𝐩𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐨

Eike Bergmann era tra le persone più conosciute e apprezzate nella capitale. Impossibile dimenticarsi dell'uomo che aveva reso più agevole, semplice ed efficiente la consegna della posta.
Inoltre, oggetto delle attenzioni delle donne del quartiere ospitante il servizio postale, era diventato facile preda delle chiacchiere delle suddette signore: poco importavano i suoi trascorsi come brigante e successivamente come cavaliere. Il suo lavoro era semplice, pulito e impeccabile. Proprio quello che gli abitanti di Aetherium si aspettavano da lui.

Bergmann in quei giorni di festa aveva ricevuto una richiesta particolare, motivo per il quale si trovava presso la sede dell'ordine dei cavalieri della capitale. Una persona, di cui, pensandoci bene al momento dell'esecuzione del compito affidato, non ricordava nemmeno il volto o il suono della voce, gli aveva consegnato una serie di lettere da recapitare e delle indicazioni da seguire. Lo aveva definito come un incarico della massima importanza, dalla priorità assoluta, e lo stesso Bergmann aveva ritenuto di non potersi sottrarre al volere della figura misteriosa. Non era un uomo eccessivamente credente, tuttavia le voci e i racconti che giravano per Aethyra, appresi durante la giovinezza, lo avevano spinto inconsciamente ad afferrare quelle buste e ad annuire con un sorriso alla richiesta.

Stringendo con una mano la tracolla della borsa in pelle, nell'altra teneva un foglietto sbiadito e stropicciato dove erano elencati una serie di indirizzi; benché nessuno di quelli fosse agevole da raggiungere, sicuramente avrebbe trovato difficoltà nello stabilire quale fosse il più ostico tra le prigioni del castello reale e un luogo indeterminato superata la Foresta dei Sussurri.

«Dovrei consegnare una lettera per il Condannato» la sua voce roca si fece strada tra le pareti della sala d'ingresso, avvolte da un agghiacciante e inusuale silenzio. In quei giorni pochi cavalieri si trovavano presso la sede dell'Ordine cavalleresco, dislocati per la città e per le province del regno ad adempiere alle missioni affidate dal sovrano o dal consiglio. A chi era rimasto non spettavano mansioni di grande rilievo: controllare i soggetti che erano detenuti nelle fredde e sterili prigioni, stilare documenti di rilascio dei fortunati che potevano tornare alle proprie dimore e, infine, dare una strigliata ai soliti ospiti per diletto.
Erano operazioni di tutti i giorni, niente di speciale che richiedesse una collaborazione massiccia.

Bergmann si guardò attorno, concedendosi un momento per immergersi in agrodolci ricordi. Le sue iridi cristalline, riflesso del cielo primaverile, conoscevano bene ogni angolo di quel posto, ogni fessura accogliente per concedersi un pisolino o sedia non troppo scomoda per intraprendere competizioni più adatte a una taverna, che a dei fedeli servitori del sovrano. Una scrivania attigua alla porta d'ingresso, piena di scartoffie e cianfrusaglie che poco si potevano collegare al cavalierato, ospitava un uomo che il direttore delle poste riconobbe immediatamente. Difficile scordare lo sguardo accigliato e l'arruffata chioma nera, anche dopo anni di assenza dal servizio. Il cavaliere inarcò un sopracciglio alla vista di Bergmann, sbottò qualche parola nella sua lingua madre e arricciò le screpolate labbra in una smorfia di disgusto. Era forse tornato per tormentarlo? Non gli bastava essere ospite ricorrente dei suoi incubi?

«Non abbiamo prigionieri condannati a morte» affermò duro, provocando all'altro un leggero senso di smarrimento. Non era possibile. La lettera parlava chiaro, il destinatario poteva essere solo il condannato a morte; né Bergmann, né il misterioso mittente, potevano essersi sbagliati.

«Ne sei sicuro, Roland?»
«Sono io quello che lavora qui e serve la corona, non tu. Ritengo di esserne abbastanza sicuro» risposte aspro, puramente contrariato da quella domanda.

Eppure Bergmann non riusciva a comprendere. Non peccava in presunzione, mai lo aveva fatto in vent'anni di carriera, ma, allo stesso tempo, era convinto che il mittente non poteva aver commesso un errore del genere. Forse era l'alone di mistero che lo circondava, rendendola una figura quasi eterea agli occhi del direttore della poste, o, ancora, le sensazioni che gli aveva trasmesso anche soltanto rivolgendogli parola. Da quelle pozze ora in tempesta e le labbra pallide tese come corde di violino, il cavaliere comprese come il cuore del vecchio collega fosse combattuto; probabilmente non credeva alla propria mancanza di efficienza, sorprendente.

«Visto che abbiamo finito, puoi anche andare» gracchió il cavaliere nel vano tentativo di scacciare il direttore della poste che, adesso, con lo sguardo perso fissava un punto imprecisato sul suo viso; forse il neo sul mento o quella cicatrice che tagliava verticalmente il labbro inferiore. Un sospiro triste e amareggiato lasciò le labbra di Bergmann, il capo si mosse insieme a qualche mormorio indagativo e sconnesso. Non era intenzionato ad andarsene senza aver adempiuto al proprio dovere, presagio funesto di quello che sarebbe successo da lì a pochi giorni.

Il direttore estrasse la lettera dalla borsa in cuoio, porgendola al cavaliere che la strinse con forza tra le dita ossute, quasi come volesse accartocciarla per l'irritazione che l'uomo gli stava provocando. Lo sguardo già accigliato del cavaliere non fece che incupirsi alla vista del nome del destinatario, ma dalle sue labbra si levò solo un grave brontolio di scontento. Ricalcato in dorato, subito sotto, Effugere nemo potest, quod futurum est; un sigillo del medesimo colore a chiudere la busta, senza alcun mittente. Le lettere contenute in quella borsa, una delle quali non avrebbe consegnato al momento, avevano la stessa forma e impostazione: cambiava un elemento che rendeva le parole incise sopra un avvertimento.
Il nome poteva essere anche un peso e quei due uomini lo sapevano perfettamente.

«La lascio a te, Roland. Se il consiglio condannerà qualcuno, mi prometti che gliela consegnerai?»

«D'accordo, ma ora vattene» disse, benché non capisse la fedeltà cieca che Eike riponeva verso se stesso, ma sembrava certo che qualcuno sarebbe stato condannato a morte da lì a poco, impensabile visto come una tale punizione venisse inflitta unicamente a chi aveva tradito il popolo, la monarchia o la nazione. Non poteva essere a conoscenza che quella fiducia fosse riposta in un mittente senza nome o volto, le richieste del quale aleggiavano delicate e sottili nella mente del direttore.

La seconda tappa di Bergmann non era distante dalla sede dell'ordine cavalleresco. La bottega che Johann Uhrwerk aveva affittato in concomitanza con la festa si trovava nei pressi della piazza centrale di Aetherium, la città della rinascita e dell'eternità. Riprendendo lo stile tipico della nazione, le assi portanti in mogano erano ben visibili all'esterno, un bianco candido predominava sulle pareti esterne, abbellite da festoni e fiori che erano stati messi un po' ovunque per le strade della città. Dagli adulti ai bambini, tutti si stavano impegnando per rendere più che evidente il clima di festa che aveva invaso la nazione in quei giorni e che avrebbe raggiunto il culmine con le celebrazioni successive.
La bottega di Uhrwerk, l'Antiquario, era facilmente distinguibile per l'insegna in acero che ne indicava il nome; ormai era fin troppo conosciuto anche dai viaggiatori inesperti, quasi casa di desideri che pochi avrebbero avuto il coraggio di levare a gran voce.

Bergmann si fermò sull'uscio della porta apposta di fregi e vetri soffiati e, afferrata la maniglia in ottone, la spinse delicatamente.

L'interno della bottega la rendeva uno dei luoghi più misteriosi e affascinanti che la capitale poteva ospitare durante le settimane di festa: sulla parete a destra rispetto all'entrata una serie di orologi apparentemente più anziani del loro proprietario, ma lucenti e completamente funzionanti; sulla parete sinistra scaffali ricolmi di libri, manuali dalle pagine ingiallite e copertine eleganti, reduci da proprietari ed epoche differenti; al centro, a qualche passo dall'elegante porta, un tavolo da lavoro in acero. Un campanellino in ottone spiccava sulla superficie lignea, strumento utile per richiamare il proprietario rintanato nei locali più interni, adibiti a laboratorio e separati dal resto da pesanti tendaggi di un intenso ametista. Bergmann si limitò a suonarlo, tendendo le orecchie e piegando le sopracciglia dubbiose non appena percepì rumori che potevano solo indicare la caduta di qualcosa, anche non molto leggera.
Stava per avanzare, quando da quel tendaggio sbucò la figura dell'Antiquario. Lo sguardo vermiglio dell'uomo incontrò quello celeste dell'ex cavaliere; un affabile sorriso sul suo viso, incorniciato dal taglio irregolare dei capelli argentei.

«Sa quanto tempo ci ha impiegato per arrivare?» chiese l'Antiquario in un cinguettio irriverente, esaminando l'uomo con lo sguardo, prima di concedersi ad altro di ben più rilevante.

«Puoi anche lasciare la lettera per l'Inventore qui» continuò, picchiettando l'indice guantato sul legno del tavolo; con lo sguardo colse l'espressione disorientata di Bergmann, mentre un sorriso quasi soddisfatto si rileva sulle sue labbra pallide. Bergmann deglutì a vuoto, afferrando la lettera dalla borsa per poi fare quanto indicato dall'uomo. Era spaventosamente angosciante, proprio come lo avevano descritto i suoi conoscenti della città meccanica: uno sguardo gelido capace di paralizzare sul posto, una conoscenza tale da annebbiare le idee e un sorriso pacato, limpido e pulito.

«Come faceva a saperlo?»
«Sono poche le cose di cui non sono a conoscenza.»
«Perchè verrà da lei?»
«Perché non dovrebbe venire da me?»
«Come fa ad essere così sicuro di sé?»
«Alcuni la definirebbero erroneamente superiorità, ma io la definisco semplicemente evidenza. Dove potrebbe andare in caso contrario, caro?»

Bergmann rimase colpito dalla sicurezza dell'Antiquario e poté ben constatare come la sua fama avesse un fondamento.

«Gliela consegni, la prego»
«Come lei deve fare il proprio dovere, io devo accingermi al mio»

Non replicò alla provocazione, né gli pose altre domande: quell'uomo difficilmente avrebbe risposto, soprattutto a qualcuno che non era il diretto interessato. L'Inventore poteva recarsi soltanto da Uhrwerk per poter piazzare eventuali prodotti sul mercato, in concomitanza con la celebrazione della fondazione, visto che altre botteghe provenienti da Anima erano poco conosciute in confronto.

Bergmann lasciò la bottega e, benché non si stesse guardando le spalle, poteva sentire lo sguardo curioso dell'uomo a cui aveva lasciato la lettera, destinata a prendere polvere in un angolo remoto del tavolo fino all'arrivo del suo destinatario.

L'ultima tappa di Bergmann, fin troppo tortuosa da raggiungere, era la dimora di un vecchio alchimista nella Foresta dei Sussurri, casa di numerose leggende macabre o meno.
Molti ritenevano che chiunque vi entrasse senza animo puro e nobiltà di intenti fosse destinato a perdersi, guidato dalle voci che lo avrebbero accompagnato per l'eternità; altri, invece, che tali voci fossero gli spiriti dei defunti o, ancora, ciò che restava nel mondo prima di raggiungere le terre dei morti.
Bergmann, tuttavia, ebbe la fortuna di non doversi recare personalmente presso la casa del vecchio Von Fischer, alchimista e, come le dicerie raccontavano, appassionato di arti oscure. Infatti uno dei suoi servi si trovava in città per ritirare alcuni libri che lo stesso alchimista aveva richiesto a Johann Uhrwerk.

Non vi volle molto prima di trovarla: con un vecchio libro di magia in una mano e un sacchetto bordeaux nell'altra, una ragazza stava aspettando la carrozza che l'avrebbe riportata alla propria dimora. Alzò lo sguardo vuoto puntato sulle proprie scarpe laccate in rosso, che si intonavano poco con l'abitino celeste che indossava, e le labbra si piegarono in una smorfia confusa, quando l'uomo le si avvicinò a grandi e disordinati passi, senza eleganza, come se non volesse perdere l'occasione. Molti lo avrebbero compreso, date le peripezie che avrebbe dovuto affrontare un ex brigante in quella foresta protetta dagli spiriti e graziata dal dio delle anime.

«Signorina, ho una lettera per il suo padrone» annunciò, afferrando la lettera per poi porgergliela.
«Per il mio padrone?» chiese, inarcando un sopracciglio biondo curiosa. Non era certamente il nome del suo padrone quello sulla lettera e, per quanto cercasse di ricordare, non conosceva nessun Mostro.
«In realtà per un ospite che il suo padrone accoglierà tra pochi giorni, da quello che mi è stato riferito» aggiunse l'ultima frase come a voler specificare che le informazioni da egli detenute provenissero da un'altra anima.
«Effettivamente il mio padrone aspetta ospiti. Anche se non ha parlato di nessun Mostro» affermò la giovane, spostando una mano per sistemare l'ampio cappello di paglia che copriva i suoi boccoli dorati.

Ricordava vagamente come avesse inviato delle lettere proprio per conto del suo padrone, destinatari gli ospiti che sarebbero giunti in coincidenza con l'inizio dei festeggiamenti, seppure le motivazioni le erano state celate dall'anziano alchimista. Il direttore delle poste le consegnò la lettera, riposta poi dalla ragazza con cura all'interno del libro che stringeva sottobraccio, prima che la carrozza giungesse a recuperarla.

«In fondo siamo solo comparse. Perché affannarsi tanto su quello che gli altri devono fare?» chiese retorica, emettendo un breve ed esasperato sospiro.
«Parli per lei! Eike Bergmann non è di certo una comparsa» sbottò lui, quasi offeso.
«Se lo dice lei, mister Bergmann» cinguettò la serva, prima che la carrozza si fermasse di fronte ai due. Non vi fu nessuno scambio di sguardi tra il triste uomo che sedeva alla guida e la ragazza che con grazia salì all'interno del mezzo, con Bergmann che rimaneva a osservarla senza pronunciare parola.

«Non si preoccupi. Il mio padrone saprà cosa fare» disse la fanciulla, annuendo vagamente, quasi a rassicurare l'uomo che lei e la carrozza pochi istanti dopo si sarebbero lasciati alle spalle.

Eike Bergmann aveva concluso il proprio dovere, la missione affidatagli da una creatura che non sarebbe stato in grado di descrivere.
Non era di certo uno dei Personaggi di questa storia, ma anche egli ne aveva avuta una e sarebbe stato fondamentale per quelle che sarebbero potute essere narrate successivamente o, almeno, ci sperava.
Concluso il lavoro, semplicemente tornò presso il servizio postale, aspettando qualche altra lettera misteriosa o incarico particolare.

dopo secoli il prologo, abbastanza deludente... sì. uno magari si aspettava il primo capitolo e invece... sorpresa!
devo dire che oltre ad averci impiegato una vita, non sarebbe mai uscito se non grazie all'aiuto e contribuito di Zophie (TAMVMO  )  e Ylli (vampilogical ) che mi hanno fatto da beta reader e mi hanno dato pareri sulla trama e lo stile, perciò grazie mwah mwah.
ci vuole tanta pazienza s sopportare me che mi danno perché penso che faccia schifo.
vi si ama, vi romperò per il primo capitolo, aspettando di vedere gloc e adrik a cercare di orientarsi in mezzo alla foresta (?)
dal primo capitolo compariranno i bimbi perciò tenetevi forti
non tutti subito perché sennò verrebbe un po' uno schifo.
ricordo a chi ancora deve consegnarlo di farlo, sennò i personaggi si aggiungeranno successivamente rispetto a quando io abbia programmato o boh.

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