Caleb

Capitolo 36

Le persone sono autolesionisti per  l'ordine della natura stessa. Senza la certezza che ci possiamo fare del male da soli. L'essere umano non avrebbe senso di esistere.

Kappa_07

Era passato una settimana esatta dal momento che l'avevo lasciata in quel letto d'ospedale. Sette giorni che equivalgono a 168 ore precise.

Non le avevo chiesto come stava, non avevo più fatto scenate, non avevo più sentito i miei amici, tranne quando passavano a turno a casa mia per vedere come stavo e non volevo saperne più di nulla.

Osservavo il foglio con la maschera da ghost che avevo in mano, lo strinsi forte tanto da appallottolarlo in mano per ciò che c'era scritto sopra. Il disegno di un paio di occhi che sapevo bene di chi fossero; bene in vista. Strinsi forte la mascella, i muscoli mi bruciavano da tanto che ero teso.

Conoscevo benissimo quello sguardo che mi tormentava l'anima. Per una settimana non avevo fatto altro che leggere e rileggere quel pezzettino di foglio, con una minaccia diretta e senza preamboli.

"Noi sappiamo chi sei. E conosciamo anche lei. Ci faremo sentire, preparati Caleb War".

Chi fosse il mandante non lo sapevo, ma non mi sfuggii l'ironia. Chiunque essi fossero, erano gli stessi che mi avevano rinchiuso in quello sgabuzzino quel giorno, gli indizi erano chiari. Trevor non era tipo da usare questo tipo di minaccia. Non per quanto io ne sapevo almeno.

Erano tre anni che non si faceva più vedere e le ultime tracce riportavano a Washington, ma anche lì, uno degli investigatori, mi aveva detto di averlo perso. Se volevo un lavoro fatto bene, dovevo farlo da solo. Sarei andato a cercarlo, dopo la questione di Lilla, ma questo foglio, mi metteva in guardia.

Voleva dire che c'era qualcuno in città che mi stava osservando e aveva delle informazioni su di me. Forse uno di quei tipi a cui avevo spaccato la faccia? Ma no, era impossibile, chiunque avevo perseguitato insieme ai miei amici in passato era sfuggito a gambe levate dalla città.

Presupposi di farglielo sapere ai miei amici. Sapevo che mi avrebbero consigliato di fare qualcosa per scoprire di chi si trattasse. Eppure, era una settimana che non riuscivo a prendere una decisione. Lo avevo trovato sotto la porta quando ero tornato dall'ospedale dopo aver lasciato Lilla, e benché mi ribollisse il sangue nelle vene, non conoscevo il mandante. Quindi aspettai. Prima o poi si sarebbe fatto vedere mi ero detto ed io lo avrei fatto sanguinare.

Mi ero rintanato in casa e avevo preso a pugni il sacco da boxe nella sala dei giochi, avevo bevuto e avevo dato pugni fino a farmi sanguinare le nocche. L'ombra della rabbia e dello sforzo, mi aveva oppresso fino a crollare.

Avevo dormito per diversi giorni di fila sul divano, tormentato per via degli incubi. Avevo ancora i lividi in faccia, l'occhio si stava sgonfiando ma c'era il livido violaceo sia sulla mascella che sul sopracciglio spaccato.

Rob nonostante tutto, era venuto a trovarmi, si era preoccupato per il mio silenzio e mi aveva guardato mentre riempivo di pugni il sacco da boxe; l'unica valvola di sfogo che potevo avere. Non ero nemmeno andato allo studio ricordandomi bene che il mio amico mi aveva licenziato. Ero rimasto a casa, in attesa che l'anonimo mi raggiungesse e si rivelasse.

Nemmeno a lui raccontai che cosa avevo ricevuto. Mi aveva trovato in piscina con una bottiglia di whisky la seconda volta, la maschera di ghost che portavo sempre ovunque andassi per la casa, per ricordarmi che avevo un bersaglio nella testa. Rob l'aveva vista, ma non aveva fatto nessuna domanda. Mi aveva preso dalle mani la bottiglia e l'aveva gettata nella pattumiera dopodiché mi aveva gettato sotto la doccia fredda per farmi rinsavire e dopo essersi assicurato che stessi bene se ne era andato dicendo che sarebbe ritornato.

Avevo visto le molteplici telefonate del perito e dell'architetto per la costruzione dell'Oasi, ma non avevo risposto, non quando qualcuno mi aveva inviato una lettera in anonimo con gli occhi Viola disegnati sotto la minaccia. Non ero più andato a scuola, sapevo che se ci fossi andato avrei ucciso tutti coloro che le avevano fatto del male solo per sfogare la frustrazione. Lenny ed Eliot venivano a trovarmi tutti i giorni, ma nemmeno loro stavano passando un bel periodo, i loro genitori erano delusi e gli avevano costretti a lavorare.

Lenny andava sempre in azienda con suo padre, a fare il galoppino del caffè, così mi aveva detto almeno, ed Eliot non si esprimeva, tipico suo.

Dean era l'unico con cui non avevo ancora parlato. Dopo l'incontro a casa sua con suo padre, non l'avevo più visto. Avevo deciso di lasciare stare tutto, mi sentivo uno schifo, non avevo toccato droghe perché Amelia passava quasi due volte al giorno solo per assicurarsi che stessi bene, ma so che lo faceva perché temeva una mia ricaduta.

Mi ero rifugiato in alcool, adoravo l'odore acre e pesante del whisky, l'altra sera avevo scolato una bottiglia di vodka liscia e mi era andato alla testa, mi ero messo a dormire per non dare eco alle mie idee malsane. Tipo andare in ospedale da lei e baciarla, inginocchiarmi di fronte a lei e chiederle scusa come se fossi il suo schiavo. Perché è quello che mi ha fatto diventare fin dal primo momento che l'ho vista in quel bar. Il suo schiavo.

Avevo cercato di estraniarmi dal mondo, era stato dura da digerire, non avrei mai pensato di fare del male fisicamente a un'innocente, essendo io stesso uno per cui ho proprio sofferto le ingiustizie corporee. E questo fatto mi rendeva talmente stronzo e subdolo da non riuscire a concentrarmi su me stesso. Soffocavo i sensi di colpa per non dover spaccarmi il petto e strappare fuori in cuore grondante di sangue denso. E lei aveva sofferto.

Questo mi rendeva irascibile a momenti. Volevo rompere tutto e allo stesso tempo volevo rompere me stesso.

Guardai i miei animali in giardino destreggiarsi e inseguirsi a vicenda, correvano intorno alla piscina, Black e Snow erano curiosi e fissavano l'acqua della piscina cristallina con interesse. Fifo era intento a giocherellare con loro senza però fargli male.

Ricevetti un messaggio sul cellulare, quest'ultimo vibrò sulla chaise-longue.

Grey Wolf: Stasera c'è una festa alla rimessa delle auto ci venite?

Alzai gli occhi al cielo pronto a gettare via il telefono, ma la risposta di Eliot mi bloccò

Crazy Wolf: Ho visto che hanno circondato il perimetro a est. Non gli si può accedere, ci sono dei mastini intorno che non lasciano passare nessuno, stanno costruendo un muro. Come mai lì voi ne sapete qualcosa? Chi è che lo ha organizzato? La festa intendo?

Alzai un sopracciglio curioso e lessi la risposta di Lenny.

Grey Wolf: Lo ha organizzato Dean, e ha detto che non dobbiamo preoccuparci di quei tizzi, se ne stanno dalla loro parte del muro.

Sbattei le palpebre incredulo. Dean cosa? Che cosa aveva in mente? E perché aveva organizzato una festa proprio lì? C'era qualcosa che non quadrava, strinsi forte il telefono in mano. Sentivo il bisogno di tornare da lui e ridargli indietro tutti i pugni che gli avevo lasciato darmi, ma mi costrinsi a decidere, che c'erano vicende più urgenti che mi premevano.

White Wolf: Ciao ragazzi, ho organizzato una festa alla rimessa, una specie di benvenuto a Halloween che è questo venerdì. Tutti in maschera, ho voglia di divertirmi. Caleb, se devi rovinare la festa, non sei il benvenuto.

Alzai di nuovo un sopracciglio, un po' curioso e un po' confuso, e ancora un po' arrabbiato. Aveva vinto, ora perché diavolo si comportava in questo modo? L'ultima volta che aveva organizzato una festa si riduceva all'anno scorso quando conobbe quella mora.

Un pensiero mi innescò a catena una reazione di disagio. Incredulità, aspettative, e in fine rabbia. Avrebbe portato lei lì? Stava bene? Voleva sbattermi in faccia che aveva vinto e l'avrebbe baciata davanti a tutti? Io come avrei reagito di fronte a una scena del genere? No, no, non pensare a stupidaggini Caleb. E poi, no! Non avrei mai permesso a nessuno di baciarla di fronte a me. Mai.

Ma poi lei non era mai stato un premio per lui. Lei era un premio per me. E solo all'idea di vedere il suo volto come oggetto delle mie minacce mi ribollii il sangue. Forse, la cosa migliore sarebbe stata quella di raccontare ai ragazzi che cosa stava succedendo, così da avere un piano già pronto nell'eventuale possibilità che questo tizio si facesse vedere proprio a quella festa.

Ma alla fine, lei ci sarebbe stata? Tutti i miei pensieri mi riportavano a lei. Dovevo smetterla... Tirai un sospiro e strinsi i denti, le spalle teste.

Sentii ancora il telefono vibrare, ma ormai lo avevo già ficcato in tasca e mi ero diretto dentro casa per farmi una doccia. Non lo so se ci sarei andato ma avevo bisogno di scaricare la frustrazione e la rabbia. L'unica cosa che volevo era correre con la moto. L'adrenalina mi avrebbe fatto rinsavire, il necessario.

Il vento si abbatteva negli occhi come schegge di vetro che si infrangevano contro il suolo, li strizzai per riuscire a lubrificarli e la camicia nera che mi ero infilato dopo la doccia era gonfia per via della velocità che fendeva il vento e si abbatteva contro il mio corpo. Sentivo il vibrare del serbatoio sotto di me, il manubrio dritto, l'acceleratore fino in fondo.

Non volevo sentire nulla oltre la libertà che c'era all'orizzonte. Schiacciai la frizione con la mano sinistra e misi la sesta col piede prima di dare altro gas e sfrecciare lungo la strada principale. La Little Falls Road 54. Vedevo la macchina andare nella direzione opposta come delle macchie indistinte, volevo solo correre e urlare. L'adrenalina era a mille, e dopo una settimana, la mia mente cessò di pensare, di rimuginare e di torturami. Ogni terminazione nervosa, diventò tutt'uno con la corsa.

Svoltai verso il bivio per Randall, avevo guidato per più di un'ora, ero prossimo a raggiungere la città confinante. Mi fermai ad un semaforo una volta addentrato nella via alberata principale della città scorsi le persone camminare sui marciapiedi adiacenti alla strada. Voltai lo sguardo a sinistra e vidi un negozio di fiori, una signora anziana con indosso un grembiule teneva una rosa rossa in mano e le stava togliendo le spine che c'erano sul gambo.

La osservai con insistenza mentre si muoveva delicata per non spezzare la rosa, le vetrate fuori erano tutte decorate con le immagini floreali e gadget di Halloween, c'erano dei colori vastissimi e ogni sorta di fiore fuori, dove si trovava. Sorrisi, non so il perché, forse l'idea di aver voluto una nonna mi avrebbe reso felice, i nonni facevano sempre i dolci per i loro nipoti e li proteggevano dai genitori quando facevano i capricci. Deglutii e un moto di invidia mi assalii violentemente il petto.

Era un altro pezzo mancante delle cose che non avevo mai avuto. Non avevo mai avuto dei nonni. O forse sì, ma nessuno di loro era venuto a cercarmi. Forse i genitori della donna che mi aveva messo al mondo ed è scappata, non lo sapevano nemmeno che io esistevo. E se nel caso l'avessero saputo, questo mi avrebbe convinto sul fatto che non mi volessero, se no a quest'ora mi avrebbero cercato.

Con un groppo in gola smontai dalla moto dopo essermi spostato sul ciglio della strada, diretto a quel negozio.

🐺

Quando rientrai a casa, trovai Rob ad aspettarmi sul suo pick-up nero fuori dal cancello, aveva le rughe sulla fronte, e sembrava preoccupato per qualcosa. Mi avvicinai spegnendo la moto proprio a fianco.

«Ti stavo cercando.» mi disse rilassando il volto. Misi il codice per l'apertura del cancello di ferro nero che con due click iniziò ad aprirsi.

«Vieni dentro.» lo invitai procedendo con la moto, la parcheggiai di fronte ai gradini. Mi sarebbe servito ancora.

Rob mi seguì col suo pick-up e si fermò appena alla destra per poi riuscire a fare una inversione a U quando se me sarebbe andato. Scese dalla macchina, indossava una polo a maniche lunghe verde scuro e un paio di jeans, gli stessi anfibi neri inconfondibili.

«Che succede?» gli chiesi. Sentivo il vento innalzarsi, stava per arrivare la neve da qui a breve, l'aria era sempre più fredda ora che l'adrenalina era scemata.

«Ho saputo che Dean sta organizzando una festa alla rimessa delle auto. Devi persuaderlo a lasciare perdere» aveva lo sguardo fermo, anche se provava a rilassarsi. Ebbi l'impressione che nascondeva qualcosa, ma decisi di tacere. Sospirai osservando le siepi alla mia sinistra che fungevano da confine per tutto il perimetro della casa. «Buona fortuna allora. Io e Dean siamo ai ferri corti.»

Rob strinse le labbra, «Caleb, non è un buon momento per fare una festa alla rimessa credimi.» lo disse come se fosse stata una mia idea. Alzai gli occhi al cielo.

«Senti, va a parlare con lui, è stato lui a organizzare una specie di festa pre-Halloween o qualcosa del genere, io l'ho saputo solo quattro ore fa.» risposi facendo le virgolette quando dissi il pre

Rob mi fissò a lungo. «Parlerò con lui. Non è una buona idea andare là, potresti spostarla qui, a casa tua. Non c'è nessuno che puoi infastidire con la musica alta.»

Aggrottai la fronte e assottigliai lo sguardo curioso. «Cosa c'è alla rimessa?»

Rob, strinse la mascella «Nulla, è solo che non voglio che qualcuno si faccia male tra tutte quelle auto arrugginite e tutto quel ferro fuori posto. Non si sa mai, e poi lo sai che ci andrei io nei casini.»

Avevo l'impressione che mi avesse detto una cazzata colossale. «Sai, ho saputo che ci sono degli uomini a ovest, hanno delimitato il confino dove c'era la vecchia officina e tutto il tragitto che porta alle grotte. Tu ne sai qualcosa? Sai chi sono? Oppure che cosa ci fanno con quel pezzo di terreno?»

Rob non si scompose, ma notai benissimo il suo pomo d'Adamo fare su e giù. «Non so chi siano», scrollò le spalle con indifferenza. Assottigliai lo sguardo. «Quindi stagli alla larga, mi hai capito?» mi disse deciso. Alzai un sopracciglio.

«Tu sai chi sono vero?» ero sicuro che lui lo sapeva, ma a giudicare da come si teneva alla larga da quel discorso, decisi di non indagare oltre.

«Caleb...» mi rimproverò con la voce leggermente abbassata e gli occhi fissi nei miei. «È meglio non saperle certe cose, e ti sto semplicemente chiedendo di trasferire la festa qui.»

Sì che lo sapeva, eppure c'era una luce che non seppi decifrare nel suo sguardo azzurro ghiaccio. Sembrava, preoccupato ma allo stesso tempo determinato. Una via di mezzo tra le due opzioni e vedendo come si sentiva minacciato ogni volta che lo osservavo per captare anche il più piccolo dei sotterfugi decisi di lasciare stare. Avevo cose più urgenti per la testa.

«Non ti posso promettere questo, ma ti prometto che cercherò di tenergli lontano dalla parte ovest. Dirò ai ragazzi di creare un confine per la festa.»

Rob tentennò, ma alla fine annuì. «Ti trovo meglio» mi disse dopo un lungo silenzio. Infilò le mani nelle tasche dei jeans e mi guardò intensamente, come se volesse scorgere dentro di me.

Deglutii. «Sto cercando di stare meglio.»

"Chiedile come sta Lilla?"

Sbattei le palpebre un paio di volte, e feci un lunghissimo respiro.

«I lividi non si vedono nemmeno più», mi prese in giro bonariamente per alleviare la tensione.

Abbozzai un sorriso a mezza bocca. «Quali lividi?» gli domandai. Rob rise prima di tornare serio. «Ho trovato qualcuno Caleb», la serietà con cui me lo comunicò mi fece rizzare i peli sulla nuca. «È molto bravo, ha aiutato un sacco di persone. Dagli almeno una possibilità.» cercò di convincermi.

Strinsi forte la mascella e le mani. «Sto bene!», tagliai corto facendo un passo indietro come se fossi stato scottato.

«Caleb, ti prego, ascoltami». Disse Rob avvicinandosi.

Gli puntai un dito contro. «No! Ti ho già detto di no! Non ho bisogno di qualcuno che mi strizzi il cervello a come li pare e piace. Non voglio parlare con nessuno! Sto bene!» lo aggredì alzando la voce più del necessario. Sentivo il formicolio della rabbia partire dalle dita delle mani ed espandersi nel mio petto dove rimase lì e iniziò a concentrarsi maggiormente.

«Caleb...», mi parlò Rob. «È il momento ragazzo. Hai bisogno di liberarti» aggiunse calmo. Negai con veemenza. «Pensaci almeno, ti chiedo solo questo.» estrasse dalla tasca dei jeans un foglio bianco piegato in quattro e me lo pose tenendo la mano in sospeso. Osservavo quel foglio come se fosse la mia condanna come se fosse il male puro. Poi feci un lunghissimo respiro e lo afferrai velocemente per ficcarmelo in tasca. Rob sembrò rilassarsi.

«Non ti prometto nulla», lo avvisai.

Annuì e i suoi occhi si addolcirono appena. «C'è un'altra questione che dobbiamo discutere. Si tratta dell'Oasi. Il perito chiede la tua conferma, ma non riuscivano a raggiungerti al telefono e si sono rivolti a me. Gli ho dato il via libera da parte tua. A te sta bene vero?» chiese infine.

«Sì, va benissimo.» gli dissi annuendo.

Salutai Rob, che se ne andò dopo una buona mezz'oretta e mi cambiai per andare alla festa. C'era qualcosa di strano nell'aria, e la storia della rimessa non smise di farmi pensare. Che cosa aveva a che fare con Rob? E soprattutto chi erano? Chi cazzo era arrivato in città?

Mi preparai, coccolai un po' gli animali e dopo avergli dato la pappa, uscii di casa col casco integrale in mano. La musica suonava a tutto volume dalle casse. Sweet Child O'Mine di Guns N' Roses si sprigionavano ad ogni angolo facendo ballare le persone che erano intenti a sorseggiare l'alcool nei bicchieri blu di carta vestito di ogni genere, da stregoni, a cameriere sexy.

La rimessa delle auto, solitamente un ambiente austero e spoglio, si era trasformata in un luogo incantato e inquietante. Le grandi porte in metallo, normalmente chiuse, erano aperte per accogliere tutta la gente che si stava accalcando in massa ballando e ridendo.

Spensi la moto sul ciglio della strada, osservai il bosco espandersi dal lato opposto inghiottito dall'oscurità. Lì cerano quelle persone che avevano delimitato il perimetro e una sensazione di inquietudine mi acchiappò il petto, mentre una leggera brezza mi scompigliò i capelli appena mi tolsi il casco: Portava con sé il profumo di legna bruciata.

Mi addentrai, notai a stento le moto di Lenny e Eliot poco più distanti e dedussi che fossero già lì da un bel pezzo.

Alzai la testa e notai una rete di luci colorate che pendevano dal soffitto del cielo aperto, proiettando ombre danzanti sul suolo e creando un gioco di luci e colori, li avevano agganciati alle pile di pezzi di ricambio un po' ovunque per tenerli in sospeso.

Arancioni e viola illuminavano i volti sorridenti dei partecipanti, mentre alcune lanterne a forma di zucca, accuratamente intagliate, pulsavano di una luce tremolante alla mia destra su tutto il sentiero che portava alla pista, dove c'era il DJ che ballava a suon di musica premendo sulla cuffia all'orecchio c'erano due tipe vestite da Harley Queen che gli strusciavano addosso, notai che una di loro era Messy.

«Non è ancora Halloween testa di cazzo», borbottai un'imprecazione contro Dean che non si vedeva da nessuna parte.

«Ehi Caleb!», mi chiamò Penelope che stava alla sinistra con le sue amiche. Aveva il costume da cheerleader tutto insanguinato e portava un velo in testa, anch'esso insanguinato. La salutai. «Ehi Penny.»

«Stai bene?» Mi chiese osservandomi curiosa. Annuii «Sai dov'è tuo fratello?» Cambia discorso.

Si strinse in spalle. «Boh, con Eliot da qualche parte suppongo.» bavette dal suo bicchiere, perforandomi coi suoi occhi chiari. Continuai a camminare le decorazioni spaventose erano appese ovunque: ragnatele artificiali che ondeggiavano al soffio del vento e figure di fantocci, vestite con abiti stracciati, che osservavano la festa con occhi vuoti.

«Ehi amico», mi disse Eliot appena fui al centro della rimessa, notai un grande falò che scoppiettava vivacemente, lanciando scintille verso il cielo notturno.

Mi volsi verso Eliot che se ne stava in disparte e fumava una sigaretta in silenzio, col volto basso. «Tutto a posto?» chiesi avvicinandomi a lui. Eliot alzò gli occhi al cielo, le sue spalle erano ricurve.

«A meraviglia», rispose con voce tagliente. Sentii il profumo dell'alcool in aria, il mio stomaco si serrò d'istinto. Lo volevo, ma sapevo che poi non mi sarei più fermato.

Sospirai la brezza fredda mi fece accapponare la pelle e volsi di nuovo lo sguardo verso il falò. Le fiamme danzavano e si riflettevano nei volti dei partecipanti, creando un'atmosfera di calore e di mistero per come si erano truccati. Le persone si erano riunite attorno al fuoco, cera chi ballava, altri parlavano fra loro.

Notai Dean chiacchierare con un paio di studenti che frequentavano i nostri stessi corsi, aveva addosso solo un paio di jeans bianchi, il petto tonico coperto di tatuaggi piccoli ma significativi brillava alla luce del fuoco. Notai distrattamente Lenny che si stava scopando una dentro un'auto ridotta malissimo, la gente lì osservava distrattamente. Mossi il capo sorridendo. Era proprio da Lenny scopare in pubblico.

«Allora sei venuto», fui distratto dalla voce di Dean, si era allontanato dal gruppetto. Aggrottai la fronte.
«Quasi non si vedono più le botte che ti ho dato». Disse sorridendo. Stava cercando di provocarmi.

«Quelle che io ti ho lasciato darmi.» rettificai. Eliot sbuffò per quello scambio di opinioni. Dean ghignò. Cercai di non scompormi, anche se sentivo il petto andare a fuoco. Mi aveva fatto incazzare da zero a cento in un millesimo di tempo.

«Come mai questa festa?» chiesi, alla sinistra un ragazzo vestito da Freddy Kruger stava inseguendo una ragazza vestita da infermiera che stava urlando perché lui stava quasi per raggiungerla. Dean si strinse in spalle.

I suoi occhi brillavano di luce propria. «Avevo voglia.» rispose secco. Alzai un sopracciglio e diedi un'occhiata in giro. "Lei non c'è".

«Hm, bella festa» aggiunsi senza voler aprire un discorso che ci avrebbe portato a uno scontro. Perché era sicuro, Dean ce l'aveva con me e io ce l'avevo con lui.

Spostai lo sguardo in tutte le direzioni e vidi le persone che indossavano costumi di ogni tipo: streghe con cappelli a punta, che stavano bevendo vicino al falò vampiri con mantelli misteriosi si muovevano al ritmo di musica sotto il dj e fantasmi avvolti in lenzuola bianche che camminavano e cercavano di spaventare le persone.

Alcuni portavano maschere elaborate, i cui occhi scintillavano di curiosità e di mistero come ragazza seduta su una pira di ricambi ammassati tutti insieme, aveva metà del volto truccato con delle squame di pesce e altra metà era pitturata di nero, completamente nero. Strinsi gli occhi per metterla a fuoco. Aveva addosso un vestito rosso lungo, i capelli sciolti ma scompigliati e ci guardava con insistenza.

«E lei, chi è?» chiesi indicando col mento. Gli occhi di Dean si oscurarono, e un solco le deformò le sopracciglia. «Nessuno!»

«Una che si vuole scopare», aggiunse Eliot portandosi le mani al petto al mio fianco. Sentii un martello abbattersi nel mio petto.

Una che? Aveva intenzione di tradire la Violetta? Che cosa?

«Come scusa?», mi sorpresi pure io della voce macabra e piena di rabbia che mi uscii dal petto. Che si fottesse il controllo.

Dean strinse la mascella e imprecò sottovoce. «Eliot non dire stronzate...»

Il lupo pazzo si strinse in spalle. «Che c'è? È vero. È tutta la sera che ti gira intorno.»

È lei? Volevo chiedere, ma non era più compito mio. Avevo deciso di lasciarla in pace. Era l'unica cosa sensata che potevo fare, dovevo farmi gli affari miei.

«Fai quello che vuoi. Me ne vado» dissi ad entrambi prima di voltarmi e imboccare il sentiero, ma poi mi fermai. «Rob ha detto che dovete stare alla larga dalla parte ovest. E parlo con te Eliot. Non provare ad andare alle grotte. Ci sono delle persone lì»

Mi avviai alla porta deciso, il casco in mano. Non volevo vedere nessuno, l'unica cosa che il mio corpo e la mia mente esigeva era scatenare la furia che stavo covando dentro da moltissimo tempo. Sentivo il bisogno di annegare.

«Ehi!» esclamò Dean raggiungendomi. Mi fermai, e lo osservai nei suoi occhi grigi. Sembrava indeciso. «Lei sta bene a proposito. Si sta riprendendo.»

Decisi di non rispondere, ma il mio cuore cessò di battere per un secondo prima di impennarsi.

«Domani la porto a cena fuori. Ho dovuto pregare sua zia in ginocchio, perché non voleva che lei uscisse per via di...», abbassò le spalle.

Mi fremevano le narici, e strinsi con maggiore forza il casco, pronto per avventarmi su di lui e spaccargli la faccia.

«Ecco, per via che sta male e quant'altro. Ma domani spero di farla sentire meglio. Caleb, dovresti vederla, è perfetta per me. Le sue labbra sono talmente morbide», sorrise, e spostò lo sguardo altrove, come se stesse ricordando qualcosa di buono.

«Lei è morbida tutta, ma tu lo sai già.» concluse. Strinsi fortissimo la mascella, i muscoli mi dolevano per la tensione che esercitavo a trattenermi. Mi stava provocando. Era ovvio.

Lui voleva vedermi reagire. In una settimana non mi aveva visto fare nulla, e ora esigeva un pegno. Feci un respiro profondo e a denti stretti risposi.

«Buon per te. Prenditi i miei avanzi, sono sicuro che ti soddisferanno.» Mi volsi, e col passo deciso, mi allontanai dai lui, da quella festa del cazzo e da tutto ciò che mi ricordava una rabbia repressa pronta per essere esplosa.

Girovagai in sella alla moto per un tempo indefinito, fino a raggiungere Little Falls basso, i lampioni delle luci illuminavano i marciapiedi adiacenti, e le case erano tutte immerse nel buio.

"I miei avanzi" Ma come mi è saltato in mente.

Erano le tre di notte, e non c'era anima viva in giro, l'unico rumore, era quello della marmitta della mia ducati. Avevo tutti il corpo in tensione, dopo le parole provocatorie di Dean, ogni mia cellula si era tramutata in vulcano che esigeva eruttare liberando lava liquida.

Odiavo venire a sapere che Dean aveva assaggiato ciò che doveva essere solo mio. Odiavo il fatto che non avevo combattuto abbastanza da tenergli testa. Odiavo l'idea che poteva essere fra le sue braccia e non le mie. Odiavo ogni cosa. Me stesso, lei e Dean.

Spesi la moto e scesi giù, mi sfila il casco, indeciso sul da farsi. Ero sempre stato una persona alquanto pragmatica. Se c'era da fare una cosa, giusta o sbagliata, la facevo senza troppe storie. Eppure, fare questa, cosa, mi rendeva nervoso oltre ogni limite immaginabile. Non avrei dovuto forse. Magari sarebbe sembrato una minaccia? Forse era sbagliato il mio gesto? Ne sarei stato capace a tirare un sospiro di sollievo dopo? Forse era l'unico modo per saperlo.

Quella anziana mi aveva detto, che sarebbe sembrato qualcosa di bello. E che un gesto tale le avrebbe dato modo di sentirsi un po' meno triste, e io avrei iniziato a sentire un po' di sollievo. Ma tutto si riduceva alla sua decisione di perdonarmi.

🌺SPAZIO AUTRICE🌺

Spero il capitolo vi sia piaciuto.
Vostra per sempre

Nel caso, gradirei moltissimo una stellina e un commento. E non dimenticate di far conoscere la storia anche tramite la PASSAPAROLA che è fondamentale per me.

Siete la mia casa 🏡

💜Kappa_07💜

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