𝘊𝘈𝘗𝘐𝘛𝘖𝘓𝘖 10/parte 1: "Verità che vengono a galla"

ᏗᎷᎧᏒᏋ ᎥᏁᎦᎥᏁᎥᏖᎧ

"Endless Love"

∞❤️∞

"Tesoro, sei tu?" chiese mia madre appena misi un piede nell'atrio di ritorno dalla mia passeggiata. Appoggiai la mano allo stipite e guardai la mia famiglia radunata lì, davanti al televisore.

"No, mamma, non è lui. È ancora per strada." scherzò mia sorella infilando la mano nella ciotola dei popcorn.

"Smettila di ridere e fai più attenzione! Sei la solita!"

Affondai le mani nelle tasche e oltrepassai la soglia.

"Figliolo... com'è andata con gli affari?" domandò mio padre con un sorriso smagliante.

Mi fermai davanti a loro e risposi. "Bene."

"Menomale."

"Grazie." Abbassai la testa e mentre passavo assestai una pacca sulla spalla del mio rompiscatole fratello, che già era pronto a sparare qualche battutina.

"Ne sento l'odore da qui... Figurati se gli poteva andare male!"

"Mamma..." Andai a salutarla baciandole il dorso e mi chiuse le mani fra le sue, fissandomi negli occhi. Vi brillava una luce particolare. Da quando ero tornato regnava un'atmosfera serena. "Sto bene, e a voi? Tutto bene?" Chiesi di rimando.

"Stiamo guardando un film."

"Ti direi di guardarlo con noi, ma tu forse hai in programma altro. Non fare tardi, mi raccomando."

Presi posto in mezzo a loro due. "No, non credo che uscirò stasera." Mia madre mi accerchiò le spalle e si accostò di più, mentre appoggiavo il palmo sulla coscia di papà. "Che film è?"

Dopo una manciata di secondi io e mia madre affermammo. "Romeo e Giulietta."

Stavano trasmettendo la famosa scena del balcone. Romeo si era nascosto dietro ad un cespuglio, così da poter ammirare la bellezza della donna di cui si era follemente innamorato.

Una donna per certi versi irraggiungibile, ma per cui avrebbe potuto scalare a mani nude la vetta più alta solo per sposarla e passare con lei il tempo che mancava. Sembrava la manovra del destino che fosse proprio quella storia ad essere stata mandata in onda.

"Bel film."

"Le due famiglie sono odiose! Come possono non capire che i figli si amano davvero? È tutto fuorché un capriccio!"

"Guai a loro!" risposero all'unisono Kyla e Jacob. S'indirizzarono uno sguardo complice e batterono il cinque.

"Pensano di fare la cosa giusta. Vogliono ostacolare quell'amore per paura che cancelli il loro odio, ma alla fine è quello il grande peccato che li condannerà." spiegai ai presenti con gli occhi puntati sui protagonisti, intenti a baciarsi, prima che Giulietta venisse richiamata dalla balia.

Scacciò quindi l'amante per proteggerlo dall'ira dei suoi.

"Che ne dite di spegnere la luce?" propose papà.

"Certo, papà." Risposi.

"Jacob."

Il castano si allungò verso l'interruttore e la stanza fu immersa nel buio. Osservai lo schermo senza dire una parola, notando quanto dolore fosse racchiuso in quelle scene, soprattutto a causa di una separazione forzata, sfociata nel voler sfidare perfino la morte pur di stare insieme.

Mia madre mi passava la mano fra i ricci e le rivolsi un sorriso. Quel gesto mi rilassava tanto. "A proposito." ripresi. "Non tornerò negli Stati Uniti. Ho deciso di rimanere qui stabilmente."

I presenti rimasero sbalorditi e per qualche secondo non volò una mosca.

"Non posso crederci!" esclamò mia madre gettandomi le braccia al collo e annuii. Kyla si tirò su dal pavimento andando ad accendere la luce. "Che splendida notizia!"

"Sono molto felice." Dichiarò mio padre schioccandomi un bacio sulla guancia, come fece anche mia madre.

"Anch'io lo sono."

"Bravo, fratellino! Ottima scelta!" Squittì la biondina emozionata mentre le stringevo affettuosamente il braccio.

"Che buona notizia, Lucas!"

"D'ora in poi... rimarrò qui. Non andrò da nessuna parte."

"Molto bene." farfugliò il castano.

Qualche ora dopo, ero nel mio letto immerso nei pensieri contemplando l'anello che tenevo fra indice e pollice. D'un tratto il cellulare squillò, segno ch'era arrivata una notifica, e mi voltai verso il comodino.

Vidi sul display quell'SMS. Sospirai e afferrai l'aggeggio, spostando le coperte che mi coprivano. "Cosa vuoi chiedermi ancora Shannon?" Pensai prima di richiamarla.

"Ciao... Hai deciso di vendere la casa oppure rimarrà? Posso occuparmene io, se vuoi."

Mugugnai un po' e alla fine affermai. "Non lo so. Voglio dire che non c'ho ancora pensato. Ma l'appartamento può restare, non è un problema."

"Allora c'è la possibilità di tornare indietro, no?"

"No, non tornerò indietro." Immaginavo che quella risposta avrebbe fatto crollare ogni sua speranza come un castello di sabbia, così decisi di riformulare meglio. "Ma, ovviamente, non possiamo sapere cosa ci riserverà la vita. So solo che il mio posto è qua."

"Puoi essere più chiaro? Voglio dire... tornerai o no?"

"Non penso di tornare, Shannon." Ribadii consapevole di darle un dispiacere, dopo avermi sentito parlare cento volte con il signor Dawson che Dublino era una città fantasma, una questione archiviata finora.

"Non pensi mai a cosa faranno senza di me, giusto?"

"Puoi farlo, mi sta bene." tagliai corto drizzando la schiena. "E non preoccuparti per me. Sto bene, ok?"

"Va bene..." mormorò appena giù di morale. "Buonanotte..."

"Buonanotte anche a te." Ricambiai e riattaccai. Ancora una volta, strinsi nelle mani quell'oggetto, che avevo scelto con parsimonia in passato, intenzionato ad infilarlo al suo dito... ma mi aveva sbattuto la porta in faccia e ridotto il cuore in brandelli. Come avrei potuto mai perdonarle un simile gesto?
Lo feci scivolare nella tasca della camicia e spensi l'abat-jour, rimettendomi sotto le coperte per tentare di dormire almeno un po'.

Quella mattina, raggiunsi la casa sul mare di Mary. Avevo bisogno di qualche consiglio materno e non c'era persona più affine di lei al mondo. Risalii la scalinata, che conduceva sulla spaziosa terrazza, e la vidi affaccendata mentre sistemava i fiori nei vasi, sul tavolino in ferro battuto.

"Perché non sei cresciuto, pigro?" Si rivolse alla piantina.

"Immagino che non volesse lasciarti!"

Uscii allo scoperto andandole incontro e lei mi regalò un sorriso radioso, messo in evidenza delle sue labbra carnose e la carnagione bronzea.

"Ah, Lucas!" esclamò e la baciai sulle guance. "Sono molto sorpresa di vederti."

"No, non lo sei affatto."

Sorrise compiaciuta. Chissà cosa le frullava in quella testolina diabolica.

"Non potevi andartene."

Abbassai lo sguardo fissandomi le scarpe. "Non l'ho fatto. Non ho potuto lasciare tutto un'altra volta e scappare come un coniglio."

"Stai aspettando che ti chieda il perché, ma non lo farò." Afferrò un vaso e si allontanò leggermente. Poi parve rifletterci. "Ma posso chiederti qual è la tua 'scusa'?"

"Non ho scuse." Affondai la pala nel terreno e rialzai il viso, mentre parlavo a bassa voce. "Non ho finito con Hynes."

Mary si avvicinò sistemando il coprispalle. "Sei impazzito?"

Sollevai gli occhi. "No." Mi scrutò senza distogliere gli occhi cioccolato dalla mia faccia determinata. "Te lo sto dicendo. Tu l'hai chiesto e io sto rispondendo." Sospirai vedendola abbozzare un'espressione maliziosa. "Ho bisogno di restare qui. Non posso lasciargli il comando. Questa volta non potrà fare ciò che vorrà. Tutto sarà esattamente come doveva essere."

"Vuoi solo vendicarti. Non mi hai detto ch'era finita? Non avevi nulla da spartire con quell'uomo... Eri fiducioso, volevi iniziare un nuovo capitolo in America, cos'è ch'è cambiato dentro di te, Lucas?" chiese poggiando la mano sul mio petto.

Rivolsi un'occhiata al panorama, che da questa altezza, era spettacolare e sviai il discorso. "Ho una riunione. Ti richiamerò nel pomeriggio."

"Lascia che ti accompagni." Si offrì liberandosi dei guanti da giardinaggio e percepii il ticchettio delle sue scarpe sul selciato. Mentre stavo per andare, mi bloccò. "Un secondo, un secondo..." Le diedi le spalle. "Sei andato a quella festa l'altra sera?" Mi stupiva la sua incredibile perspicacia. Cominciai a girarmi a rallentatore. "Li hai visti insieme nel loro cosiddetto momento più felice. Certo, e non dimentichiamoci la tua memorabile apparizione." Fece scorrere la mano dall'alto verso il basso sulla mia figura e accennò un sorrisetto. "Che cos'hai fatto? Hai allungato una mano e ti sei presentato con un "ciao, signora Amybeth. Sono Lucas?" Il mio silenzio e il fatto che mi conoscesse così bene le diedero una conferma. "Ho indovinato eh? Non credevo di farcela al primo tentativo." Imbarazzato, abbassai lo sguardo, come per celare le mie emozioni. "Poi l'hai guardata negli occhi... e hai capito che niente era cambiato, perché tu, in realtà..."

"No!" Avanzai di qualche passo. "Ho capito che tutto è passato, che a un dolore come questo si sopravvive e può non lasciare cicatrici. Ho ricordato quello che mi ha cambiato, da cosa sono scappato. Ma non ho più intenzione di mostrare le spalle al nemico, ne' di fuggire. Saranno loro a farlo adesso."

"Quindi hai accettato. Cerchi sul serio vendetta." Ruotai la testa verso di lei, credeva che scherzassi ma non era così. "Non farlo! No, Lucas. Ti farà più male, non farlo."

"Mary." Alzai la voce. "Ho già sofferto abbastanza."

"Tesoro, devi affrontare Amybeth. Parlarne con lei. Devi esternare ciò che senti... Mettete a nudo i vostri cuori una volta per tutte, sono sicura che vi capirete. Questo non è il modo giusto." tentò di convincermi, ma ero irremovibile sulla mia posizione. "Questo vi rovinerà entrambi alla fine, Lucas."

"Ho parlato con lei."

"Quando?"

"La scorsa notte. Al porto."

"Allora? Gliel'hai detto? Hai detto che non riesci a dimenticarla? Hai detto che stai passando un periodo difficile?" Non avevo confessato niente, avevo solo riversato tutto il mio dolore, sbattendoglielo in faccia senza troppi giri di parole... e avevo visto quegli occhi azzurri diventare lucidi a causa della mia insensibilità. Mary capí al volo e persi un battito. "Ecco... vi siete parlati, ma avete taciuto a vicenda la verità, mentendo ancora a voi stessi."

"Ora me ne devo andare sul serio." Dissi volendo mettere un punto a quella storia.

Basta pensare a lei, basta farmi mille paranoie su Amybeth e corrodermi il cervello con quelle immagini nauseanti. Ormai non m'importava più, poteva anche baciarsi con quel viscido serpente.

Mi ero già avviato verso le scale.

"Sarete rovinati se non parlerete apertamente di ciò che volete senza filtri!" Urlò, affacciandosi. "Ti distruggerai con questa sete di vendetta e lei cadrà in rovina." Scesi agilmente gli scalini. "Non farlo! Non porterà a nulla di buono, per favore. Ascolta il tuo cuore e non fare pazzie!"

Troppo tardi...


Nella mia serra provavo a dare sfogo ai miei sentimenti su un foglio A4, ma il ritratto su cui mi ero cimentata era solo uno schizzo orribile. Rappresentava una donna malinconica, gli occhi tristi, il viso scavato. Mi si addiceva, certo.

Il cellulare squillò per la millionesima volta, guardai il mittente - mia madre - e lo ignorai. Continuai a scarabocchiare, fino a che non tracciai delle righe oblique per cancellarlo.

"Era orrendo. Un aborto dell'arte."

Portai la mano contro la fronte, facendola scorrere nei capelli e sbuffai.

In quel momento, la mia amica spalancò la porta ed entrò.

"Racconta, su. Sputa il rospo!" Si venne a sedere, impaziente di conoscere i retroscena. "Ch'è successo ora? Qual è la situazione?"

"Non c'è niente di nuovo, Miranda. Ne so quanto te. Sta lavorando con Louis ed è stato invitato alla festa. Ecco tutto."

"Che coincidenza!" esclamò mentre avevo lo sguardo puntato sul disegno. "Come ti sei sentita? È stato come temevi? Ti ha parlato? Ti ha detto qualcosa?"

Sospirai smettendo di disegnare e mi voltai brevemente. "Mi ha parlato come se fossi un'amica di vecchia data."

"Certo, era quello che cercavo di farti capire. Il tuo panico era ingiustificato. Ti sei imbattuta in lui, è successo. Ma per pura coincidenza è venuto al tuo anniversario." Mi ricordò e poi sghignazzò, come se lo trovasse una barzelletta. "E' stato invitato a casa vostra per il fine settimana."

"Sì, ma non sarà mio ospite."

"Che intendi?"

"Significa che non rimarrò a casa." Puntualizzai.

"Stai scappando?"

"No, ma non voglio sopportare oltre questa situazione." Risposi guardandola prima di posare la matita e sostituirla con la gomma per provare a cancellare quella tristezza, almeno dal mio ritratto. Lo tolsi dal cavalletto e lo accartocciai, gettandolo per terra con stizza. Chiusi gli occhi per ripristinare la concentrazione. Magari anche il mio malumore fosse venuto via con un colpo di gomma.

Louis

"Sto facendo tardi a lavoro, tesoro." Dichiarò la mia assistente tra le mie braccia, mentre continuavo a lasciarle una scia di baci sulla pelle per soffocare le sue proteste, beandomi del suo profumo.

"Fortunatamente, c'è il capo qui con te." Le strinsi maliziosamente il fianco e affondai la testa tra collo e clavicola. All'improvviso dei colpi potenti alla porta la fecero ritrarre. "Non importa, è il servizio in camera."

"Ma stanno insistendo parecchio."

"Vieni qui!" Gridai ma sgusciò via dalle lenzuola e indossò al volo la mia camicia sgualcita. Uscì dalla stanza e spostai il lenzuolo dal mio corpo.

Bridgitte andò a controllare.

"Allora è tutto vero! Louis! Louis!" Sbraitò il castano, comparendo alla soglia rabbioso, mentre infilavo i pantaloni. Quel ragazzo era così noiosetto da farmi pena.

"Perché stai urlando?" chiesi annoiato mettendo la vestaglia e raccogliendo sul pavimento il vestito per restituirlo a Bridgitte. "Tu vattene." Ordinai e la donna alzò gli occhi al cielo. "Hai preso le tue pillole? Stai tremando. Non svenire qui... Mi creeresti dei problemi." Lo sorpassai e mi tallonò nella camera adiacente.

"Significa ch'è vero ciò ch'è stato scritto su questa donna! Te la porti a letto alle spalle di mia sorella?!"

"Sì, è vero, ma solo in parte. Noto con più piacere che stai leggendo molte riviste di gossip."

"Esatto!" Sbottò fulminandomi. "Tutto ciò che include Amybeth, include anche me. Tradirla in questo modo è veramente disgustoso. Non osare farla soffrire!"

"Tua sorella sa tutto e non ha avuto alcuna obiezione. Cosa c'entri tu? Non abbiamo chiesto la tua opinione."

Digrignò i denti. "Che tu sia maledetto Louis! Te la farò pagare!" Mi si avventò contro con scatto repentino, agguantandomi per i lembi della vestaglia, facendomi indietreggiare.

"Cos'hai intenzione di fare Aymeric? Picchiarmi? Sei troppo gracile." A quel punto, lo spinsi indietro con una manata brusca.

"Amybeth non è felice. Ha recitato il ruolo della moglie felice con me, ma non è vero. Tu stai giocando con tutti, principalmente con mia sorella! Dannazione! È stata tutta colpa mia! L'ho costretta ad accettare questo matrimonio. Tutto questo è solo un gioco! Una trappola!" Ringhiò e mi fece esaurire la pazienza di colpo.

"Basta!" Lo spintonai e mi avvicinai ancor di più al suo volto. "Vai a rovinare questo gioco se ne hai il coraggio! Confessalo! Confessa alla polizia che sei un assassino. Libera tua sorella da questo peso e rendila felice... poi ti chiuderanno in prigione o ti spediranno in qualche manicomio!" Gli afferrai il braccio e lo costrinsi a camminare dirigendoci verso l'ultima porta del corridoio, strattonandolo con veemenza per il colletto della camicia. "Se ti porto in bagno e ti chiudo dentro come un topo di fogna." Spalancai la porta e lo spintonai e cadde in ginocchio sul parquet. "Diventeresti pazzo in soli due minuti!" Lo tenni fermo e braccato e sollevò le mani a mo' di resa. "Andiamo... Vai a rovinare il gioco! Prenditi le responsabilità delle tue azioni come un vero uomo. Vai in prigione, impazzisci e togliti la vita due giorni dopo!" Lasciai la presa e continuai. "Ucciditi e Amybeth farà lo stesso! Sta sopportando tutto questo a causa tua! E io per colpa sua! Per l'amore che provo!" tuonai tutto d'un fiato con i pugni serrati, a pochi centimetri da lui, rannicchiato. "Fallo! Dí la verità! Rovina il gioco! Sii un po' coraggioso... Dai, fallo. Finisci questo gioco! Fallo, se vuoi!" Alzò a malapena lo sguardo, tutta la rabbia sembrava aver lasciato il posto a un essere smidollato e facilmente manipolabile come lo era sempre stato dagli albori. "Uccidici tutti. Dai un taglio a questa storia!" Sputai acido, prima di tornare in camera e sedere sul bordo del letto, incassando la testa nelle spalle.

Aymeric, a quel punto, sbucò fuori con il volto coperto nelle sue mani e percorse il corridoio, andandosene in silenzio con la coda tra le gambe.

Mentre cercavo di disegnare qualcosa di decente, il cellulare prese a squillare per l'ennesima volta.

Stavolta un altro nome, che non mi aspettavo, lampeggiò sullo schermo.

Kyla... la sorella di Lucas.

Dopo quel diverbio nel salone, l'avevo abbandonata sul marciapiede e proseguito per conto mio.

Posai la matita e mi accinsi a rispondere sistemandomi sullo sgabello.

"Sì, Kyla?"

"Come stai, AB?" chiese incerta, come se avesse paura di toccare qualsiasi tasto, anche se ci aveva pensato suo fratello a rompermi di nuovo in mille frammenti. "Amybeth." proseguì dopo un po'. "So che sei arrabbiata con me per mio fratello, ma... Possiamo rimandare a dopo i rimproveri? Volevo ricordarti una cosa."

"Dimmi pure... Ti ascolto, tesoro."

"Mi avevi promesso che mi avresti aiutata con il lavoro dell'agenzia."

Sospirai. "Sì." Alzai gli occhi verso il soffitto. "Ma è stato prima che mi arrabbiassi con te, giusto?"

"Mi aiuterai comunque, vero?" insistè. "Voglio dire... non c'è nulla di diverso tra di noi, no? AB, guarda, noi abbiamo una relazione diversa. Il nostro rapporto è differente da quello che hai avuto con Lucas, in passato. Ti ho sostenuto e sono rimasta al tuo fianco per tutti questi anni, nonostante la mia famiglia, lo sai. Non mi volterai le spalle, vero?"

"Certo, alla fine te l'ho promesso. Ti aiuterò Kyla."

"Benissimo!"

"Ti sei fatta fare delle foto? Se l'hai fatto già, lasciamele sul posto di lavoro e me ne occuperò io, d'accordo?"

"Va bene, lo farò alla prima occasione. Grazie mille. Ci vediamo."

Mi salutò e riagganciò, non lasciandomi il tempo di salutarla.

Era estremamente su di giri alla prospettiva di entrare in quel campo e di diventare una modella professionista.

Come darle torto, era ancora così giovane... e inesperta.

A bordo dell'Uber stavo per raggiungere l'entrata dell'azienda e dal finestrino notai l'insegna dell'Hynes Holding spiccare più di tutto il resto.

L'autista fermò la macchina e, come sua abitudine, stava per slacciare la cintura per venirmi ad aprire la portiera. Lo bloccai, picchiettando la mano sulla sua spalla e mi osservò sorpreso dallo specchietto centrale.

Dopotutto ero in grado di scendere senza difficoltà, non serviva che un altro lo facesse al mio posto.

"È compito mio!"

"Buona fortuna, signore!"

"La fortuna non esiste, Ivan. Non né ho bisogno neanche se esistesse." spiegai mentre mi mostrava un sorriso radioso e poi scesi dalla vettura.

Chiusi la portiera e aggiustai i bottoni della giacca, prima di dirigermi all'interno con passo svelto. Superai l'addetto alla sicurezza piazzato accanto alle porte automatiche e avanzai verso le scale.

"Ci stai offrendo solo un deficit, ovviamente." Snocciolò Louis Hynes, accarezzandosi le labbra, mentre eravamo seduti l'uno di fronte all'altro.

"Io li chiamerei profitti a lungo termine."

"Così non danneggeremo il territorio circostante e non infastidiremo la popolazione locale." osservò Casey.

"Sforzi inutili. Non c'è alcun vantaggio." Dichiarò apertamente il biondino con una smorfia e diede un'altra occhiata ai documenti. "L'arricchimento del carbone, i camini di filtrazione e tempi inutilmente lunghi d'attesa." Si sporse verso di me. "Normalmente si prendono due uomini influenti della zona..."

"Si comprano, in realtà." Lo corressi.

"Non diciamo così." Intervenne Casey, ma il genero lo guardò, interrompendolo.

"No, diciamo esattamente così. Diciamo questo, che li abbiamo comprati. Loro organizzano la gente del posto. Non avremo bisogno di impieghi, camini ecologici o costruzioni di scuole. E il gioco è fatto."

"C'è qualcosa d'importante che hai dimenticato." Si limitò a fissarmi. "Vedi le persone come dei fattori, non come esseri umani." Mi fece un cenno e si premette contro lo schienale, ma la sua strafottenza non mi fece saltare i nervi. "Ci sono altri modi per farlo senza creare danni a nessuno. Sai anche questo. Se non seguiamo questo percorso, non ha senso continuare la nostra collaborazione."

"Basta con le tue lezioni morali!" Ringhiò con aria scorbutica, come se gli desse fastidio che qualcuno avesse un'altra opinione su un argomento.

"Vogliate scusarmi."

Mi alzai in piedi intenzionato ad uscire.

"Signori, per favore." Casey cercò di raffreddare gli animi.

"Sí, per favore!" concordò anche Divan Hynes, guardando prima me e poi suo figlio seccato. "Vedo che entrambi state dogmatizzando. Siete giovani e inesperti... Potete ascoltarmi ora?" Si girò verso di me e aggiunse. "Per favore." Fissai Hynes e tornai seduto. "Louis, leggi e discutiamo dell'accordo in Giappone." Poi continuò rivolgendosi a me. "E signor Lucas, può cercare modi con meno deficit per l'onore degli uomini d'affari come noi? Ci pensi meglio." Osservò suo figlio che lo guardò a sua volta, annoiato. "Non seminare vento... perché raccoglierai tempesta."

Ci guardammo all'unisono. Aveva l'espressione trionfante di colui che sentiva di avere quella vittoria in tasca.

Ma non avevo intenzione di cedergliela facilmente, non mi avrebbe sconfitto.



"Amybeth!" Il tono alterato di mia madre risuonò per tutta la casa e non presagiva niente di buono. Da quando, Lucas era «tornato dal mondo dei morti» anche la tranquillità di lei era andata a farsi benedire.

Quando varcai la soglia, si voltò e ordinò a Margot, intenta a sparecchiare la tavola, di andarsene con uno sbrigativo cenno della testa.

Non appena uscí, cominciò il suo straordinario interrogatorio.

"Ti ho chiamato migliaia di volte da ieri sera. Perché non mi hai richiamata?"

Non volevo ascoltare la solfa sul fatto che dovessi sbarazzarmi di Lucas. Non potevo controllare i suoi movimenti, né chiedergli di fare le valigie e partire.

"Perché non c'è niente di cui discutere."

"Dovevi dormire in hotel. Sei rimasta a casa?"

"Sì."

Feci l'atto di dirigermi verso la porta, ma lei mi intralciò, afferrandomi prontamente il braccio.

"Guardami!" Mi riportò nella posizione precedente e sollevai gli occhi, scocciata. "Ecco qua... Vedere solo una volta quel ragazzo è sufficiente per farti cadere a pezzi, non è vero? Hai dimenticato subito Louis!"

Le rivolsi un sorrisetto ironico. "Mamma, da quando avrei preso in considerazione Louis?"

"Louis è tuo marito, Amybeth. Non devi dimenticarlo. Se non pensi a te, perlomeno pensa ad Aymeric!"

Avanzai di un passo e la guardai dritto negli occhi, simili ai miei, ma oltre quello non c'era null'altro che ci accomunasse.

"Non è stata l'unica cosa a cui ho pensato per anni, mamma? Non sei stata la mia spietata complice in questa situazione? Non ho ingannato mio padre e Aymeric con il tuo aiuto?"

"Cosa succederà se Louis dovesse scoprirlo? Pensi che ti lascerà scappare con Lucas?" replicò con le braccia incrociate al petto e distolsi il viso facendo una smorfia. "Ammettiamo che lo faccia... lascerebbe in pace Aymeric?"

"Nessuno sta andando da nessuna parte, mamma. Pensi che Lucas mi porga la sua mano dopo tutto il male che gli ho causato?"

"Non provarci neppure." mi ammoní con un'occhiataccia facendo un altro passo per sostenere le mie pietre azzurre. "Il fuoco che cerchi di alimentare ad ogni costo con quel giovane ci spedirà all'inferno. Ci carbonizzerà! Tu lo farai andare via. Subito! Lo allontanerai con la forza se necessario" piegai la testa. "E senza discutere!" aggiunse, perentoria.

Sospirai. "Mamma, non gli importa più nulla di me. Non devi temere. Perciò... continuerò a vivere in questa bugia. Va tutto bene." Senza dire altro, abbandonai la stanza.







"Mamma, che festa!" commentò la mia sorellina, allungando il braccio per rubare qualcosa dal piatto. Nostra madre non si era risparmiata e aveva cucinato per un intero esercito.

"Una festa, naturalmente. Anzi la mia festa." Sottolineò con orgoglio.

"Tua madre ha cucinato queste prelibatezze per te. Dobbiamo festeggiare il tuo ritorno, figliolo."

"Vi ringrazio tanto."

Lei annuì e un sorriso amorevole le si dipinse sulle labbra. "Il mio caro bambino è tornato a casa. Non è un buon motivo per festeggiare?"

"Ti sei impegnata invano, mamma. Cibo fatto in casa. Non è più sufficiente per Lucas, giusto?" intervenne Jacob e alzai gli occhi dal mio piatto. A lui piaceva lanciarmi queste frecciatine.

"Oh, caro! Come puoi dire questo? Il mio Lucas è sempre stato un appassionato della mia cucina. Vero, Lucas?" I suoi occhi brillavano di gioia nell'interpellarmi. Era spensierata come una bambina.

"Certo che sì. Hai davvero le mani d'oro, mamma."

"Ma te lo sei perso, chissà per quale motivo..." insinuò ancora.

"No. Mi piacciono invece."

"Corri da una cena a un'altra riunione. Naturalmente ti manca il cibo di nostra madre." La biondina con la bocca occupata si girò dalla sua parte. Tenni lo sguardo concentrato su di lui, per capire dove volesse andare a parare. "Comunque sia, non c'interessa quello che stai mangiando. Cos'altro ti sei perso, Lucas?"

"Jacob!" lo richiamò nostro padre stritolando il fazzoletto nelle dita.

"Per esempio, ti sono mancati i vecchi tempi? Le strade, le barche, i tuoi amici d'infanzia..." Fece una pausa, poi alzò gli occhi. "Il tuo ex amore."

"Basta con queste stronzate!" tuonò papà.

"Non sto parlando a vanvera, papà." Si alzò e tirò fuori una rivista come un coniglio dal cilindro del mago. "Ho qui le prove..." La sbatté sul tavolo e nel vederla mi si gelò il sangue nelle vene. Ingoiai a vuoto e poi incrociai il suo sguardo malefico, maledendolo in tutte le lingue che conoscevo. Mio padre prese la rivista e mise a fuoco.

"Papà." provai a difendermi. Mentre leggeva le pupille si dilatavano e il respiro si faceva più affannato.

"Fammi vedere! Cos'è?" Mia madre si accostò e gli accerchiò le spalle prendendo in mano quel pezzo di carta. Maledetti giornalisti... Si lasciò sfuggire un'esclamazione, trasalendo. "Le mie paure si sono avverate!"

"Il tuo brillante figlio, l'unico della famiglia ad avere un fiore all'occhiello. Guardate la sua vera faccia!"

"Siediti e sta zitto!" borbottò nostro padre rivolto a mio fratello. "Lucas? Puoi spiegarmi... che diamine è?" Mi mostrò il giornale e l'immagine che mi ritraeva insieme a Louis Hynes e sua moglie alla festa dell'anniversario.

"Papà... Non è ciò che pensi, era un invito formale per affari."

"E da quando il quinto anniversario della tua ex fiamma con Louis Hynes è una questione di lavoro?" ribatté il castano, deciso a tutto pur di girare il dito nella piaga.

"Cosa!?" prese a gridare nostra madre.

Nostro padre si strinse la mano al petto facendo una smorfia di dolore e Kyla saltò dalla sedia. "Papà, papà stai bene?"

"Papà!" esclamai.

Lasciammo la cena in sospeso radunandoci attorno a lui. Già una volta era capitato che il suo cuore facesse le bizze e non era stato piacevole. Abbiamo temuto che morisse, ma per fortuna il pericolo venne scongiurato dal tempestivo intervento dell'ambulanza.

"Che cosa hai fatto Jacob!?"

"Cosa vuoi dire con: 'che cosa stai facendo?' Papà ha rischiato di lasciarci le penne per colpa di quell'amore di merda in cui credevi tanto o l'hai dimenticato!?" mi fece notare con disappunto

"Per colpa tua! Se avessi tenuto a freno la lingua tutto questo non capitava!" obiettai puntandogli un dito contro.

"Grazie a te!" sbraitò, imitando il mio gesto.

"Finitela!" ringhiò. "Ora basta!" ripeté spostando lo sguardo da un viso all'altro. "Sedetevi. Tutti seduti..." Il silenzio tornò a regnare in casa, l'unico rumore fu quello delle sedie quando ci accomodammo. Lui restò alzato e riprese a parlare. "È vero, Lucas? Sei tornato a casa... per quella ragazza?"

"No, papà. Non è così. Credevo di essere stato chiaro, non c'è più niente che mi leghi a lei. Come puoi pensare che stia mentendo?" biascicai, abbassando la testa.

"Bene... Potresti spiegarmi che vuol dire questa foto?" Riprese il giornale. I presenti mi osservavano in silenzio, aspettando che dicessi qualcosa.

"Ti dirò tutto." dissi con tono pacato. "Ma voglio che ti sieda, papà." Lui annuì prendendo posto e sospirai, spostando gli occhi sul castano prima di continuare. "Sì. Sto lavorando con il marito di Amybeth, Louis Hynes."

"Sapevo che sarebbe successo, ne ero certa! Questa è una maledizione." esclamò mia madre furiosa..

"Non volevo. Giuro su Dio che non volevo farlo. Ma il signor Dawson non mi ha lasciato altra scelta. Ha piazzato questo progetto di fronte a me e mi ha detto 'questo lavoro è tuo'. Cosa avrei dovuto fare?"

"Ti sei buttato subito e non hai potuto rifiutare." Puntualizzò mio fratello.

"Certo che non potevo tirarmi indietro. Lui è il mio capo, è il mio lavoro." Guardai quell'uomo negli occhi. "Papà. Sì, sono tornato, anche se mi ero ripromesso di non farlo. Ma l'ho fatto solo per la gara. Hynes ha vinto la competizione. Ma io sono il direttore di questo progetto nell'azienda del signor Dawson e lui ha completa fiducia in me. Che cosa avrei dovuto fare? Cosa avrei dovuto dire? Avrei dovuto dire... che non accettavo l'ingaggio per questioni personali?"

"Ora che l'hai fatto soltanto per lavoro, perché non ce ne hai parlato prima?" Chiese Jacob.

"È per questo motivo... Volevo evitare questo tipo di reazione." Abbassai leggermente la testa ed emisi un altro sospiro. "Okay, lo capisco... capisco i vostri dubbi, ma anche voi dovreste comprendere. Sono stato io a viverli tutti. Sulla mia pelle. Ogni maledetto giorno." Mi colpii il petto con la mano stretta a pugno più volte, mentre gli occhi mi pizzicavano. "Ero disperato, papà. Lo ero..." Abbassai il volto. "Dovreste capirmi."

"Va bene, figliolo. Va bene." Rispose lui, congiungendo le mani sotto il mento mentre avevo gli occhi velati di pianto. "Il tuo lavoro adesso è terminato. Perché non sei partito più ieri sera? Perché hai detto che vuoi rimanere qui in modo permanente? C'è una ragione in particolare?"

Il mio sguardo vagò nel vuoto e mi lasciai distrarre dai pensieri, mentre tutti attendevano che parlassi. "Non l'ho fatto, perché..."

"Ok." M'interruppe con un gesto della mano. "Non voglio ascoltare. Ho già la mia risposta." Si rialzò e lo seguii.

"Papà, giuro su Dio. Non è come pensi! Ti prego, lasciami finire!"

Si girò, prima di raggiungere la soglia.
"È quello che spero, figliolo..." Poi si accigliò. "Spero che non ti perderai dietro quella ragazza. Ti ha già distrutto una volta. Le permetterai ancora una volta di giocare con i tuoi sentimenti?" Dopodiché uscì dal salone.

"Papà!" tentai di fermarlo e mi voltai verso la tavola. "Grazie, fratellino."

Non solo ci aveva rovinato la cena e il divertimento, ma aveva messo sottopressione nostro padre che, fortunatamente, non era stato colpito da un altro attacco.

Uscì anch'io, avevo bisogno di prendere aria e schiarirmi le idee.

Cos'aveva nel cervello quello stupido di Jacob? Della segatura, immagino. O semplicemente un bel niente.












"Il tuo programma per il fine settimana è ancora valido, Louis caro?" domandò mia madre con lo stesso tono civettuolo di sempre, nel bel mezzo della cena.

"Lo è, se vuole..."

"E quel Lucas... o come si chiama..." pronunciò, facendo perfino la figura della smemorata dinanzi al suo adorabile genero. "Verrà anche lui?"

"Sì. - sbuffò - testeremo le sue abilità nel maneggiare coltelli e forchette, sempre che ne sia esperto come il nostro progetto. Non vi sto chiedendo di partecipare per forza, ma dobbiamo dimostrare di essere una famiglia unita. No?" Esibí un sorrisetto e mio padre sembrò ricambiarlo con uno più blando, somigliava più a una smorfia, a dir la verità.

"Sono spiacente. Non potrò unirmi a voi questo fine settimana." li informai approfittando che l'argomento fosse saltato fuori.

"Perché, girasole?" domandò mio padre.

"Devo lavorare all'ordine di Dubai."

"Hai ragione, tesoro. C'è molto lavoro accumulato. È meglio non rimandare a domani quello che puoi fare oggi." concordò lei, sapendo che lo faceva per uno scopo ben preciso: impedire un nuovo incontro tra me e Lucas, tenerci separati in modo da non attizzare i miei sentimenti così a lungo assopiti.

"È meglio che inventi qualcosa per i nostri ospiti, se non puoi ritardarli."

"Sono io il suo lavoro più importante." intervenne Louis, passando il braccio intorno alle mie spalle, spingendomi verso di sé, così da tenermi incollata al suo corpo il più possibile. "Voglio mia moglie al mio fianco." Poi si rivolse ai miei. "Sono spiacente, ma quest'ordine può anche aspettare. Louis Hynes invece non può." Strofinò la mano sulla mia schiena su e giù e si avvicinò al mio orecchio mormorando. "Lavoro o matrimonio, mogliettina?"

Lo guardai e una suoneria simile a una marcia funebre lo fece staccare da me e smettere di donarmi carezze. Se lo sfilò dalla tasca dei pantaloni e proseguì.

"Scusate. Devo rispondere."

Fortunatamente, quel qualcuno chiunque esso sia stato mi aveva salvato da quelle mani pericolose.
Si alzò sotto i nostri sguardi e camminò fuori, lasciando il salone.


"Ho deluso mio padre. Mi ha guardato in un modo che... L'ho capito dai suoi occhi quello che stava provando. Ho tradito la loro fiducia, li ho messi a disagio. Come faremo a stare di nuovo insieme se non si fidano più di me? Avrò sempre gli occhi puntati addosso per qualsiasi movimento..." raccontai camminando al fianco di Mary nel parco a pochi isolati dal centro di Dublino.

"Non ti arrendere." sentenziò e girai di scatto il viso. "Ricorda che sei determinato anche a costo della pace interiore della tua famiglia."

"Per favore, Mary. Non adesso."

"Va bene, va bene. Andiamo, allora!" M'incalzò. "Non potevi festeggiare magari con loro, almeno potevamo brindare al tuo ritorno."

"Dovresti avere qualcosa in mente."

Iniziò a ridere, divertita. "Cosa posso avere per la testa? Direi di partire sull'isola. Non ci andiamo da anni. Cosa ne dici?"

"Sono d'accordo." Risposi.

"Ma non voglio sentirti parlare di affari o cose del genere. Nel fine settimana, forse. Annotalo nella tua agenda." Mi fermai su due piedi e lei m'imitò, con le mani nelle tasche. "Che c'è? Devi portare a termine qualche affare?"

Scossi la testa. "Sì, l'ho fatto, ma la notte sono meno oberato."

"Fantastico! Andiamo sull'isola allora!" Scrollò le spalle sorridendo e il mio si allargò a dismisura per la sua proposta accattivante.

"Va bene."

"Promettilo." Dichiarò alzando l'indice in alto.

"Ok, lo prometto ma parleremo a tempo debito di quella faccenda."

Sorrise. "Va bene." Mi abbracciò di slancio e mi schioccò due baci umidi sulle guance, prima di salutarmi con affetto. "Buonanotte."

"Anche a te." Ricambiai, vedendola allontanarsi in direzione delle scalinate.

Una volta, salito abbastanza, si voltò e mi puntò l'indice contro muovendolo in aria. "Me l'hai promesso, non dimenticare il nostro impegno nel fine settimana!"

"Okay." Alzai il braccio, mostrandole il palmo aperto. "Te l'ho promesso." Prima di andarsene, sventolò la sua mano energicamente, e con un sorriso radioso si allontanò fino a sparire.
Il cellulare d'un tratto prese a squillare nella tasca interna, lo presi e guardai il display. "Dimmi pure, Dalmar." Era il mio inseparabile amico.

"Lucas... Che stai facendo?" chiese dall'altro capo della cornetta.

"Io sto bene. Ho lasciato adesso Mary e sto per tornare a casa."

"Ah, per questo ti ho chiamato. Non andare a casa. Raggiungimi al molo."

"Sei ancora in giro a quest'ora?" chiesi.

"Sì, sì. Ho qualcosa di molto importante di cui parlarti." Dichiarò. "Inoltre, visto che rimani qui, penso che sia arrivata l'ora di affrontare questo discorso." aggiunse.

"A che ora?"

"Vieni?! Vieni qui e te lo dirò." Sembrava piuttosto agitato, il che non me la contava giusta. Era da un po' che trovavo strani alcuni atteggiamenti.

"Va bene, sto arrivando." Vidi la finestra illuminarsi improvvisamente e mi sporsi leggermente. "Ma ci vorrà un po' di tempo.

"D'accordo. Ti aspetto qui."

"D'accordo." Dissi prima di mettere giù e riprendere a camminare. Quando arrivai al Jingles, il mio migliore amico stava camminando avanti e indietro come un'anima afflitta. Lo raggiunsi sul molo. "Che succede? Mi dai il benvenuto in piedi?"

"No, sono solo felice di vederti. Dai, siediti."

Prendemmo posto vicino al tavolino, non mi sfuggì la sua impazienza e gli domandai. "Stai bene?"

"Sì, sono davvero molto bravo." Inarcai un sopracciglio stranito. "Ti ho detto che ti volevo parlare di una cosa al telefono... Ma vorrei offrirti un drink prima. Possiamo anche bere del caffè, no? Ma resta qui, d'accordo?" Non mi lasciò il tempo di rispondere che si alzò e corse dentro. Tornò dopo qualche minuto con in mano due tazze fumanti. "Caffè!" esclamò appoggiandole sul tavolo e si accomodò.

"Quindi?"

"Lucas? Siamo come fratelli, no? Anche se non abbiamo lo stesso sangue nelle vene... e abbiamo condiviso così tanto insieme."

Mi portai la tazza alle labbra e bevvi un po'. "Certo."

"Mi conosci meglio di chiunque altro. Non sono un cattivo ragazzo. Non ho assunto atteggiamenti ambigui o altro, vero?"

"No, non sei cattivo."

"Sono sempre lo stesso uomo. Niente è cambiato. E non cambierà mai, giusto?" continuò.

Sorrisi lievemente.
"Non succederà, Dude."

"Perché? Perché noi ci vogliamo bene e ci sosteniamo nelle difficoltà. Cosa fanno i fratelli? Vogliono la felicità l'uno dell'altro."

"Certo che ti voglio bene Dude. Che dubbi ti vengono?" Asserii ponendogli la mano sulla spalla e sorrise anche lui, abbassando la testa.

"Lucas!" urlò mia sorella ferma sul pontile in compagnia del castano, agitando il braccio in alto. "Sei qui anche tu?"

"Kyla!" Mio fratello le si accostò per dirle qualcosa sottovoce, ma lei testarda - come sempre - salì sulla passerella e ci venne incontro. Lasciai perdere il liquido da un lato senza rovesciarlo, a disagio. "Eri qui?"

Dopo poco anche il castano si avvicinò, massaggiandosi il collo, imbarazzato.

"Buonasera, Jacob. Siediti con noi." Lo invitò Dalmar, ignaro della discussione avuta in casa.

"Sto bene anche così, grazie lo stesso."

"Perché sei uscito?" chiesi.

Si dondolò sui talloni. "Ho accompagnato nostra sorella per farle prendere un po' d'aria." Rispose atono. "Essere un buon fratello è un merito. Non lo si diventa mettendo i soldi in tasca ogni volta." sottolineò facendo un gesto con la mano che mi urtò.

"State bevendo il caffè a quest'ora?" domandò la biondina, cambiando discorso. "Siamo usciti per comprare il gelato e vi abbiamo visto."

"Sì, il gelato..." mormorò il castano volgendo lo sguardo altrove.

"Devo versare del caffè anche a voi?" Disse Dalmar.

"No, non voglio niente. Grazie."

"Io lo vorrei con dentro un po' di latte. Sarebbe piacevole una bevanda calda."

"Kyla!" la interruppe il castano.

"Perché hai quel muso lungo?" Poi si rivolse all'altro. "Lascia che ti aiuti Dalmar, così sarà meno faticoso."

Il giovane la fissò interdetto, poi i due si allontanarono insieme. Mio fratello e io non ci rivolgemmo una sola parola, era più interessato a guardare le barche ormeggiate lì.

Mi alzai in piedi e con un gesto della mano gli indicai lo sgabello. "Vieni a sederti, fratellino."

"Cerchiamo di digerire prima quello che abbiamo sentito e visto."

"Vorrei che me l'avessi chiesto prima di mettere in allarme tutti quanti." Lui puntò gli occhi su di me. "Ne avremmo parlato fra di noi in forma più privata e avrei trovato un modo adeguato per riferirlo anche ai nostri genitori."

"Non hai avuto abbastanza tempo per nascondere la verità?" domandò. "Per Dio! Questo significa che anche il mio perfetto fratellino ha degli scheletri nel suo armadio."

"Di che scheletri parli?" esclamai. "Sono qui solo per questioni di lavoro!"

"Nostro padre non c'è. Con chi credi di parlare? Non raccontare altre frottole."

"Ok, quando è così, sta zitto e smettila di parlare!" sentenziai dandogli le spalle.

"Non ce n'è bisogno."

"No, non ce n'è!" ribadii, arrabbiato, guardando l'orizzonte.

"In realtà, c'è effettivamente bisogno. Perché continui a frequentare una donna sposata?"

Mi girai nuovamente e tuonai.
"Jacob!"

"Pensavo che mio fratello stesse lavorando sodo e si stesse impegnando per ottenere una promozione." disse incrociando le braccia al petto. Mi feci più vicino, macinando la nostra distanza e gli lanciai un'occhiataccia. "Tu... Non hai pensato né a tua madre né a tuo padre solo a causa di quella ragazza.... mentre loro si vantavano, festeggiando il tuo ritorno a casa e il fatto che tu fossi diventato un capo. E allora?" Gesticolò davanti alla mia faccia con la mano. "Se non è mai diventato un uomo, navigava solo in un oceano di menzogne!" Gridò.

"Basta! Sta zitto!"

"Come puoi urlare contro tuo fratello?"

Gli afferrai il polso bruscamente, allontanando la mano sul punto di colpirmi dal viso e digrignai i denti. "Non pensarci nemmeno!"

"Jacob!" Dalmar corse a fermarci, mentre stavo incenerendo il castano con uno sguardo. Mi pose la mano sul petto e sussurrò. "Shhh... Lucas."

"Ragazzi, che diavolo state combinando? Siete fuori di testa?" ci rimproverò nostra sorella, mettendosi in mezzo anche lei per evitare che arrivassimo alle mani.

"Guarda cos'ha detto tuo fratello!" rispose Jacob, scuotendo la testa. "Ben fatto, Lucas. Ben fatto!"

"Vi abbiamo lasciati soli per due minuti e avete montato un ring!" piagnucolò la più piccola.

"Non è niente." Minimizzai.

"La verità fa male." osservò l'altro.

La sfida di sguardi proseguì e m'imposi di mantenere la calma. "Possiamo parlarne domani?" chiesi a Dalmar.

"Va bene. Non c'è fretta Lucas. Ma sicuro che vada tutto bene?"

Annuì e poi mi rivolsi a mia sorella. "Andiamo via, Kyla. Torniamo a casa." Lo sorpassai senza dire una parola, anche se mi era venuta una gran voglia di spaccargli tutti i denti e salii sulla passerella.

Fine prima parte

Ed è proprio così, dopo due settimane di totale assenza sono tornata con un nuovo interessante aggiornamento... Purtroppo ho avuto il covid e non è stato semplice, per fortuna è stata una situazione che pian piano sta regredendo. Devo dire che non ho proprio avuto la testa... ma ora spero di avervi resi felici.
Non succede granché dal punto di vista Amybeth/Lucas... siamo ancora bloccati in una fase dove nessuno dei due scende dal piedistallo, ma la famiglia di Lucas ha scoperto che il ragazzo l'ha rincontrata e vuole correre ai ripari. Il muro di menzogne inizia a cedere...

Lucas litiga anche con Jacob, che lo provoca... e il padre rischia un nuovo attacco di cuore (poveretto) ma c'è una novità, abbiamo il pov inedito di Louis Hynes! E lo saprete riconoscere dalla grafica con i fulmini... 

Effettivamente... quell'essere ha anche trattato male e maltrattato Aymeric, che inizia a rendersi conto che la sorella non è felice e realizzata come da credere. Voi che pensate?

Sono impaziente di leggere le vostre tesi. Ci rivediamo sempre di domenica! Ovviamente, puntualmente la sera tardi.

Stay tuned!

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