02. Colpevole e immacolata
oppure, in cui Fujiko e Megumi decidono il proprio futuro con un semplice cambio di favore
Il cuore le batté all'impazzata. I suoi respiri ci fecero inutilmente rapidi. Le gambe le tremarono. I suoi pensieri si fece confusi, rasi al suolo dall'emozione che stava provando.
E Fujiko Gojo non l'aveva mai provata, quell'emozione: terrore puro.
Mai.
Mentre Ryomen Sukuna, il re delle maledizioni, lo stregone più forte che avesse mai toccato terra, le veniva incontro come avrebbe fatto un leone con la sua preda, Fujiko seppe che sarebbe morta lì. Non c'erano possibilità di salvezza per lei, una strega che aveva appena avuto il tempo di iniziare gli studi sull'occulto.
Avrebbe dovuto tentare di scappare.
Avrebbe dovuto cercare di difendersi.
Avrebbe dovuto uccidere subito quella maledizione.
Avrebbe dovuto parlare subito con Itadori.
Avrebbe dovuto fermare il ragazzo al campo da calcio.
Avrebbe dovuto fare qualcosa, ma non aveva fatto niente.
E non fece niente.
E si odiò per quello. E, a pensarci bene, forse era giusto così. D'altro canto, cos'aveva fatto lei nella vita, se non odiare? Forse era giusto andarsene via con quel sentimento. Era giusto che l'odiatrice si odiasse prima di morire.
Ma l'odiatrice non morì.
Sotto la luna piena di quella notte di primavera, avvenne un miracolo.
La mano destra di Itadori si mosse, sorprendendo persino Sukuna, che ne rimase interdetto. Il corpo si allontanò da Fujiko, che, dipinto sul volto, aveva sorpresa e confuzione.
«Che credi di fare con il mio corpo?! Restituiscimelo!». La voce di Itadori suonò così decisa e rassicurante che la Gojo pensò di non mai udito suono più bello di quello.
«Ehi, ma... come fai a muoverti?».
«Be', questo è il mio corpo, sai?».
Il corpo di Itadori sembrò rilassarsi di colpo, ma la voce di Megumi lo fece mettere in guardia, attirando anche l'attenzione di Fujiko.
Ora che non era pienamente concentrata sul pericolo, la ragazza notò come il corvino si fosse posizionato tra lei e Itadori, prontò a evocare un altro dei suoi shikigami.
Megumi...
«Non muoverti! Ormai non sei più un essere umano!». La voce del corvino sembrava decisa, ma la ragazza ci lesse indecisione. Il ragazzo le fece con le mani un segno appena percettibile: il segno di scappare.
«Eh?» domandò confuso Itadori.
Megumi strinse i pugni, mettendoli uno sopra l'altro, sebbene con una certa distanza tra essi.
Fujiko conosceva quel gesto, e non le piaceva per niente. Era forse impazzito?! Sarebbe morto!
«Megumi...!». Ma lui la interruppe, ignorandola.
«Secondo il codice delle Arti Occulte, - attorno al ragazzo iniziò a crearsi un anello fatto di ombre - Yuji Itadori, in quanto maledizione, ti esorcizzo!».
Il ragazzo dai capelli rosa alzò le mani al cielo, per far vedere che era inoffensivo. «No! Guarda che è tutto okay! Piuttosto, non siamo conciati troppo bene». Sembrava impaurito, ma sapeva nasconderlo abbastanza bene. Ma forse più che impaurito, Fujiko immaginò che fosse confuso.
La Gojo continuava a percepire il cuore batterle veloce nel petto, però, guardando il ragazzo, si domandò se Sukuna fosse effettivamente ancora a capo di quel corpo. E se lo era, a che pro fingere di non esserlo? Non poteva sapere della tecnica di Megumi e del suo asso nella manica: per lui, i due stregoni dovevano sembrare semplici studenti alle prese con qualcuno di molto più potente di loro.
Non aveva senso che fingesse di essere Itadori, soprattutto visto che non poteva, in un lasso di tempo così breve, sapere come il ragazzo si comportava. In più, non era possibile che uno che trovava feccia chiunque non fosse forte fingesse di essere un non-stregone.
Poi, i segni neri, simbolo di Sukuna, iniziarono a scomparire dal corpo di Itadori. Erano qualcosa che il re delle maledizioni poteva controllare? Fujiko ne dubitava.
«Sarebbe meglio andassimo in ospedale!» concluse il ragazzo.
La Gojo si avvicinò a Megumi, senza però oltrepassare l'anello fatto di ombre che gli danzava attorno. «Megumi, non credo che-».
«Com'è la situazione?» Fujiko si voltò di scatto, il corvino con lei. Suo fratello era lì, davanti a loro, con una busta di carta appesa al braccio.
«Satoru?!», «Professor Gojo!» esclamarono i due adolescenti.
Appena vide il fratello, Fujiko sentì il suo cuore rallentare. Quello era una delle poche cose buone di avere come fratello maggiore lo stregone più forte dell'epoca: finché ci fosse stato lui, niente avrebbe potuto farle davvero del male.
«Che cosa ci fa qui?» domandò Megumi. Nel farlo, aveva abbassato le mani e il cerchio di ombre si era dissolto. Per fortuna.
«Ehilà! In realtà, non volevo neanche venire». Tipico. «Accidenti, siete conciati male. Devono vedervi quelli del secondo anno».
Fujiko fu abbastanza rapida da voltarsi prima che suo fratello cacciasse il telefono e iniziasse a fare foto, al contrario di Megumi, che si voltò quando l'uomo dai capelli bianchi ne aveva già fatto alcune.
Il flash delle foto stava iniziando ad essere fastidioso, soprattutto se messo in contrasto col buio in cui avevano lottato fino a quel momento.
«Puoi smetterla?» chiese Fujiko, sebbene fosse più un ordine, che una domanda.
Come un secondo miracolo, Satoru smise.
«Come prevedibile, i Piani Alti hanno fatto un sacco di storie per la scomparsa del feticcio di Livello Speciale, così ho pensato di fare un salto» spiegò l'insegante, guardando il telefono attraverso la benda scura che aveva sugli occhi. «Allora, siete riusciti a trovarlo?» disse, togliendo gli occhi dallo schermo e alzandoli sui due ragazzi.
Megumi abbassò il viso, stando in silenzio, mentre Fujiko guardò altrove, in modo da non farsi vedere in faccia dal fratello.
Fu Itadori a rispondere, attirando l'attenzione di Satoru, che non l'aveva ancora notato. «Emh, ecco... mi dispiace, ma l'ho mangiato io» rispose, indicandosi.
L'uomo lo guardò sconcertato, un emozione che ben poche volte Fujiko aveva avuto l'onore di vedergli in volto. «Sul serio?».
«Sul serio» risposero i tre adolescenti.
Satoru inclinò il corpo verso destra, come se un movimento simile l'avrebbe davvero aiutato a capire - o meglio, vedere - meglio la situazione, poi si avvicinò ad Itadori, invadendo così tanto lo spazio personale del ragazzo che questo allontanò lievemente la testa da lui.
L'uomo lo analizzò per bene, vedendo con i Sei Occhi solo lui sa cosa, per poi ridacchiare.
«È vero, vi siete mescolati! Da morir dal ridere».
Sì, proprio divertente. Mi sto spezzando da quanto lo sia.
«Avverti qualche anomalia nel corpo?» domandò Satoru.
«Non mi sembra» rispose Itadori, iniziando a guardarsi il proprio corpo.
«Puoi scambiarti con Sukuna?».
«Sukuna?».
«La maledizione che hai mangiato».
«Ah... Mh-mh, credo di poterci riuscire».
Satoru si allontanò un po' dal ragazzo, allargando le gambe e facendo un po' di stretching. «Allora fallo per dieci secondi. Dopodiché, riprendi possesso del tuo corpo»
Fujiko aveva voglia di sbattere la testa contro le mattonelle. Suo fratello aveva appena scoperto che Sukuna - Ryomen Sukuna - si era reincarnato in Itadori e la prima cosa che gli era venuta in mente era ingaggiare una battaglia contro la maledizione.
Sinceramente, non sapeva perché la cosa la stupisse così tanto: era una di quelle cose che Satoru Gojo avrebbe fatto senza pensarci due volte.
«Sì, ma...» fece per dire Itadori, probabilmente domandandosi quanti neuroni avesse in testa quell'uomo spuntato dal nulla per fare una cosa del genere (e la risposta era zero).
«Non preoccuparti: io sono più forte di Sukuna» lo interruppe lui, deciso nelle sua convinzioni.
A quel punto, Fujiko si avvicinò. «Satoru...».
Ma lui le lanciò la busta che aveva e la ragazza l'afferrò d'istinto.
«Non preoccuparti, sorellina, come sai bene, io sono il più forte» ripeté lui. Il tono era diverso da quello usato precedentemente: questo non stava cercando di convincere l'ascoltatore, stava soltanto mettendo in bella mostra chi parlava.
Perché Fujiko non aveva bisogno di essere convinta. Lei sapeva già.
«Infatti non stavo parlando di quello» fece lei, quasi infastidita dal tono usato dal fratello. Lo sapeva bene. Lo sentiva spesso, dopotutto. «Vacci piano con Itadori».
Saturo smise di fare stretching e le appoggiò una mano sulla testa. «Non preoccuparti...» disse in tono dolce.
«ATTENTO!» urlò Megumi.
Poi Satoru la spinse via.
Ma che-
Quando Fujiko alzò le palpebre, si ritrovò gli stessi occhi rossi che fino a qualche minuto prima la fissavano in modo famelico, ma ora in loro non c'era traccia della stessa sfrontatezza, solo confusione e tanta rabbia.
«... ci andrò piano» concluse Satoru, seduto sulla schiena di Sukuna.
Il re delle maledizioni dovette sentirsi ferito nell'orgoglio: Fujiko poteva leggerglielo negli occhi.
Mentre Megumi la prendeva per le spalle per farla allontanare dallo scontro, il re delle maledizione si alzò, cercando di compire lo stregone più forte, invano.
Fujiko non era per niente sorpresa dalla velocità del fratello, più che altro lo era dalla sua sfrontatezza: era ovvio che quello scontro serviva solo a mettersi in mostra, a far capire a Sukuna chi fosse il più forte.
Satoru allontanò di molto l'avversario con un solo pugno, mentre l'altro tornava alla carica. «In qualunque epoca, siete sempre una spina nel fianco, maledetti stregoni!».
Il pugno di Sukuna toccò terra, creando un'onda d'urto che distrusse il muro della scuola, facendo piovere le macerie. Megumi si buttò su Fujiko per proteggerla, ma lei riuscì a spostare entrambi prima che qualche masso li colpisse.
«Be', non che faccia molta differenza per me» disse la maledizione, con un sorriso vittorioso sul volto, convinto di aver ucciso lo stregone.
Ma non lo aveva fatto. Non appena la polvere e le macerie si dissiparono, la figura di Satoru riemerse nello stesso punto in cui si trovava prima, sorprendendo la maledizione.
E, come se nulla fosse, contò da sette a nove.
«Be', direi che è il momento».
Il corpo di Itadori si rilassò nuovamente e, quando gli occhi si riaprirono, era tornato in sé. Anche i segni neri erano spariti. Quella volta, era stato molto più rapido di quella precedente. Si stava forse abituando a Sukuna?
Ma è incredibile!
«È andato tutto bene?» domandò il ragazzo dai capelli rosa, piuttosto confuso.
Le ultime macerie caddero e Fujiko seppe che gli studenti di quella scuola avrebbero avuto un lungo periodo di pausa. Fortunati loro.
«Sono a bocca aperta. Sei davvero in grado di controllarlo!» esclamò Satoru, genuinamente sorpreso.
Itadori iniziò a battersi la testa con una mano. «Però, in realtà, è un pochino fastidioso. Continuo a sentire sempre la sua voce» spiegò il ragazzo, infastidito.
Fujiko si alzò in piedi e Megumi fece lo stesso, standole accanto come se avesse paura che da un momento all'altro potesse cadere.
Nel frattempo, Satoru si stava avvicinando a Itadori. «È un miracolo che riesca a fare solo quello» spiegò. Poi colpì con due dita la fronte del ragazzo, che svenne subito. Lo stregone lo prese al volo.
«Che cosa gli ha fatto?» domandò Megumi, con un velo di preoccupazione che non sfuggì né a Fujiko né, tantomeno, a Satoru.
«Gli ho fatto perdere i sensi».
Il corvino espirò, come se avesse pensato al peggio. La ragazza al suo fianco lo trovò stupido: Satoru non uccideva i non-stregoni, e non lo avrebbe mai fatto.
«Se al risveglio, Sukuna non si sarà impadronito del suo corpo, questo ragazzo potrebbe avere del potenziale come recipiente».
Fujiko assottigliò le labbra. I vecchiacci non avrebbero mai lasciato vivere Itadori.
«Bene, ho una domandina per voi: che cosa dovremmo farne di lui?».
La ragazza spostò lo sguardo su Megumi. «Anche se Itadori fosse un recipiente, secondo il Codice delle Arti Occulte dovrebbe essere giustiziato» disse lui. «Tuttavia, io non voglio lasciarlo morire!».
«È il tuo volere?».
«È il nostro volere» disse Fujiko, dando man forte al corvino. Poi la sua voce si fece un po' più implorante. «Ti prego, proteggilo dai Piani Alti».
Satoru ridacchiò, probabilmente si era aspettato che i due ragazzi dicessero quello. Issò sulle spalle il corpo inerme di Itadori, come se fosse un sacco di patate, poi rispose ai due: «Visto che me lo chiedono la mia adorata sorellina e un mio caro studente, potete contare su di me!»
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In seguito, Satoru avvisò Megumi e Fujiko che uno dei due doveva rimanere a Sendai. Il corvino si propose quasi subito, quindi la ragazza si ritrovò a dover tornare all'Istituto da sola. Prima della partenza, però, si preoccupò più volte di chiedere a Megumi come stesse, se se la sentisse, se la volesse lì con lui o se volesse fare cambio. Il ragazzo le ricordò che lui stava bene, che, tra i due, quella messa peggio era lei e che non doveva preoccuparsi, perché la missione si era conclusa e l'unico problema era la fasciatura da primo soccorso che sostituiva solo momentaneamente delle medicazioni vere.
A quel punto, a Fujiko non rimase nulla da fare se non andarsene.
Il viaggio fu lungo e la Gojo passò la maggior parte del tempo a dormire e a guardare il paesaggio fuori da finestrino.
Non era la cosa migliore da fare per lei. Fujiko aveva avuto abbastanza tempo per pensare a ciò che era successo quella notte e si domandò quante cose sarebbero andate diversamente, se solo avesse agito in modo diverso.
Arrivò alla conclusione che se avesse fermato Itadori al campo da calcio, non sarebbe successo niente. Il ragazzo avrebbe indicato i suoi amici (perché Fujiko era abbastanza cerca che si trovassero anche loro lì) e la missione si sarebbe conclusa senza nessun problema.
E invece no.
Fujiko si chiese per la prima volta se avesse fatto bene a voler diventare uno stregone, o se si fosse semplicemente fatta abbindolare dai complimenti che aveva ricevuto durante il suo periodo d'addestramento, senza contare la nomina a Primo Livello Inferiore, ottenuta prima di iniziare gli studi all'Istituto.
Fujiko tolse la testa dal finestrino e si appoggiò allo schienale, solo per provare una fitta di dolore lungo tutta la spina dorsale. Sibilò dal dolore.
Durante lo scontro contro la maledizione che l'aveva usata come ariete contro il muro non ci aveva fatto particolarmente caso, ma ora che l'adrenalina se n'era andata, la schiena le faceva malissimo. Il conducente che la stava riportando all'Istituto le aveva dato un antidolorifico, ma non sembrava star facendo molto effetto.
Più delicatamente, tornò ad appoggiarsi allo schienale, stavolta provando solo un fastidio insistente, ma lasciò stare, tornando a perdersi nei suoi pensieri.
Se fosse stata un membro del Clan Kamo o, ancora peggio, del Clan Zenin, probabilmente non avrebbe avuto una scelta: sarebbe stata uno stregone, punto e basta; ma, invece, i suoi genitori non l'avevano mai spinta verso quella direzione.
Nonostante ciò, nonostante nessuno delle persone che per lei contavano di più l'avesse spronata a diventare uno stregone, lei l'aveva scelto comunque.
Perché mio fratello è il più forte e sarebbe una vergogna per me e per il Clan, se io decidessi di non iniziare gli studi.
Se il preside Yaga l'avesse sentita, probabilmente l'avrebbe espulsa. Un ragionamento come quello di Fujiko si scontrava troppo col modo di pensare dell'uomo.
La Gojo guardò il paesaggio fuori dal finestrino, domandandosi dove suo fratello e Itadori fossero, ma dovette smettere presto e sforzarsi di distrarsi, perché le continuavano a venire in mente solo gli scenari peggiore ed era l'ultima cosa che le serviva.
La verità era che Fujiko si sentiva uno schifo. E non solo per quello che era successo a Itadori, ma anche per come si era comportata dopo che lui aveva ingerito il feticcio. Sukuna era davanti a lei e non aveva fatto assolutamente niente. Che razza di comportamento era? Se non fosse stato per Itadori, sarebbe morta.
A Fujiko tornarono i mente gli occhi rossi di Sukuna. Si portò una mano sull'altro braccio in modo istintivo. Quell'immagine era ancora in grado di terrorizzarla. E se ne vergognava.
Alzò gli occhi sullo specchietto retrovisore dell'auto, assicurandosi che il guidatore non riuscisse a vederla. Si costrinse a non piangere e a non fare rumore.
Cercando una distrazione, prese il telefono dalla tasca della divisa e lo accese. Tra le notifiche, un messaggio di sua madre: "Come sta andando la missione?".
Normalmente, avrebbe sorriso, ma, invece, Fujiko rischiò di piangere.
Perché non era all'altezza di suo fratello?
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Una volta che l'auto si fu fermata, Fujiko scese e si sgranchì le gambe. Era stata ferma troppo tempo e aveva iniziato a non sentirle.
«Grazie ancora per il passaggio» disse la ragazza, voltandosi verso il guidatore.
Lui, un uomo moro con degli occhiali da sole in volto e un procinto di barbetta sul mento, si voltò verso Fujiko. «Di nulla, salutami tuo fratello!» disse con un sorriso sul volto e alzando gli occhiali con il pollice.
«Certo! Arrivederci!» disse Fujiko. "Guarda che dovresti salutare prima me, stronzo" avrebbe voluto dire.
L'uomo alzò una mano in segno di saluto e sfrecciò via.
Fujiko si voltò verso l'istituto, tastandosi la fasciatura che aveva sulla testa e addentrandosi nella struttura.
Ancora prima di dirigersi verso la sua stanza, la ragazza andò verso l'infermeria.
Una volta lì, Shoko Ieiri, la dottoressa, l'accolse con un sorriso e un caloroso bentornato, allargando le braccia e spostando i suoi capelli castani dietro le spalle di conseguenza. Fujiko la bloccò prima che potesse romperle la schiena, il che sarebbe stato ironico.
«Mi scusi, ma la schiena mi fa male. Ho preso una bella botta».
Shoko sembrò quasi delusa, ma stette ferma dov'era. «Ah, capisco. Tuo fratello me ne ha accennato. Siediti pure sul lettino, e non essere così forma con me, ne abbiamo già parlato» la rimproverò la donna.
Fujiko sorrise un po' imbarazzata. «Sì, scusami» fece, e si sedette.
Shoko le tolse la benda, controllando le ferite alla testa e sul viso.
«Puoi dirmi esattamente cos'è successo?» domandò la dottoressa, tastandole la fronte e facendo sentire a Fujiko un lieve fastidio.
La ragazza, cercando di essere chiara e sintetica, le raccontò delle varie corse che aveva fatto nella scuola per arrivare al quarto piano, di come Megumi l'avesse spinta per evitare la maledizione e di come questa le avesse fatto sfondare un muro col proprio corpo, poi di come una maledizione più piccola le si fosse appiccicata alla faccia, di Sukuna e del suo combattimento con Satoru e delle macerie che cadevano.
«Sei stata piuttosto sfortunata» commentò Shoko, mentre usava la tecnica inversa per guarirle le ferite sul viso.
Fujiko sbuffò sarcastica. «"Sfortunata" non è il termine che userei per descrivermi» disse con ironia, gli occhi che puntavano in alto. Poi il suo tono cambiò, diventando più serio e dispiaciuto, mentre il suo sguardò si posò a terra. «Ho combinato un disastro».
Shoko le mise una mano sulla guancia, attirando l'attenzione di Fujiko, che, per la sorpresa di quel gesto, la fissò. «Ascolta, non negherò che quello che è successo è un mezzo disastro, ma non è colpa tua. Quello che è successo è un miscuglio di cose che non potevi controllare. Che ne sapevi che quel ragazzo aveva preso il feticcio e che i suoi amici avevano intenzione di togliere il sigillo?».
Fujiko abbassò lo sguardo. «Sì, ma era una mia responsabilità. Avrei dovuto fermare Itadori-». Shoko strinse un po' di più la presa che aveva sulla guancia della ragazza, facendola zittire.
«Prima di tutto, al massimo è una vostra responsabilità, tua e di Fushiguro. Non c'eri solo tu lì.
In più, la missione era diventata inadatta a degli studenti dopo la scomparsa del feticcio e la rimozione del sigillo. Nessuno si aspettava che due studenti risolvessero una situazione del genere» spiegò calma ma autoritaria la dottoressa.
Fujiko strinse le labbra, come se quella che avesse appena sentito fosse un'accusa. «Ma avevo una possibilità di impedire tutto questo! Anzi, più di una!» urlò. «Sono un Primo Livello Inferiore, dovrei-».
«Appunto, Inferiore» la interruppe Shoko, poggiando la mano sulla testa della ragazza. «C'è una ragione se non sei ancora a tutti gli effetti un Primo Livello e la conosci anche tu. Prima di esserlo, sei una studentessa del primo anno». Il tono usato dalla donna era calmo e gentile, ma allora perché Fujiko sentiva quella rabbia? E non era sola, ad accompagnarla c'era l'amara consapevolezza che Shoko aveva ragione.
«Sono una Gojo. Ho passato anni ad allenarmi per questo». La voce di Fujiko era dura, sottolineando l'importanza di quell'affermazione, come la sua discendenza sovrastasse qualunque altra cosa di sé.
Shoko le tolse la mano dalla testa. «Sei una primina» disse semplicemente, con un tono più duro. Fujiko fece per dire altro, ma lei la interruppe. «Non so perché tu tenda a prenderti colpe e responsabilità che non hai, ma prima di essere un Primo Livello Inferiore e di essere una Gojo, se una studentessa, una quindicenne. Sei qui per allenarti e migliorare, nessun pretende che tu sia già perfetta».
A quelle parole Fujiko non rispose. Non aveva nulla con cui ribattere, o forse aveva così tanto cose da dire che finì per stare zitta. Ma una cosa che le tormentava la mente ce l'aveva di sicuro: tutti pretendevano la perfezione da lei. Il motivo era noto a chiunque.
Ed eccomi tornata!! Questo è un tempo record per me.
Con questo capitolo vola via la mia intenzione di scrivere un capitolo per episodio. Ma l'ultimo paragrafo mi stava praticamente implorando di concludere il capitolo con lui.
Tra l'altro, non mi ricordo più se in italiano hanno tradotto "semi-grade one" con "livello uno inferiore" o "semi livello uno", quindi se qualcuno lo sa, per favore me lo dica, ty.
Ma ora parliamo di cose importanti: questo capitolo è stato più introspettivo del precedente e spero vivamente che i pensieri di Fujiko vi siano arrivati e che non sembrino solo un ammasso di cose senza senso. Voglio fare un grande lavoro con lei e spero di riuscirci. Spero di non avervi annoiati e che il capitolo vi sia piaciuto! Ditemi pure i vostri pensieri a riguardo.
Ci si vede presto (spero) <3
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