𝘊𝘈𝘗𝘐𝘛𝘖𝘓𝘖 12/ parte 2: Il cerchio si stringe.
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"Endless Love"
1 libro
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Il bussare alla porta mi fece riemergere prepotentemente dai miei pensieri, facendomi riflettere sul cattivo atteggiamento, che avevo assunto con la castana scaricandole addosso il mio malumore sulla situazione. Abbandonai con decisione la poltrona per fiondarmi ad aprire.
Ci tenevo a farle capire che non aveva alcuna colpa. "Mi dispiace davvero, io..."
Le parole mi morirono in gola, quando mi trovai di fronte non a un corpo femminile e alto, bensì a uno squallido sguardo strafottente.
"Perché deve scusarsi, signor Lucas?"
"Sicuramente non con lei." Precisai ed oltrepassò la soglia, senza prendersi la briga di chiederlo.
"Che bella atmosfera c'è qui, è stato lei ad arredarlo?" Richiusi la porta e mi avvicinai alla mia scrivania. Il biondo invece si mise a suo agio sul divano, accavallando le gambe. "Che c'è? Amybeth se n'è andata?"
Mi accomodai. "Sì, se n'è appena andata. L'hai mancata."
"Se non l'avessi mancata mi chiedo che tipo di scena mi sarei trovato davanti." Insinuò con gli occhi da rapace puntati sul mio sguardo gelido.
"Cercavo di convincere la signora Amybeth. Saresti stato utile."
"Su che argomento?"
"Sulla pittura. Pensavo di portare un po' di colore in quest'azienda. Ma sfortunatamente non sono riuscito a convincerla. Dice di non essere disponibile al momento e che ha molto lavoro."
"Sì, Amybeth è inaccessibile. Ha altri progetti in mente e difficilmente ne intraprende di nuovi."
"La conoscerà meglio di me."
"E dov'è il mio caffè?" protestò sviando il discorso. "Dovrebbe occuparsi meglio dei suoi ospiti."
"Che tipo di caffè vuole?" chiesi senza distogliere lo sguardo, strofinando i polpastrelli.
"Uno che non dimenticherò per quarant'anni."
A quel punto, presi il cellulare per poter comunicare quell'ordine.
Non potevo credere che fosse arrivato al punto di infliggermi quel simile colpo basso, dicendo apertamente a Louis ch'ero lì. Continuava a non rendersi conto che spingersi oltre quel confine, era come firmare una condanna.
Per quanto ancora avrei tenuto duro? Per quanto avrei sopportato i soprusi di mio marito e le frecciatine velenose di un ragazzo, che, in verità, rimaneva marchiato sulla mia pelle, come quel tatuaggio dell'infinito.
Mentre guidavo, ricacciavo indietro le lacrime pronte ad uscire tirando su col naso e, di colpo, inchiodai con un forte stridio di pneumatici sull'asfalto. Alcune macchine mi sorpassarono e suonarono i loro clacson per rimproverarmi, ma io ero lì, immobile, con un cuore fatto a pezzi e calpestato.
Osservai i miei occhi azzurri dallo specchietto, trovandoli velati di pianto, e chinai il capo. Cancellai velocemente i segni, spinsi la testa contro il poggiatesta e tirai un respiro profondo per calmarmi. Tentai di riprendermi, poi rimisi in moto.
Dovevo abituarmi al fatto che Lucas fosse cambiato, la sua unica ossessione era farmela pagare per i lunghi anni di sofferenza.
Ma ignorava il fatto che lo erano stati anche per me, al fianco di un uomo crudele e senza scrupoli.
Eppure era troppo accecato dal sentimento d'odio per rendersi conto del mio malessere.
Bevvi un sorso del caffè bollente, posando la tazzina sul piattino. "Immagino che il motivo della sua visita, signor Hynes, riguardi il progetto. Giusto? Ha pensato alla mia offerta?"
"Parla della sua offerta etica?" Chiese di rimando e sbattei lentamente le ciglia. "Da quando è arrivato non ha fatto altro che impartirmi lezioni sulla moralità, signor Lucas. Inizio a credere che si tratti di divergenze sul fronte personale... Sento come se cercasse sempre di mettermi alla prova. Voglio dire... se qualcuno ci vedesse, penserebbe che io abbia un conto in sospeso con lei."
Schiusi le labbra per lo stupore, mentre mi squadrava, bevendo un altro piccolo sorso di caffè.
Inarcai un sopracciglio. "E di cosa potrebbe mai trattarsi, signor Hynes?"
"Non lo so, ma nel consiglio parlo sempre della gente umile e io sono un uomo d'affari. Forse abbiamo questo conflitto. Non lo so." Lo fissai attentamente con lo sguardo più serio del mio repertorio facciale, ruotando la poltrona, e lui posò la tazzina sul bracciolo della poltrona. "Sono venuto personalmente per dirle questo, visto che non vuole rinunciare alla sua offerta. Quindi ci ho pensato e ho deciso." Alzò l'indice puntandolo contro. "Faremo il progetto come vuole. Sto dicendo che faremo a modo suo. È contento?"
Non distolsi minimamente lo sguardo dal suo. "Sono in paradiso."
Accennò una risatina.
"Non toccherò la gente. Se ne occuperà lei. E farò in modo di non turbarla, signor Lucas. S'è qui per affari, non voglio disturbarla, tranquillo."
Assottigliai gli occhi in due fessure. "Sono curioso. Perché ha cambiato idea? Perché vuole compiacermi?"
Drizzò la schiena. "Perché sono curioso anch'io. Risolvendo questo problema, avremo altro da fare."
Balzò subito in piedi e lo seguii a ruota mentre avanzava verso la mia scrivania con movenze feline.
"Mi dispiace che sia venuto fin qui."
"N'è valsa la pena." Rispose e squadrai la sua figura dal basso verso l'alto. Poi, i suoi occhi guizzarono altrove. "È la sua famiglia?"
E guardai automaticamente la cornice disposta sulla scrivania, in modo che fosse visibile a chiunque. "Sì, lo è."
"Che famigliola felice." Commentò per poi volgere lo sguardo su di me. "Spero che continuino così."
Detto questo, girò i tacchi e mi liberò della sua presenza tossica. Irrigidii la mascella, mentre avevo gli occhi focalizzati sulla porta.
Pov's Louis
"Benvenuto, signor Louis. Venga, prego." Mi accolse l'uomo, dandomi una stretta di mano e con un gesto del braccio m'invitò a seguirlo.
Mi condusse in una stanza a parte, dove c'erano una schiera di piccoli cassaforti, inserendovi una chiave che girò una volta sola.
Nessuno, eccetto il sottoscritto, conosceva il contenuto. Infilai la seconda chiave e spalancai l'armadietto. Una volta, rimasto da solo, tirai fuori una scatola rettangolare adagiandola sul tavolo. Al suo interno, c'erano una sfilza di chiavette USB, e le raccolsi una ad una guardandole sul mio palmo.
FIFTH YEARS OLD
«Mi stai dicendo che vorresti tendergli una trappola?» sottolineò la donna bionda accomodandosi sul bracciolo della poltrona.
«Ti chiedo solo un piccolo aiuto. So che per te è un gioco da ragazzi trovare una bella ragazza.»
Sospirò. «E' vero, ma... le mie ragazze restano da sole per una notte, forse due, non per sempre.»
Alzai l'indice, muovendolo in aria. «Non deve avere amici o parenti. Non voglio avere a che fare con gente che chieda dove sia.»
Lei s'imbronciò e poi scosse la testa. «C'è qualcos'altro?»
«Se pensi di non farcela, basta che me lo dici. Troverò un altro modo.» Mi fissò, perplessa. «Ci sarà molto lavoro da fare, ma alla fine avrai la tua meritata ricompensa.» Infilai la mano nella tasca della giacca estraendo il blocchetto degli assegni e presi la penna stilografica per scrivere. La ragazza si mise seduta di fronte a me, scrutandomi con fare seducente e posizionò le mani intrecciate sotto al mento.
«Sono così felice.»
Strappai l'assegno e lo appoggiai sul tavolo, spostandolo più dalla sua parte. «Quello che basta.»
L'afferrò, guardò ciò ch'era scritto, e si lasciò sfuggire una risatina.
Si alzò e venne a sedersi sul bracciolo della mia poltrona, togliendomi la penna di mano.
Dopo me lo mostrò, aveva aggiunto qualche zero in più alla somma. «Ora sono felice.»
Mi rialzai e raccolsi il bicchiere pieno di Scotch whisky. «Occupati di questo...» le tolsi la penna stilografica dalle mani rimettendola nella tasca interna. «E lo firmerò entro la fine della serata.» Mi concessi un altro assaggio d'alcol, assaporando il dolce gusto della vittoria.
***
Quando tornai al presente, nascosi le chiavette nella tasca interna, per poi chiudere la scatola e rimetterla dov'era prima.
Chiusi gli occhi nell'intento di resettare tutto e di godermi semplicemente la carezza del vento, che mi spostava le ciocche dal volto, il profumo del mare che entrava nei polmoni quando inspiravo forte, la sabbia calda sotto i piedi.
Rimasi seduta per qualche attimo su quel tronco d'albero, svuotando la mente dai troppi pensieri, poi mi strinsi nelle spalle.
All'improvviso, qualcuno che non mi aspettavo, spuntò da non so quale direzione, svolazzando la coda. Si avvicinò con fare giocoso e si lasciò accarezzare dalle mie mani, che finirono nel suo pelo grigiastro. Aveva una macchia nera sull'occhio destro. "Ehi, che c'è, ti piaccio? Anche tu mi piaci moltissimo. Vuoi giocare con me?" Sorrisi, vedendolo portarmi un bastoncino e allora lo raccolsi per tenderglielo. Con vari saltelli, cercò di acciuffarlo, ma lo portai un po' più su. Poi glielo lanciai e andò immediatamente a recuperarlo. "Coraggio, coraggio." Lo incitai battendo le mani e iniziando a correre a piedi nudi, ridendo come una bambina. Era così che mi faceva sentire: una bambina. "Dammi, dài." Lanciai un'altra volta il bastoncino e il cane ritornò a recuperarlo, mettendolo sulla sabbia. "Oh, ma che bravo!" Gli accarezzai il dorso e lui si arrampicò sopra le mie gambe.
"Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata oggi. Lo apprezzo molto." Continuai a dargli carezze affettuose, grazie a lui, il mio umore era migliorato e mi sentivo rinata come una fenice dalle sue ceneri.
Andai verso l'ufficio della castana e bussai leggermente contro lo stipite, facendole alzare la testa dalle scartoffie che stava ordinando. "Posso entrare?" Le chiesi con gentilezza. Ero stato troppo brusco prima ed ero lì per rimediare all'errore.
"Che succede?"
"So che sono stato scortese e voglio che mi perdoni." Dissi tutto d'un fiato, oltrepassando la soglia. "Ho chiamato Ivan, sta per arrivare, andiamo?" Ma lo squillo del mio cellulare non spezzò il contatto visivo e scosse la testa mentre per rispondevo. "Papà."
"Lucas, figliolo, potresti venire al negozio prima di tornare a casa? Ho bisogno di parlare con te."
"È successo qualcosa?"
"Se hai una conferenza di lavoro, parleremo a casa."
Continuò ad ignorare la mia domanda e non darmi spiegazioni per la tensione che percepivo da dietro la cornetta.
"No, ti ho detto che dovevo partecipare a quel programma televisivo stamattina."
"Va bene, figliolo. Parliamo a casa." Troncò.
Mi voltai di scatto verso Shannon. "No, papà, aspetta. Ho ancora tempo, sto arrivando." Agganciai la chiamata mandando mentalmente al diavolo il mio impegno. Mio padre mi era parso troppo angosciato per trattarsi di una sciocchezza. La preoccupazione mi impediva di concentrarmi su altro e sul calar della sera, giunsi al negozio. "Papà?" Lo chiamai dalla soglia e lo vidi mettere via qualche cianfrusaglia. "E mio fratello? Non è qui?"
"L'ho lasciato andare via prima, era un po' sconvolto." Rispose, andando a sedersi.
"Perché?"
"Tu sai perché era così sconvolto." Mi apostrofò.
Con un cenno del mento, indicò le confezioni dei rasoi elettrici che avevo fatto acquistare per fargli una sorpresa.
"Non vi è piaciuto?" Mio padre non rispose. "Volevo solo dare una mano, papá. Aveva un'idea per incentivare i clienti e ho deciso di appoggiarlo in quella scelta."
"Va bene, figliolo, non c'è dubbio che le tue fossero buone intenzioni, ma oggi hai spezzato il cuore di tuo fratello." Disse mio padre e battei le ciglia, sbalordito. Si rialzò per staccare una cornice dal muro. "Ricordi? Cos'è?"
"La tua prima entrata."
"Non è mia, è di tuo fratello." Mi porse la foto dentro cui c'era conservata una vecchia banconota di sterlina, prima dell'avvento dell'euro a Dublino. "Il suo primissimo stipendio come barbiere in questo negozio. Sai che volevo dargli un'opportunità, ma c'è un tempo per tutto. A volte, l'ambizione non lascia maturare l'ispirazione. Mi hai chiesto che gli dessi un'opportunità, però tu non ti sei fidato e non gliel'hai data."
Mi resi disgraziatamente conto di aver appena dato alle fiamme quel rapporto, rendendolo irrecuperabile, e m'inumidii le labbra, avendo davanti ai miei occhi il sogno di Jacob, ormai in frantumi. Abbassai la testa terribilmente a disagio, per poi guardare mio padre.
Aveva ragione lui. Ero io quello sbagliato qui, perché col tempo avevo smarrito la mia umiltà. E facendo del male a mio fratello, avevo ferito anche me stesso.
Pov's Louis
Osservai quel povero smidollato di mio cognato, in ginocchio, che piagnucolava vicino al cadavere della donna che aveva ammazzato. Fermai il video e diedi le spalle alla lime per guardare i volti sgomenti e spaventati dei miei suoceri.
Quello era una prova schiacciante e se l'avessi mostrata alla polizia, il loro figliol prodigo sarebbe marcito in galera per il resto della vita.
Le nostre condizioni erano chiare, avrei mantenuto quel terribile segreto fino alla tomba, se Amybeth fosse stata mia, in tutto e per tutto.
"The End." Mi spostai per riaccendere le luci e illuminare la stanza. "Qualcuno vuole spiegarmi che significa questo video?" Nessuno dei due si degnò di aprir bocca. "Oh, ma che classe svogliata abbiamo!" Giselle si limitò ad abbassare la testa. Mi sporsi in avanti. "Rispondetemi!" Casey mi guardò dritto negli occhi. "Qualche volontario?" All'ennesimo gioco di silenzio, sbattei le braccia lungo i fianchi e mi accomodai sul bracciolo del divano. "Allora lo dirò io." Mi schiarii la voce. "Questo video significa che qualcuno oltre noi sa che vostro figlio è un assassino. Per proteggere Aymeric e la sua famiglia, ho pagato ogni minuto di questo video negli ultimi cinque anni." Scandii ogni singola parola di quella frase, in modo che fosse palese chi fosse l'eroe. "Senza contare tutto lo stress che accumulo, giorno dopo giorno. Mentre io pago, voi che cosa fate?"
Casey non mi staccò gli occhi di dosso, macinando la rabbia sotto una coltre di serietà. "Niente." Pigiai il pulsante e quel famoso primo dipinto comparve sullo schermo. "Signora Giselle, sa dirmi a quale fondazione e' stato donato questo dipinto?" Glielo indicai e mantenne a stento la compostezza.
"È impossibile per me ricordarlo in questo momento, Louis."
"Impossibile, perché non esiste alcuna fondazione." La donna quasi tremò come una foglia sul divano. Poi mi rivolsi all'uomo. "Signor Casey? Se non è qualcosa di troppo personale, potrebbe dirmi di cosa stavate parlando?" Gli mostrai la foto che lo ritraeva in compagnia di Zumann in quel bar e l'incredulità gli si dipinse in faccia. Aspettai una risposta, vedendolo intrecciarsi le dita delle mani. "Bene... Ora voglio che scriviate dove avete conosciuto questo ragazzo chiamato Lucas oppure..." Li feci rimanere col fiato a metà. "Consegnerò il video di vostro figlio alla polizia. Una sola parola ai vostri figli e denuncerò Aymeric oggi stesso." Guardai l'orologio al polso, sentenziando. "Il conto alla rovescia è già cominciato."
Casey aveva gli occhi orrendamente spalancati. "Louis..."
"Shh... L'interrogazione verbale è terminata adesso. È tempo di scrivere."
L'uomo si passò le mani sulla faccia e Giselle mi guardò con la stessa espressione di un cucciolo ferito.
Feci mentalmente ritorno nel passato, - a cinque anni prima - ricordando il momento in cui tutta quella vicenda era iniziata...
«Dove sono?» chiesi alla bionda bypassando i saluti ed entrando nella casa di campagna di proprietà della famiglia McNulty.
Lei si voltò. «Dentro.»
Buttai fuori un sospiro e mi pose le mani sulle spalle con fare lascivo, per farmi voltare nella sua direzione. «Abbiamo fatto il nostro lavoro, come volevi tu. Quando potrò avere il mio denaro?»
«Quando avrò finito.» Avvertimmo poi uno sparo secco, e mi girai.
«E' già finito.»
Sentii Aymeric chiamarmi da ogni parte e gridare di aver appena ucciso una donna, in preda al panico. Lo guardai impugnare la pistola e torturarsi i capelli con le mani. Non smetteva di gridare a squarciagola e ripetere che la ragazza con cui se la stava spassando voleva soltanto giocare. E puntai lo sguardo sulla telecamera di sicurezza per assicurarmi che avesse ripreso la scena.
Lasciai la bionda e raggiunsi Aymeric nell'altra camera, sul letto giaceva ancora il cadavere della ragazza, e lui non faceva che gridare come un pazzo.
«L'ho uccisa!»
«Aymeric!»
«Louis! L'ho uccisa io, l'ho uccisa! L'ho uccisa!» Controllai le pulsazioni sul collo e poi lo presi di peso, urlandogli.
«Smettila, cazzo! Calmati!»
«L'ho ammazzata!»
La mia complice arrivò in quel frangente e si portò le mani alla bocca, per frenare un urlo di terrore, nel vedere la compagna senza vita. Continuò a ripetere la stessa frase con voce rotta dal pianto, mentre lo trascinavo per stenderlo sopra il divano.
«Sono un assassino. L'ho uccisa.» Stava per avere uno dei suoi soliti attacchi di epilessia.
«Dove sono le tue medicine?!»
«L'ho uccisa... L'ho uccisa ... Sono un assassino.»
Tirai fuori dalla tasca le pillole e gliene feci inghiottire a forza due. Alzò gli occhi al cielo e si raggomitolò su sé stesso.
La bionda si mise le mani fra i capelli. «E ora che succederà?»
«Si calmerà, vedrai.» La sorpassai per prendere il cellulare e mettere in chiamata. Ma c'era la segreteria. Non mi avrebbe mai risposto, dovevo escogitare altro. «Non smetterò di porre fine a questo problema...».
I miei occhi si focalizzarono nuovamente sulle espressioni angosciate di Casey e Giselle.
Non mi sarei fermato, finché non gli avrei estorto quella verità.
La giornata al mare mi aveva rassenerato un po' scacciando via i brutti pensieri, e mi accinsi a salire le scalinate per raggiungere la mia serra, dove potevo starmene sulle mie. Non mi andava di tornare nella mia prigione dorata. Accesi l'interruttore, rischiarando il buio che mi circondava e appoggiai la borsa sulla sedia. Mi spogliai anche del cappotto e infilai la mano fra i capelli biondi, liberando il cavalletto di un vecchia tela per metterne un'altra pulita.
Mi avvicinai al tavolo e presi un tubetto di tempera, insieme alla tavolozza dei colori. Volevo lasciarmi travolgere dalla mia passione più grande e magari ignorare ciò che c'era al di fuori di quella serra, il mio posto incantato, lontano da tutto e tutti.
Specialmente da Louis Hynes.
❛...❜
Mentre ero concentrata a dipingere i capelli di una forma ancora astratta - probabilmente quella di una donna -, la suoneria del cellulare disturbò il silenzio. Mi alzai, posando sullo sgabello l'occorrente, e risposi. "Miri? Ciao..."
"Amybeth, accendi subito la televisione sul canale dedicato all'Economia!"
Sembrava letteralmente su di giri. Feci come mi aveva chiesto, senza chiederle il motivo, e quando accesi mi trovai davanti Lucas.
«Benvenuti, cari telespettatori! Sappiamo tutti che il nome del nostro ospite, Lucas Zumann... È correlato a fatti davvero sconcertanti. In primo luogo, l'incidente accaduto in quella miniera americana, qualche anno fa, quando egli ha salvato la vita a moltissimi minatori. E non dimentichiamoci di dire che entro un anno è diventato direttore del gruppo NYZ in Irlanda. Ha appena iniziato a lavorare, ma ha già riscontrato risultati brillanti. Ora è considerato un concorrente di Louis Hynes... E vorrei chiederle, cosa ne pensa a riguardo?»
«Io non sono Louis Hynes e non intendo diventare come lui. La collaborazione con il signor Louis è solo una tappa del mio cammino. La mia strada è un'altra e i miei principi e ciò in cui credo sono diversi dai suoi. Sì, forse ho iniziato da poco in questo settore, ma nessuno può prevedere quali risultati otterrò in futuro al momento.»
Incrociai le braccia e gli occhi si inumidirono, come se mi avesse pugnalata, anche attraverso il vetro di una televisione con quello sguardo dannatamente gelido.
«Ha detto di non essere Louis Hynes, ma posso vedere l'aggressività nel suo sguardo mentre parla. Sbaglio? Non sono proprio parole di un uomo d'affari ambizioso.»
La sua espressione mutò di colpo, diventando pensierosa. Probabilmente si era reso conto di aver dato l'impressione che non voleva dare: quella di un uomo senza scrupoli, che feriva, solo per il piacere di appagare la rabbia, che lo stava consumando dall'interno.
«Come puoi sminuire la nostra relazione così a buon mercato?» sbottai al limite della collera.
«Tutto ha un prezzo, giusto? Anche un nome ha il suo sussidio.»
«Lucas...» tirai su col naso e mi avvicinai con le guance bagnate. «Cosa ti rende diverso da Louis adesso? Dimmelo! Sei freddo e calcolatore, proprio come lui. Guarda cosa stai dicendo: parli di denaro, potere. La tua è un'ossessione.»
«Tienilo pure. Sei bravo a sbarazzarti delle cose.» gli dissi, quando gli consegnai lo scrigno con tutti gli oggetti che riguardavano la nostra storia. Il nostro amore.
Dopo un'iniziale momento di confusione, riprese.
«Con il suo permesso, potrei allentare la cravatta?»
«Certo.»
Il riccio se la tolse direttamente con smania. «Non sono nato in una famiglia benestante. Sono figlio di artigiani, che si sono rimboccati le maniche e hanno lavorato duramente per crescermi e insegnarmi tutto quello che so'. Sono stato minatore. Siamo usciti dalla miniera con la mia squadra. In quel posto siamo tutti uguali. Anch'io sono umano. Ho momenti belli e brutti come tutti. Quando ha detto che sono ambizioso... E se ci sono altre persone che mi considerano così,» fece una pausa. «Ho solo una spiegazione.» Guardò dritto nella telecamera. «Ho fatto un errore. Tutti commettiamo errori in qualsiasi momento della nostra vita. Ma si può tornare indietro se abbiamo preso la strada sbagliata, e ricominciare daccapo. Per esempio, oggi... Ho ferito le persone a me più care.» confessò mentre gli facevano un primo piano. «Mi dispiace, ho sbagliato.» Poi si rivolse alla giornalista. «Non credo nelle cose che si fanno con l'arroganza... E ci sono persone che agiscono così, però io non faccio parte di questa categoria.» Sentenziò.
Sentire il suo discorso così profondo mi fece affiorare un piccolo sorriso sulle labbra. Finalmente avevo riconosciuto e ritrovato il ragazzo di cui ero da sempre stata innamorata.
Pov's Louis
Raccolsi i due fogli e lasciai la stanza per dirigermi nel mio ufficio, mentre davo un'occhiata a quello che avevano scritto. Il mio braccio destro si posizionò di fronte a me. "Dimmi, Erich. Sta venendo?"
"Sta arrivando."
"Dov'è il nostro ipocrita?"
"Ha appena terminato un'intervista in diretta e si sta dirigendo verso un quartiere non troppo distante da qui. Ecco, tenga una copia." Mi porse un documento, ma rifiutai.
"Prima voglio farla finita una volta per tutte, poi lo vedrò con molto piacere. Ora ce l'ho tra le mani." Distolsi il volto da quello del mio assistente, pregustando il momento in cui avrei sconfitto quel maledetto, rendendogli la stessa moneta.
"Nel momento in cui si è scusato con i suoi cari, volevo dirle che quella parte mi ha commosso molto." confessò Iván, guardandomi attraverso lo specchietto.
"Molte volte..." mi bloccai per abbozzare un sorriso. "Dimentichiamo il potere dei sentimenti."
Nell'abitolo si diffuse uno prolungato silenzio, disturbato dai miei sospiri frequenti.
"Perdoni la domanda, l'è stato d'aiuto? A chi ha chiesto scusa, l'avrà sentita, signor Lucas?"
"Non torneremo a casa, Ivan. Prosegui dritto, per favore." gli indicai, cambiando repentinamente discorso.
"D'accordo, signore."
"Devo vedere una persona."
Pov's Louis
"È arrivato il nostro uomo?" chiesi al biondino, mentre mi chiudevo il portone rosso alle spalle.
"Sì, signor Hynes."
Mi scortò attraverso il lungo sentiero in pietra, che conduceva al cancello principale e accelerò il passo per precedermi e andarlo a spalancare. Mi fermai mentre lentamente lo apriva, mostrandomi il volto dell'uomo che aveva accettato di aiutarci a distruggere Lucas.
Il castano si fece avanti e ci stringemmo la mano.
"Benvenuto." Lo guardai e lui scrutò i dintorni alle mie spalle, immaginando quali ricchezze avesse conquistato, se si fosse schierato dalla parte giusta. "Sei proprio l'uomo di cui avevo bisogno."
Erich intanto chiuse il portone alle nostre spalle. Il trillo di una notifica mi fece fermare dal proseguire verso l'abitazione e con cenno del dito chiesi ai due uomini di fermarsi.
Il pesce aveva abboccato all'amo.
Mi rimisi il cappotto e presi la borsa, per poi spegnere tutte le luci. Discesi le scale e mi avvicinai al vecchio portone, ma quando l'aprii per uscire, restai inchiodata.
Lucas era proprio davanti a me e mi sembrò di smettere di respirare. L'emozione mi stava sconquassando il corpo e i miei occhi scesero a ispezionare la sua figura, fino a raggiungere il suo volto spigoloso e perfetto.
"Lucas?"
"Dobbiamo parlare."
Annuii e mi feci da parte per farlo passare. Mi tallonò sulle scale e lo feci entrare nella serra, per poi voltarmi verso di lui.
Entrò con prudenza, come se fosse un campo disseminato di mine, e non volendo urtò con la gamba i barattoli di vernice. Una piccola risata mi sfuggì dalle labbra.
Nonostante tutto, era lo stesso ragazzo sbadato di un tempo.
❛...❜
Gli sorrisi, con i nostri visi così vicini, poi fece unire le nostre labbra, ma indietreggiando sbatté contro il tavolo, rovesciando dei barattoli di vernice a terra. Il suo sguardo confuso mi strappò una risata.
«Da quel che vedo, sei un bel po' sbadato.»
Lucas scosse la testa per negarlo. «No... è che sono innamorato.» Accostò la sua fronte alla mia testa e mi strinse a sé, mentre facevo scorrere le mani sulla sua schiena.
❛...❜
"Continui ad essere un po' imbranato..." Doveva essere tornato in mente anche a lui e ciò non lo rendeva entusiasta.
Distolse il volto. "Dopo che te ne sei andata, ho parlato con Louis. Ecco perché sono qui."
"Potevi chiamarmi, ma..." Il riccio tornò a guardarmi. "... Sei venuto."
"Pensavo che non avresti risposto alla mia chiamata. Per questo, ho deciso di venire qui." Fece sì con la testa. "Per proteggerti, gli ho detto che... ti volevo offrire un lavoro."
"Per proteggermi?"
"Ho dovuto giustificare la tua presenza nel mio ufficio."
"E che lavoro?"
"Gli ho detto che avresti ridipinto i muri dell'azienda."
Risi, alzando gli occhi al cielo, aggiustando la borsa sulla spalla. "Credo che non sia una cattiva idea, sai? Dovrei pensarci." Tornai a fissarlo. "Non arrabbiarti...Sto solo scherzando." Poi presi un bel respiro, fissandomi per un attimo i piedi. "E Louis ti ha creduto?"
"Sei tu quella che vive insieme a lui da ben cinque anni... Sei tu sua moglie." Distolse la testa senza incrociare il mio sguardo.
"Ho dimenticato di portare la mia armatura." Si voltò. "Mi stai attaccando di nuovo."
"La mia collaborazione con Louis è già troppo. Il passato apre le mie ferite. Ogni volta che ti ho visto... Ho scaricato la frustrazione su di te. E facendo soffrire te, ho ferito anche me stesso... È stata tutta colpa mia. Mi dispiace. D'ora in avanti... starò alla larga da te. Non voglio più che qualcuno si faccia male in questa situazione. Me ne vado."
Stava per uscire, quando dei forti colpi al portone lo fecero arrestare sulla soglia. Si voltò a guardarmi alla ricerca di spiegazioni, ma non avevo più pallida idea di cosa stesse accadendo.
*FINE CAPITOLO 12*
I'm back! Yes!
"Amore Infinito" la trilogia dedicata alla storia d'amore di Amybeth e Lucas continua con i suoi aggiornamenti, a pari passo con Heartbeat, la storia di Amy e James. Purtroppo, il cerchio si stringe e sembra che Louis abbia ormai capito cosa lega il suo nuovo socio alla famiglia di sua moglie, inoltre scopriamo anche che l'omicidio era tutto un piano architettato... ai danni di Aymeric!
Il poverino non ha ammazzato nessuno, ma Louis ha voluto incastrarlo per prendersi Amybeth e tenere in pugno Giselle e Casey.
Nel frattempo, Lucas capisce che ha sbagliato nei confronti dei suoi cari e si scusa pubblicamente con suo fratello, Amybeth e perfino Shannon dietro le quinte!
Poi il ragazzo decide di recarsi da Amybeth per parlare con lei e chiederle scusa...
Ma che piano ignobile avrà preparato Hynes per vendicarsi di quello che abbiamo capito diventare il suo acerrimo rivale?
E con la complicità di chi?
Non perdete assolutamente i prossimi capitoli di Amore Infinito!
Se vi è piaciuto, lasciate una stellina o un commentino. Mi raccomando!
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