I. Sfido la mia professoressa di greco a duello
Venerdì 21 dicembre 2035
VITTORIO
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Finalmente era arrivato l'ultimo giorno prima delle vacanze natalizie. Era tutta la settimana che ero più iperattivo del solito per quella ragione. Mia madre non riusciva più a tenermi calmo e un po' mi faceva pena, lo ammetto, ma ero eccitato dal fatto che quell'infero stava per sospendersi.
E per "inferno" intendevo il magico (leggersi con sarcasmo) mondo del liceo classico. Che avevo rigorosamente scelto perché ingenuamente pensavo che essendo io un semidio greco che studiava sia questa lingua che il latino (ringrazio tutti i miei insegnanti al Campo Italiano per questo), pensavo di avere vita facile.
Mi sbagliavo. Mi sbagliavo di grosso.
Avrei dovuto dare retta a Giulietta, una delle mie sorelle, che anche lei aveva frequentato quel liceo, per poi cambiare con lo Scienze Umane, quando mi aveva consigliato di non farlo, ma io avevo risposto che potevo farcela.
Avrei tanto voluto essere figlio di Crono per tornare indietro nel tempo e cambiare questa mia decisione (in caso non avessi potuto farlo, anche tirare qualche schiaffo al me stesso del passato andava bene).
Ad ogni modo, non appena arrivai in classe, notai subito il viso sorridente di Niv venirmi incontro, con sulla testa un cappello da Babbo Natale. Mi salutò con un "ciao", che ricambiai, per poi seguirmi mentre andavo a mettere le mie cose vicino al mio banco, che era a due banchi di distanza dal suo.
Niv appoggiò i gomiti sul legno bianco, portandosi le mani sotto il mento. La luce proveniente dalle finestre, per quanto tenue, gli illuminò il volto dalla pelle scura, come se fosse un modello di qualche fotografo famoso (e poco ci mancava, visto che era figlio di Afrodite). I suoi capelli erano tinti di blu scuro, quasi nero, ed erano tagliati corti, per poi essere lasciati un po' scompigliati, donandogli un aspetto né femminile, né maschile, ovvero proprio come voleva essere, visto che era non-binary. Aveva, poi, degli enormi occhi blu notte perfettamente in sintonia con i capelli, che gli donavano un'aura di assoluta bellezza.
«Non vedo che questa giornata finisca» iniziò a parlare. Era incredibile come il sole si limitasse a baciare il suo volto senza infastidirlo. Il detto "il sole bacia i belli" doveva essere vero, allora. Non che la cosa mi stupisse, in realtà.
«A chi lo dici» gli risposi, appoggiandomi al mio banco all'ultima fila. Era fantastico stare lì. Potevo iniziare a mangiare prima dell'intervallo, farmi i fatti miei durante le lezioni più noiose, per poi pentirmene durante le verifiche, e copiare durante quelle di matematica, soprattutto perché la nostra professoressa si limitava a stare seduta alla cattedra, aspettando che qualche studente si alzasse per farle qualche domande, a cui rispondeva quasi sempre con un "non posso dire niente" o iniziando a parlare a raffica, girando intorno alla risposta senza dirla sul serio. Mi faceva venire i nervi, ma con lei era relativamente facile copiare, se ti trovavi nella metà dell'aula più distante dalla cattedra, quindi non mi lamentavo troppo.
«Secondo te stanno preparando una festa come l'anno scorso? Spero che quest'anno evitino di dare fuoco ai Tavoli» borbottò Niv, abbassando un braccio. Effettivamente, l'anno prima, per via dei fuochi d'artificio, tre tavoli avevano preso fuoco e le ninfe si erano adoperate per spegnere per bene tutte le fiamme, visto che l'unico semidio che controllava l'acqua del campo, Fabio, era in infermeria.
«Ovviamente,» risposi «sembra quasi che non vedano l'ora di fare festa in modo che non non possano allenarsi». Onestamente, anch'io, se vivessi al Campo tutto l'anno, non vedrei l'ora di fare una festa per evitare di allenarmi per un giorno o più.
«Soprattutto Alex. Fosse per ləi rimarrebbe a letto tutto il giorno» commentò sogghignando e alzandosi nella sua incredibile altezza del metro e sessantadue.
Stavo per aggiungere che con un bel libro e un barattolo di nutella si sarebbe ritrovatə direttamente sull'Olimpo, ma il professore entrò in classe. Lo salutammo, mettendoci ai nostri posti. Vicino a me si sedette Cristina, una ragazza più o meno della stessa altezza di Niv, abbronzata e con i capelli biondi raccolti in una coda alta. Aveva un'enorme cotta per il figlio di Afrodite, cotta di cui sia io che lui eravamo a conoscenza, ma Niv preferiva fingere di non saperlo e aspettare che la cosa le passasse: non voleva ferirla.
Passammo le successive tre ore a guardarci un film giallo, non prima di essermi spostato, insieme a Cristina, vicino a Niv e al suo compagno di banco, Edoardo, che aveva palesemente una cotta per Cristina, ma era troppo timido per farsi avanti. Mi ero ripromesso di metterli insieme entro la fine dell'anno, perché erano assolutamente perfetti insieme.
Mentre la quasi-coppia parlottava (perché non si mettevano insieme, per gli dèi?), io e Niv facevamo il conto di quanti minuti mancassero alla campanella di fine giornata.
Quella fu, senza ombra di dubbio, la miglior mattinata dell'anno.
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Al suono della campanella, io e i miei compagni eravamo già attaccati alla porta dell'aula, pronti ad uscire.
Quelli davanti quasi sfondarono la porta, uscendo fuori come dei prigionieri a cui viene ridata la libertà; cosa che, alla fine, eravamo tutti.
Mamma mi aveva promesso che il 26, insieme a Niv, saremo partiti per il Campo Italiano. Allora sì, che sarebbero iniziate le vacanze. Prima, però, ci teneva che passassi il Natale con lei. In realtà, né io né lei credevamo in Dio, ma era una giornata per stare in famiglia. Ero sempre rimasto con lei il 25, anche dopo aver scoperto di essere un semidio.
Prima ancora che potessi dirigermi verso le scale, sentii qualcuno chiamare me e Niv.
Ci girammo, solo per vedere la nostra professoressa di greco parlare in nostra direzione. Ma proprio questa doveva essere l'ultima insegnate che vedevo?
Io e Niv ci guardammo silenziosamente, chiedendoci se lei stesse parlando proprio con noi, poi puntammo i nostri occhi su di lei, quando ci fece segno di avvicinarci. La professoressa Ferrari era una donna bellissima: un fisico slanciato, il viso appena allungato di una regina, gli occhi chiari che creavano un forte contrasto con la sua pelle mulatta, in più era perfettamente proporzionata e, nonostante i cinquant'anni suonati, aveva un aspetto giovane, ma era una stronza, motivo per il quale tutti avevamo iniziato a chiamarla "arpia". Insegnava greco, latino e italiano da tre anni in quella scuola. Tiche vuole che la mia classe ce l'avesse di tutte e tre le materie e che, dunque, probabilmente ce la saremo tenuta per tutti e cinque gli anni. Che gioia.
Controvoglia, ma senza farlo notare, ci avvicinammo all'insegnante. Che voleva ora, quest'arpia?
«Ha bisogno di noi, professoressa?» domandò educatamente Niv, anche troppo: fosse stato per me, le avrei detto che avevo un impegno urgente, senza preoccuparmi di essere educato.
«Sì, Villa. Ho bisogno che facciate una cosa per me. Seguitemi» ci disse, per poi dirigersi verso le scale interna, che in quel momento dovevano essere vuote. Io e Niv ci guardammo nuovamente con dei punti interrogativi al posto delle pupille, per poi seguire la nostra professoressa di greco.
Per qualche ragione, il mio istinto mi diceva di andare via. Non ne capivo il motivo, ma quando sai di essere un semidio da tre anni e lotti continuamente contri mostri che ti vogliono pappare, inizi a fidarti del tuo istinto anche nei momenti più strani.
Continuai a seguirla comunque, pronto ad usare la mia arma, se fosse servita. E lo sarebbe stata, ne ero certo.
Chiuse le porte antipanico dietro di noi, lasciandoci così soli sulle scale.
La situazione era passata da "per gli dèi, perché 'sta stronza ci ha chiamati?" a "porca puttana, vuoi vedere che questa è davvero un'arpia?" in fretta. Io e Niv ci lanciammo l'ennesima occhiata nel giro di cinque secondi, pronti a combattere.
«Sapete,» iniziò la nostra non-più-professoressa, girandosi per farsi vedere da noi «quando vi ho visti la prima volta, pensavo che foste all'oscuro di chi foste davvero. Il vostro odore non era poi così forte, dopotutto». O dèi, era iniziato il discorso dell'antagonista dove viene rivelato il suo grande piano a fine film. Cos'era diventava la mia vita, una serie B di Netflix?
«Poi mi sono ricordata che voi semidei italiani avete sempre un odore più debole. Davvero fastidioso, mi sono persa così tanti semidei da quando sono qui, per questo» continuò a parlare gesticolando un po' le mani.
Sapevo che i semidei italiani e greci avevano un odore meno intenso per evitare di essere percepiti dai mostri. Lacy diceva che era una sorta di evoluzione: per evitare di essere mangiati dalla tonnellata di mostri presente nel nostro Paese, il nostro odore si era notevolmente alleggerito. Però davvero era così tenue da confonderlo con quelli di semidei ignari?
«Ma non è questo il punto. Sono tre mesi che vi tengo d'occhio e finalmente ho l'occasione per mangiarvi!». Sul suo voltò si andò a creare un orribile sorriso storto tipico di quando interrogava a sorpresa, mentre il suo corpo iniziava a mutare: la sua pelle si trasformava in squame verdognole e le sue gambe in code di serpente. Iniziò a similare con la sua lingua biforcuta, forse sperando di incuterci timore, ma non era certo la prima dracena con cui avevamo a che fare.
Sia io che Niv facemmo cadere di peso i nostri zaini. «Ho sempre saputo che era una vipera, anche se non letteralmente! Ammetto che la vedevo meglio come arpia» commentai in modo sarcastico, toccando il bracciale che tenevo al polso sinistro, che subito si trasformò in un arco con una freccia pronta ad essere scoccata. Sulla mia schiena si era già materializzata la faretra con altre frecce dentro. Niv aveva già trasformato la sua collana in una spada d'oro imperiare, regalo del suo primo ragazzo, e ora mia guardava male.
L'arpia-che-in-realtà-è-una-dracena scattò verso di me ad una velocità che non avevo mai visto prima fare da un mostro. La schivai appena in tempo, mettendomi subito in una posizione adatta per puntare la mia ex insegnante di greco, poi scoccai la freccia. La dracena si spostò, facendomi mancare clamorosamente il bersaglio. Me l'avrebbe pagata cara, quella stronza.
Niv le si avvicinò alle spalle molto più silenziosamente di quanto io avrei mai potuto fare, provando ad affondare l'arma. La nostra ex professoressa lo notò e schivò il colpo, mentre io avevo già preso un'altra freccia, pronto a colpirla in pieno petto. Ma i due avevano iniziato un combattimento corpo a corpo e si muovevano troppo. Rischiavo di colpire il mio amico o mancare la dracena di nuovo.
Sbuffai impaziente, riponendo la freccia che avevo preso dalla faretra e prendendo al suo posto Pietro, la mia arma principale. Era una freccia magica, che poteva trasformarsi in una spada all'evenienza e funzionava come una freccia d'oro di mio padre, Eros. Usava una freccia come quella per riconoscere i suoi figli, infatti quando aveva riconosciuto me, mi aveva colpito e... sapete, facciamo che non ve lo dico. È già abbastanza imbarazzante di suo.
«Ehi, stronza!». Ah, quanto tempo avevo passato desiderando di dirglielo!
La stronza si girò, allontanando Niv con uno spintone e rivolgendomi un ringhio. Voleva proprio morire. «Ti sfido a duello. Il primo che muore perde». E sottolineai la cosa trasformando Pietro in una spada dall'elsa in legno di quercia, decorata da varie ondine e con una lama a foglia così liscia da potersi specchiare dentro, lasciando a terra arco e faretra.
La prof mi mostro uno dei suoi sadici sorrisi pre-interrogazione. Come sarebbe stato bello l'anno nuovo, senza lei e le sue interrogazioni a sorpresa. «Come vuoi» fece, scattando nuovamente verso di me. Parai i suoi artigli con Pietro, usandolo come scudo più volte. Ad un certo punto, la Ferrari continuava a spingere sulla lama, come se sperasse di vederla cadere o spezzarsi, ma non sarebbe successo. Controbilanciando la forza della dracena, le tirai un calcio sotto la lama. Lei si piegò in avanti, dandomi il tempo di placcarla e di farla cadere sulla schiena, con me sopra.
Strinsi Pietro, puntandoglielo alla gola. «Questo è per quel tre messo a cazzo di cane a novembre!» le dissi, per poi affondare la mia spada nella sua gola. Il mostro si dissolse in polvere, per poi scomparire.
«Poco rancoroso, dicono» mi prese in giro Niv, che si trovava già al mio fianco, con la sua spada ritrasformata nel ciondolo color oro al suo collo.
«Ho vendicato tutta la classe. È quasi un peccato che la Foschia gli farà dimenticare di lei» commentai, avvicinandomi alla faretra e riponendoci Pietro. Presi l'arco e tirai la corda a vuoto, facendo ritrasformare il tutto nel bracciale con i ciondoli.
«O forse farà credere che si è trasferita altrove» mi corresse Niv, incrociando le braccia e appoggiandosi al muro.
«Sì, ma in ogni caso non sapranno mai la verità».
«Capita».
Quella risposta sparata a caso mi fece sorridere.
Presi il mio zaino da terra, mettendomelo in spalla. «Credi ci attaccherà qualche altro mostro prima di arrivare al Campo?» domandai, aprendo la porta e iniziando ad incamminarmi verso le scale.
«È una domanda porta-sfiga. Pensavo avessi abbastanza esperienza per non porla» mi prese in giro Niv.
«La mia era solo curiosità» borbottai.
Niv sghignazzò. «La curiosità uccise il gatto».
«Menomale che non lo sono, allora» dissi e uscì dalla porta della scuola. Ora si poteva dire che le vacanze erano iniziate.
«Non ancora, almeno. Non si sa mai, no?» domandò retorico, riferendosi agli dèi. Beh, non si poteva di certo dire che gli dèi fossero famosi per tenere le mani a posto quando si trattava di punire i mortali. O premiarli. E non solo quelle.
«Questa non è per niente una frase porta-sfiga, vero?» ribattei io, allontanandomi dalla scuola, con Niv al mio fianco.
«Ovviamente no, che domande!» sorrise lui.
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Avrei davvero dovuto immaginare che finita la scuola sarebbe iniziato un altro inferno, ma non avrei mai potuto pensare che l'inferno in questione sarebbero stati i miei incubi, e non avrei mai immaginato che sarebbero iniziati la prima fottutissima notte di vacanza.
Quanto odiavo essere un mezzosangue.
Ad ogni modo, nel mio sogno ero nel vuoto totale. Tutto attorno a me era nero e l'unica cosa che riuscivo a distinguere dal nulla era il mio corpo. La cosa che reputavo più strana, però, era che sotto i miei piedi c'era qualcosa di solido, un pavimento, su cui potevo camminare.
Mi sembrava di camminare sul vuoto (cosa non così lontana dalla realtà), dove ogni passo poteva precedere un abisso in cui sarei inevitabilmente caduto.
Ma era solo un sogno, mi dissi, se anche fossi caduto, non mi sarebbe successo niente.
Feci un passo e poi un altro e un altro ancora. Presto capii che non c'era una voragine nascosta in cui cadere. La strada era sicura.
Continuai a camminare per un po', poi, d'un tratto, molto più avanti rispetto a me, vidi una luce. Era calda, come se fosse un piccolo sole. Mi diede un senso di calma immensa: era l'unica cosa che non era niente che vedevo in quel sogno.
Sentii che dovevo rimanere lì, che non c'era bisogno mi avvicinassi. Non sapevo perché, era così e basta.
Poi, una mano nell'ombra si allungo verso quella luce.
E nonostante ciò, non mi mossi. Forse avevo qualcosa che mi teneva fermo lì, ma non lo saprei dire con certezza, perché non provai neanche a fare un passo. La cosa mi preoccupò un po'.
La mano afferrò qualunque fosse l'oggetto che emetteva quella luce e io rimasi lì a guardare.
D'improvviso, davanti a me, oltre alla mano e alla luce comparvero un piedistallo, su cui prima doveva trovarsi la luce, e un ragazzo. Stringeva la luce tra le braccia, come se volesse nasconderla. Poi si girò verso di me e sorrise, mormorando un: «preso».
A quel punto, mi svegliai.
Mi trovavo nella mia stanza, sotto le lenzuola del mio letto e fuori c'era un tenue sole invernarle. Stavo bene.
Stavo bene, eppure avevo una sensazione nel petto. Una sensazione che preannunciava qualcosa di grande. Qualunque cosa avessi visto in sogno, voleva dire guai. Ormai avevo abbastanza esperienza come semidio da poterlo dire con certezza.
Mi fiondai giù dal letto, senza neanche cambiarmi. Non sapevo che ore fossero, ma dovevo parlare con mia madre.
La trovai in cucina, mentre si preparava la colazione. Mi salutò con un «buongiorno», ma non appena alzò lo sguardo per vedervi bene in viso, capì che c'era qualcosa che non andava, lo intuii dalla sua espressione; così, prima ancora che potesse chiedermi preoccupata qualunque cosa, l'anticipai.
«Sta succedendo qualcosa di grave. Devo partire per il Campo».
Cosa ne dite di questo inizio? Vi siete incuriositi?
So che assomiglia all'inizio de Il ladro di fulmini : è stato sia un caso che una scelta. Questa saga avrà molti parallelismi con PJO e HOO: ho pensato fosse il caso di partire già con l'inizio.
Alcune cose verranno spiegate più avanti nei capitoli, e io non vedo l'ora di iniziare l'azione vera e propria! Sono molto emozionata!
Prima o poi realizzerò anche un trailer, ho già qualche idea.
Se avete notato errori di qualunque tipi avvertitemi!
Ci vediamo presto <3
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