7 [AX]
TRE IN UN COLPO SOLO
Argo ci condusse fuori dalla campagna, nell'area occidentale di Long Island. Ero seduta tra Perseus e Annabeth, e mi sentivo abbastanza strana. Probabilmente era il fatto che non riuscivo a processare per bene il fatto di essere finalmente nel mondo mortale a tempo indeterminato. Era diverso rispetto all'ultima volta che ero uscita dal Campo per la gita sull'Olimpo: lì avevo la certezza che sarei tornata indietro dopo poche ore, mentre in quel momento non avevo nemmeno la certezza di riuscire a tornare indietro viva. Mio padre non era affatto contento di me, e la storia insegnava che quando la permanenza delle sue chiappe sul trono era in pericolo se ne fregava se ti aveva generato lui.
Per non parlare di Zio Gioia, poi. Quello era un bel problema. Non amava per niente i figli dei fratelli. Entrare negli Inferi forse non sarebbe stato un problema, ma uscirne sicuramente sì. Contavo sulla capacità di analisi di Annabeth: se c'era qualcuno che poteva escogitare un piano per farci uscire di lì con tutti gli arti attaccati, sicuramente era lei.
Come ultima cosa, ma non meno importante, c'era la questione di Luke. Non riuscivo a togliermi di dosso la sensazione che avesse qualcosa e che me lo stesse nascondendo. Era strano perché non si era comportato in modo diverso dal solito, ma qualcosa disturbava profondamente il mio istinto.
Lanciai un'occhiata ad Annabeth, che stava osservando distrattamente il paesaggio scorrere intorno a noi. «Hai parlato con Luke prima di partire?» le domandai.
Lei mi puntò addosso i freddi occhi grigi e scosse leggermente la testa. «Non molto, no» mi rispose, e non mancai di notare la vena leggermente delusa nascosta abilmente nel suo tono di voce «perché?»
«Forse è solo la mia impressione, ma sembrava che mi stesse nascondendo qualcosa»
«Probabilmente era solo preoccupazione» mi disse lei, portandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio «è la prima volta che usciamo dal Campo senza di lui. Non voleva agitarti. Perché? Pensi che stia male?»
«Mmh» mi limitai a commentare. La sua giustificazione poteva anche starci, ma non mi convinceva per niente. Decisi, però, di non dirglielo. Quando si trattava di Luke, Annabeth diventava parecchio apprensiva e non ragionava bene. Mi serviva concentrata. Mi strinsi, perciò, nelle spalle. «No, sta bene. Probabilmente hai ragione, era solo preoccupato. Solo gli dei sanno che razza di schifezze ci toccherà incontrare...»
«Finora tutto bene, però» intervenne Perseus «abbiamo fatto quindici chilometri e non abbiamo incontrato un solo mostro»
Annabeth lo guardò seccata. «Porta male dire queste cose, Testa d'Alghe» sibilò.
«Ridimmelo, perché mi odi così tanto?»
«Io non ti odio»
«Mi hai quasi convinto»
«Beth, è una cosa così stupida...» borbottai.
«No, non lo è!» protestò lei «E comunque tu lo odi per praticamente lo stesso motivo!»
«Non lo odio, e i miei motivi sono diversi dai tuoi, lo sai bene»
«Già, perché non è incredibilmente stupido detestare qualcuno perché mina la tua autorità. Com'è che avevi detto? "Per chi piscia più lontano"?»
«Non è la stessa-»
«Guardate che sono qui, eh» m'interruppe Perseus, scocciato «posso sapere esattamente che problemi avete con il sottoscritto?»
Sbuffai dal naso, evitando di guardarlo. La sua interruzione mi aveva già innervosita a sufficienza. «Io e te siamo figli di due dei Tre Pezzi Grossi. Non parliamo di divinità minori, Perseus. E' nella nostra natura cercare di imporre la propria autorità su qualsiasi cosa che respiri, e nessuno dei due sopporta di sottomettersi all'altro. Per di più, al momento i nostri padri sono in lite. Ecco perché mi irriti, ed ecco perché io irrito te. Involontariamente percepiamo l'altro come una minaccia»
«Ah. Sì, mi sa che hai ragione» borbottò Perseus.
«Essere costretti a collaborare non migliora la situazione, ma Chirone ha ragione» intervenne Annabeth «manderebbe un ottimo messaggio ai vostri padri»
«Ci sta. E tu? Come mai mi odi?»
Annabeth sbuffò. «Senti... è solo che noi due non dovremmo andare d'accordo, okay? I nostri genitori sono rivali»
«Perché?»
«Quante ragioni vuoi? Una volta mia madre ha beccato Poseidone e la sua ragazza che se la spassavano nel tempio di Atena: un'enorme mancanza di rispetto. Un'altra volta, Atena e Poseidone si sono contesi la supremazia sulla città di Atene. Tuo padre ha offerto in dono uno stupido pozzo d'acqua salata. Mia madre invece ha creato l'ulivo. Il popolo ha capito che era un dono migliore e ha dato il suo nome alla città»
«Devono proprio andare pazzi per le olive»
«Oh, piantala»
«Certo, se avesse inventato la pizza, li avrei capiti...»
«O i biscotti cioccolato e cannella» dissi distrattamente.
Annabeth mi lanciò un'occhiataccia prima di rivolgersi a Perseus. «Piantatela, tutti e due!»
Il traffico nel Queens rallentò la nostra corsa. Quando arrivammo a Manhattan era ormai il tramonto, e cominciava a piovere. Argo ci fece scendere alla stazione degli autobus dell'Upper East Side e scaricò i nostri bagagli; si assicurò che avessimo i biglietti e poi ripartì, aprendo l'occhio sul dorso della mano per sorvegliarci mentre usciva dal parcheggio.
«Ti sei mai chiesta cosa vedono i mortali quando si trovano Argo davanti?» domandai curiosa ad Annabeth.
Lei si strinse nelle spalle. «Dei tatuaggi, suppongo» mi rispose pensierosa «la Foschia fa miracoli, certo, ma non così grossi. Ha troppi occhi per poterli coprire tutti»
«Vuoi sapere perché l'ha sposato, Percy?» disse Grover all'improvviso.
Io e Annabeth ci girammo a guardarli. Perseus lo fissava sorpreso mentre accartocciava un foglio di carta preso da chissà dove. «Mi stavi leggendo nel pensiero?»
«No, leggevo solo le tue emozioni». Alzò le spalle. «Mi sa che ho dimenticato di dirti che i satiri lo sanno fare. Stavi pensando a tua madre e al tuo patrigno, giusto?»
«Giusto»
«Tua madre ha sposato Gabe per te» spiegò Grover «lo chiami "il Puzzone", ma non hai idea di quanto sia vero. L'aura di quel tizio... bleah! Riesco a sentirla da qui. Riesco perfino a sentirne le tracce su di te, e non ti avvicini a lui da settimane»
«Grazie» replicò sarcastico «dov'è la doccia più vicina?»
«Dovresti essergli grato, Percy. La puzza mortale del tuo patrigno è talmente ripugnante che riuscirebbe a mascherare la presenza di qualsiasi semidio. L'ho capito al primo fiuto, salendo nella Camaro: Gabe ha coperto il tuo odore per anni. Se non fossi vissuto con lui ogni estate, probabilmente i mostri ti avrebbero scovato molto tempo prima»
«Cavolo, puzzava così tanto?» domandai sorpresa «Per coprire l'odore di Perseus ce ne vuole...»
«Stai dicendo che puzzo anch'io?» domandò scorbutico, lanciandomi un'occhiataccia.
«Non la chiamerei "puzza"» risposi, alzando gli occhi al cielo «in genere, più un semidio è potente e più il suo odore è forte. E tu sei figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi, perciò...»
«Anche tu»
Annuii. «Sì, anche io. Il pericolo che corriamo a stare nel mondo mortale senza addestramento è molto, molto alto. Facciamo il doppio della fatica rispetto ad un normale semidio proprio perché per coprire le nostre tracce ci vuole qualcosa di estremo... come l'odore del tuo patrigno, a quanto pare. Tua madre è una donna molto intelligente»
«Già» concordò Grover «Sally doveva volerti molto bene per sopportare quel tizio, Percy, se la cosa ti può consolare»
«Non credo che sia di consolazione» borbottai, notando l'espressione di Perseus «e comunque, siamo ben addestrati. Sapremo cavarcela. Cerchiamo di non preoccuparci troppo»
La pioggia continuava a cadere. Ci spazientimmo ad aspettare l'autobus e decidemmo di giocare a footbag con una delle mele di Grover. Il gioco finì quando Perseus la passò al satiro e gli arrivò troppo vicino alla sua bocca; in un unico boccone caprino, il nostro footbag scomparve. Arrossì e cercò di scusarsi, ma eravamo troppo occupati a sbellicarci dalle risate per dargli retta.
Finalmente l'autobus arrivò. Mentre facevamo la fila per salire a bordo, Grover prese a guardarsi attorno, annusando l'aria. «Che succede?» chiese Perseus.
«Non lo so» rispose con voce tesa «forse non è niente. Alex, non senti nulla?»
Annusai con discrezione l'aria. C'era un odore strano; era una scia molto leggera, quasi sfuggente, ma fu sufficiente a farmi sentire un po' a disagio. L'avevo già sentita da qualche parte, ma non mi era possibile ricordare dove. «Non so come risponderti» ammisi in un bisbiglio.
«In che senso?»
«Nel senso che voglio risponderti sia sì che no. Potrebbe essere una di quelle porcherie che si spruzzano addosso Silena e le sue sorelle, oppure... non lo so, ecco»
«Cosa succede?» ripetè Perseus, preoccupato «di che parlate? Io non sento nessun odore»
«Grover ha il fiuto dei satiri, ed è molto sviluppato» gli spiegò Annabeth, guardandosi in giro con circospezione «riesce a sentire l'odore dei mostri. Alex ha qualcosa di simile, anche se non così potente»
«Oh. Quindi c'è un mostro, o...?»
«Non lo so» risposi «è meglio se ci sbrighiamo, comunque. Tenete gli occhi aperti»
Mi sentii un po' sollevata quando fummo finalmente saliti a bordo e ci sedemmo in fondo all'autobus dopo aver riposto gli zaini. Annabeth continuava a battersi nervosamente il berretto degli Yankees sulla coscia, mentre Grover aveva un tic all'occhio. Perseus, invece, si guardava in giro confuso come se non sapesse cosa stava cercando (il che era perfettamente plausibile). Mi domandai se il suo istinto da semidio avesse qualche problema. Forse era un po' tardo. Come faceva a non avvertire nulla di strano?
«Percy» lo chiamò sussurrando Annabeth dopo poco, ma strinse il ginocchio a me.
Alzai lo sguardo, seguendo la linea del suo. Stava osservando una vecchietta. Indossava un vestito di velluto stropicciato, dei guanti di pizzo e un cappello di maglia arancione tutto sformato che le copriva il volto. Reggeva una grossa borsa a disegni cachemire. Quando alzò la testa, i suoi occhi neri brillarono. E io la riconobbi immediatamente, visto che aveva provato ad uccidermi almeno quattro volte.
Mi irrigidii all'istante. Annabeth lo notò, e raddrizzò la schiena. «Dimmi che non è quello che penso io» mormorò.
Ecco che cos'era quell'odore che sentivo. Come avevo fatto a non rendermene conto? E le brutte notizie non erano di certo finite lì: dietro di lei venivano altre due vecchiette, una con un cappello verde e una con un cappello viola. Stesse mani grinzose, stesse borse a motivo cachemire, stesso vestito di velluto stropicciato.
Imprecai sottovoce in greco antico, portandomi distrattamente la mano alla cicatrice sul sopracciglio -un loro regalo. «E' pure peggio, mi sa» ammisi controvoglia.
Le tre vecchiette si sedettero davanti, proprio dietro l'autista; le due vicino al corridoio incrociarono le gambe, formando una X che ingombrava il passaggio. Era un gesto casuale, ma mandava un messaggio chiaro: di qui non si passa.
L'autobus lasciò la stazione e ci addentrammo nelle strade lucide di Manhattan. «Non è rimasta morta a lungo» commentò Perseus con la voce che tremava leggermente.
«Le hai già incontrate?» gli domandai.
«Quella con il cappello arancione è una vecchia conoscenza». Lanciò un'occhiataccia ad Annabeth. «Non avevi detto che si potevano allontanare per una vita intera?»
«Se sei fortunato» precisò lei.
«Non restano mai morte troppo a lungo, purtroppo» brontolai amareggiata «sono troppo potenti. Ho smesso di sperare che non tornassero più alla quarta volta che hanno cercato di uccidermi»
«Quarta volta?!» ripetè Perseus incredulo.
«Già. Quella con il cappello arancione è anche una mia vecchia conoscenza»
«La Dodds?»
«La chi?»
«La mia...». S'interruppe. «Non importa. Che facciamo?»
«Non ne ho idea» dissi circospetta, mordicchiandomi il labbro «ritrovarsi davanti tutte e tre le Benevole è una novità anche per me. Di solito è una, massimo due»
«Sono tutte e tre» piagnucolò Grover «Di immortales!»
«Va tutto bene» disse Annabeth, che stava chiaramente ragionando alla svelta «le Furie. I tre peggiori mostri degli Inferi. Non c'è problema. Non c'è problema. Fuggiremo dai finestrini»
«Sei pazza!» protestai «E comunque non si aprono»
«L'uscita posteriore?» suggerì lei.
«Non c'è» gemette Grover.
«Non ci attaccheranno con tutti questi testimoni» disse Perseus «giusto?»
«La Foschia» gli ricordai «e comunque se ne sono sempre altamente infischiate dei testimoni»
«Ma vedranno tre vecchiette che vogliono ucciderci!»
«Non possiamo sapere cosa vedranno» gli feci notare, osservando il tetto dell'autobus «forse possiamo uscire da sopra... di solito c'è un'uscita di emergenza, tipo una botola o una roba del genere...»
«Tu non puoi fare proprio niente?» mi domandò Grover, sull'orlo della disperazione «Far fermare l'autobus con una scossa elettrica o costringerlo a fermarsi con una raffica di vento, magari...?»
Scossi la testa. «L'Aerocinesi è fuori discussione. Potrei mandare l'autobus in corto circuito e farlo fermare, ma è un suicidio. Potremmo fare un incidente molto brutto, senza contare che potrei beccare il serbatoio della benzina e far esplodere tutto quanto con noi sopra»
Entrammo nella galleria Lincoln e l'autobus diventò buio, tranne che per le luci del corridoio. C'era un silenzio irreale senza il rumore della pioggia.
La Furia con il cappello arancione si alzò d'improvviso. In tono piatto, come se recitasse una parte imparata a memoria, annunciò all'intero autobus: «Devo andare al gabinetto».
«Anch'io» disse la seconda sorella.
«Anch'io» aggiunse la terza.
Insieme cominciarono a scendere lungo il corridoio. Annabeth quasi saltò sul sedile; doveva esserle venuta un'idea. «Ci sono! Percy, prendi il mio berretto»
«Cosa?»
«Vogliono te. Diventa invisibile e risali il corridoio. Lasciale passare. Così forse arriverai in cima e potrai scappare»
«Ma voi-»
«Noi ce la caveremo» lo interruppi brusca «abbiamo un po' più di esperienza nel combattere. Fai come dice Annabeth»
Grover annuì. «Devi andare»
«Non posso abbandonarvi così!»
Sfilai il berretto dalle mani di Annabeth e lo ficcai in mano a Perseus. «Il mio odore copre bene quello di Annabeth, ma non il tuo. A livello di intensità è forte quanto il mio, e se resti qui non riuscirò a coprirti. Se ti allontani diminuirà e potrò distrarle, confondendole. Datti una mossa, Jackson»
Finalmente si ficcò il berretto in testa, anche se con riluttanza, e divenne invisibile. Sentii uno spostamento d'aria: il profumo di Perseus, brezza di mare, mi arrivò al naso. Capii che si era spostato, così mi alzai in piedi e bloccai il passaggio, nascondendo le mani dietro il sedile di Annabeth a sinistra, e quello di Grover a destra. Piegai leggermente la schiena, chinandomi in mezzo a loro, per dare l'impressione di stare semplicemente chiacchierando. «D'accordo» mormorai, traendo un profondo respiro «mantenete la calma e lasciate che si avvicinino, al resto ci penso io»
Quella con il cappello arancione si fermò di botto, annusando l'aria, e si girò di scatto. Doveva aver sentito l'odore di Perseus quando l'aveva superata. Mi concentrai e sfruttai l'aria che fuoriusciva dai bocchettoni dell'aria condizionata, posti sopra i sedili. La richiamai a me e poi soffiai leggermente nella direzione delle tre Furie. Un trucchetto facile facile che mi aveva salvato la pelle un paio di volte in passato.
Tutte e tre girarono immediatamente di scatto la testa verso di me, le narici dilatate. Avanzarono verso di noi, più veloci di prima. Mi tenni pronta ad evocare le Gemelle.
Arrivarono a circa due metri e si trasformarono sotto i nostri occhi, mostrando le loro vere sembianze. Grover gemette, mentre Annabeth brandì il suo pugnale. I miei braccialetti vibrarono; si slacciarono, e i lembi di ciascuno dei due strisciarono sul palmo verso le dita delle mie mani. Sentii le else prendere forma, e il formicolio familiare dell'energia statica mi solleticò le braccia.
I volti erano gli stessi, ma i corpi si erano raggrinziti in scuri e coriacei corpi di vecchie megere, con ali da pipistrello e mani e piedi degni delle grinfie di una gargolla. Le borse si erano trasformate in fruste infuocate. Simultaneamente le fecero schioccare, ringhiando nella nostra direzione. «Dov'è? Dove l'avete messo?»
«Oh, quindi non siete qui per me?» chiesi, fingendomi ferita.
La Furia di mezzo fece schioccare la frusta nella mia direzione. Sollevai Destra e la respinsi con un pigro movimento del polso. «Avaaaanti. Non hai imparato niente le ultime volte che hai provato ad uccidermi?» la provocai.
Le Furie levarono le fruste, inferocite. Prima che potessero attaccare, però, l'autobus sterzò violentemente a sinistra.
Fra gli strepiti generali, i passeggeri furono scaraventati sulla destra. Le tre Furie sbatterono contro i finestrini, e io dovetti puntellarmi con Sinistra, trafiggendo il sedile dell'autobus, per non fare la stessa fine. «Ehi!» gridò l'autista «che diamine!»
L'autobus cozzava contro le pareti della galleria, graffiando il metallo e lasciandosi una lunga scia di scintille alle spalle. Uscimmo dalla galleria Lincoln sbandando, di nuovo immersi nella pioggia, sballottati nell'autobus come biglie impazzite.
In qualche modo l'autista trovò un'uscita. Schizzammo fuori dall'autostrada, ignorando una dozzina di semafori, e finimmo in una stradina di campagna. Avevamo un bosco a sinistra e il fiume Hudson a destra. Sembrava che l'autista stesse optando per il fiume.
L'autobus emise d'improvviso un lungo gemito, compì un giro completo su sé stesso sull'asfalto bagnato e si schiantò fra gli alberi.
Scattarono le luci di emergenza e le porte si spalancarono. L'autista fu il primo a uscire, con i passeggeri spaventati che lo seguivano gridando.
Le Furie ritrovarono l'equilibrio troppo presto per i miei gusti. Scoccarono la frusta verso Annabeth, che agitava il suo coltello e strillava in greco antico; deviai il colpo con Sinistra, tagliandone via un pezzo, mentre Grover le bersagliava di lattine.
«EHI!» gridò la voce di Perseus.
Alzai la testa: era di nuovo visibile. Oddio, che idiota.
Le Furie si voltarono, scoprendo le zanne ingiallite. Una delle tre percorse il corridoio a grandi passi, verso di lui. Le sue orribili sorelle balzarono sopra i sedili, fiancheggiandola. «Perseus Jackson» ringhiò quella di mezzo «hai offeso gli dei e morirai»
«Mi piaceva di più come prof di matematica» replicò lui.
Noialtri, intanto, ci muovemmo con cautela dietro le Furie cercando un varco mentre Perseus tirava fuori una penna a sfera dalla tasca. La riconobbi immediatamente; era la spada di bronzo celeste che si chiamava "Vortice". Chirone me l'aveva messa in mano la sera dopo il mio arrivo al Campo e mi aveva chiesto di sfilare il tappo. Non appena l'avevo fatto, però, un getto di acqua salata mi aveva colpita dritta in faccia con una forza sorprendente. Chirone mi aveva confessato di aver avuto un paio di dubbi sulla mia parentela divina, e che quindi si trattava solo di un test. Qualche ora dopo venni ufficialmente riconosciuta come figlia di Zeus.
Nelle mani di Perseus la penna divenne rapidamente una splendida, scintillante spada di bronzo celeste a doppio taglio che fece esitare le Furie. Non era per niente male; sembrava fatta apposta per lui.
«Arrenditi subito» sibilò una delle Furie «e non patirai il tormento eterno»
«Bel tentativo» le concesse.
«Percy, attento!» gridò Annabeth.
La Furia di mezzo schioccò la frusta, attorcigliandola attorno alla mano con cui Perseus reggeva la spada, mentre le sue sorelle gli si avventavano contro.
Sollevai Sinistra e la scagliai contro la schiena di quella alla mia destra, infilzandola come uno spiedino. Si disintegrò con un urlo di rabbia. Tesi la mano, richiamando la katana a me, mentre Annabeth e Grover mi passavano sotto il braccio teso e si avventavano sulla Furia di mezzo.
Perseus colpì con l'elsa la Furia alla mia sinistra, spingendola a gambe levate su un sedile. La finii rapidamente, trapassandole l'addome con Destra. Annabeth afferrò la Furia rimasta alle spalle e la tirò indietro, mentre Grover le strappava la frusta di mano, gridando: «Ahi! Scotta! Scotta!».
La Benevola rimasta stava cercando di scrollarsi Annabeth di dosso. Scalciava, graffiava, sibilava e mordeva, ma lei teneva duro, e Grover riuscì a legarle le gambe con la sua stessa frusta. Alla fine la scagliarono insieme in fondo al corridoio.
Il mostro cercò di alzarsi, ma non aveva abbastanza spazio per sbattere le ali, così continuava a cadere. «Zeus ti distruggerà! Ade avrà il tuo spirito!»
«Braccas meas vescimini!» le rispose Perseus.
Un tuono scosse l'autobus. Un forte sentore di ozono mi colpì le narici come una martellata, e mi si drizzarono i capelli sulla nuca. Brutto, brutto segno.
Occultai velocemente le Gemelle. «Fuori! Subito!» ordinai, spintonando Perseus verso l'uscita.
Ci precipitammo all'esterno. Trovammo gli altri passeggeri che vagavano attorno storditi, litigavano con l'autista o correvano gridando: "Aiuto! Moriremo tutti!". Un turista con la camicia hawaiana scattò una foto a Perseus prima che potesse rimettere il cappuccio a Vortice.
«Gli zaini!» esclamò Grover.
Cercò di tornare indietro, ma lo afferrai per la collottola e lo costrinsi a rimanere dov'era. Era questione di secondi, ormai: l'energia elettrica si stava rapidamente intensificando. Stava arrivando. «Non muoverti!»
«Ma abbiamo lasciato gli-»
BUUUUUM!
Il fulmine colpì in pieno l'autobus, scoperchiandolo. I finestrini esplosero e i passeggeri corsero a ripararsi. «Cavolo!» esclamò debolmente Perseus.
«Scappiamo!» ci esortò Annabeth «La sentite? La Furia è ancora viva!»
Tesi l'orecchio. Annabeth aveva ragione: una serie di gemiti rabbiosi provenivano dalla carcassa dell'autobus. Forse le altre due erano morte, ma era meglio non rimanere comunque nei paraggi. «Andiamocene prima che chiami rinforzi» dissi. Ci slanciammo nel bosco sotto la pioggia scrosciante, con l'autobus in fiamme alle nostre spalle e il buio davanti a noi.
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