Nicholas Sparks)

∞❤️∞


Risalimmo sullo yacht infreddoliti e completamente fradici. Al pensiero che sarei potuta morire se non si fosse tuffato, un brivido si arrampicava lungo la mia schiena.

Quell'esperienza mi aveva insegnato che la vita poteva finire in un secondo, quindi non bisognerebbe sprecare il tempo in frivolezze. Il silenzio regnò fra di noi per qualche minuto. Mentre i suoi occhi erano persi nel vuoto, mi stringevo nell'enorme telo da spiaggia, l'unico indumento asciutto che avevo scovato prima nel sottocoperta. Ancora credevo fosse solo un sogno e che mi sarei potuta risvegliare dandomi dei pizzicotti sul braccio.... ma quella distesa scura, ricoperta di stelle e la brezza leggera, che mi accarezzava la pelle, era lì, così come la sua figura.
Lo scrutai attentamente. Ero abituata a captare certi dettagli, che altri occhi avrebbero semplicemente trascurato. Aveva le mani ruvide e braccia forti, l'avevo notato quando mi aveva stretto al suo corpo e riportato in superficie. Nonostante fosse un ragazzino, aveva il dono di attirarmi come se fossi stata un polo magnetico.

Il mio cervello scacciò via questo pensiero e generò milioni di dubbi, relativi a quella situazione. Per esempio: "cosa ci faceva nei dintorni?"

"Allora hai scoperto il mio nome in qualche modo... Sei passato dinanzi al locale e hai sentito i miei amici alla festa chiamarmi per nome." Mi esaminò in maniera insolita mentre gli esponevo quell'ipotesi bizzarra. Forse lo stavo infastidendo.

"Dovresti mettere del ghiaccio su quel bernoccolo." mi fece notare preoccupato e ricordai di aver battuto la testa cadendo. Nulla di tanto allarmante. Tastai quel punto con la mano e c'era solo un piccolo bozzo. "Ti senti meglio?" continuò senza smettere di fissarmi e mi sentii in imbarazzo.

"Se non mi viene la polmonite." Di certo, avevo attraversato il momento peggiore di tutta la mia vita ed era stato allucinante, un'esperienza che non avrei mai più rifatto. Quel debole sorriso da parte sua mi stava facendo lentamente perdere il filo del discorso, e ripresi. "Diciamo che dev'essere stata una coincidenza che tu sia il ragazzo di cui ho disegnato gli occhi su quel bus. Non pensavo che ti avrei incontrato."

"Il signor Clark dovrebbe avere dei vestiti di riserva. Vogliamo controllare?" Sviò ancora la mia domanda, concentrandosi sul fatto che stessi per congelare. Quello però mi turbò immensamente. Ebbi qualche sospetto a quel punto. Sembrava avere troppe informazioni, al punto che cominciai a pensare fosse un agente in incognito.

"Come conosci il nostro capitano?" Chiesi con sospetto. "Chi sei tu? Come mai eri qui?" ma la sua espressione tranquilla non si scompose. Non era angosciato come lo potrebbe essere una persona presa con le mani nel sacco.

"Sono Lucas... il ragazzo che hai disegnato su quel bus, un mese fa." Si presentò dolcemente, ma continuava a ostinarsi ad aggirare le mie domande e non mi dava risposte valide. Faceva di tutto per confondermi.

"Dico sul serio... chi sei?"

La sua aria spensierata si cancellò, il panico gli raggrinzí la fronte e si massaggiò la nuca. "Non voglio innervosirti. Ero sulla barca e ti ho visto cadere in acqua, così mi sono tuffato dietro di te. Cerca di rimetterti, io me ne vado."

Mi resi conto di essere stata troppo dura e feci un passo avanti per intralciarlo ponendogli una mano sul braccio.

Presi un respiro. "Ecco... Ok, mi hai salvato la vita... grazie mille, ti sarò riconoscente per sempre. Ma cerca di capire anche me. Incontro in fondo al mare il proprietario degli occhi su cui ho lavorato per un mese. In più mi dai dettagli sulla mia vita, sai anche come mi chiamo... Non credi che la mia paura sia più che giustificata? Potresti anche essere uno stalker."

Mi rivolse un sorrisetto pieno di ironia e di comprensione.
"Sì, è come avevi immaginato più o meno. Sono passato davanti al locale mentre camminavo per conto mio, ti ho visto e ho letto il nome sul cartello sotto: 'festa di compleanno'. Conosco il signor Clark perché qui conosco tutti i capitani."

"Anche tu hai un barca?" domandai estremamente su di giri, perché adoravo quel mondo lí. Né ero così affascinata e da piccola desideravo ardentemente essere un lupo di mare. Restò per un attimo in silenzio, forse stava pensando a come rispondermi.

"Non ho una barca." Farfugliò. "Insomma... mi occupo di tutte le barche. Le pulisco, le vernicio, le scartavetro... cose così. Non lavoro tutti i giorni, ma aiuto se serve."

"E non solo per benevolenza, immagino."

"No, non lo è." sussurrò rivolgendo gli occhi verso il basso e si passò la mano fra i riccioli ancora umidi. Decisi allora di tagliar corto con quella storia per evitare che si chiudesse in un guscio infrangibile.

"Non sei sorpreso? Ti ho detto che ho usato te come soggetto del mio ritratto e tu non sei rimasto sorpreso! Non dirmi che hai ricevuto altre proposte... oltre alla mia?" Cercai di sdrammatizzare e riuscii nel mio intento, perché rilassò le spalle e abbozzò un sorriso.

"Certo che no."

"Pensi davvero che ci caschi?" Sollevai il mento, incrociando le braccia al petto. "Fai pure il misterioso! Ma ti avverto, mi annoio facilmente."

I nostri occhi entrarono subito in una competizione serrata, che ero intenzionata a vincere a qualsiasi costo.

Avrei buttato giù ogni muraglia che si era costruito e svelato quello che celava dietro quegli occhi verde foresta.

"Amybeth... Amybeth?"

Sentii mio fratello chiamarmi a gran voce e avvicinarsi sempre di più, accompagnato dalla mia amica e spezzai quel contatto visivo per girarmi. Se mi avessero trovata, mi avrebbero costretto a far ritorno al locale e alla mia festa da incubo grazie a Louis Hynes, e non mi volevo sorbire i loro rimproveri su quanto fossi irresponsabile.

"Sbrigati! Vai su e metti in moto la barca. Presto! Fai presto!"

Il riccio era visibilmente interdetto dal mio ordine, mentre lo spingevo in quella direzione agitata.

"Cosa? Sei sicura?" Si tolse il telo dalle spalle e lanciai il mio da qualche parte.

"Lo sono, sì! Sbrigati!" Lo incalzai mentre si arrampicava sulla scala.

"Ok. Sciogli le cime." Mi assecondò.

Ripetei l'operazione di prima da ambo le parti, stando attenta a non scivolare e le lanciai per aria.

Ero leggera come una piuma e felice più che mai, anche e soprattutto del compagno che mi era capitato.
C'era un'inaspettata sintonia, entrambi volevamo lasciarci alle spalle la civiltà e perderci nell'orizzonte.

"Amybeth?" Aymeric corse trafelato raggiungendomi e urlando il mio nome più volte, ma ormai eravamo partiti. Alzai le braccia muovendole continuamente per salutarli. "Amybeth? Stai bene?" urlò frenandosi.

"Sto molto bene! Anzi mai stata meglio!" urlai in risposta e loro mi fissavano sconcerti, non sapendo come interpretare il mio gesto avventato. "Tanti auguri a me! Ti voglio bene!" continuai a saltellare emozionata come una bambina.

"Dove stai andando? Chi c'è con te?"

La barca si stava allontanando dal molo e non distinguevo nemmeno i loro visi, che diventavano sempre più distanti. Mi stavo liberando di un macigno e di tutte le mie responsabilità.

Non mi importava di farli disperare in quel momento, avrei sicuramente fornito una scusa attendibile, ma adesso desideravo che le onde del mare mi facessero dimenticare il resto.

Quando lo raggiunsi al comando, stavamo navigando da un po'.

"Non mi va di dargli spiegazioni. E perché dovrei, scusa? Non capirebbero lo stesso, mi ripeterebbero sempre che il mio non è un comportamento adeguato."

"Sei una ragazza intrigante." confessò con lo sguardo puntato all'orizzonte e mi strofinai leggermente l'orecchio.

"Strano... mia madre di solito mi dice che sono una tipa stramba e con la testa fra le nuvole. Mi fa sentire un extraterrestre." Girò la testa divertito, continuando a tenere le mani incollate sul volante. "Forza capitano! Ferma la barca così potrò risolvere i tuoi misteri." Il vestito era ancora bagnato e mi stavano venendo i brividi, così scesi in cabina per trovare qualcosa di consono.

Prendermi il raffreddore non era nei miei piani e l'ideale fu un uniforme del signor Clark. Era asciutta, comoda e mi piaceva immaginarmi in quella veste grazie alla fervida immaginazione che mi ritrovavo. Una volta su, immobili, invitai il riccio a sedersi al mio fianco e lui timidamente accettò nonostante la titubanza. Scherzando gli avevo detto testualmente: "mica ti mordo!" e lui aveva annuito e si era seduto.

Non ero mai stata per mare di notte, ma lo spettacolo era emozionante da togliermi il respiro. Potevo perfino toccare le stelle seduta lì. Anche lui aveva i capelli umidi, un ciuffo riccio gli ricadeva sulla fronte e la maglietta bianca aderiva al suo corpo.

Mi stesi leggermente, guardandolo negli occhi e ruotò il collo.
La sua bellezza mi ipnotizzava più di quella vista.

Aveva uno sguardo penetrante messo in evidenza dalle sopracciglia e stava smantellando le mie sicurezze facendomi percepire le farfalle nello stomaco.

Era un ragazzo buono e volenteroso con alle spalle una famiglia umile, ma generoso. Quello ch'era il loro, anche un tozzo di pane, apparteneva a tutti.
Andava all'Università, ma al tempo stesso lavorava per alleggerire l'economia dalle tasse universitarie.
Esistevano ancora ragazzi del genere? In grado di poter sacrificare i propri progetti per amore? Tutto ciò mi aveva colpito e con la sua incredibile umiltà aveva fatto breccia nel mio cuore. Non era un ragazzo come gli altri.

"Perché hai scelto proprio la facoltà di Ingegneria Mineraria? Non hai trovato altro su cui impegnarti?" La mia logorroicità era di gran lunga superiore alla sua, considerando che si limitava a girarsi i pollici con il capo chino. "Dimmi la verità, è a causa del tuo punteggio, giusto? Lucas, forse non riuscirai a realizzare il tuo sogno di diventare un ingegnere. Hai un piano di riserva in quel caso?" domandai con aria saccente.

Sospirò. "Invece sì, ce la farò. Scenderò in fondo alla miniera per analizzare e modificare le condizioni di lavoro e prevenire gli incidenti. Trasformerò la miniera in un posto sicuro per tutti..." dichiarò con tono sicuro e molto convincente, come se appunto quel futuro fosse a portata di mano. Dopotutto doveva avere la stoffa per un impegno cosí... pericoloso.

"Sei un idealista?"

"Devi esserlo, altrimenti a cosa servirebbe la laurea?" obiettò con un sorriso dolce stampato sulle labbra.

Scossi appena la testa, e farfugliai. "Hai ragione... Sto solo parlando a vuoto. Non farci caso. Non voglio spegnere le tue speranze."

"Mary... dice che parlare senza pensare richiede un gran coraggio."

"Oh, e giri il dito nella piaga... facendomi notare che lo sto facendo anche troppo! Ma naturalmente, è il mio difetto più grande... Ora lo sai."

"Insomma... un po'." concordò mentre fissavo l'orizzonte e un dubbio si insinuava nel cervello.

Non potei trattenere più la curiosità per la frase precedente. "Questa Mary... è la tua fidanzata?"

Si girò di scatto e alzò un sopracciglio, affrettandosi a ribattere. "Assolutamente no, non lo è. È un'amica, cioè ci conosciamo da tantissimo tempo... È una donna incredibile, saggia, nobile. È più matura di me, ma non lo dimostra, sembra più giovane." Si sporse con un sorriso bellissimo e gli occhi luminosi come le stelle sopra di noi. "È molto giovanile di molte persone, diciamo ch'è adulta. Ci siamo scelti l'un l'altro... Siamo entrati subito in empatia. Non riuscirei a sopravvivere senza i suoi consigli preziosi. Un po' come una seconda madre."

"Davvero?" domandai. "Mi piacerebbe conoscerla. Dev'essere una persona molto interessante da come la descrivi." dissi affascinata da ciò che avevo ascoltato, puntualizzando quanto fosse essenziale nella sua vita, nelle scelte e come si prendesse amorevolmente cura di lui. Una forte scossa mi fece vibrare dentro... e delle sensazioni inaspettate si stavano intensificando. Sembrava più soddisfatto e ricco della sottoscritta, circondato da persone semplici e senza troppe pretese economiche. "Non sono morta oggi, anzi sono rinata dalle ceneri" i miei occhi erano collegati ai suoi. "Ho vissuto delle esperienze e imparato qualcosa sulle miniere. Grazie a te mi sento di nuovo in vita..." Mi ascoltava e si grattava la nuca. "... Forse anche noi ci siamo scelti l'un l'altro. Che ne pensi?"

Distolse il viso e spostò i ricci con la mano in modo che non gli dessero fastidio. Era un gesto abitudinario visto che anche prima l'aveva fatto e mi incantavo a contemplarlo.

Dopo qualche secondo, rialzò la testa e propose. "Andiamo?" Lo fissai di sottecchi perplessa. "È tardi e i tuoi si preoccuperanno molto."

Come al solito, aprivo bocca e rovinavo tutta l'atmosfera.

"Ok." pronunciai secca. Non avevo voglia di andare a casa, sapendo cosa mi sarebbe aspettato l'indomani. Preferivo stare in mezzo al mare sotto questo cielo di stelle e godermi il panorama che di giorno non era minimamente paragonabile.

"Andiamo, allora."

Si rimise in piedi e iniziò a camminare sul bordo della barca, facendo il possibile per non perdere l'equilibrio e cadere nell'acqua.

Emisi un urlo strozzato. "Ahi!"

"Attenta!" mi gridò raggiungendomi velocemente e a quel punto scoppiai a ridere.

"Scherzetto!" Era il mio ultimo momento di spensieratezza e volevo passarlo nel migliore dei modi. "Non devi comportarti sempre da eroe. So benissimo cavarmela da sola, vedi?"

Lasciò scivolare le mani dalle mie spalle senza aggiungere nessuna raccomandazione da darmi e si girò per continuare a camminare.

Quando attraccammo al molo in piena notte, Lucas stava rimettendo a posto le cime e io avevo messo già piede sulla passerella per scendere. Ovviamente ad attenderci c'era solo il capitano Clark che ci guardava severo.

Mi tese la mano per scendere.

"Va tutto bene, signorina Amybeth?" domandò, mentre i suoi occhi rimbalzavano tra le nostre figure ed era palesemente stordito. La stessa espressione meditabonda la ritrovavo nella faccia dell'altro, di carnagione scura, fermo dietro le sue spalle.

"Magnificamente!" Sottolineai e mi rivolsi poi al riccio. Non avevo la certezza che ci saremmo rivisti, anche se un po' ci speravo, perché quegli occhi erano magnetici come calamite.
"Mi hai migliorato la serata! È stato il compleanno più bello!" Non avrei mai potuto dimenticare il suo gesto, ero viva grazie alla sua prontezza di riflessi. Gli porsi la mano. "Grazie." Lui non tentennò e ricambiò.

Le sue labbra si piegarono. "Buon compleanno... Amybeth."

Mi aspettava una ramanzina coi fiocchi, ma non m'importava. Non riuscivo a distaccarmene, volevo guardarlo e scolpirlo nella mia testa per l'ultima volta. Eravamo l'uno di fronte all'altro, presi la sua mano grande e la rigirai, rivolgendo il palmo verso l'alto.

Feci scorrere l'indice delicatamente sulla sua pelle, tracciando il simbolo dell'infinito mentre alzò lentamente il viso e puntò i suoi occhi nei miei con maggiore trasporto.

Da quel momento, quel simbolo invisibile avrebbe creato una connessione e legato le nostre anime, fino alla fine dei tempi.

"La macchina la sta aspettando."

Clark mi riportò bruscamente con i piedi per terra e il riccio distolse il viso con molta timidezza.

A quel punto, girati i tacchi, mi allontanai velocemente da lì, ma l'immagine di quel ragazzo ormai riempiva profondamente i miei sensi. Se si trattava di un bellissimo sogno destinato a non durare, allora avrei voluto dormire per altri mille anni come una principessa delle favole.

"Il giorno del tuo compleanno è il mio compleanno".

Fu mio fratello a rovinarmi il risveglio. Ero rientrata alla chitichella e nessuno si era informato su dove fossi stata.

Misi anche il cellulare in modalità silenzioso e quando mi chiusi in camera, Miranda telefonò. Parlò di un pestaggio ad Hendrick ad opera di tre sconosciuti dai volti scoperti.

Per fortuna, se l'era cavata con un labbro spaccato e un paio di punti in testa, ma sarebbe potuta finire male. Avrebbero potuto ucciderlo.

Mi sorse un dubbio, o meglio una certezza inesorabile... Louis poteva averlo commissionato e i suoi scagnozzi avevano compiuto quel lavoro sporco.

Che mente malvagia.

La sua ossessione e l'incapacità di gestirla mi infastidiva. Inoltre quella frase sdolcinata non gli si addiceva, strideva come il gesso sulla lavagna.

Non sapeva neppure cosa fosse il "romanticismo" e si spacciava per un poeta.

"Mamma continua a piazzarmelo davanti alla faccia ogni volta! Non lo reggo più!" Lo staccai e ridussi in mille pezzettini, spargendoli sul parquet. "Brutto maniaco! Se pensa davvero che un giorno sarò il suo importante trofeo si sbaglia di grosso!"

Aymeric, seduto ai piedi del mio letto, non aveva nulla da invidiare a un avvocato difensore e sfoderava tante belle parole per convincermi del contrario. Ovviamente era un suo amico. "Cos'ha che fare Louis con quello che è capitato a Hendrick?" Mi voltai a pancia in su e lo guardai male.

Non smetteva mai di stendergli il tappeto sotto i piedi e faceva l'impossibile per non perdere la sua amicizia e assecondarlo, anche se il suo subdolo gioco era tormentarmi.

"Sei il suo avvocato difensore? Smettila e apri gli occhi! Hendrick era con me alla festa, abbiamo ballato e riso molto. Questo a Louis non andava a genio, infatti ha fatto quella scenata imbarazzante." Brontolai innervosita. "Si sarebbe meritato un paio di schiaffi! Che cafone maleducato."

"Hendrick era molto ubriaco, me lo disse al telefono ieri... Forse se l'è cercata. Ma non capisco perché credi che sia stato Louis, sorellina. È vero, a volte è un po' impulsivo, ma..."

"Un po'?" Non lo lasciai finire, mettendomi seduta di scatto.

"Quel ragazzo ha perso la testa per te. Si è innamorato... E tu non vuoi dargli neanche una chance." ribadì e alzai gli occhi coprendomi la faccia con le mani.

Non poteva essere così ingenuo da non vedere il marcio di quella persona, tutt'altro che innocente.

"Per favore, Aymeric! Non puoi essere credulone fino a questo livello. Louis è una persona arrogante, maleducata e psicopatica! E ne ha dato dimostrazione così tante volte che non servirebbe un solo foglio per elencarle tutte!"

Il nervosismo trasudava da ogni poro della pelle e dal gesticolare continuo delle mie mani.

Volevo fargli realmente capire che non erano mie invenzioni per non accettare le sue avances, ma delle accuse fondate.

Massaggiò il sopracciglio con il dito. "D'accordo Amybeth, calmati, ti prego."

"Non posso calmarmi. Forse non te ne sei reso conto, ma Louis sta utilizzando la situazione di nostro padre a suo vantaggio per rovinarci. Non puoi far finta di nulla. Si comporta come se noi fossimo una sua proprietà! Lo odio! Mi sta sullo stomaco la sua strafottenza."

"Calmati Amybeth, mi stai facendo venire il mal di testa. Ti prego." Biascicò portandosi la mano sulla fronte facendo una smorfia di dolore, mentre nostra madre aveva varcato la soglia con le braccia occupate da un nuovo bouquet di fiori, stavolta erano violette.

"Cosa c'è, Aymeric? Stai bene?" Gli accarezzò dolcemente la guancia. "Hai preso le medicine?" chiese, preoccupata dal fatto che i suoi malesseri fisici fossero peggiorati. Forse l'avevo portato all'esasperazione, ma quando l'argomento era Louis Hynes faticavo a trattenere la rabbia. Mi faceva uscire fuori dai gangheri.

"Le ha prese, le ha prese! È solo che gli ho fatto venire l'emicrania con i miei discorsi.... Questi sono per me?" Con un'alzata di mento indicai il bouquet.

"Sì cara." rispose su di giri. Afferrò il biglietto e iniziò a leggere a voce alta: "Questi fiori sono stati coltivati con cura dall'anno scorso, perché potessi riceverli come un dono speciale la mattina del tuo compleanno. Di nuovo, buon compleanno mia amata... Il tuo Louis."

Mio Dio, ancora lui e i suoi dozzinali complimenti. Perché non mi lasciava in pace? Cosa voleva?

Aveva rovinato quel giorno perfetto e mi mandava come scuse un costosissimo bouquet di fiori nella speranza di aggiustare tutto e tornare come prima?

Mi tuffai fra le lenzuola, voltandomi di spalle per evitare di guardare l'espressione compiaciuta di mia madre mentre tesseva le lodi del mio aspirante pretendente, così come fece l'ultima a volta a tavola.

"Sono così stufa di lui!"

"Che gentiluomo..." Lo venerò. "Che uomo d'altri tempi."

"Mamma, puoi portarli fuori dalla mia camera? Per favore... O ci vomiterò sopra. Dico sul serio."

"Va bene." rispose Aymeric. Si alzò, prese il bouquet dalle mani di mamma, e l'altro sul comodino e recitò. "I tuoi fiori, i miei fiori... E il tuo compleanno, il mio compleanno." Balzai in piedi sul letto e gli lanciai contro il cuscino, mancandolo per un soffio, visto che aveva chiuso la porta.

Mia madre si avvicinò con le mani poggiati sui fianchi nella posa autoritaria di sempre, e mi scrutò severa. "Non essere scortese o lo farai allontanare da te." girò i tacchi senza aspettare una risposta, che sarebbe stata più o meno la solita ovvero: "non me ne importa niente se il ragazzino viziato ci resta male", e raccolse il cuscino colpendomi. "Prendi questo!"

Uscì dalla stanza e mi rimisi a dormire, o almeno tentai di farlo.

L'unico posto dove potevo essere al sicuro era solo la mia fantasia, dove c'era lui e la bellissima serata che mi aveva fatto trascorrere. Avrei voluto tanto vederlo, ascoltare la sua voce o lasciarmi incantare dal suo sorriso cordiale. Non mi ero scansata dal suo tocco, era leggero e protettivo, e sentivo il mio stomaco accartocciarsi mentre il mio cuore batteva all'impazzata.

❛...❜

Diedi una mano a ripulire i piatti gettando i residui della colazione nella pattumiera e appoggiai i glutei contro il mobile, mentre mi lasciavo trasportare in qualche pensiero bloccandomi mentre mi stavo mettendo un pezzo di frutta in bocca, masticandolo piano.

Per un mese avevo fatto ricerche su Google, ma con così pochi dettagli su di lei, fu difficile beccare il sito.

Ma quella sera il destino aveva combinato il nostro incontro e seppure volessi celare le mie emozioni sotto una finta espressione serena, quell'atteggiamento proiettato chissà dove, era un campanello d'allarme per mia madre.

"Ti è successo qualcosa? Perché sembri turbato?"

"Non sono turbato, mamma... in realtà sto molto bene." risposi piegandomi verso la pattumiera. Dopo un po' qualche secondo di silenzio e averla sentita bisbigliare qualcosa a Kyla sporta fuori dalla finestra, continuò. "C'entra una... ragazza?"

Drizzai la schiena all'istante, voltandomi nella sua direzione. Non credevo di averle dato quell'impressione, ma a quanto pare i suoi occhi erano affidabili più di un metal detector. Sapeva captare ogni stato d'animo, non le si poteva nascondere nulla.

"No. Sai che ho problemi più grandi a cui pensare."

"Dai, Lucas, a tua madre puoi dirlo! Lo sai bene."

"Se ci fosse qualcosa saresti la prima a saperlo, mamma."

"Quindi è qualcosa che non accadrà mai? Basta che non ci causi dei danni. La nostra famiglia ha già avuto molti problemi in passato. Voglio che la pace continui a regnare qui dentro." Espresse distogliendo il viso.

"Come ti vengono in mente queste cose, mamma? Proprio non ti capisco." borbottai uscendo dalla cucina con passo spedito per raggiungere l'atrio.

"L'affitto non viene pagato mai puntualmente." Sentii urlare Jacob mentre allacciavo le scarpe e mi soffermavo sulle sue parole un po' dure. "Se il signore ha bisogno di soldi, glieli daremo... Signor Zumann, quanto le serve?" Mi punzecchiò e mi voltai verso il suo sorriso sghembo, dopo aver indossato il monospalla.

"Non mi serve niente. Piantala." dissi prima di chiudere la porta.

Ma prima di andare notai una cassetta con delle piantine e le raccolsi.

Era un amante della natura e non a caso si era stabilita in una casa immersa nel verde.

Quando alzai gli occhi incrociai il volto di papà e lo salutai prima di allontanarmi.

Aprii il portone e cominciai a salire la scalinata che portava fino in terrazza e appena misi piede sull'ultimo scalino una voce allegra mi accolse.

"Buongiorno caro!"

"Buongiorno..." Mi fermai e le mostrai il plateau. "Mamma li ha lasciati in giardino per te e mi ha spiegato come devono essere piantati." Aggiunsi poggiandoli a terra con un tonfo.

"Ti preoccupa qualcosa, caro?" domandò senza mezzi termini.

Lasciai scivolare le mani ai fianchi. "No. Vado a controllare se ho avuto risposta per il colloquio di lavoro. Poi ho altre cose da fare. Non toccarli finché non torno, ok? Li seminerò io uno per uno, va bene?"

"No, non va bene." Obiettò e con un cenno del capo indicò il divanetto. "Siediti. Vieni qui." Avrei voluto non starla a sentire e accampare una scusa qualunque, ma mi conosceva troppo bene. Avrebbe trovato il modo per costringermi a farlo, anche se non avevo voglia. Così mi avvicinai, e lei posò il libro che stava leggendo sul tavolino, mentre mi accomodavo. "E dimmi, cosa c'è che non va figliolo?"

"Non c'è nulla." Ripetei e poi chinai la testa a disagio. "Devo trovare un lavoro. Sto diventando un peso per i miei e non posso più tollerarlo. Mi sento in imbarazzo quando si parla di soldi."

"Ah, credo ci sia dell'altro."

"Ecco, ora mi leggi la mente. Fantastico." Ironizzai spostando gli occhi altrove, lontano dai suoi occhi indagatori.

"Sono sicura che c'è!" insisté.

"La mamma pure mi ha fatto l'interrogatorio stamattina. Continuava ad insinuare che ci fosse qualcosa."

"Ma c'è." ripeté e girai lentamente il collo interdetto. A quel punto, gli occhi le brillarono di una luce intensa e mi mosse l'indice contro. "L'hai vista di nuovo!" Sorrisi compiaciuto e si tirò indietro sulla poltroncina. "E questa volta vi siete parlati."

Mi sporsi di più e bisbigliai.
"Le ho salvato la vita."

"Cosa?" proruppe sorpresa, e sorrisi così ampiamente che a momenti mi faceva male la mascella. "Oh, è un'adorabile storia d'amore! Voglio assolutamente sentirla. Forza."
Mi incalzò muovendo la mano e stendendosi sullo schienale mentre partivo dal fatidico momento in cui l'avevo vista in quel locale.

❛...❜

Scorsi nella pagina senza far caso alle immagini, quando ricordai nitidamente la conversazione sullo yatch, sotto le stelle e lui che disegnava qualcosa.

"Non hai un numero di telefono o qualcosa del genere? Così che possa contattarti se sono nei guai? Ricordati che sei il mio eroe. Ora la mia vita è nelle tue mani."

Non volevo che mi dimenticasse o che ci perdessimo di vista per chissà quanti mesi... Avevo davvero voglia di chiamarlo, così non ci rimuginai più. Basta... niente incertezze, sarà quel che il destino deciderà. Composi il numero e feci partire la chiamata.

Ero cosí ansiosa tra uno squillo e l'altro che pensai di riattaccare per non disturbarlo. Probabilmente era sul molo a lavorare su qualche barca.

"Pronto?" Appena rispose, mi paralizzai. Non avevo preparato un discorso, accidenti!
Mi ero buttata a capofitto in questa storia senza starci a ragionare, ma seguendo semplicemente il mio cuore.

"Lucas?" Rimase per qualche secondo in silenzio.

"Sì, ciao!"

Ero tesa e impacciata. "Ciao... Puoi parlare? Stavi dormendo?" dissi speditamente, come mia abitudine, senza dargli il tempo di ribattere. "Ti ho disturbato, vero? Ecco... un altro punto sulla lista: è il mio pessimo tempismo."

"No, tranquilla, non stavo dormendo. Ecco, stavo per andare all'università." rispose spedito come un treno, anche lui era abbastanza nervoso, lo capivo dal tono. Mi alzai e camminai per la stanza. "Ti ho parlato della mia amica, vero?"

"Sì, Mary."

"Sì, proprio Mary. Sono a casa sua ora."

"Scusami allora, ti ho disturbato."

"Tu non mi disturbi affatto." ribatté.

"Comunque... avevo chiamato per salutarti e verificare che il numero fosse corretto." Mi mordicchiai il labbro, avrei dovuto ingegnarmi per una scusa migliore.

"Sì, il numero è questo. È corretto." sibilò lui.

"Bene, il telefono di un eroe non può essere occupato troppo a lungo... quindi...  Ti saluto." Mi tremava la voce, le mani, tutto e sentivo il cuore salirmi nella gola.

"Amybeth..." mi bloccò prima che potessi chiudere.

"Dimmi..."

"Faresti una cosa per me? Verresti anche tu qui? Da Mary? Certo, se non hai nulla da fare, questo è chiaro."

"Non ho nessun impegno. Dove abita Mary?" domandai mentre mi precipitavo ad aprire l'armadio per scegliere cosa mettermi.

"Vengo a prenderti. Certo, vengo..."

Presi un paio di grucce osservandole e intanto mantenevo il cellulare con la spalla. "No, ho la mia macchina, dimmi solo dove devo venire."

"Vieni verso la spiaggia e ti porterò qui."

Stesi i capi sul letto, non riuscendo a decidere se mettere l'uno o l'altro mentre facevo le prove nello specchio.
"D'accordo. Sarò lì al massimo fra un'ora, ok? Potrebbe... anche volerci meno."

"D'accordo, allora ti aspetto." Lo udii sghignazzare, come se avesse intuito dalla cornetta la mia eccitazione.

"A dopo." Lo salutai sorridente. Dopo molte titubanze, decisi di indossare dei pantaloncini bianchi che avevo nell'armadio da un bel po', sciolsi i capelli biondi e mi truccai.

Lasciai la camera e mi diedi un'ultima sistemata nell'androne delle scale.

"Amybeth?" La voce di mia madre dal basso mi fece sobbalzare e quando guardai di sotto notai anche Aymeric e Louis Hynes che mi fissavano stupiti.

"Ti senti meglio?" Chiese il biondino con le mani nelle tasche del pantalone dalla piega maniacale.

"Perfettamente." risposi e mi rivolsi a mia madre senza più degnare il biondino della mia attenzione, visto che me lo ritrovavo di soppiatto in casa mia. "Esco, torno più tardi."

Ma a nessuno bastò quella spiegazione vaga perché il biondino mi seguì fuori.
A volte, mi dava l'impressione di essere un cagnolino assoldato da mia madre per controllarmi.

"Amybeth."

Mi fermai vicino alla mia auto.
"Louis... Non scusarti più. D'ora in poi, non fare più nulla per scusarti."

"Non volevo scusarmi... ma darti questo."

"Sono di fretta." tagliai corto, nella speranza che mi lasciasse salire.

"Sono dei biglietti per un concerto privato a Londra..."

Li guardai nelle sue mani, accennando un sorrisetto sardonico. "Grazie, che gesto carino... ma ho altri piani. Portaci qualcun altro."

Stavo per entrare e mi bloccò, facendo un passo avanti. "Potresti rimpiangerlo. È un evento importante... Ci andremo in jet privato."

"Sono sicura sarà così. Ogni cosa è speciale con te." Mi guardò attentamente senza alcuno scrupolo. "Ma ho già avuto il mio regalo, Louis. Portaci Aymeric."

Senza dargli modo di replicare per farmi desistere dal non rifiutare la sua proposta ridicola, sbattei la portiera e misi in moto dirigendomi verso il luogo che Lucas mi aveva indicato.

*𝗙𝗜𝗡𝗘 𝗦𝗘𝗖𝗢𝗡𝗗𝗢 𝗖𝗔𝗣𝗜𝗧𝗢𝗟𝗢 *

Vi ricordate di lei, giusto?
E come non farlo, se abbiamo avuto molto da piangere in queste scene.
Mary sarà l'angelo custode di Lucas, una figura materna, come lo fu per Gilbert Blythe in Anne, e questa donna che adesso è entrata in scena avrà molto da raccontarci...

Come avete trovato il capitolo?
Il rapporto tra Lucas e Amybeth si fa ancora più stretto d'ora in poi e sarà intriso di ostacoli e sfide.

Gli aggiornamenti ci saranno ogni domenica alle 20.30, quindi non mancate per scoprire il prosieguo della storia!

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