6 - Dritto in faccia
La vita si rimpicciolisce e si ingrandisce in proporzione al proprio coraggio.
- Anais Nin
Annika
Guardai la stecca da biliardo che Benji mi stava porgendo, titubante se afferrarla o meno. In fondo non avevo la benché minima idea di come si giocasse.
Ma avevo già perso una volta contro quel ragazzo, non avrei permesso che accadesse una seconda volta, nell'arco di una giornata soprattutto. Così afferrai la stecca con una sicurezza che non avevo.
Aspettai che Benji posizionasse le palle a formare un triangolo, poi afferrai saldamente la stecca con entrambe le mani e appoggiai la punta sul panno verde pronta a colpire la palla bianca come avevo visto fare più volte nei film.
«No. Va bene. Basta.» Benji mi prese con una mano la stecca e l'alzò. «Così rischi di spezzarla, principessa, e di farti seriamente male.» Poggiò la sua calda mano sulla mia. «E questo non potrei mai perdonarmelo.»
Mi tolse la stecca dalle mani e la poggiò a terra ponendola tra di noi con la punta alzata.
«Per prima cosa devi mettere un po' di gesso sulla punta, per evitare che la stecca scivoli e per aiutarti con l'attrito che avrai con la bilia.» Strofinò qualcosa sulla punta sia della mia stecca che sulla sua. «Poi devi metterti così.»
Mi ridiede la mia stecca e si posizionò sul tavolo mostrandomi la posa esatta. Aspettai che si alzasse, quindi lo imitai.
Lo vidi girarmi intorno, mi prese una mano e l'aggiustò. Poi avvicinò il suo volto al mio, potevo benissimo sentire il suo respiro nell'orecchio. Il suo petto era astretto contatto con la mia schiena, e le sue braccia mi circondarono le spalle. Sentii il fiato morirmi in gola e il cuore saltare un battito. A quanto pareva non ero così tanto immune ai bei faccini.
Voltai gli occhi nella sua direzione, ma lui era impegnato a guardare le bilie sul tavolo.
«Dovresti guardare avanti, non guardare me.» Mi apostrofò e subito tornai con lo sguardo dritto.
Ero sicura di essere diventata così rossa che forse Benji poteva sentire il mio calore fino le sue guance.
Avevo bisogno di allontanarmi da quella situazione, ma ero totalmente bloccata. Fisicamente e psicologicamente.
Come poteva, anche solo quel contatto, generare in me una reazione del genere? Come se non avessi toccato nessun altro ragazzo in tutta la mia vita.
Benji mi tirò all'indietro il braccio destro, pronto a colpire la bilia, ma si fermò poco prima di toccarla.
«Devi colpirla così. Prova.» Si rialzò lasciandomi addosso una sensazione di freddo.
Mi alzai insieme a lui e lo guardai di traverso. «Insegni così a tutte o è un trattamento speciale solo per me?» Avevo bisogno di raffreddare il cervello.
Benji sorrise. «È solo per le persone che dicono di non sopportarmi: mi diverte vedere come reagiscono.» Mi chiesi se avesse percepito l'impatto che aveva avuto su di me.
Ritornai nella posizione che mi aveva mostrato poco prima e lo percepii posizionarsi alle mie spalle. Tirai colpendo la bilia bianca che andò a spargere tutte le altre sul tavolo da gioco.
«Spero tu ti stia divertendo allora.» Mi alzai e tornai a fissarlo, scoprendolo a guardami il sedere.
«Più di quanto immagini.» Rispose non nascondendo la sua malizia.
Sollevai gli occhi al cielo, mentre Benji si preparava al suo turno. Probabilmente, se avessi bevuto di meno, avrei avuto una risposta più severa. Ma in quel momento, in quella strana situazione di limbo, mi sentivo rilassata dopo tanto tempo.
Mi guardai intorno e lo vidi nell'angolo, quel lupo nero fatto di ombre, di rimorsi e di paure che mi seguiva sempre. La sua presenza era diventata una costante nella mia vita.
Eppure, in situazioni del genere, avevo bisogno di vederlo o avrei sentito il coraggio scivolarmi di dosso. Era la mia ancora, la mia sicurezza.
Riportai il mio sguardo su Benji che intanto aveva tirato facendo finire una palla in buca.
«Chi ti ha insegnato a giocare così?» Chiesi prendendo il suo posto.
«Mio nonno.» Ammise serio. «Ci giocavamo sempre quando ero piccolo. Mi aiutava a contenere la mia iperattività. In realtà,» Rise leggermente. «ricordo di aver vinto pochissime partite contro di lui. Ogni volta che giocavamo mi correggeva per le volte successive, ma non mi faceva mai ritornare sui miei passi e ritirare. "Carta giocata carta bruciata" diceva sempre, anche se nel gioco non c'erano carte. Quindi lo stesso valeva per il biliardo.»
Scrollò le spalle e io rimasi a fissarlo con la bocca aperta. Ero convinta che i suoi occhi fossero diventati lucidi.
«Che c'è?» Mi domandò. «Pensavi che anche questo fosse un talento naturale come la mia incredibile bellezza?»
Forse non ero abbastanza ubriaca per una conversazione così seria, così decisi di gettarla sul ridere.
«Visto il soggetto, me lo sarei aspettato.» Gli sorrisi.
Benji si avvicinò con il viso al mio.
«Vedi, principessa, ci sono molte cose di me che non tutti conoscono, te compresa.» Mi soffiò in faccia facendomi chiudere gli occhi di scatto. Quando li riaprii era già dall'altro lato del tavolo.
«Tipo la chitarra?» Azzardai mentre tiravo.
«Tipo la chitarra.» Non aggiunse altro, ma io ero ormai curiosa.
Così mi avvicinai a lui, nonostante continuasse a evitarmi allontanandosi da me. «E da dov'è nata questa passione? Anche lei merito del nonno?»
Riconobbi sul suo volto un sorriso malinconico.
«No...» Guardò le bilie che rotolavano sul tavolo, forse perso nei suoi pensieri. «A dire la verità quella è merito di mio padre. Sai, lui è un professore di musica classica al conservatorio e odia da morire il rock.» Scrollò le spalle. «La chitarra elettrica era un modo per dargli fastidio. In cambio devo semplicemente rimanere della squadra di nuoto come capitano.»
«Allora non è proprio un atto di ribellione.» Credevo di averlo solo pensato, poi Benji mi rispose.
«È stato un compromesso necessario. Secondo mio padre il nuoto era un modo per avere disciplina ed essere rispettabile.»
«Credevo ti piacesse nuotare.» Andavo avanti con le mie domande e supposizioni e quasi mi sentivo in colpa a fargli mostrare quella parte così profonda di sé.
«Ed è così infatti.» Ma lui continuava a rispondere, come se parlare di cose così intime fosse la normalità. «Ora è diventato un peso estenuante, ma finché rende felici tutti può continuare a funzionare.»
«Tutti tranne te.» Aggiunsi senza pensarci.
Benji scosse la testa e sorrise. «Diciamo che ormai ho capito il trucco.»
«Non è un trucco, ma una maschera.» Da quando ero diventata così compassionevole nei suoi confronti? Mi avvicinai ancora una volta a lui, costringendolo a guardarmi dritto negli occhi. «Quanto ancora pensi di poter andare avanti?»
«Oh principessa,» Avanzò nella mia direzione con piccoli passi sicuri facendomi arrivare a toccare con il sedere il bordo del tavolo. Poggiò le mani ai lati dei miei fianchi, il suo inguine così vicino al mio che dovetti salire sul tavolo e aprire le gambe. «ci sono maschere che devi portare per il resto della vita, o fino a quando qualcuno non muore.»
Un caldo brivido mi percorse la schiena, partendo dalla testa e arrivando fino le dita dei piedi. Aprii leggermente la bocca e mossi i fianchi in maniera quasi impercettibile.
Da quella distanza potevo vedere perfettamente i lineamenti di Benji: la fossetta sulla guancia, la curva che le labbra sottili prendevano quando sorrideva alzandone leggermente le punte, i capelli chiari e fini, le sopracciglia perfettamente delineate, le ciglia lunghe e quegli occhi cervoni e grandi nei quali ci si sarebbe potuti perdere all'interno.
Benji si rese conto dell'effetto che mi aveva appena procurato. Fece passare il suo sguardo dai miei occhi alle labbra, per poi ritornare nuovamente agli occhi.
Si avvicinò ancora e io trattenni il fiato.
Mosse le braccia e io sentii la palla alle mie spalle venire colpita.
Poi Benji si allontanò e io tornai a respirare.
«È il tuo turno principessa.»
Sbattei le palpebre un paio di volte per riconnettermi con la realtà.
Girai intorno al tavolo tenendo sempre un occhio puntato su Benji. Non era il ragazzo che mi ero aspettata.
Guardai la partita. Mi mancava una sola bilia da imbucare e avrei vinto la partita.
«Allora sei come un supereroe:» Misi i gomiti sul tavolo e appoggiai il mento alle mani. «capitano della squadra di nuoto di giorno e finto ribelle con la chitarra di notte.» Sorrisi e attirai la sua attenzione.
«Immagino si possa dire così.» Alzò il mento fiero. «Anche se i mantelli mi stanno male.»
«Sei abbastanza egocentrico anche senza.» Risi. «Sai, anche io ho una doppia vita.»
«Sì principessa?»
«Certo, carina so-tutto-io di giorno...» Colpii la bilia che entrò in buca. «vincitrice di biliardo di notte.»
Alzai le braccia e saltellai sul posto in segno di vittoria. Vincere era una sensazione meravigliosa, soprattutto contro Benjamin Cavanaugh, che al compito di matematica mi aveva battuta per un singolo punto.
Benji batté le mani lentamente e camminò verso di me sorridendo.
«Complimenti principessa.» Si mise le mani in tasca stringendosi nelle spalle. «Allora non perdi sempre.»
«Te l'ho detto,» Mi gongolai. «anche da ubriaca posso batterti.»
«Forse solo da ubriaca.» Allungò una mano nella mia direzione e mi mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Mi analizzò il viso, fermandosi su ogni centimetro di pelle, lasciando la sua mano calda sulla mia guancia liscia. Per un attimo credetti che il contatto con le nostre carni calde avrebbe prodotto una fiammata.
Mi schiarii la voce. Non aveva senso che mi sentissi così con lui.
«Devo dire che non mi aspettavo fosse così facile.» Presi la palla bianca e la feci saltare in aria riprendendola al volo.
Benji sorrise e si appoggiò con la schiena al tavolo. «Facile, eh?» Mormorò lasciando che le parole indugiassero nell'aria tra di noi. «Non ti stai un po' montando la testa, principessa?»
«Con questa vittoria è già montata. Adesso dovresti proprio inchinarti, il biliardo decisamente non è tra i tuoi talenti naturali.» Dissi spocchiosa. Avevo vinto, e quello aveva cancellato dalla mia mente il compito di matematica.
«Forse ti ho fatta vincere di proposito.» Confessò e, per un attimo, il sorriso beffardo mi scomparve quando accorciò le distanze tra di noi. «Oppure sei stata particolarmente brava a distrarmi.» I suoi occhi mi guardarono con intensità.
«Distrarti?» Mi portai le mani sui fianchi. «È questo il termine che utilizzi quando vieni umiliato in pubblico?»
Benji rise piano scuotendo la testa, ma non si tirò indietro. Invece si avvicinò di un altro passo. «Certo posso chiamarla umiliazione, oppure posso dire che hai un modo interessante per far perdere la concentrazione a qualcuno.» La sua voce era quasi un sussurro che mi fece accapponare la pelle. Sentii il cuore accelerare, ma non lasciai trasparire alcuna emozione. Mi inclinai leggermente nella sua direzione, mantenendo la distanza tra le nostre bocche quel tanto che bastava a rendere la tensione quasi insopportabile. «Il modo in cui ti muovi,» Continuò facendo scendere i suoi occhi sulle mie labbra. «il modo in cui sembri divertirti a farmi impazzire.»
Mi accarezzò la guancia con la punta delle dita. Un brivido mi percorse la schiena, ma non potevo lasciarlo a vincere a quel gioco così pericoloso.
Il mondo intorno a noi sembrò sparire. Non percepivo altro che noi due.
«Impazzire, eh?» Mormorai. «Forse ti conviene abituartici perché non ho intenzione di farti vincere mai più.»
Benji scosse la testa sorridendo mentre il suo sguardo si fissava nei miei occhi per un istante troppo lungo. «Oh, Annika.» Sussurrò, e il suo respiro mi sfiorò le labbra. «Non perderò. Sto solo aspettando il momento giusto per prendermi la mia rivincita.»
Le sue parole furono appena un soffio, un brivido che mi scivolò lungo la schiena. Ma mantenni il mio sorriso da vincitrice indiscussa.
«Buona fortuna.» Risposi, girandomi e allontanandomi verso la porta, ma non prima di avergli lanciato un ultimo sguardo sopra la spalla.
Lui rimase a guardarmi, con un sorriso che non prometteva nulla di buono. «Non ne avrò bisogno.» Riuscì a sentire a malapena quando la bolla che si era creata intorno a noi scoppiò riversandomi addosso tutti i rumori del pub che fino a quel momento si erano tenuti a distanza.
Arrivata alla porta, mi voltai un'altra volta per vedere se Benji mi stesse seguendo, ma era rimasto indietro, con la mano di Ruby sul petto.
Lei gli sembrava particolarmente vicina. Lui le poggiò una mano sul gomito e avvicinò il suo volto a quello di Ruby.
Il sorriso che avevo sul volto mi si spense. Cosa potevo aspettarmi.
Sapevo benissimo con chi avevo a che fare.
Avevo promesso a Grace che mi sarei divertita, e così avevo fatto. Ma la serata era finita così come il mio entusiasmo.
Benji era stato, inaspettatamente, una bella e piacevole parentesi in una serata come tante.
E il tutto si era concluso lì.
Per tutto il tragitto di ritorno me ne rimasi in silenzio. Non avevo alcuna voglia di parlare.
Guardai fuori dal finestrino. Nel mio cervello galleggiava il pensiero che alla fine mi ero fatta davvero abbindolare da un bel faccino. Ero caduta nella sua trappola con entrambi i piedi.
Guardai Benji con aria corrucciata. Aveva un profilo così perfetto, una mascella pronunciata, il pomo d'Adamo che si muovevano ogni volta che ingoiava la saliva. Non avevo mai dovuto nascondere il fatto che fosse un bel ragazzo, ma non avevo mai pensato a lui se non come un mero corpo, esattamente nel modo in cui lui si vendeva. Ma quella sera lo avevo visto sotto una luce di versa, avevo assaporato parti di lui che non erano mai state così limpide.
Fino a quando non era tornato il Benji di sempre.
I miei occhi seguirono il profilo del suo naso, delle labbra piegate in un leggero sorriso.
Perché rideva?
No, non ero abbastanza ubriaca per cadere con entrambi i piedi. Forse quella sera ero inciampata, ma non ero caduta.
E n'ero convinta perché, una volta arrivata a casa, mi scoprii triste per il semplice fatto che Andrés non era più seduto sui gradini della sua casa.
Quando Benji se ne fu andato, rimasi qualche secondo ferma a guardare la porta dei Rubio, sperando che si aprisse e che Andrés uscisse a salutarmi.
Ma lui era nella sua camera, steso sul letto a leggere un libro. Lo vidi dalla finestra.
Indossava solo un pantalone di tuta grigio, mentre la luce gialla della lampada sul comodino gli creava dei giochi di luce sul volto e sul resto del corpo, mettendogli in mostra i pettorali e gli addominali.
Emisi un sospiro.
Cominciai dalla cerniera, la feci scendere lentamente lungo la schiena continuando a fissarlo. Poi fu la volta del vestito stesso che lasciai cadere a terra spingendolo via con i piedi nudi.
Quando fu la volta dei bottoni della camicia, mi voltai di lato, a guardare la farfalla nella palla di vetro, poggiata sulla scrivania, che mi aveva regalato Diego cinque anni prima.
Feci scivolare la stoffa lungo le spalle, rimanendo totalmente nuda.
Ero in quella posizione da diversi secondi, quando realizzai, a tutti gli effetti, di essere completamente nuda davanti la finestra di Andrés.
Mi gettai a terra, le spalle appoggiate al muro e le gambe piegate al petto.
«Sei una cretina.» Mi strinsi la testa tra le mani.
Guardai il letto, non mi sarei potuta semplicemente alzare ed entrare sotto le coperte come se nulla fosse accaduto. Andrés avrebbe potuto vedermi. Avrei dovuto trovare un altro modo.
Così gattonai sul pavimento fino al letto, nascondendo, infine, tutto io mio intero corpo sotto le coperte.
Non sarei voluta uscire mai più.
Ma la partita di biliardo irruppe prepotente nella mia memoria. Il modo in cui Benji mi guardava, come i nostri corpi si cercavano.
Scesi lentamente con la mano, accarezzandomi con delicatezza.
Chiusi gli occhi. Ero di nuovo in quel pub. Il calore avvolgeva ogni centimetro del mio corpo.
Le immagini e i colori intorno si confondevano.
Nulla aveva importanza, eravamo soli.
Sentivo il suo respiro sul collo, le dita accarezzarmi le braccia.
Mossi i fianchi a ritmo con i pensieri. Credetti di impazzire quando le sue labbra mi sfiorarono leggere.
Benji si alzò, ma non era più lui. Era Andrés. Era stato lui fin dal principio.
Incurvai la schiena e aprii la bocca trattenendo il fiato.
Alla fine annaspai in cerca di aria mentre il cuore mi esplodeva nel petto.
L'avevo fatto di nuovo, mi ero toccata pensando a Benjamin Cavanaugh, ma quella volta era stato diverso. Andrés Rubio aveva preso il sopravvento dei miei pensieri. Ogni mia singola azione era manovrata dai suoi fili.
L'unica cosa che avrebbe potuto togliermi quella sensazione di dosso era la mia solita corsetta mattutina.
Sirius correva, come al solito, al mio fianco.
Passai un paio di volte davanti a casa dei Rubio, ed entrambe le volte Andrés era affacciato alla finestra accanto alla porta d'ingresso, dove ricordavo esserci il salotto.
Indossava solo i pantaloni della tuta, esattamente come la sera prima.
Se ne rimaneva là, con una mano in tasca e una tazza che ogni tanto si portava alla bocca.
Al terzo giro, al quale decisi di rientrare, mi fermai sotto al glicine che mi era stato regalato molti anni prima da Diego.
Ricordavo tutto di quel giorno. Ricordavo la brezza primaverile accarezzarmi le guance; ricordavo quanto quel fuscello di qualche centimetro fosse troppo grande per stare nelle mie piccole mani; ricordavo che Diego e Andrés mi aiutarono a piantarlo; ricordavo la terra che mi solleticava le dita.
Scegliemmo insieme il posto: tra le nostre case, quasi al confine delle proprietà, in modo che potessimo tutti e tre vederlo dalle finestre delle camere da letto.
All'epoca sembrò a tutti un'ottima idea. Col senno di poi avrei preferito piantarlo in un altro posto. Ma negli anni a venire non avevo avuto il coraggio di trapiantarlo da un'altra parte o, più semplicemente, estirparlo e gettarlo via.
Non avrei mai potuto liberarmi di quell'albero.
Chiusi gli occhi per ascoltare il vento che passava tra le foglie facendole tremare leggere. Raggi di sole vi filtravano caldi attraverso, regalandomi attimi di piacere in quella mattina così fredda.
Ma a distrarmi maggiormente fu la notifica di un like da parte di Andrés alla storia di me e Sirius che correvamo.
E continuò a distrarmi anche quando a scuola tutti mi stavano fissando.
Ci misi un po' ad accorgermene. Per un attimo mi era sembrato di tornare a quattro anni prima, quando essere guardata era all'ordine del giorno. Tanto che quella mattina non notai niente di strano.
Fu solo quando un gruppo di ragazzine del primo anno mi venne addosso che mi resi conto che c'era qualcosa che non andasse. Una delle ragazze mi diede una spallata.
Anche se non mi aveva fatto veramente male, mi portai meccanicamente una mano sulla spalla e mi voltai a guardarla.
«Ops, scusami. Non ti avevo visto, Annika.» Il suo tono era sprezzante e aveva calcato pesantemente sul mio nome. Come se avessi saputo chi fosse o anche solo il suo nome.
Ma al solo guardarla avevo in mente il soggetto. Era al centro di un gruppetto di altre quattro ragazze ed era l'unica ad avere i biondi capelli ricci chiusi in una coda altra.
Sorrisi sottile.
Non avevo la minima intenzione di litigare con lei.
Ma la situazione non cambiò nel momento in cui ripresi a camminare.
Un ragazzo mi si avvicinò e mi sorrise.
«Ciao Annika.» Era un saluto totalmente diverso rispetto a quello della ragazza. «Sentiamoci ogni tanto.»
Alzai un sopracciglio. Non avevo la benché minima idea di chi fosse.
«Ma cosa sta succedendo?» Diedi voce alle mie parole, nella speranza che qualcuno potesse rispondermi
Mi diressi, invece, verso un ragazzo con il telefono in mano che faceva vedere qualcosa a una ragazza accanto a lui, indicandomi.
Quando voltai il dispositivo nella mia direzione, la foto di me e Benji alla festa, seguita da noi duo al pub la sera precedente, illuminavano a interi pixel lo schermo.
In una Benji mi stava baciando, nell'altra era tra le mie gambe.
Il cuore nel petto accelerò e quasi credetti che mi avrebbe rotto le costole.
Ingoiai a fatica.
Com'era possibile...
Lasciai il telefono al ragazzo lentamente. Guardai fisso avanti a me e i piedi mi si mossero meccanici.
Prima un passo, poi un altro avanti al precedente. Fino a quando i passi non si alternarono veloci, sempre più veloci.
Arrivai in biblioteca dov'ero convinta che avrei trovato Grace. Spalancai le porte a palmi aperti. Le ante di legno sbatterono contro le pareti prima di tornare indietro.
Vidi Grace seduta a un tavolo in fondo alla sala, mentre scriveva al suo computer una qualche nuova notizia.
Camminai senza esitazione, a passo svelto, non curandomi dei ragazzi che si trovavano sulla mia strada.
Sbattei le mani sul tavolo di legno bianco.
«Avevi promesso.» Urlai e subito sentii lo sguardo di ogni singolo presente nella stanza posarsi su di me.
E, in lontananza, un "Shh" poco più che sussurrato.
Grace si tolse le cuffiette e mi guardò perplessa.
«Di cosa stai parlando?»
Non potevo credere che Grace non l'avesse visto. In fondo era stata lei a caricarlo.
Ero sicura di avere il volto rosso per la rabbia e gli occhi strabuzzati.
Mi voltai di scatto e presi il primo telefono che trovai, strappandolo dalla mano di un ragazzo seduto appena dietro di me.
Lo sbattei con prepotenza accanto al computer di Grace. Ma lei non distolse i suoi occhi dai miei.
Le indicai con un leggero cenno il dispositivo e lei lo guardò. Lo prese in mano, lentamente, e analizzò l'immagine in silenzio.
«No, Annika,» Si alzò in piedi facendo stridere la sedia sul pavimento rumorosamente. «non sono stata io. Non puoi credere che sia stata io.» I suoi occhi divennero lucidi e si riempirono di lacrime.
Grace mi guardò con sguardo supplichevole. Voleva che le credessi.
Ma come potevo...
«Avevi promesso.» Ripetei a denti stretti. «Come hai potuto?» Una lacrima mi scese lungo la guancia, ma la lasciai lì.
«Guarda,» Mi mostrò il telefono. «questo non è il mio... questa non sono io.»
Scossi la testa. Non sarei rimasta lì un secondo di più ad ascoltare le parole che le sarebbero uscite dalla bocca; le parole di qualcuno che amava vivere degli scandali altrui. Esattamente come il mio.
La guardai dritta negli occhi un'ultima volta, il suo volto rigato dalle lacrime.
Il lupo era lì, all'ombra degli scaffali. Avevo bisogno di sapere che la sua ingombrante presenza era lì, avevo bisogno del coraggio che mi dava.
Me ne andai velocemente.
Entrai nel bagno e urlai di uscire alle ragazze che vi erano al suo interno.
Mi chiusi in uno degli abitacoli e tirai velocemente fuori l'accendino. Mi scivolò di mano un paio di volte, ma quando sentii il calore del fuoco toccarmi la pelle, un sospiro liberatorio mi allargò i polmoni e frenò i battiti accelerati del mio cuore.
Poggiai la testa al muro e chiusi gli occhi respirando lentamente.
Ma li riaprii quando un chiacchierare piuttosto rumoroso interruppe il mio silenzio personale.
«Ma avete visto come mi ha guardata?» Riconobbi la voce: era la ragazza che poco prima mi aveva spintonata.
«E con che drammaticità si è portata una mano sulla spalla.» Aggiunse un'altra.
«Forse non avresti dovuto colpirla, Lizzie. Non è colpa sua se...» Ma una terza ragazza, dalla voce più dolce, venne interrotta nel bel mezzo della frase.
«Non avrei dovuto?» Quella che avevo capito chiamarsi Lizzie e che mi aveva colpito in corridoio alzò di un'ottava il suo tono di voce. «Quella ragazza è solo un'ipocrita. Si vanta di non essere come Isabella, usa il suo Instagram solo per le foto del suo stupido cane perché non è famosa, ma è esattamente come lei: parla come Isa, cammina per i corridoi come se la scuola fosse sua. Lei lo sa come gli altri la osservano. È per questo che è peggiore di Isabella: è una stronza bastarda, ma almeno Isa non si preoccupa di nasconderlo.»
Il silenzio cadde pesante nel bagno.
«Se è vero che Andrés Rubio ha fatto quella scritta sul muro,» Continuò Lizzie. «spero che nessuna di loro sia al sicuro.»
«Lizzie!» La riprese la ragazza dalla voce più dolce. «Ora stai esagerando. Benjamin non ti avrebbe notata in ogni caso.»
«Forse no,» Ammise. «anche perché, a quanto pare, non sono neanche il suo tipo. Non sono una stronza, bastarda, ipocrita. E se ne vanta pure di stare con una così.»
Sarei voluta rimanere lì a lungo ad ascoltare quello che Lizzie aveva da dire sul mio conto.
Ma aprii la porta del bagno nel quale mi trovavo con un calcio.
Mentre le due ragazze mi fissavano ammutolite e si stringevano nelle spalle arretrando, Lizzie si aggiustava i capelli riflettendosi nello specchio.
Mi misi accanto a lei e mi lavai le mani nel più completo silenzio, anche se dentro di me ribolliva una rabbia crescente.
Uscii che nessuna di loro aveva ancora proferito parola. Ma l'avevo vista la paura nei loro occhi, l'avevo vista in quelli di Lizzie. Le guance le si erano tinte di rosso, e aumentavano di intensità più aumentava il tempo durante il quale rimanevo accanto a lei.
Una volta fuori, mi resi conto che avevo trattenuto il fiato per tutto il tempo. Sospirai.
E avrei davvero tanto voluto poggiare la testa al muro, ma non mi era più possibile.
Chiusi però gli occhi. Avevo bisogno che il mondo rimanesse fuori per un altro paio di secondi.
Quando tornai a vedere, tutto era più chiaro e limpido. Sapevo esattamente cosa avrei dovuto fare. Non potevo permettere a primo bellimbusto di passaggio di ributtarmi nel suo mondo.
Camminai in direzione della piscina. E tutti si spostavano al mio passaggio. La scuola era veramente mia.
Le bitch high mi vennero incontro, ma non avevo tempo da perdere con loro.
«Annika! Come...»
«Non ora Isa, ho altro da fare.» La spostai con un semplice gesto della mano. La ragazza mi lasciò il passaggio davanti lo sguardo perplesso di tutti.
Quando lo feci cadere nell'acqua, vidi appena il volto spaventato di Schizzo.
Camminai lungo il bordo bagnato con violenza, non curandomi del fatto che sarei potuta scivolare e cadere in piscina.
Passai accanto ad Andrés, ma neanche il fatto che fosse in costume non mi distrasse da mio obiettivo.
Benji si stava asciugando, mentre rideva con Marcus e Jordan. Anche lui era in costume, gli occhialini posti sulla cuffia blu.
«Ehi Benji,» Sentii in lontananza. «È arrivata la tua nuova ragazza.»
Lo ignorai. Ma avrei voluto urlargli di starsi zitto, che era uno stronzo. Non ne valeva la pena.
Presi Benji per le palle, lo voltai con la faccia di fronte la mia e lo sbattei al muro, premendogli un braccio sul collo.
«Tu hai visto le foto.» Esposi a denti stretti. La mia non era una domanda, ma Benji sorrise e basta. «Ora dirai a tutti che non è vero, che noi non stiamo insieme.»
Sentivo il fuoco divamparmi nello stomaco. E più Benji sorrideva e più quel fuoco infuriava.
Mentre il rumore cresceva dentro di me, all'esterno cadde il silenzio.
«Sono stata chiara?» Lo incalzai guardandolo fisso, dritto in quegli occhi cervone che mi ero pentita di aver guardato diversamente una volta di troppo.
Eppure lui sorrideva.
Spinsi più intensamente il braccio. Volevo arrivare a sentire le ossa del suo collo spezzarsi sotto la mia presa, che la sua testa penzolasse priva di vita, che i suoi occhi e la sua bocca smettessero di muoversi.
«Signorina Menelaus,» La voce del coach Gin si introdusse nelle mie orecchie all'improvviso. «lasci stare il signor Cavanaugh.» Rimanemmo tutti immobili per una manciata di secondi. «Adesso!» Aggiunse infine.
Ma io premetti ancora di più il braccio. Benji apri la bocca e annaspò.
Strinsi i denti. Sentii i nervi scattare, poi un braccio mi fermò.
«Forza stronza, lascialo stare.» Marcus mi tirò nella sua direzione, mettendosi faccia a faccia con me. «Così lo uccidi.»
Marcus mi trascinò lontano da Benji. Il ragazzo, che fino a quel momento aveva la schiena premuta contro la parete e il fiato corto, si era piegato in due e tossiva rumorosamente. Mentre Marcus mi teneva stretta, il resto della squadra era corso a soccorrere Benji.
«Bastardo schifoso,» Urlai. «abbi le palle di dire la verità.»
«E perché mai dovrei?» Benji si portò una mano sul collo e se lo massaggiò. «Ho visto come ti muovevi su quel tavolo da biliardo, il modo in cui agitavi i fianchi. Lo vedevo il desiderio nei tuoi occhi. Non ho inventato assolutamente nulla.»
«Bugiardo.» Sussurrai. «Bugiardo!» Glielo urlai dritto in faccia. «Non hai visto niente, tu hai creduto di vedere quello che volevi vedere.»
«Adesso basta signorina Menelaus.» Il signor Gin mi si avvicinò puntandomi il dito contro. Quanto avrei voluto morderglielo e staccarglielo via, sputarlo nella piscina e tingere l'acqua di rosso.
Invece lo guardai ferma e decisi di usare semplici parole. «Si allontani immediatamente, so molte più cose di quante ne vuole far vedere. Le studentesse parlano.» Vidi la sua espressione mutare, mentre indietreggiava di qualche passo.
Andrés si avvicinò con una bottiglietta d'acqua in mano. Non si preoccupò di Benji, guardava solo me.
«L'avete vista tutti?» Benji allargò le braccia e urlò, come se stesse parlando a un vasto pubblico invece che solo ai suoi compagni di squadra. «È impazzita. Non ha accettato il rifiuto ed è impazzita.»
«Impazzita?» Chiesi confusa. «Hai detto a tutti che stavamo insieme e ora che mi hai rifiutata?» Risi sarcastica. «Ma le senti le idiozie che escono dalla tua bocca mentre parli?»
«E io come faccio a sapere che non sei stata tu a mettere in giro quelle voci?» Quel sorriso beffardo che aveva disegnato sul volto avrei voluto strapparglielo via con le unghie.
«E perché mai avrei dovuto...» Abbassai le spalle. Lui stava dando a me la colpa di quello che era accaduto, stava dando a me la colpa delle sue azioni.
«Perché non sei più nessuno, Annika.» Non era lo stesso ragazzo che avevo conosciuto appena la sera prima. «Sei caduta nel dimenticatoio e hai cercato un modo per risalire a galla.»
Sentii gli occhi pungere. Non potevo permettermi di piangere lì in mezzo a loro. Non gli avrei dato anche questa soddisfazione.
Fu invece una risata a uscirmi dalla profondità della gola.
«La differenza tra noi due, Cavanaugh, è che io non ho bisogno di nessun altro per emergere, ce l'ho sempre fatta da sola. Tu, invece,» Mossi il braccio, cercando di divincolarmi dalla presa di Marcus che mi stringeva con forza. «hai avuto bisogno di Isabella, che lei ti notasse. Non eri nessuno e ora ti arroghi il diritto di crederti superiore a me? No mio caro, non hai capito niente. Io sono Annika Menelaus e nessuno può sminuirmi in questo modo, neanche un cliché ambulante come te. Potresti anche fregare Isa o Ruby per riuscire a portartele a letto, ma la realtà è che i tuoi gusti sono molto semplici: tu vuoi una ragazza da sottomettere, una che ti implori in ginocchio di potertelo succhiare. Io non sarò mai quella ragazza, non avrai mai una soddisfazione del genere da me.»
Respirai dopo avergli urlato in faccia tutto il dolore che portavo dentro. Le lacrime tornarono indietro sole; si resero conto anche loro che non ne valeva la pena sprecarsi per un individuo del genere.
La rabbia dentro di me non si era affatto attenuata, aveva semplicemente preso la sua stabilità. Vedevo il bel volto di Benji, sorridente e strafottente, e avrei tanto voluto decorarlo con uno dei miei pugni.
«Adesso smettila Annika.» Mi sussurrò Marcus a un orecchio. «Ti stai solo rendendo ridicola. Hai perso, Benji non ti vuole.»
La rabbia tornò ad annebbiarmi il cervello.
Non capii bene quello che accadde dopo. La vista si fece sfocata, a malapena riuscivo a distinguere dove mi trovassi. Sentii, invece, solo un prolungato fischio nelle orecchie, un forte dolore alle nocche, che però non riuscivo a metabolizzare, e del sangue sulla mano; vidi Jordan sdraiato a terra, con le mani sul naso dal quale gli colava sangue.
Tutta la squadra di nuoto si riunì intorno a lui.
Un freddo tocco mi costrinse a voltarmi e ad alzare gli occhi. Andrés mi aveva preso la mano, ci aveva versato sopra l'acqua della bottiglietta e stava passando un'asciugamano sulle le nocche ferite. Il suo volto era limpido, potevo chiaramente vedere ogni singola sfumatura dei suoi occhi.
«Ti fa male?» Il suo tono era gentile.
«No...» Mormorai. «No.» Dissi più forte.
Guardai alla mia destra. Il coach Gin aveva fatto sedere Marcus e gli stava premendo un asciugamano sul naso, tingendola, così, di rosso.
«Bisogna portarlo in infermeria.» Benji era inginocchiato accanto a lui, il resto della squadra intorno.
Il coach Gin annuì. «Jordan, Davion, portatelo in infermeria.» I due ragazzi lo aiutarono ad alzarsi. Mi passarono avanti e io li seguii con lo sguardo. Avevo proprio fatto un ottimo lavoro. Sorrisi soddisfatta.
Il coach Gin, però, non sembrava essere dello stesso parere. Si passò una mano tra i capelli e mi si avvicinò, nuovamente, con il dito sollevato nella mia direzione.
«E lei, signorina, si diriga immediatamente dal preside. Sono stato chiaro?» Socchiusi gli occhi pensando a un qualsiasi modo che avrebbe potuto rovinarlo. Ma non mi lesse nel pensiero, semplicemente si voltò e se ne andò nel suo ufficio.
Non avete idea di quanto mi piaccia questo capitolo. Non per come è scritto, ma per quanto riguarda il contenuto. Siamo ancora al sesto capitolo, non vi sarete mica aspettate di già una storia d'amore tra Annika e Benji spero.
Nel caso, sareste team Benji o team Andrés?
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