Caleb
Capitolo 8
●Acconsentimi di mostrarti,
tutti i mostri
assopiti dentro di me●
Kappa_07
La presi in spalla e mi diressi spedito verso lo spogliatoio della squadra di basket. Si dimenò e si contorse convulsamente ma la strinsi forte in vita per tenerla ferma.
Cazzo quella ragazza mi aveva mandato fuori di testa prima, quando disse davanti a tutti che avrei dovuto chiederle scusa.
Com'era possibile che non capiva in quale guaio si era cacciata? Ancora non si rendeva conto con chi aveva a che fare?
Persi il controllo e le conficai le unghie nei fianchi per tenerla ferma, sussultò appena dall'irruenza della presa.
«Zitta e ferma», l'ammonì.
Scesi le scale e mi voltai a sinistra dove incontrai un paio dei miei compagni di basket i quali, mi guardarono con la fronte aggrottata prima di comprendere la situazione, per poi scuotere la testa e avviarsi verso l'uscita rivolgendomi un saluto mesto.
«Divertiti Caleb», ridacchio James, un ragazzo dai tratti africani, e dai capelli lunghi e legati in una coda bassa.
«Contaci Jam.» risposi rivolgendogli le spalle.
Una volta di fronte agli armadietti, mi piegai appena e misi la Viola, su una panca prima di inginocchirmi di fronte a lei sospirando.
Degltuii quando incontrai i suoi occhi pieni di terrore.
Erano grandi e viola, le pupille erano dilatate e ci vidi degli screzzi di grigio inglobati da un tenue azzurro, il naso a patatina fremeva facendo risaltare un gioco tra luci diverse che si tramutava in un viola brillante. Mi amaliarono per l'ennesima volta, ma decisi di non dare ascolto al respiro irregolare che mi turbava all'interno. Strinsi forte la mascella, tutto di lei sembrava pregarmi di lasciarla andare.
Nel suo cervello c'erano una serie di eventi che si stavano susseguendo uno dietro l'altro e sempre peggio.
Stava soffrendo ed ero consapevole, era terrorizzata, ma cercava di non farlo vedere.
«Sai cosa faremo Violetta?» dissi il nomignolo enfatizzando una derisione.
Chiuse gli occhi come se sentisse dentro tanto dolore.
Benvenuta nel club ninfa strega.
Mi alzai e mi voltai alla sinistra dove c'era l'occorrente per la squadra di basket. Mi tolsi la maglietta sibilando un imprecazione, la schiena mi faceva ancora male...
Mi voltai verso di lei e la vidi strabuzzare gli occhi e seguire le linee dei miei infiniti tatuaggi. Soprattutto quando si fermò sul polipo nero in mezzo al mio petto, precisamente iniziava dove avevo il cuore e i tentacoli si diramavano fino alle costole.
Feci un mezzo sorriso e mi avvicinai a lei, il suo profumo mi investii in pieno e mi sentii come se stessi cadendo da un'altezza inimmaginabile quando ci affogai nei suoi occhi per l'ennesima volta. Il respiro mi si addensò eppure tenni un'espressione strafottente.
Non erano le sue stupide provocazioni a causare il mio turbamento interiore ma era stata la sua domanda del cazzo.
Mi aveva toccato un nervo scoperto e ora io avevo intenzione di toccare tutti i suoi. Tutti, uno per uno. Volevo farla sanguinare.
«Sai piccola Violetta, ora io potrei tranquillamente dirti: Inginocchiati, apri la bocca e succhiamelo fino a soffocare, ma in realtà, nulla di tutto quello che potrai mai farmi adesso attenuera i viaggi mentali che ho in testa. Perché tu piccola mocciosa non hai idea di come comportarti in mia presenza e io ho intenzione di insegnartelo!»
Le narici mi fremettero, il sangue scorreva alla velocità della luce. Le sue parole mi tornarono di nuovo in mente e sentii le mani prudermi.
Mi guardò pieno di odio e mi generò un brivido lungo la schiena.
Ghignai.
Mi volsi verso destra e intercettai il cesto dove vi erano i palloni da basket, ne afferrai uno e, iniziai a rigirarmelo tra le mani per lungo tempo, meditando sul da farsi e mettendo il suo volto e la sua figura a fuoco.
Aveva quella maglietta verde che abbracciava tutte le sue curve sinuose, era sporca di pomodoro come anche i suoi jeans scuri e le sue scarpe, eppure sentii il suo profumo di incenso e cannella. I capelli, erano sciolti e cadevano in piccoli boccoli color arancione sulle spalle, una serie di riccioli le erano finiti sulla fronte e sugli occhi, disturbando le ciglia lunghe che non si abbassavano quasi mai, era vigile, ma soprattutto tesa.
Il profumo di cannella mi investi l'olfatto, oppure era semplicemente una mia immaginazione, perché in realtà sarebbe stato impossibile sentirlo nel fetore che emanavano i suoi vestiti.
Un pensiero mi passo repentino nella testa e sorrisi.
«Puzzi Violetta», le dissi con un sorriso da squalo.
Sì dimenò ancora dicendo qualcosa di incomprensibile, ma feci rimbalzare la palla davanti ai miei piedi che echeggiò e catturò la sua attenzione.
«Facciamo così. Se la smetti di dimenarti e di blaterare ti tolgo il nastro adesivo quando ti butterò sotto la doccia. Ehm? Ci stai?»
Mi avvicinai a caricarla di nuovo in spalla, ma lei alzò le gambe e mi spinse poggiandoli sui miei stinchi.
Persi l'equilibrio per un attimo. Portai una mano dietro per tenermi in equilibrio appoggiandolo all'armadietto altrimenti sarei rovinato a terra.
«Uhhh focosa», le parlai in un verso roco guardandola da sottinsu.
La afferrai per la gola e la tirai in piedi. Eravamo faccia a faccia. Senti il suo respiro pesante uscire dalle narici, i suoi occhi erano una meraviglia pazzesca e mi mandarono il cervello in pappa, i nostri nasi si sfioravano appena.
«Cazzo come ti vorrei mordere», mormorai.
La vidi deglutire, ma non si scompose.
Chiusi gli occhi e ma la caricai di nuovo in spalla, controllai che non ci fosse nessuno fuori dalla porta e la portai nei bagni. La misi sotto il getto e aprii l'acqua che uscì fredda.
Sì mosse strillando sotto il nostro isolante. La tenni stretta attaccata al muro e agganciai i miei occhi nei suoi.
«Così non puzzerai più.»
Un verso di rabbia lasciò la sua gola, le sue sopracciglia scure si circonflettero formando un solco in mezzo alla sua fronte. Aveva la pelle d'oca.
Mi accorsi delle sue lentiggini accentuati dall'acqua e il cazzo mi si svegliò sotto i jeans.
Merda, tutto di lei in un modo o nell'altro mi faceva svegliare una parte del corpo.
«Ti tolgo il nastro okay.» la informai, ma non attesi e lo strappai in una mossa veloce.
Le sue labbra piene, rosa e setose dovevano avere un sapore paradisiaco.
«Tu stronzo bastardo. Ma che cazzo ti dice il cervello? Caleb lasciami andare cazzo!» esclamò dimenandosi.
«Sei una persona infida un bambino che fa i capricci perché la madre gli ha tolto il giocattolo dalle mani. Ma che cazzo ti prende eh!» parlò piena di rabbia e piena di collera.
Mi fece salire il sangue alla testa in un millesimo di secondo e le ringhiai in faccia con tutto il marcio che portavo dentro.
«STAI ZITTA! Tu non sai niente!»
Sussultò, i suoi occhi si dilatarono increduli. Capii che nessuno le aveva mai parlato in quel modo e mi fece male.
Il mio cuore si fermò, feci un paio di passi indietreggiando e deglutii per buttare giù la sensazione di soffocamento.
Sono rotto.
«Lasciami andare. Slegami subito!» mi ordinò guardando dall'altra parte per non incrociare i miei occhi, o semplicemente me.
«Non hai ancora capito Viola. Tu non ti muovi da questo posto oggi, sta sera. Tutta la notte!» sentenziai.
Fu troppo calma, la vidi deglutire e annuire. Comportamento che mi colse di sorpresa, mi sarei aspettato che mi sbraitasse contro, o che iniziasse a fare qualcosa, ma niente. Non fece nulla.
«Mi verranno a cercare prima o poi. Devo solo avere pazienza», borbotto a voce bassa.
Risi appena. Come cazzo era possibile che quella ragazza si controllasse così tanto?
Avrei voluto sapere il suo segreto.
«Nessuno ti verrà a cercare. Almeno non stasera», le dissi prendendo la mia maglietta e gettandola a terra vicino ai suoi piedi.
Era fradicia se non si cambiava in fretta avrebbe preso un accidente. E io la volevo in salute per lungo tempo.
Voltò lo sguardo verso l'indumento a terra e le narici le fremmettero.
«Pensi davvero che mi metta la tua merda di maglietta? Ah certo!» fece una risata tirata. «Era questo il tuo scopo», concluse.
Digrignai i denti e mi avvicinai stringendo la sua mascella. Passai il pollice sul suo labbro inferiore e mi fremette il cazzo.
Dio quanto volevo assaggiarla.
Cercò di spostarsi ma la tenni ferma. «Se avessi voluto vederti nuda, non credi che ci sarei riuscito ora?» le parlai a bruciapelo. «Ora io ti libero le mani e tu ti vesti senza fare scherzi, altrimenti saranno guai.» la minnaciai.
Le liberai le mani sciogliendo il nodo che le aveva fatto Lenny. Ci misurammo con lo sguardo per lungo tempo, nonostante torreggiassi su di lei di parecchi centimetri, sembrò sicura di sé. Un brivido mi percosse la pelle e strinsi la mascella.
«Spogliati», le ordinai.
«Esci!» sentenziò.
Feci un lungo respiro e rimasi fermo per qualche secondo poi iniziai a indietreggiare senza lasciare i suoi occhi.
«Niente scherzi», la ammonì.
Mi misi sullo stipite della porta e mi voltai, la sentii muoversi, e la mia curiosità ebbe alla meglio, mi girai e la vidi attraverso l'enorme specchio a parete.
Il cuore prese a battermi feroce nel petto, il respiro mi divenne denso.
Il suo corpo nudo mi mandò la salivazione a zero. Indossava un reggiseno blu scuro, le sue tette erano piene, sode e invitanti, aveva la vita piccola, e più in giù, nell'ombelico brillava un piercing dal colore dei suoi occhi, viola.
Il cazzo mi diventò duro all'istante, spingeva contro la patta dei miei pantaloni, strinsi forte i pugni lungo i fianchi per controllare le mie emozioni ma fu più dura del previsto. Il sangue mi si riscaldò e sentii le vene del cazzo tirare, seppi di aver perso una goccia nei boxer.
Quella ninfa strega era un sogno erotico. Come cazzo non si rendeva conto di essere capace di farglielo venire duro a tutti?
Esercitava un potere ancestrale su di me, era come il veleno di una mantide. Ti paralizzava.
La vidi mettersi la mia maglietta con movimenti concitati e si abbassò per liberare le caviglie, aspettai che ci riuscisse. Quando si liberò del tutto voltò lo sguardo a destra e a sinistra dove c'erano le due finestre.
Sì girò a sinistra e iniziò a correre ma spuntai dietro le sue spalle appena fece due passi.
La agguantai per le braccia portandola con prepotenza al mio petto.
«Dove credi di andare violetta?»
I suoi capelli erano umidi e mi si appiccicarono al petto, mi sembrarono delle fruste, mi formicolò il punto dove appoggiò la testa sospirando e dimenandosi.
«Lasciami andare brutto mostro! Io ci riuscirò cazzo, scapperò, c'è la farò ad arrivare al commisariato e denunciarti», mi urlò contro.
«Oh cazzo violetta. Io sono nato per questo. Le tue minaccie non mi scalfiscono neanche un po'.» le sussurrai all'orecchio.
Vidi la sua pelle ricoprirsi di piccoli brividi e un ansito lasciò le sue meravigliose labbra.
«Ma perché io? Che cosa ti ho fatto?» domando nervosa.
«Perché non tu Viola», risposi di getto.
«È perché ti ho detto che non verrò mai a letto con te? Cioè, ho così tanto ascendente su di te?» mi domandò incredula appiattita al mio petto.
Era così piccola e così perfetta allo stesso tempo per me che ebbi un'altro fremito sul cazzo.
Brividi mi giunsero dietro il collo.
«Tu non hai niente ninfa strega. Il tuo potere è pari al nulla. Gioco con te perchè mi piace vederti andare fuori di testa. Gioco con te perché mi rende felice. Gioco con te perché è l'unica cosa che so fare meglio per far scomparire la merda che c'è... la fuori», conclusi chiudendo gli occhi.
Una stilettata mi si conficcò nel petto e sentii i tentacoli del polpo che ho disegnato infilarsi sotto pelle e bruciaremi la dove c'erano più crepe.
Lei rimase ferma ad ascoltarmi e il suo respiro si fermò per un attimo. Stava pensando, stava traendo delle conclusioni.
«E poi ovvio, non hai accettato di scopare con me. Quindi questo chiude il cerchio.»
Sospirò prima di dire: «Ma che cosa ho io che un'altra la fuori non lo abbia? Cazzo ci sono fighe che non vedono l'ora di trovarsi fra le tue lenzuola. Ti senti così insicuro di te dal mio rifiuto?»
Ecco, ora la riconobbi, voleva ferirmi senza ferirmi, e ci riuscì alla grande.
Feci un sorriso amaro, ma lei non lo vide.
«Io me la prendo con tutti, non solo con te.» puntualizai. «Non si tratta del rifiuto in sé. Ma di ciò che hai detto riffiutandomi.»
Tentò di stratonarsi per liberarsi della mia morsa, così feci passare un braccio sotto il suo seno e la sentì trattenere il respiro.
Erano così vicine alle mie mani. Così vicino...
«Che cosa potevi prettendere? Che mi sarei inginocchiata a te così solo perchè sei il piu temuto della scuola? O perché sei il figlio dell'uomo più ricco dello stato di Minnesota? Notizia flash Caleb War. Non sei un cazzo di niente tranne un insicuro del cazzo, con manie del cazzo e l'indole violenta. Io non verrò mai e poi mai a letto con te, nemmeno se il mondo finisse e la speranza della sopravvivenza umana fosse l'unione di saliva fra noi due. Nemmeno se arrivassero gli alieni. Tu mi fai schifo.» Concluse con enfasi.
Per la prima volta in vita mia mi trovai senza parole. Mi trovai ferito in un modo che non c'entrava nulla con quello che avevo passato o con quello che cercavo per far tacere ciò che mi corrodeva la testa.
Le sue parole furono la più dolce delle ferite.
Mi appagarono e mi acquietarono. Inspirai a lungo gustando il dolore della verità espandersi come il fuoco che si elevava aggiungendone benzina.
Prima o poi ti avrei piegata Lilla.
«Vediamo che succede quando sarai piegata strega!»
La spinsi verso l'uscita dirigendomi di nuovo agli spogliatoi.
«Caleb, porca puttana! Ma che ti prende? Lasciami andare!»
«Adesso devi pagare pegno piccola strega.»
Aveva i pantaloni zuppi che bagnarono anche i miei, ma non mi curai, la portai di fronte alla porta del ripostiglio ma lei fece una cosa che non mi sarei mai e poi mai aspettato e che mi destabilizzo.
«Fottiti re dei stronzi!»
Mi diede una testata all'indietro che finì per colpirmi il petto e la gola. Non so se lo ha fatto apposta a mirare proprio quel punto, ma fatto sta che mi mancò il fiato. Arrancai con il bruciore che si propagò lungo l'esofago e mi portai le mani alla gola per dare sollievo al dolore acuto.
Mi sorprese oltre ogni limite il suo gesto, pensai che aveva fegato più di qualsiasi persona in questa merda di scuola.
Iniziò a correre velocemente verso la porta senza guardarsi indietro. Corse e corse fino a toccare la maniglia, la spalancò e uscì.
Mi misi in piedi, feci un verso di apprezzamento con la gola e risi divertito. Una risata che mi si propagò nel petto e mi fece muovere le spalle.
«Ahi, Ahi, Ahi Lilla Baker. La mia nemesi. La mia ninfa strega da mille sorprese.» dissi divertito.
Ero fiero per qualcuno in vita mia e mi sentii degno di giocare contro un valido avversario. Avversario che mi era mancato da anni.
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