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Il bagno era deserto, e a Daniele la cosa parve un po' strana, vista la quantità di gente che affollava il locale quella sera.
I rumori e il calore della sala si erano bloccati fuori dalla porta, come se una sorta di scudo impenetrabile dividesse i due ambienti. La temperatura era più bassa lì dentro, una leggera umidità ristagnava nell'aria e, da uno dei vespasiani al muro, ruminava un sottile rivolo d'acqua, accompagnato da uno sciacquio cadenzato e leggero. Non fosse stato per i muri attorno, a Daniele sarebbe sembrato di essere tornato fuori, in mezzo alla strada, sotto la pioggerella primaverile che nebulizzava l'aria.
La scarica di brividi lo investì all'istante, partendo dal collo e irraggiandosi fino ai piedi.
Avanzò titubante verso la fila di lavandini, posta nel muro di fronte a lui. Le cabine, alla sua destra, avevano tutte le porte chiuse, tranne una che era appena accostata.
Contemplò un momento il suo riflesso nello specchio, poi abbassò il capo e aprì il rubinetto.
Lo scroscio improvviso rimbombò nell'eco del bagno, facendolo sobbalzare. Sorrise, tuffò le mani sotto al getto e se lo cacciò sul viso, ripetendo l'operazione un paio di volte. Il contatto dell'acqua fredda sulla pelle calda era parecchio gradevole; aveva l'impressione di percepire ogni poro dilatarsi per accogliere nel migliore dei modi il liquido fresco e rigenerante.
Stette qualche secondo a occhi chiusi, con le mani sul volto, facendo respiri profondi.
Ripensando al sogno rivedeva i visi dei suoi amici, quello della ragazza e del ragazzino nella sala, e non poteva evitare alle sue labbra di disegnare un sorriso, largo abbastanza da credere che i bordi fossero esterni alla faccia, sospesi nell'aria, come fosse uno Stregatto umanizzato.
Chiuse il rubinetto, si rimise diritto e aprì gli occhi sullo specchio.
Erano dietro di lui, tutti e dodici, e lo fissavano con aria neutra.
Il cuore di Daniele batté un colpo fortissimo, il rimbombo risuonò nel petto e s'infilò su per la gola, dissolvendosi un attimo prima di diventare un urlo.
Si voltò di scatto. Nessuno.
Ritornò sullo specchio. Niente.
Si voltò ancora. Il bagno era vuoto, umido, tornato silenzioso, tranne che per il continuo e delicato gorgoglio del rivoletto d'acqua.
Rimase immobile per un po', roteando gli occhi a destra e a sinistra, poi tornò con lo sguardo sulla sua immagine riflessa.
Si chiedeva se non stesse perdendo la sanità mentale. Trentacinque anni di incubi, rimorsi, rimpianti, perlopiù repressi e tenuti dentro, forse avevano lasciato segni che ora gridavano per venire fuori, a chiedere il conto. Eppure, non era del tutto convinto di stare impazzendo. Non aveva mai avuto allucinazioni in vita sua, ma aveva letto qualcosa sull'argomento e aveva compreso di come, a volte, possano essere estremamente reali per chi le subisce, pur essendo a tutti gli effetti, solo proiezioni di una mente affaticata.
Era sicuro d'aver visto i suoi compagni dietro di lui, tutti e dodici, così come li aveva visti e sentiti intorno al suo letto, qualche notte prima, così come aveva visto una delle ragazze e l'unico maschio al tavolo della sala. Poteva catalogare tutto a semplice allucinazione? O a banale manifestazione onirica, o sogno che dir si voglia? No! "Loro" non lo meritavano. E forse nemmeno lui.
Ricordò di essersi svegliato convinto quella mattina, riflettendo su come quella meravigliosa visita avesse scacciato via gli incubi, e un fiotto improvviso d'euforia s'allargò dentro di lui.
Fissò di nuovo il bagno alle sue spalle, attraverso lo specchio, credendo, da un momento all'altro, di rivederli comparire. Non c'era nessuno, ma la sensazione d'essere osservato era netta, chiara, ben distinta. Li sentiva vicino e, nonostante la situazione potesse apparire inquietante, si sentiva tranquillo e lo scintillio di brividi che trottava sulla sua pelle era piuttosto piacevole.
Chiuse gli occhi senza volerlo e concentrò la mente sulle facce rimaste giovani dei suoi compagni, così come le ricordava, e così come le aveva appena viste. Riuscì ad allinearle nella testa e scorrerle una a una, assaporando con gioia ogni lineamento, concentrandosi su ogni minimo particolare scorgesse, convinto, una volta riaperti gli occhi, di ritrovarsi davanti gli adorati amici. Questa volta non li avrebbe lasciati scappare.
Ma l'incanto si spezzò. La porta del bagno si spalancò bruscamente riversando all'interno il caldo brusio della sala; un ometto calvo e tarchiato entrò tossendo, si diresse all'orinatoio più vicino e si aprì la patta; rilasciò tutto quello che doveva rilasciare, interrompendo i fastidiosi colpi di tosse solo una volta per espettorare e sputare nel lavabo un grumo giallastro. Tirò l'acqua, poi se ne uscì, senza dar segno d'aver notato l'uomo ai lavandini.
Di nuovo l'allegro chiacchiericcio arrivò alle orecchie di Daniele. In quei pochi secondi che l'uscio rimase aperto, credette di sentire la risata contagiosa di Milena e, come le avesse rievocate, i tre splendidi visi delle sue amiche più care comparvero davanti ai suoi occhi, aleggiando con dolcezza per poi dirigersi verso la porta, e lì sfumare come nebbia.
Daniele strappò un pezzo di carta dal distributore, s'asciugò il viso e uscì dal bagno.
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