Capitolo 88. Finale

Eren's pov.

08/08/1945 - 8:40 p.m.

"Eren... sei un americano, non è vero?"

I nostri occhi a contatto risultarono passivi gli uni negli altri all'udire di quelle parole che continuarono ad echeggiare sospese nell'atmosfera per un tempo che parve interminabile.
Il battito sembrò accelerare vorticosamente quasi a volermi aprire la cassa toracica, fino a percepirne le vibrazioni fin dentro le orecchie, fino farmi seccare la gola avvertendola come carta vetrata.

Rimanemmo immobili, incapaci d'affrontare una domanda tanto ardua alla quale però rispondemmo già attraverso lo sguardo, il suo, privato di ogni reattività, stanco, stanco di niente, stanco di tutto, stanco del peso di un mondo che non aveva scelto di sopportare; ed il mio, afflitto da un lancinante peso nel petto che spinse fino a togliermi il fiato, come a volermi uccidere ed io non avrei certo opposto resistenza, la collera diretta verso me stesso fu incolmabile.

Iniziò appena a scuotere il capo in un gesto di dissenso, come se non fosse stato in grado d'accettarlo, come se pronunciarlo a voce alta avesse scatenato l'inferno nella sua anima tormentata quanto innamorata.
Tutto attorno vi fu il caos, uomini che corsero da una parte all'altra in preda all'isteria ed al terrore a differenza nostra che continuammo ad osservarci riflessi uno nelle pupille dell'altro, come a voler scorgere l'ultima parte riconoscibile di quei lunghi mesi d'assuefazione.

Ci spintonarono in molti, le spalle di decine di uomini si scontrarono con le nostre in un momento di smarrimento generale, i nostri corpi nonostante urtati, non vennero smossi di un centimetro, come se vi si fosse creata una bolla ovattata all'interno della quale vi soggiornarono due uomini per la prima volta messi l'uno davanti l'altro senza più maschere.

Il suo sguardo vacuo come se nulla dall'esterno gli arrivasse, la pura essenza del nulla che ti strangola dall'interno ma senza mai ucciderti, ecco che cosa scorsi dai suoi occhi appesantiti, le mani abbandonate lungo la sua figura senza l'apparente forza per reagire, per sollevarle, per controbattere, per stringermi, per toccarmi...

Solo quando entrambi riuscimmo a metabolizzare la situazione la nostra reazione fu repentina ed istintiva. Afferrammo con le stesse mani con le quali attimi, giorni, settimane e mesi prima ci sfiorammo, un fucile a testa. Ce lo puntammo addosso, le mie mani poste nel punto corretto proprio come mi insegnò, rimembrando gli attimi in cui mi avvolse dolcemente da dietro impugnandolo assieme, come ad infonderci maggiore coraggio.

Le dita mi tremarono incessantemente al punto da perdere la mira, l'incredulità e lo sgomento mi pervasero fino a rendermi privo di lucidità. Ci sbirciammo a vicenda dal mirino dei rispettivi fucili, i nostri occhi a contatto come se non si fossero mai mangiati a vicenda servendosi del corpo dell'altro in attimi fuggenti di notti proibite.

Come siamo arrivati a questo Levi? A guardarci come sconosciuti dopo esserci confessati l'inconfessabile...

Strinsi maggiormente l'arma fra le mie titubanti dita come a darmi una mossa, tutto ciò a cui presi parte sarebbe stato impossibile sotto qualsiasi aspetto fin dall'inizio, perché stupirmi tanto? Perché vacillare davanti ad un nemico pronto a sparare?
Forse semplicemente perché quel nemico infondo non è poi così nemico.

Feci per abbassare il fucile ma il corvino mi precedette gettandolo a terra, la polvere che innalzò fu densa e dispersiva. Le sue mani ancora a mezz'aria si abbandonarono lungo la figura, stanche di dover continuare ad essere le artefici di tanto dolore, stanche di dover asciugare ancora una volta quel viso stremato dalla vita. I suoi occhi infossati quanto stravolti mi pregarono di farla finita, di toglierlo di mezzo una volta per tutte perché quello fu il colpo finale, la goccia che fece traboccare un vaso già colmo di sofferenze e disgrazie.

Fu come se qualcosa si fosse spezzato dentro di lui, milioni di frammenti irrecuperabili come granelli di polvere. Mi venne insegnato come il cuore potesse spezzarsi una volta sola e che tutto il resto sarebbero stati solo graffi. Ero troppo giovane per comprendere quale fosse il vero amore, ma quello che provai nell'osservarlo a pezzi vi si avvicinò parecchio.

Ora la tua mente è altrove, i tuoi occhi chiusi da aperti, sei silenzioso e frantumato...

Le mie braccia ancora alzate ressero il fucile con riluttanza ed insicurezza, il mirino posizionato all'altezza della sua fronte variò tremando fino al naso, per poi salire da un sopracciglio all'altro, i miei arti tentennanti non mi fecero prendere la mira, risultando impossibile focalizzarmi su una parte definita.

La mia condizione d'apatia dovuta ad uno stato di shock iniziale si affievolì gradualmente facendo posto ad un persistente magone che mi fece salire le lacrime agli occhi, la realizzazione di ciò che stessi per fare mi angosciò a tal punto da dovermi poggiare una mano sulla bocca pur di respingere un conato di vomito.

Il suo petto nudo si gonfiò vistosamente servendosi di un corposo respiro, scie di sangue percorsero i suoi addominali intuendo quel liquido fosse appartenuto all'uomo che vidi riverso a terra pochi istanti prima che venne trascinato via da delle donne.

Puntai uno sguardo alle mie mani ancora in fase di tiro, l'indice sul grilletto indugiò incapace di spingere oltre.

"Premilo, so che puoi farlo, finiscimi"
Mi incitò aprendo appena le braccia, come a volersi donare non in grado di reggere oltre.

E così sei arrivato al limite? Ti ho distrutto in tutti modi in cui un uomo sarebbe potuto essere distrutto, ti prego perdonami...

"Finiscimi perché io non sono e mai sarò in grado di premerti addosso quel grilletto"
Continuò alzando il tono di voce, i suoi occhi incavati presero a lucidarsi facendoli brillare. Le braccia che fino a poche ore prima mi strinsero rassicurandomi non vi sarebbe stato nulla in grado di renderlo incapace di lottare per me, in quel momento si aprirono accogliendo la sconfitta, si arrese davanti al destino, dimostrandomi ancora una volta la sua grandezza come Caporale, come uomo e come persona.

Perdonami...

"So che puoi farlo, esattamente come sei riuscito a mentirmi fino ad adesso"
Mi sputò addosso con le lacrime che gli rigarono il volto, non vi vidi rimpianto, solo sollievo, lo stesso di chi fosse stato sicuro d'aver dato tutto, d'essersi aperto e confidato senza paura, lo stesso di chi fosse riuscito a superare un amore tormentato accogliendone uno nuovo, lo stesso di chi fosse riuscito a maturare nonostante gli innumerevoli sbagli, d'essere riuscito ad elevarsi come persona guardandosi dentro attraverso i miei occhi.
Le sue perle d'un grigio raro che fino ad allora rimasero vacui, in quel momento si accesero irradiando l'atmosfera con una luce argentea che mi fece perdere un battito. Le sue braccia più aperte ed il volto rilassato a mostrare un appena accennato sorriso a labbra strette.

Perdonami...

"Lasciami andare, lascia riposare il mio cuore"
Sussurrò supplicandomi.

"Perché sono così stanco di soffrire"
Finì con un filo di voce spezzata dal pianto. I singhiozzi che gli fuoriuscirono gli alzarono il petto in modo sconnesso, le labbra ancora stirate in un lieve sorriso si inumidirono di lacrime.

Perdonami...

La vita non fu altro che un processo di distruzione, la disintegrazione di qualcosa che all'inizio apparve perfetto. Il supplizio che creai nell'animo di quell'uomo mi fece affogare, comprendendo come il confine tra senso di colpa e dolore fosse stato sottilissimo, come spesso all'agonia della vita si preferisse la morte.

Perdonami e riportami nei colori di quel tramonto dove c'eri tu, c'ero io e c'eravamo noi...

Le mie dita titubarono ancora una volta, l'indice andò a pressarsi maggiormente al di sopra del grilletto provocandomi una scarica d'adrenalina non indifferente, il tintinnare dei proiettili all'interno stimolati dal mio tremore mi ipnotizzarono. Mi avvalsi di un respiro a pieni polmoni non sapendo più dove voltare lo sguardo, così sollevai il capo verso il cielo tiepido, come a volerlo assaporare un'ultima volta, ero solo un ragazzo di ventidue anni d'altronde.

Mi decisi, strinsi l'arma fra le mani che smisero di tremare scorgendole più sicure di quanto non le ebbi mai viste, in una mossa fugace sollevai il fucile inclinandolo fino a farmi entrare la canna in bocca. Il metallo freddo ed imperturbabile mi urtò il palato facendomi rabbrividire. I miei occhi ancora puntati verso il cielo in piena contemplazione, il blu smorto sembrò accarezzarmi mentre delle lacrime continuarono imperterrite a tracciarmi percorsi sconnessi lungo il viso solleticandomene la pelle.

La bocca semiaperta che permise all'arma di entrare, fece colare appena della saliva mischiandosi alle lacrime che mi infradiciarono la divisa.
Il mio indice prese finalmente coraggio premendo con maggiore pressione il grilletto che fece così partire il colpo.

Un suono cupo mi riecheggiò fin dentro le ossa. I miei occhi fissi al cielo ancora coscienti si abbassarono scorgendo il corvino abbracciatomi.
L'arma riversa a terra ed i nostri sguardi alla distanza di un sospiro.

"La vita è così breve che non c'é tempo per litigare, per provare rancore o per la guerra. C'è soltanto il tempo per amare e dura soltanto un attimo"
Mi sussurrò, le sue mani avvolte alla mia figura strinsero convulsamente la divisa fino a stropicciarla.

Realizzai pochi secondi più tardi come i suoi riflessi fecero sì d'allontanarmi l'arma nell'esatto momento in cui sparai.

Ci abbandonammo uno nelle braccia dell'altro, piangendo a tal punto da non avere più lacrime a disposizione, fino a farmi bruciare la gola, le dita si strinsero sul corpo dell'uomo fino a dolermi, assaporai il profumo della sua pelle inebriandomi di una sensazione paradisiaca.

"Non merito la sua grazia Levi, sono un mostro"
Tentai di dire sommerso dai singhiozzi, la mia fronte premuta sulla sua spalla.
"Siamo solo soldati Eren"
Mi sussurrò all'orecchio stringendo maggiormente la presa sulla mia vita.

"Mi lasci pagare per ciò che ho fatto, mi lasci espiare i peccati commessi"
Replicai distrutto. I nostri petti a contatto fecero battere due cuori fratturati alla stessa frequenza.

"Salirai sulla prima nave diretta in Europa domani mattina"
Mi disse afferrandomi il volto fra le mani scorgendole estremamente tremanti. Il suo tono si fece ansioso ed agitato.
Scossi il capo con dissenso chiudendo e strizzando gli occhi fino a farne fuoriuscire ulteriori lacrime.
L'uomo mi scosse il viso costringendomi a ripuntare lo sguardo sul suo, i suoi occhi piangenti mi furono ad un palmo dal naso.
"Verrete giustiziati se non te ne andrai"
Mi riferì serio.

"Non ho motivo per continuare a vivere, il peso che ho sul petto è troppo grande"
Sussurrai ancora avvolto dalle sue dita che tentarono di asciugarmi invano le lacrime.
"Devi essere forte Eren, per entrambi"
Bisbigliò poggiando la fronte sulla mia.

Tutt'attorno nel frattempo continuò a regnare imperterrito il caos.

"Non sono forte, non lo sono proprio per un cazzo!"
Sminuii.
"Non saprai mai quanto sei forte finché essere forte non è l'unica scelta che hai"
Mi rimproverò guardandomi dritto negli occhi.

"Partirai domani mattina alle undici e mezzo sulla prima nave, sono stato chiaro? Questo è un ordine"
Pronunciò rigidamente.

Levi's pov.

Lo guardai colmo di lacrime come mai lo scorsi prima d'ora. Sapevo nel profondo fosse stato americano, lo sapevo già da parecchio, ed allora perché stupirsene tanto?

Sarebbero stati giustiziati tutti nel giro di poco, avrei dovuto salvarlo, avrei dovuto salvare quel ragazzo che con la guerra non ci azzeccò mai nulla.

"Come fa?"
Mi chiese con un sibilo.
"A fare cosa?"
Domandai a mia volta.
"Come fa a preoccuparsi così tanto nonostante sia venuto a conoscenza delle mie origini?"
Chiese colmo di dolore.

"Perché mai mi era capitato di amare a tal punto da dimenticare tutto l'odio"
Sussurrai sulle sue labbra.

Lo percepii singhiozzare più velocemente stringendo le dita sulle mie ancora premute sulle sue guance bagnate.
"Venga con me"
Disse poi in un disperato tentativo di persuasione.

"No, non posso lasciare qui la mia terra"
Gli risposi contrariato.

"Non può lasciarmi da solo in questo mond-"

"GIUSTIZIATE ME"
Sentimmo una voce gridare a squarcia gola. Voltammo in contemporanea lo sguardo distinguendo Erwin ammanettato.

"Giustiziate solo me, questi ragazzi non hanno colpe"
Continuò.
Sgranai gli occhi, mai lo vidi scomporsi tanto.

Erwin... allora qualcuno da amare lo hai anche tu e non te ne sei mai reso conto...

Mi avvicinai velocemente alla folla piazzandomi davanti al biondo.
"Non giustizieremo nessuno finché non saremo a conoscenza del loro piano"
Ordinai voltandomi verso il Generale che mi guardò con gratitudine.

L'uomo ci mise al corrente di tutto stipulando così un accordo nel quale lui ci avrebbe fornito tutte le informazioni, col tentativo di preservare la vita dei suoi ragazzi.
"Il prossimo attacco avverrà domani a Kokura, siete ancora in tempo per fermare questo genocidio"
Informò determinato come fosse stata una sua causa.
Tutti gli uomini si misero all'opera per provvedere all'evacuazione della città rimanendo solo io ed Erwin.

Gli poggiai una mano sulla spalla.
"Ci rivedremo presto Erwin"
Gli sussurrai stringendo appena la presa sulla sua spalla in un gesto di solidarietà.
"La aspetto il più tardi possibile... Levi"
Mi sorrise, stanco quanto me di tutta quella sporca e malsana vita passata a fare solo del male, capendo solo in quell'istante quanto fossimo stati simili. Annuii assieme a lui intuendo quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro in quella vita.

Lo abbandonai rammaricato, possibile finii per affezionarmici?

"Erwin"
Mi fermai prima di andarmene definitivamente, lo vidi voltare lo sguardo.
"La perdòno"
Gli riferii scorgendogli un sorriso sollevato addosso.
"Probabilmente la guerra non finirà oggi, ma la consideri finita fra noi"
Conclusi sorridendogli a mia volta.

11:45 p.m. - Campo militare di Nagasaki.

Le sue mani delicate e dolci mi passarono sul corpo tracciandone il lineamento delle spalle, del collo e finendo sul mio viso.
Le nostre labbra arrossate dai baci ed i nostri occhi ricolmi d'amore in contrapposizione con tutto l'odio che si riversò fuori dalla mia cabina.
Noi, solo noi ovattati dall'orrore della guerra.

"È un addio?"
Mi chiese con il volto ancora arrossato dal pianto.
"Temporaneo"
Gli risposi baciandogli la punta del naso.

I vestiti riversati a terra incorniciarono i nostri corpi nudi distesi sul letto noncuranti del disastro fuori da quelle quattro mura ormai divenute familiari.
"Mi aspetterà?"
Domandò in un sussurro.
"Ti aspetterò il più tardi possibile piccolo"
Risposi ingoiando un groppo in gola.
"La ringrazio per avermi insegnato ad amare Levi"
Aggiunse sorridendo per nascondere le innumerevoli lacrime che gli rigarono il volto.
"Grazie a te"
Dissi.

"Grazie per avermi dato la pace in una vita di guerra"
Gli sussurrai sulle labbra.

Estrapolati del diario di Levi Ackerman datati: 25/12/1940 - 08/08/1945

Estrapolati del diario di Eren Jeager datati: 07/12/1941 - 08/08/1945

- La mattina del 9 agosto 1945 l'equipaggio del Boeing B-29 Superfortress, il scelto per la missione, si alzò in volo con a bordo la bomba atomica soprannominata Fat Man, alla volta di Kokura, l'obiettivo iniziale della missione. Tuttavia le nubi non permisero di individuare esattamente l'obiettivo e dopo tre passaggi sopra la città, ormai a corto del carburante necessario per il viaggio di ritorno, l'aereo venne dirottato sull'obiettivo secondario, Nagasaki.-

Il 9 agosto 1945 alle 11:02 a.m. l'intero Campo di Nagasaki fu raso al suolo così come tutti i suoi componenti fra: soldati, Generali, Caporali, Ammiragli ed Ufficiali.
Ad omaggiare coloro che sono stati parte della Storia, quella che non viene scritta sui libri ma vissuta.






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