𝖚𝖓𝖉𝖎𝖈𝖎 - 𝐡𝐞 𝐬𝐚𝐰 𝐟𝐨𝐫𝐞𝐯𝐞𝐫 𝐬𝐨 𝐡𝐞 𝐬𝐦𝐚𝐬𝐡𝐞𝐝 𝐢𝐭 𝐮𝐩
TW.
uso di sostanze, violenza, abuso, manipolazione psicologica
✨🔴🇫🇷🔴✨
wanting was enough,
for me it was enough
Mi ero immaginata tutto?
Mi ero inventata il suo interesse, la sua premura e tutto quello che avevamo fatto?
A quanto pare sì, dato che Ace sapeva della casa della nonna e non mi aveva detto nulla.
«È tardi, dovresti andare a letto.»
La voce di Ivory mi diede uno scossone.
Distolsi lo sguardo dal suo e, con un gesto istintivo, mi coprii il petto con il braccio.
Rabbrividii. Ero in pigiama.
«Sì, buonanotte.»
Lo salutai e rientrai in casa con il morale a terra.
Guardai le pareti rivestite da carta da parati e sollevai lo sguardo fino alle travi in legno del soffitto. Passai in rassegna la libreria sgangherata e la coperta all'uncinetto sul vecchio divano con la fantasia floreale. La cucina in terracotta e il forno in cui la nonna cucinava le mie torte preferite.
Per quanto tempo ancora avrei potuto chiamare quel posto casa?
Il mio poteva sembrare un capriccio, ma non avevo un altro posto da considerare tale. Perchè volevano portarmi via l'unico luogo sicuro per me?
Tornai nel mio letto e mi sdraiai osservando il soffitto. Strinsi un pugno sulla pancia. C'era il suo profumo sul cuscino, la sua impronta tra le mie cosce e sentivo ancora il calore della sua lingua scivolarvi in mezzo.
Mi sono fidata di lui. Come ha potuto nascondermi una cosa del genere?
Afferrai il lenzuolo aggrovigliato al fondo del letto e mi coprii. Affondai la guancia nel cuscino, infine cascai in un sonno tormentato.
Il giorno seguente chiamai Fawn per avvisarla che non sarei riuscita ad andare. La verità, però, era che non mi andava. Non volevo vedere né lei, né Ace
«Scusami, non riesco oggi pomeriggio, ho il turno in caffetteria», le dissi dopo qualche convenevole.
«Va bene, che ne dici di recuperare qualcosina stasera?»
«Cioè?», domandai confusa.
«Ho bisogno di una mano per il catering della festa di beneficienza.»
Beneficienza? E poi se ne fregava di distruggere il nostro quartiere?
«Un'altra festa di beneficienza?» chiesi.
«Ne organizzo diverse durante l'anno. Allora, ci sarai?»
L'ultima volta mi aveva pagata bene, quasi la metà di quanto guadagnavo un mese in caffetteria. Alla nonna i soldi facevano comodo, non potevo essere così egoista. Ci riflettei un po', poi chiesi: «Ci sarà Ace?»
«No, non credo.»
«Okay, va bene.»
Presi la bici e arrivai alla villa alle otto in punto. Mi ero evitata la pioggia per un soffio, perchè appena misi piede in casa, il cielo fu squarciato da un tuono. Sobbalzai e la prima faccia che vidi fu quella di Cinnamon. I suoi capelli erano sempre lucenti e impeccabili, mi chiesi se non fosse la modella perfetta per uno spot di balsami.
«Paura dei temporali?»
«No», borbottai.
Erano i rumori troppo forti a farmi paura e lì dentro c'era un gran frastuono. Mi fermai in corridoio e aspettai di riprendere fiato. Lasciai che i miei occhi vagassero sui certificati appesi e sulle medaglie in bella mostra all'interno di una teca in vetro. Iniziai a leggere le scritte e la cosa mi aiutò a calmarmi. Sui trofei notai che c'era sempre lo stesso nome.
«Alexander Callahan Ewan Marchesi.»
Lo lessi ad alta voce.
Ma chi diavolo era?
«Scarlett!»
Mi voltai di scatto e salutai Fawn, vestita di tutto punto. La sua figura elegante era stretta in un tailleur scuro.
«Vieni, ti aspettano in cucina.»
Annuii e la seguii, ma mentre percorrevo il corridoio, feci l'errore di lanciare un'occhiata distratta al salone.
O no. Ti prego, non così, mi ritrovai a mormorare tra me e me, quando i miei occhi incontrarono una sagoma conosciuta.
Vidi Ace con un bambino in braccio. Gli stava insegnando come carezzare il dobermann.
Il mio cuore non restò di pietra nemmeno per cinque minuti e si sciolse all'istante.
I nostri sguardi si incrociarono e presero fuoco. Bastò un attimo.
Lo vidi alzarsi in piedi, lasciò il bambino a una signora poi si avvicinò.
Io indietreggiai nel corridoio, ma lui si rivolse alla madre.
«Cosa ci fa Scarlett qui?» lo sentii chiedere.
«Lavora», rispose Fawn.
«Mandala via.»
Sgranai gli occhi.
La sua frase mi colpì dritta al petto.
«Perchè dovrei? Ace, ascoltami bene: Scarlett è fuori dal tuo interesse. Non deve importarti il fatto che lavora qui.»
Decisi di proseguire. Non mi sarei torturata un minuto di più. In cucina però venni però distratta da Sienna, che stava appoggiata al bancone con un calice tra le mani.
«Che piacere vederti...»
«Vorrei poter dire lo stesso, Sienna.»
Lo bofonchiai voltandole le spalle, per evitarmi quelle occhiate sprezzanti sotto ai riccioli color rame.
«Peccato che la mia famiglia è stata invitata e non sono qui in qualità di Cenerentola senza fata turchina.»
La voce di Sienna arrivò come unghiate sulla schiena.
«Non capisco perché Fawn se l'è messa in casa. A forza di stare sempre in giro, ruberà qualcosa o punterà Ace per i suoi soldi. Fossi in Fawn farei attenzione.»
Sienna si rivolse a Cinnamon che l'aveva raggiunta per rubare dello champagne dal frigo.
Non ne potevo più di quelle cattiverie. Corsi via da lì e andai a sbattere contro Ace che era ancora nel corridoio. Il suo maglione emanava sempre un buon profumo.
«Scarlett?»
«Che ci fai qui?» gli domandai imbarazzata.
«Da quel mi risulta è casa mia.»
Abbassai lo sguardo e lui si insospettì immediatamente.
«Va tutto bene?»
Girai i tacchi, ma lui mi afferrò dal braccio. «Non ti ho sentita risponderle.»
M'indicò la cucina dove c'erano le ragazze.
«Perchè non le ho risposto.»
«Non puoi nemmeno salutarmi?»
«Non mi va», sospirai.
«Che succede?»
Lo guardai esterrefatta. Come poteva mentire in quel modo, senza alcun pudore?
Hai appena chiesto a tua madre di mandarmi via. Sei un bugiardo.
Ma non lo dissi. «Lasciami in pace.»
Mi divincolai, quindi Ace fece un giro intorno a me per impedirmi il passaggio.
«Scarlett, ho...» Ace abbassò la voce e si guardo intorno. «Ho sbagliato qualcosa?»
Lo fissai senza parlare, le guance in fiamme.
«È per ieri sera?», insistette.
«No, ieri sera cosa c'entra?»
«Non lo so, magari non volevi...»
Un cipiglio confuso mi si dipinse in volto.
«Ci hai ripensato?» domandò.
«Ace, lasciami in pace.»
«Allora cosa ci sei venuta a fare qui?»
«Non per te», sputai facendogli inarcare un sopracciglio.
«Scusami?»
Già.
«Mi ha chiamata tua madre. Sono qui solo per questo.»
«Ah, davvero?»
I suoi occhi caddero come due incantesimi sulle mie labbra.
Dovetti tenere il mento alto, deglutire e poi rispondere con tutta la fermezza che avevo in corpo.
«Sì, davvero.»
Lui mi guardò stranito, non sembrava capire. Forse era abituato a mentire a sangue freddo, perchè non c'era un accenno di ripensamento o di anima nel suo sguardo.
O forse era sempre stato così?
«Scarlett! Quante volte ti devo ripetere le cose?»
La mamma di Ace mi richiamò nuovamente e quando mi voltai, notai che mi stava adocchiando in malo modo.
«Vieni a dare una mano, dai.»
Ace levò il braccio dallo stipite e mi lasciò passare. Finalmente potei entrare in cucina, dove mi legai i capelli e indossai il grembiule.
«Ace, tu invece vatti a sedere a tavola», ordinò con tono risoluto sua madre.
Lui però restò appoggiato allo stipite. «Non posso dare una mano?»
Dovevo stare a casa, ecco cosa dovevo fare.
«Uh guarda chi c'è», ridacchiò Jet facendo capolino alle spalle di Ace.
Si beccò un'occhiataccia in tempo record.
«Che ho detto di male? Usciamo a fumare?»
«Vedere l'allenatore di rugby e la sua famiglia ti rende nervoso?», lo provocò Cinnamon.
Ma quella nervosa ero io e lo fui per tutta la sera. La cena si tenne nella sala da pranzo, dove sentii i suoi occhi addosso per tutto il tempo.
M'inventai di tutto per evitare il suo tavolo, quando però fu il turno di raccogliere i piatti dei secondi, mi toccò la tavolata di Ace.
«Posso aiutarti?» chiese quando presi il suo piatto.
«No. Puoi provarci a fare i tuoi gesti carini, ma a me non interessa più, Ace.»
«Cosa avrei fatto, Scarlett?»
«Lo sai benissimo.»
«No, invece.»
Alzò di poco la voce e un paio di signore sedute vicino a Fawn ci guardarono male.
«Ti ho... » esalai un lungo respiro e abbassai il tono. «Lasciato entrare nel mio letto. Ti ho lasciato...»
La voce mi morì in gola mentre parlavo sottovoce.
Non lo avrei perdonato.
Presi i piatti e mi diressi in cucina, ma lui mi seguì in corridoio. «Non ti capisco, Scarlett.»
«Certo che non mi capisci. Come fai a capire cosa significa essere me?»
Quel posto era così perfetto che mi dava la nausea.
«Guardati intorno!» esclamai.
Poi però mi accorsi che gli occhi degli invitati erano rivolti al corridoio. Ci guardavano tutti.
«Ci stanno servendo il dessert ma io vorrei i popcorn», commentò Cinnamon.
«Ma che cosa succede?»
Fawn sembrò furibonda quando ci raggiunse.
«Tutto ma non una figuraccia del genere, Ace!»
«Scusate, davvero. Io devo andare. Tanto il mio turno è finito.»
Mi levai il grembiule, lo lanciai sul tavolo della cucina, poi mi diressi alla porta d'ingresso.
«Ace torna di là.»
Ma lui non le diede retta.
«È per la festa? Ti ha dato fastidio tutto questo?», domandò rincorrendomi fuori.
Mi riparai sotto la tettoia perchè aveva cominciato a piovere a dirotto.
«Ho saputo che sapevi», confessai.
«Di cosa...»
In quel momento Ace abbassò lo sguardo.
Aveva finalmente capito.
«Come l'hai saputo?»
«Ah, questa è l'unica cosa che conta, vero?»
Mi misi in cerca della mia bici, quando lo udii dire: «Ti accompagno.»
Come poteva fare finta di niente? La mia vita non aveva importanza? Era un gioco?
«Non voglio.»
«Scarlett, lo sapevo, ma non credevo lo sapessi anche tu.»
«Proprio per questo dovevi dirmelo!»
«Non volevo farti preoccupare.»
«Sai quanto tengo alla nonna. Quanto conta per me. Tu fingevi, hai finto per tutto il tempo.»
«No.»
Pensavo ti importasse di me, per davvero
«Scarlett, io ...»
Mi voltai e lo guardai con un nodo in gola.
«Non riesci nemmeno a dirlo!», esclamai, la voce attutita dallo scroscio della pioggia battente.
Sganciai il lucchetto dalla bici con troppa foga, questa cadde sull'erba mi graffiai con il pedale.
Ace si chinò sull'erba per raccogliere la bici, fregandosene di sporcarsi le scarpe e di bagnarsi.
«Ace?»
In quell'istante Fawn uscì di casa e restò sbigottita nel vederlo sotto la pioggia.
«È tutto okay, mamma. Lasciaci soli.»
«Cos'era quella scenata?»
«Scusami, non volevo. È tutta colpa mia», m'intromisi.
Ma lei non mi considerava nemmeno. Ero invisibile, esisteva solo suo figlio.
«Avevi promesso che avresti evitato storie davanti al padre di Maize.»
Vidi Ace spostare gli occhi a lato.
«Dio, eri un ragazzo responsabile una volta!»
La donna rientrò in casa e io restai a guardare Ace che sembrava senza fiato.
«Stai bene?» gli domandai incontrando i suoi occhi ambrati.
«Si. Tu? Ti sei fatta male?»
«No, non è niente.»
«Ti accompagno a casa, ti bagni così.»
«No» Gli tolsi la mano dal manubrio e riportai la bici a me.
Il suo petto però era ancora costretto. «Non volevo...»
«Io provo sempre a capire tutti, Ace.... ma la nonna sta per perdere la casa, è malata e io non so nemmeno se potrò frequentare la scuola prossimo anno. Tu eri l'unica cosa positiva di quest'estate!»
«Ero?»
«Non puoi nascondermi una cosa così importante.»
«Volevo sistemarla senza farti preoccupare.»
«Cosa?»
«Non credevo lo sapessi e non volevo dirtelo proprio perché hai già altre preoccupazioni.
Quando mi hai raccontato di tua nonna e del trapianto... ho pensato che non avessi bisogno di un altro peso.»
Lo fissai scettica.
«Però poco fa hai chiesto a tua madre di mandarmi via.»
«La festa di beneficienza è per tua nonna. Non volevo lo scoprissi perchè sapevo non avresti mai accettato.»
«Cosa?»
«Le serate di beneficenza che organizza mia madre non servono solo a raccogliere fondi. Per la mia famiglia è anche una cosa convenienza e spesso le fa senza una causa specifica. Se ne occupa in seguito. E stavolta me ne sarei occupato io.»
«Tua madre è dietro al progetto di ristrutturazione del quartiere, vero?»
«Sì.»
Era vero, Ivory aveva ragione.
«Quindi....»
«No, mia madre non sa ancora per cosa sta raccogliendo i soldi.»
«Si arrabbierà quando lo scoprirà. Lo sai, Ace?»
«Lo so.»
La pioggia si affievolì, ma le goccioline continuavano a bagnargli gli zigomi e a me venne voglia di baciarlo.
«Ti sei messo in testa di aiutarmi?»
Ace abbassò il capo.
«Vieni dentro.»
Le sue labbra erano vicine, ma non riuscimmo a baciarci. Lui rimase immobile e io avevo paura.
«È meglio se vado, tanto ha smesso di piovere. E non voglio i tuoi soldi. Non voglio niente», bofonchiai imbarazzata.
Ace mi rivolse uno sguardo che sembrò dire "Sei testarda", ma alla fine optò per un: «Scrivimi quando arrivi.»
«Okay», dissi montando in sella alla bici.
In quel momento mi arrivò un messaggio. Ultimamente avevo sempre il terrore quando qualcuno mi scriveva. Poteva essere la nonna.
«Chi è?»
«È Cedar», risposi con lo sguardo al telefono.
«Penso si tratti di Silver. Devo andare.»
♥️
Quando arrivai a casa notai la sagoma di Cedar accovacciata davanti alla porta.
Mi allarmai nel vedere il suo sguardo irrequieto.
«Ma che succede?» gli chiesi precipitandomi giù dalla bici.
Lui balzò in piedi, sembrava mi stesse aspettando.
«Silver non è tornata a casa stasera. Mi ha chiamato sua mamma preoccupata, ha chiesto se fosse da noi. Ti ha chiamata, Scar?»
«No e non l'ho vista. Da quello che so, non doveva vedere nemmeno le altre.»
«Ho paura sia con suo padre», esalò con il fiato corto.
Posai la bici contro il recinto e aprii la porta di casa.
«Vieni, entra.»
Erano le undici passate, la nonna dormiva già, quindi andammo in camera mia e provammo a chiamarla. Nonostante i numerosi tentativi, Silver non rispondeva.
In quel momento mi arrivò un messaggio.
sei a casa?
Era Ace, ma mi dissi che gli avrei risposto dopo. Chiamai subito Mauve, che mi confermò che nè lei nè Amber avevano visto Silver.
Mi arrivò un'altra notifica
non farmi venire lì.
non lo faresti...
abbiamo la memoria corta, signorina?
Posai gli occhi sul mio letto e le guance si scaldarono appena. Sorrisi, eppure ero ancora un po' amareggiata.
sono a casa, buonanotte Ace
Ace visualizzò ma non rispose. Non gli era andata a genio la mia risposta fredda, ma ora avevo la questione di Silver da risolvere.
Io e Ced eravamo preoccupati per lei, quindi ci mettemmo a chiamare tutti i nostri compagni di classe, ma senza risultati.
«Niente, nessuno sa dove sia», sbottai sedendomi sul letto. «Ma che fai lì per terra, Ced?»
Cedar allora si sedette sul letto di fianco a me.
«Avevate litigato tu e lei?», mi domandò.
«Con Silver ormai il rapporto è strano, lo sai.»
Ci mettemmo a guardare il soffitto e a parlare fino a tardi, finchè non mi addormentai.
Verso le otto furono dei movimenti repentini a svegliarmi. Vidi Cedar alzarsi in piedi.
«Tutto okay?», gli chiesi ancora assonnata.
Mi stropicciai gli occhi e vidi Cedar chinarsi per infilare le scarpe.
«Sì, torno a casa. Mio padre mi starà cercando», replicò freddo.
Sembrava di fretta.
«Okay...» bofonchiai confusa. Perchè stava scappando?
«Io riprovo a chiamare a Silver e ti richiamo, va bene?»
«Sì, ciao Scar.»
Non mi feci domande e quando Cedar abbandonò la mia stanza, recuperai il telefono dal comodino. C'era un messaggio di Silver. La richiamai subito.
«Silver! Ma dove sei? Tua madre è in pensiero.»
«Sono appena arrivata qui sotto, mi apri?»
Corsi alla porta d'ingresso e la sorpresi nel cortile della nonna.
«Dov'eri finita ieri?», le domandai abbracciandola.
Ero felice che stesse bene.
«Sono rimasta a dormire da papà.»
«Senza avvisare?»
«La mamma si sarebbe incazzata. Lo sai che non vuole.»
«Sì, okay ma ci hai fatto prendere un colpo», le dissi invitandola a entrare.
Le feci cenno di restare in silenzio per non richiamare l'attenzione della nonna che stava in cucina, poi ci defilammo in camera mia. Non volevo farla preoccupare.
«Puoi stare qui se hai bisogno di un posto dove andare, te l'ho detto», le ricordai chiudendo la porta.
Quando però incontrai gli occhi cerulei di Silver, notai che qualcosa l'angoscia a.
«Mi hanno lasciata a casa dal bar. Hanno detto di non tornare, ho saltato troppi turni»
«Posso aiutarti a trovare qualcos'altro», la rassicurai.
Ci sedemmo sul mio letto e sentii il suo sguardo su di me.
«Tu come stai, Scar?»
«Bene.»
«Con Ace?»
«Non lo so, Silver. Tu che dici?»
«In che senso?»
«Ti piace Ace?», le chiesi.
«Be l'hai visto prima tu, no?»
La squadrai con aria confusa. «Ma no, dico come persona, Silver.»
«Ah, sì, mi sembra un bravo ragazzo.»
Poi diede una scrollata di spalle.
«Però si sa, le apparenze ingannano.»
«Me lo dicono tutti», borbottai insoddisfatta.
«La domanda è... a te piace, Scar?»
Troppo.
Non riuscii a dirlo.
«Volevo dirti che mi dispIace se ultimamente ti ho trascurata, Silver. Ace è solo un ragazzo.»
«Che ti piace.»
«Mi piace, però... c'è sempre qualcosa che mi frena. Vorrei tirarmi indietro prima che sia troppo tardi. Non lo conosco nemmeno così bene.»
«Fallo, cosa ti frena? Perchè non smetti di vederlo?»
«Ho questa sensazione che lui sia quello giusto, non riesco a levarmela», confessai sottovoce.
Silver si alzò in piedi e diede uno sguardo distratto alle pile di libri accatastate sulla scrivania.
«Non esiste quello giusto, Scar... Tu leggi troppi romanzi.»
D'un tratto indicò un punto alle mie spalle. «E quelle?»
«Eh?» Mi voltai verso la finestra e solo allora notai un mazzo di rose sul davanzale.
«O mio dio...»
«È legale?» chiese Silver, ridendo.
«No, ma lui fa quello che gli pare», commentai avventandomi sui fiori.
Silver allungò il collo per curiosare.
«Sono sempre rosse quelle che ti manda?»
«Sì, sa che il rosso è il mio colore preferito», dissi estraendo la busta che stava incastonata nel mazzo.
Rimasi a bocca aperta nello scoprire che dentro c'erano due biglietti aerei.
«Possiamo andarci?», esclamò lei strappandomeli dalle mani.
«No, è escluso. Non posso lasciare la nonna.»
«Lasciarmi dove?»
La nonna entrò nella mia stanza con la colazione nel vassoio.
C'erano due razzi di latte e caffè e i biscotti appena sfornati, quelli al burro, senza glassa, i miei preferiti.
«Ace ha invitato Scarlett in Francia», annunciò Silver facendomi arrossire.
«Silver!» la sgridai.
«Vedo che il tuo amico ci tiene alla vostra amicizia», sorrise la nonna.
Poi però si fece subito seria. «Tu e lui da soli?»
«No, nonna. Non da soli, siamo amici te l'ho detto.»
«E perchè ti manda sempre delle rose?»
«Vuole essere carino con me.»
«A me sembra che ti stia facendo la corte.»
«Ma no, nonna.»
«Ti corteggia con i fatti, ma a parole si inventa storie per convincersi non sia così.»
La nonna era troppo saggia. E guardarla sorridere mi strinse il petto. Non poteva lasciarmi, non avrei mai sopravvissuto alla giungla della vita senza di lei.
«Per questo non ci andrò.»
«Scarlett, tra poco di un mese ricominci scuola», mi rammendò lei.
«Lo so nonna, ma...»
«È casa sua?» chiese poi.
«Sì, Ace ha una casa nel sud della Francia.»
«Oh...» La nonna si scambiò un'occhiata complice con la mia amica.
«Aggiudicato allora, ci andiamo!» esultò Silver.
Ero in caffetteria e guardavo il telefono. Non avevo ancora scritto ad Ace per ringraziarlo dei fiori. Sentivo il bisogno di spazi, forse per vedere la situazione in modo più chiaro. Mi aveva nascosto della nonna, ma solo perché mi voleva aiutare.
Cosa avrei dovuto fare?
Scivolai con il gomito sul bancone del bar e lanciai un'occhiata sognante alla porta.
Era vero della festa di beneficienza? Come poteva essere così perfetto?
«Cosa c'è da sospirare?», fece Rose, sorprendendomi alle spalle.
«Rose, i tuoi ti hanno mai parlato dei problemi con la casa?»
«Ho saputo che vogliono riformare il quartiere. Mio padre non è d'accordo e...»
Lei a quel punto sgranò gli occhioni dietro agli occhiali.
«Oh Scar, non avevo pensato a tua nonna. Troveremo una soluzione.»
«Grazie. Posso chiederti un'altra cosa?»
«Sì»
Rose si avvicinò e stavolta abbassai la voce.
«Se una persona sembra perfetta...»
«Okay...»
«Secondo te è piu probabile che sia perfetta o stia solo fingendo?»
«Se stiamo parlando di un ragazzo, ti posso assicurare che ragazzi perfetti non esistono, Scar.»
In quel momento il suo sguardo fu catturato da Jet, che faceva il suo ingresso dalla porta della caffetteria. Era con i suoi amici, ma Ace non c'era.
«Sono dei bugiardi», proseguì decisa.
«Io parlo di Ace.»
«A me sembra che lui ci tenga, però... fa attenzione», disse tornando alla cassa.
Presi il telefono dalla tasca perchè mi era appena arrivato un messaggio. E io speravo fosse lui.
Come stai?
Ma non era lui.
Era Cedar.
Fissai il telefono senza sapere cosa scrivere. Era stato strano il modo in cui se n'era andato dalla mia stanza.
«Tu non hai paura del giudizio altrui, vero Scar?»
Amber e Silver arrivarono con Mauve, che come al solito partiva in quarta con le domande.
«Mi fa piacere vedervi.»
Sorrisi, poi ci abbracciammo.
«Di che giudizio hai paura, Mauve?», le chiese Silver mentre si accomodavano sugli sgabelli davanti al bancone.
«Brick mi ha chiesto di andare a fare surf con lui.»
«Ti direi di buttarti», le suggerii servendo loro dell'acqua.
Ma io sono abituata a fare figuracce.
«Quindi non hai paura del giudizio altrui?»
«Bè, no. Tanto tutti pensano che io sia strana. Gli amici di Ace pensano che mangio troppi dolci e le sue amiche che voglio rubargli in casa e chissà cos'altro.»
Amber mi fissò con le sopracciglia innalzate, sembrava incredula.
«Perchè frequentate queste persone di merda? Ricordatemelo un attimo.»
«Non tutte sono di merda», s'intromise Jade che venne a ordinare un caffè.
«Eh... infatti Amber scherzava» bofonchiò Mauve, visibilmente imbarazzata.
«Veramente no», sbuffò Amber.
Jade prese il suo caffè e tornò al tavolo con i suoi amici.
«Quanto se la tira quella»
Negai con il capo nell'udire il commento di Amber.
«Non è vero, Jade è carina. Anche Brick.»
«Jet non l'ho ancora inquadrato...» fece Mauve.
«Capirai cosa c'è da inquadrare, è un pallone gonfiato», strepitò Rose, poco distante.
«Lo odi, eh» commentò Silver.
Vidi le guance di Rose colorarsi, ma non rispose.
«Lo odi o no?» ripetè Silver.
«Certo. Tu?»
«Boh, mi è indifferente.»
Silver si alzò per andare in bagno e mi accorsi che Jet guardava proprio lei. Dopotutto, tutti guardavano lei.
«Ci risiamo. Ma non vi siete accorte di niente? Tra Jet e Silver c'è stato qualcosa.»
Amber ci aprì gli occhi con quella rivelazione e lo sguardo di Rose sfrecciò nella nostra direzione in un attimo.
«No, Silver me l'avrebbe detto», dissi io.
«Non penso te l'avrebbe detto.»
«Non mi mentirebbe mai.»
Jet si avvicinò al bancone, ma non ordinò nulla.
«Quando partite?», gli chiese Silver, tornata dal bagno.
«Oggi pomeriggio. Siamo passati a fare colazione.»
Rose levò il disturbo quando li vide parlare tra loro.
Che le piacesse Jet?
«Oh cazzo, per una volta Amber ha ragione. Non mi sarei mai aspettata di dirlo», esclamò Mauve, quando Jet tornò dai suoi amici.
«Mauve, io ho sempre ragione.»
Lasciai le mie amiche battibeccare tra loro e andai a servire i caffè mancanti al tavolo.
Insieme agli amici di Ace, c'era anche quel ragazzo americano, James.
Lo sentii discutere con sua cugina Jade.
«E dai. Ci siamo io e Jas qui.»
«Ma che significa? Voi siete venuti qui a trovare noi e i nonni, non per fare da babysitter.»
«Pensi sia un peso per me?»
«No, come non lo è per me, James. Lav è mia sorella. Me ne occupo io.»
«Okay, Jade. Ma James ha ragione. Passi mesi a studiare, non pensi di meritartela una vacanza?» fece Jet.
«Vai in Francia e divertiti. Magari trovi anche qualche bella ragazza» sogghignò James, beccandosi l'occhiataccia della cugina.
«Dov'è Ace?» chiese Silver sbucando alle mie spalle.
«Doveva raggiungerci qui, ma ha cambiato idea all'ultimo, non lo so.»
Ebbi una strana sensazione, eppure non dissi nulla.
Avevo ricevuto le rose e i biglietti, sì, ma nient'altro. Nessun messaggio, nè una chiamata. Non era nemmeno passato a salutarmi prima di partire.
Di certo non mi sarei precipitata da lui.
Quella sera guardai un film con la nonna, poi mi infilai nel letto e sperai di prendere sonno, ovviamente questo non accadde. Ci pensò la noia a sopraffarmi. Chiusi gli occhi, ma vedevo solo lui.
Poi il telefono vibrò e il cuore mi saltò in gola.
Risposi velocemente. «Ace?»
«Dimmi una cosa.»
Deglutii. La sua voce mi mandava sulla luna, non riuscivo nemmeno a respirare correttamente.
«Sei mai stata a digiuno per giorni?»
Quando compose la frase, mi accorsi che la sua voce oscillava parecchio.
«Sei ubriaco?» gli domandai.
«Rispondi», ordinò.
«No, non sono mai stata a a digiuno per giorni.»
«Mesi?»
«Mesi? No.»
In quel momento capii che non parlava in senso letterale.
«Stavo pensando... Quando hai fame, non pensi al tuo cibo preferito. Ti va bene mangiare qualsiasi cosa, no?» proseguì, criptico.
«Sì, mangeresti qualsiasi cosa se hai tanta fame», lo assecondai.
«Cazzo, allora ho qualcosa che non va.»
Scoppiai a ridere. «Sì, sei ubriaco.»
«Mhm, un po'», mugugnò con voce roca.
«Ma stai bene?» gli chiesi sorridendo.
«No.»
Mi tremò il respiro. «Ace...»
«Scarlett...»
Chiusi gli occhi e trattenni il fiato. «Dimmi.»
«Ho così tanta di quella voglia di vederti...»
Nella sua voce captai una nota leggermente meno profonda del solito, segno che fosse davvero poco lucido.
«E potrei aver fatto una cazzata», aggiunse.
Il cuore si riempi di veleno e mi sprofondò in gola.
«Non dovevi nemmeno dirlo, non mi devi nulla.»
Deglutii, pronta a riattaccare.
«Ma che hai capito?»
Hai baciato un'altra, no?
«Guarda sul davanzale. Intendevo quello», bisbigliò.
«Ah... Cosa...»
C'era una busta con due biglietti.
«Come ci sono arrivati, se tu sei lì?»
«L'importante è che tu vieni qui, il resto non conta.»
«Sono altri due biglietti?»
«Magari non ti ho convinta la prima volta. Magari le rose adesso ti annoiano. Magari ti sei semplicemente stufata di me.»
Sentii le farfalle nella pancia e le vertigini nella testa.
«Non lo diresti mai da sobrio.»
«Non lo penserei nemmeno», sorrise.
«Che ne dici se ti chiamo domani quando sarai lucido?»
«Come vuoi, signorina.»
Non mise giù.
Mi manchi.
Chiusi la chiamata senza nemmeno salutarlo, altrimenti sarei finita a dirglielo.
Il giorno seguente mi svegliai presto e la prima cosa a cui pensai fu chiamare Ace. E così feci.
«Ace, riguardo alla telefonata di ieri...»
«Buongiorno anche a te, signorina» lo sentii dire con voce assonnata.
«Vuoi che venga, davvero? Voglio dire... Anche oggi lo vuoi?»
«Mhm...»Fece una breve pausa, poi di nuovo la sua voce profonda. «Mi piacerebbe averti qui. Non lo direi altrimenti.»
La mia testa galleggiò leggera.
«Posso portare Mauve, Amber e Silver?»
«Sì. I biglietti sono quattro, non voglio che viaggi da sola.»
Avrei potuto chiederlo anche a Cedar, ma ... forse meglio di no.
Parlai con la nonna quella mattina e lei era d'accordo con il farmi andare insieme alle mie amiche. Silver invece non mi rispose.
Dovevamo partire quel tardo pomeriggio, ma non si fece viva.
Verso mezzogiorno io, Mauve e Amber passammo in caffetteria a salutare Rose.
«Scarlett non avevi il turno oggi?»
Maledizione, Ivory.
Lo vidi fare la sua apparizione dietro al bancone.
«No. Senti, volevo chiederti se...»
«Scarlett andrà un paio di giorni in vacanza», annunciò Mauve al posto mio.
«Scarlett?»
«Sì, proprio lei» fece Mauve annuendo.
«E come mai?», chiese lui.
«Ma a questo che gli frega?» bisbigliò Amber nel mio orecchio.
«Vuole solo passare una settimana con i suoi amici e ha la benedizione della nonna», spiegò Mauve.
Ivory continuava a fissarmi. Non chiese di Ace, non davanti ad Amber e Mauve, poi finalmente Rose ci raggiunse e le spiegai della vacanza.
«È solo per un paio di giorni.»
«Certo, Scar. Non hai nessun obbligo con noi. Rilassati anche per me», disse Rose.
«Riuscite a trovare un rimpiazzo?», mi preoccupai.
«Quando Margaret l'ha detto alla mamma, lei ha trovato una ragazza che possa sostituirti per la settimana, per noi non ci sono problemi.»
«Io non sapevo niente», affermò Ivory.
«Tu non sei mai a casa, come fai a saperlo?» la sentii borbottare.
Salutammo Rose e uscii dalla caffetteria con il cuore pesante.
«Perchè hai cambiato umore? Eri contenta fino a cinque secondi fa», sottolineò Mauve nel vedermi mettere il broncio.
«Sì, hai cambiato umore»
Anche Amber le diede man forte.
«No, smettetela. Non è vero.»
«Non ti devi sentire in colpa, perderai qualche soldino, ma tua nonna ti ha detto che puoi andarci, Scar.»
Ma io non mi sentivo in colpa per quello.
🩶
non fare troppi danni in Francia
Sorrisi nel leggere il messaggio di Cedar.
grazie per non avermi lasciata sola l'altra notte
posso dormire con te tutte le volte che vuoi
Silver mi aveva mandato un messaggio all'ultimo momento, diceva che stava bene e che mi avrebbe chiamata per spiegarmi tutto, ma non sarebbe potuta venire in Francia.
Così quel pomeriggio io, Mauve e Amber prendemmo l'aereo. Il viaggio volò in un attimo e capii che eravamo quasi arrivate quando dal finestrino intravidi le infinite distese di campi di lavanda.
Una volta atterrate, seguimmo le indicazioni che ci aveva fornito Brick. Ace non si era fatto vivo e io mi sentivo sempre più insicura.
Forse era stato un azzardo andarci?
Avevo trascorso l'intero viaggio in aereo a pensare alla mia favola, ma ben presto mi scontrai con la cruda realtà e ciò accadde non appena varcammo il cancello e mettemmo piede nel giardino di quell'enorme casa. Sfilammo sul vialetto di ghiaia costeggiato da alti ulivi e piante di lavanda, poi il brusio delle cicale si attutì perchè l'atmosfera della festa ci travolse.
Era pieno di gente, soprattutto di ragazze.
Sentii una vampata di profumi sconosciuti mescolarsi alla temperatura torrida. Lì non era come in Scozia, faceva così caldo...
L'unica che corse ad abbracciarci fu Jade.
Guardai le casa alle sue spalle: le rose bianche si arrampicavano sulle pareti esterne perfettamente intonacate, tra le persiane di un azzurrino chiaro.
Jade ci fece strada in casa, poi ci indicò una scalinata a chiocciola che conduceva ai piani superiori.
«Venite, vi accompagno al piano di sopra.»
«Le altre ragazze dormono qui?», chiese Mauve quando raggiungemmo la stanza in cui c'erano tre letti a una piazza singola.
«No, solo io. Quindi se volete potete scegliere uno di questi letti. E lasciare le valigie ovviamente.»
Jade poi si voltò verso Amber e la squadrò incuriosita. «Tu sei...»
«Amber.»
«Ah, scusa.»
Amber non replicò, era sempre rigida fuori dal suo contesto sociale, soprattutto quando c'erano persone che non conosceva bene.
Jade ci lasciò sole e finalmente potemmo essere noi stesse. Avevamo trattenuto i commenti su quella reggia per non fare figuracce, ma Mauve cominciò a fare il censimento di tutti gli oggetti di valore presenti in quella stanza per gli ospiti.
«Questi me li vendo al mercatino nero!»
Iniziò a sventolare alcuni soprammobili.
«Smettila Mauve! Posali subito», la sgridò Amber.
Sorrisi e per un attimo mi dimenticai di Ace... Finché Mauve non chiese: «Andiamo di sotto?»
Amber la guardò riluttante. «Dobbiamo proprio?»
Alla fine noi ci infilammo il costume, e mentre Amber disfava la valigia in camera, scendemmo a perlustrare il giardino.
La musica era alta e il giardino era pieno di gente che non conoscevo. Ripensai immediatamente alle feste della scuola, che sembravano feste di compleanno dell'asilo, in confronto a ciò che accadeva lì. C'era alcol. Tanto alcol. E sostanze di ogni tipo.
torneremo a casa vive, me lo giurate?
Lessi il messaggio di Amber che ci guardava scandalizzate dalla finestra.
«Eccovi, finalmente!» Brick ci venne incontro con un gran sorriso e ci abbracciò.
Poi lui e Mauve si dissero qualcosa, perciò mi discostai per lasciarli alla loro privacy.
Il mio sguardo si posò sulla lussuosa piscina che riempiva gran parte del spazio verde. Honey era a mollo e non la riconobbi subito, forse perché non c'era la sua chioma bionda a coprirle le spalle. Adesso i suoi capelli erano scuri.
«Perché non mettiamo dell'altra musica?» La sentii chiedere, rivolgendosi verso l'alto.
«No.»
Poi sollevai lo sguardo e... lo vidi.
Ace era in piedi, sul bordo della piscina e indossava solo un paio di pantaloni della tuta. Stava in mezzo a delle ragazze e per poco non lo riconobbi.
"Ma quello chi è?" mi chiesi.
«Benvenuta all'inferno.»
Mi voltai di scatto. Sienna mi aveva beccata in pieno a fissarlo.
Credevo che lei non ci fosse, esattamente come
non pensavo piovessero alcol e droga ovunque.
«Perchè non andiamo in camera tua?», urlò Honey per farsi sentire, vista la musica alta.
Ace la guardò dall'alto. «Mhm... Fammici pensare? No.»
Poi si rivolse Jet. «Dovevate proprio invitarla?»
Mi girai verso Mauve che mi cercava con lo sguardo.
Mai più. Mi manca il mio letto.
Jet d'un tratto chiese di cambiare musica e Ace acconsentì.
«Ace, perché a Jet dici di sì, ma non vuoi mai fare quello che ti chiedo io?», si lagnò Honey.
«E tu perché hai cambiato colore di capelli?»
«Cosa c'entra? Quale egocentrico penserebbe mai che ho....»
«Io», rispose Ace prima di allontanarsi dalla piscina.
«Mi sa che siamo le uniche sobrie qui», realizzò Mauve, alle mie spalle.
«E io intendo rimanerci», replicai.
Brick ci invitò entrare in piscina, quindi io Mauve ci levammo i vestiti e ci immergemmo con il costume.
«Ace?» chiese Mauve al posto mio.
«È tutta la sera che non si dà pace. Mi sa che è parecchio incazzato», spiegò Brick.
«Con chi?» chiesi accigliata.
Brick rispose con una stretta di spalle. «Con te.»
L'osservai confusa. «Con... me?»
«Sì.»
«Perchè, scusa? Cos'avrei...»
In quel momento vidi Ace tornare con una bottiglia di champagne stretta nel pugno. Si chinò sul un tavolo, la posò, poi si levò i pantaloni e restò in costume, mentre una ragazza stappava la bottiglia.
Non è quello che pensavo.
La mia era tutta immaginazione.
Ace non esiste.
Aveva ragione Rose.
«È la tua ragazza? Continua a fissarti» La tizia di fianco a lui mi indicò.
Ace si voltò e il mio cuore esplose.
Ma se le guance avevano cominciato a bruciarmi e lo stomaco a fare le capriole, lui si limitò a rivolgermi un sorrisetto compiaciuto.
«No che non è la mia ragazza, perché?»
E lo disse tenendo lo sguardo fisso nel mio.
«Boh, ti ho visto parlare con lei qualche volta.»
Le voci sfumarono e così la musica intorno a noi. Lo vidi abbassarsi, posò una mano sul bordo e con un movimento fluido si immerse nell'acqua che sembrò avvolgere le sue spalle possenti.
«Siamo solo amici, giusto?», chiese fermandosi al lato opposto al mio.
La vasca aveva una forma allungata e rettangolare, quindi, nonostante lo spazio tra noi, non eravamo poi così distanti.
«Magari ora non siamo nemmeno più quello», lo provocai.
Brick e Mauve decisero di allontanarsi un po'.
«Ah, davvero?»
«Sei tu che volevi venissi qui», gli ricordai.
«Tu non ci volevi venire quindi?»
«Ace, perché fai così ora?»
Con la mano si riavviò i capelli che bagnati gli ricadevano sulla fronte.
«Così come?»
«Ace...»
«Scarlett.»
«Perché mi devi mettere nella condizione di doverti chiedere cosa ti ho fatto?»
«Eppure non lo fai.» Il suo tono aveva un vago sapore di rimprovero.
«No, me ne vorrei andare adesso», ammisi a denti stretti.
«Eppure sei qui.»
Che stronzo.
«Sì perchè io ci volevo venire qui», sbottai «Ma prima che iniziassi a fare così.»
Lo vidi aprire le braccia e appoggiarle con fare arrogante lungo il bordo della piscina. Mi fissò con un sorrisetto sfacciato. «Vieni, dai.»
Scrollai il capo. Mi sentii di giocare contro una squadra avversaria, in un territorio nemico.
«Mi hai invitato per questo? Per prenderti gioco di me, Ace?»
«No.» Lui si avvicinò. Nell'acqua gli bastarono due falcate per mettermi all'angolo.
«Ti ho invitata per un altro motivo.»
Tremai nel sentire il suo buon profumo mescolato al cloro.
«E si potrebbe sapere quale...»
La sua vicinanza mi rubò il fiato perchè con le dita mi carezzò delicatamente il collo e strofinò le labbra calde dietro il mio orecchio.
Lo sta facendo davanti a tutti?
Quel gesto non era speciale. Chissà con quante l'aveva fatto.
«Sono solo una delle tante...», bofonchiai, tentando di ignorare la sensazione divina che mi provocava la sua vicinanza.
«No. Non lo sarai mai, Scarlett.»
Le sue labbra bruciarono sul mio lobo e le mie gambe cedettero.
«È così che mi fai sentire.»
«Non pensavo venissi per davvero.»
«Ah, ancora meglio. Quindi quando io non ci sono, ti comporti così?»
«No, mi comporto così solo quando mi sento preso in giro.»
Mi staccai da lui e lo guardai dal basso.
«Come avrei fatto a prenderti in giro?»
Ace mi fissò senza parlare. Non voleva darmi la soddisfazione di dirmelo.
Avevo dormito con Cedar, ma ...
D'un tratto capii.
«Come fai a ...»
«A sapere che hai dormito con un altro ragazzo?»
«Cedar è un mio amico», lo corressi.
«Non mi interessa.»
«Non ti...» Mi portai una mano alla bocca, sentii il nervoso stringermi la gola. «Voglio sapere come fai a saperlo dato che non te l'ho detto io», sibilai.
Ace mi voltò spalle.
«Abbi il coraggio di dirlo, Ace. Mi controlli?»
Lui si voltò di scatto.
«Se ti controllassi per davvero, non dormiresti con un altro, no?»
Rimasi a bocca aperta.
Cascai di nuovo dalle nuvole. E fece male questa volta. I biglietti, le rose, tutto quello che voleva fare per la nonna... A che prezzo?
Non glielo avevo chiesto io.
«Non voglio questo», dissi di getto.
«No? E pensare che sto provando a fare quello che mi hai chiesto tu, Scarlett. Mi hai chiesto di non intromettermi e io sto facendo qualsiasi cosa, letteralmente qualsiasi cosa pur di...»
«Cosa?»
«Di non interferire e non intromettermi nella tua vita. Me l'hai chiesto tu di starne fuori. Non mi va di farlo, eppure lo faccio per te. »
«Addirittura? E cosa avresti fatto altrimenti?»
«Tu pensi realmente che io sia nato ieri, Scarlett? Mi hai chiesto di fare questo sforzo e io lo rispetto.»
«Non è uno sforzo, dovrebbe essere la normalità!» esclamai ormai senza fiato. «Quello che vuoi fare tu, anzi, quello che fai, è un reato.»
«Non me ne frega un cazzo.»
I suoi occhi si scurirono e io mi sentii sprofondare.
«L'hai fatto, non ci posso credere. Riesci ad accedere al mio telefono?»
«No, non ti mancherei mai di rispetto in quel modo, ma...»
«Ma l'hai fatto con Cedar?»
«Se ti scrive, io lo so.»
«Stai... scherzando, vero?» lo supplicai, mentre la voce mi moriva in gola.
Ace scrollò il capo. Non scherzava affatto.
«È sbagliato, Ace.»
«Già, ma tu non mi parli e io non conosco altri modi per proteggerti.»
Sembrava sincero, ma io non riuscivo a ragionare lucidamente, avevo gli occhi appannati dalle lacrime.
«No, è solo una scusa per...»
«Non voglio che nessuno ti faccia del male, Scarlett.»
«Perchè dovrebbe importarti con chi dormo? Io e te siamo amici. L'hai detto tu fino a cinque secondi fa! Lo dici sempre!»
«E da buona amica perché non mi hai detto di aver dormito con lui?»
«Perchè tu l'avresti fatto? Me l'avresti detto?»
«Non ci sarebbe stato bisogno di dirtelo, perchè non l'avrei mai fatto», asserì con decisione.
Rimasi ferma. In colpa.
«Io non... Non pensavo di fare niente di male. Non sapevo ti desse così fastidio. Io e te siamo amici e questo l'hai voluto tu, Ace. Abbiamo solo dormito.»
«Quindi siamo amici che dormono con altre persone. Da oggi è così? Va bene.»
E se ne andò.
BRICK
Non capivo un cazzo. I sentimenti mi davano alla testa. Mauve era carina. Honey era un gran figa. Non sapevo decidermi.
«Brick, se sei così confuso, le cose sono due. Uno: smettila con le droghe. E due: evidentemente non ti piace nessuna delle due.»
Jade era la saggia del gruppo, ma il suo consiglio non mi serviva a niente in quel momento, perchè non solo ero fatto, ma Mauve e Honey erano entrambe nei paraggi.
Stavamo seduti a bere nei pressi della piscina quando Jet se ne uscì con un'assurdità. «Anche a me piacciono due ragazze», esclamò d'un tratto.
Scoppiai a ridere e Jade fece uguale.
«Sono serio, cazzo!»
«Ma finiscila, dai.»
«E chi sono le fortunate?», gli domandai.
«Eh, questo non posso dirlo...»
Jade si fece seria nell'udire le parole del fratello.
«Come scusami?»
Io mi distrassi perchè Honey, in piscina, si avvicinò ad Ace e gli disse qualcosa all'orecchio. Sapevo che era tornata con Maize, ma tanto non le passava.
Lei gli posò una mano sul petto. Ace la guardò. Di solito non si sarebbe fatto avvicinare o l'avrebbe trattata male, ma ora... sembrava voler fare di peggio.
L'avevo visto comportarsi in modo terribile con alcune ragazze a scuola e sapevo che quando voleva vendicarsi per qualcosa, era meglio non avercelo come nemico. Ma ora io ero fatto e lui anche. Non aveva molti filtri, soprattutto da ubriaco. Andava dritto al punto, senza vergogna.
«Mi vuoi?» le chiese facendola arrossire.
Honey non se lo aspettava, lanciò un'occhiata furtiva a Maize che stava insieme a dei ragazzi a giocare a ping pong.
«Beh...»
«Rispondi», la incalzò.
«Sì.»
«Io no.»
Le levò la mano e Honey abbassò lo sguardo, umiliata.
Arrivò anche Cinnamon che, come al solito, non aveva capito un cazzo, ma s'intrometteva.
«Sei proprio un palo in culo. Ace, noi vogliamo solo di divertirci per una sera.»
«Siete libere di farlo, solo vorrei non essere compreso nel vostro divertimento», disse lui prima di lasciarle a mollo.
Cinnamon ridacchiò. «Quella contadina gli si è infilata nel cervello e non va più via»
«Nah», intervenne Sienna. «Ciao Brick, anche tu qui?»
Lanciai gli occhi al cielo.
«Ace non ha perso la testa per quella. Si sente utile a starle appresso. Dopotutto è una disadattata che non riesce e a badare a se stessa. Fa due passi e inciampa.»
Sienna e le ragazze erano perfide, ma Ace era ormai uscito dalla piscina per venire da me.
Dovevo ancora scusarmi con lui per il comportamento del cazzo che avevo avuto alla casa nel bosco.
«Sono stato un idiota, scusa.»
«Lo sappiamo Brick, ma le scuse le voglio quando non sei fatto» disse adocchiando Maize da lontano.
Ace non l'aveva mollato un attimo.
Fawn gli aveva detto "Ti porti maize in Francia, non si discute" e lui aveva risposto di no, ma sua madre aveva insistito. Secondo lei era importante farlo per ricucire i rapporti.
Maize dopo un po' si avvicinò a noi e si rivolse ad Ace. «Dove l'hai lasciata bambi?»
Jet scoppiò a ridere «Che cazzo detto?»
«Era solo un nomignolo» Si giustificò l'altro.
«Che non userai più», sputò Ace.
«Va bene, ma solo per il bene della nostra ritrovata amicizia. I nostri genitori vogliono che andiamo d'accordo, Marchesi. Te lo ricordo.»
Maize sogghignò nel dirlo.
«Quindi?», lo sfidai al posto di Ace.
«Quindi facciamo qualcosa di divertente insieme. Giochiamo dai.»
SCARLETT
Ero così arrabbiata con lui che non riuscivo a immedesimarmi, né a mettermi nei suoi panni. Certo, ci sarei rimasta malissimo se avessi scoperto che Ace aveva dormito con una ragazza, e dopotutto ci conoscevamo da troppo poco tempo per credere alla storia del 'dormire e basta'. Forse aveva ragione a non fidarsi... ma in quel momento, mettermi nei suoi panni era semplicemente impossibile.
«Giochiamo», annunciò Maize.
I ragazzi entrarono in piscina e i miei occhi si posarono su Ace che si sedette sul bordo e fece dondolare le gambe lunghe nell'acqua.
«Io non gioco.»
«E dai, Ace! Non sai nemmeno a cosa!» si lagnò qualcuno.
«La bottiglia in acqua», disse indicando un gonfiabile di forma allungata che galleggiava. «Avete dieci anni?»
I ragazzi non gli diedero retta.
«Scarlett?» mi chiamò Cinnamon.
«Lei non gioca», rispose Ace al posto mio.
Innalzai il mento. «Invece gioco eccome.»
Le ragazze si lasciarono andare a qualche risatina perché avevo risposto male ad Ace, lui invece continuava a fissarmi impassibile.
Capii il gioco dopo qualche giro. Una ragazza si occupava di far girare il gonfiabile che si fermava sui prescelti. E per poco non annaspai quando si fermò su di me e Maize fece il mio nome.
«Scarlett.»
«Non le parlare. Non le devi parlare.»
«Calmati, Ace. Ora siamo amici io e te, te lo ricordi?» lo provocò Maize, prima di girare il gonfiabile.
Ace tenne lo sguardo concentrato, ma il destino volle che si fermasse proprio su di lui.
Lo vidi sollevare solo un sopracciglio, mentre teneva lo sguardo rivolto all'acqua.
«Da quel che mi risulta, Scarlett e Ace si sono già baciati. Che noia», sbuffò Cinnamon che voleva solo il drama, anche se questo coinvolgeva suo fratello Maize.
«Sì ma è la regola. Scarlett baciare Ace», disse Jet indicandomi.
«Non mi va.»
Ace alzò sguardo e mi fissò.
«Ti va di baciare qualcuno altro qui? Ai tuoi comodi eh», sputò Honey.
«Se la tira solo perché è ancora vergine», ridacchiò Cinnamon.
Ace non si sprecò a fulminarla con un'occhiataccia, perchè il suo sguardo restò pesante su di me.
«Anche se acora per poco», ridacchiò Cinnamon.
Ace allora parlò senza mai scollarmi gli occhi di dosso.
«Cambiamo gioco.»
Bastarono quelle parole che Honey corse a prendere della tequila e un vassoio di bicchierini in vetro.
«Che ne dite di body shot?», propose preparando degli shottini su un tavolo poco distante dalla piscina.
I ragazzi accolsero con entusiasmo la richiesta, Ace entrò in acqua e io non sopportai più tutta quella tensione. Dovetti sedermi sul bordo perchè mi sentivo bollente.
«Dai Ace, vedi che gioca pure Scarlett. Magari fate pace», ridacchiarono le ragazze .
«Davvero? Giochi anche tu?» chiese, forse convinto che mi sarei tirata indietro.
Perchè sì, volevo fuggire in Groenlandia piuttosto che stare lì con tutti quegli occhi addosso, ma non mi sarei mai tirata indietro.
«Sì.»
«Sicura?» sussurrò con il labiale.
Annuii.
E ben presto capii come mai si era preoccupato di chiedermelo.
Ci furono cose che non guardai da quanto risultarono sfacciate e io non bevvi nemmeno un sorso durante tutto il gioco. Rimasi seduta sul bordo della piscina a chiacchierare con Mauve, mentre di sottofondo la musica era diventata piacevole.
D'un tratto qualcuno chiamò il mio nome.
«Scarlett.»
Ace si morse il labbro, poi uscì dall'acqua.
Cosa succede?
«Vuoi bere tu?» mi chiese.
«Come scusa?»
«Si beve senza mani, Scarlett. Se ti bagni... » Cinnamon scoppiò a ridere. «E siamo certi che accadrà, ci deve pensare Ace.»
«No», rifiutai con le guance in fiamme.
«Okay, bevi tu, Ace», poi Maize si rivolse a me con tono di sfida. «Hai detto che partecipavi, no?»
Le loro parole assunsero significati confusi perché guardavo la sagoma imponente di Ace camminare sul bordo.
Mise le mani dietro la schiena e si abbassò con il corpo sul tavolo per prendere un bicchierino, usando solo la bocca. Il suo sguardo tagliente sfrecciò nel mio, l'attimo prima di poggiare le labbra sul bicchiere. Potei vedere la sua lingua, fu superfluo quel gesto sfacciato, lo fece apposta.
Bevve, ma del liquido cadde sul suo petto nudo.
Lo guardai dal basso mentre l' alcol gli scivolava sul petto e poi giù, lungo il torace definito.
Battei le palpebre, confusa.
«Scarlett.»
È il mio nome?
«È il tuo turno», disse qualcuno.
Spinsi i palmi e provai ad alzarmi per capire cosa fare.
«No» Ace mi freddò con voce ferma.
Non capii.
«Rimani in ginocchio.»
«Okay, forse è meglio se noi andiamo un attimo a farci un giro», fece Jet. «Dov'è Brick?»
Io però avevo occhi solo per Ace che sogghignò nel guardarmi dall'alto.
«Mhm...»
Poi scrollò il capo quando si rese conto che gli arrivavo sotto il cavallo dei pantaloncini del costume. Si abbassò alla mia altezza mentre il liquido gli colava lungo gli addominali.
«Avanti.» Faticai a reggere il suo sguardo crudele e il suo profumo intenso. «Tutto.»
Mi sentii così in imbarazzo che pensai di star sognando. Forse Ace si prendeva gioco di me, ma quando mi girai a guardare gli altri, le ragazze sembravano infastidite. E io mi sentivo strana.
Afferrai un asciugamano che era poggiato sul bordo della piscina e glielo lanciai sull'addome.
«Fattelo da solo.»
Poi mi alzai in piedi e pregai tutte le divinità di non inciampare e fare una delle mie solite figuracce.
Il mio atto di ribellione portò Ace a sorridere guardando il pavimento.
«Troppi spettatori?», mi provocò sottovoce mentre si asciugava distrattamente.
«Ti fa ridere?» chiesi con le guance in fiamme.
«No, mi piace quando dici quello che pensi.»
«Be', te lo può fare qualcun altro allora.»
Lo vidi curvare il capo a lato.
«Farmi cosa?»
«Non mi hai torturata abbastanza, vero?»
Mossi qualche passo per allontanarmi, ma qualcuno non aveva ancora finito di prendermi in giro. «Scarlett ma dove vai?» urlò Maize che era uscito dalla piscina.
Mi voltai e l'occhiata che gli lanciò Ace non fu delle migliori, quindi Jet parlò: «Okay abbiamo giocato abbastanza...»
«Ma perché... Tocca a me, io quella me la leccherei volent...»
In quel momento Ace si voltò e vidi soltanto la sua schiena contrarsi. Afferrò Maize.
«Ti ho fatto fare il turno con lei non ti basta?», disse l'altro.
Ace non parlava ma la faccia di Jet diceva tutto.
«Okay, ha fatto una battuta. Ora è tutto okay» intervenne Brick, che sbucò da non so dove.
«Vattene da casa mia», scandì Ace.
«Ho solo... stavo scherzando. Però mi fai ridere quanto diventi suscettibile per una scopata mancata.»
Non vidi cosa accadde, ma Maize cascò a terra.
«Ti sei rovinato con le tue stesse mani, Marchesi. Stavolta per davvero» lo sentii urlare.
Ace mi passò davanti senza nemmeno guardarmi ed entrò in casa.
«Ace!»
Lo seguii e lo vidi massaggiarsi il polso.
«Tua madre ha detto che ti serviva una vacanza dallo studio, dal nuoto, ma sembra che qui la situazione sia tutto fuorchè rilassante.»
«Non sarebbe dovuto venire.»
«Parli di Maize?»
«Mia madre mi ha obbligato, voleva risanare i rapporti con suo padre e...»
«Fammi vedere la mano.»
«Non è niente.»
Ace la nascose ma io gliela presi comunque.
«Perché hai detto così prima?», gli domandai.
«Così come?»
«Mi stavi prendendo in giro? Volevi mettermi a disagio davanti a tutti con quella richiesta?»
Sollevò gli occhi e mi colpì con le sue pupille lucide e le labbra rosse.
«No, volevo solo che lo facessi.»
«Davanti a tutti?»
«Lo desideravo e basta... » Si abbassò sulla mia guancia e sfregò il labbro inferiore sulla mia pelle accaldata. «Lo desidero ancora.»
«Ma...» Cominciò a giocherellare con i capelli umidi che mi scivolavano sulle spalle nude. «Volevo anche vedere se saresti stata capace di obbedire a una richiesta così assurda.»
Abbassai il capo e il mio sguardo cadde sul suo corpo umido.
«Sei completamente ... impazzito.»
«Può darsi. E tu che lo stavi per fare?»
D'un tratto però le provocazioni cessarono. Forse si era accorto del mio stato d'animo.
«Stai tremando», realizzò.
«La violenza mi spaventa», confessai.
Lo dissi con un filo di voce, ma non mi aspettavo Ace rispondesse.
«Scusa.»
«Oh, no... non importa.»
«Invece importa. Mi sarei dovuto trattenere con Maize. E avrei dovuto dire di no a mia madre, ma lei ha insistito. Voleva che il padre di Maize pensasse che avevamo superato l'accaduto a casa di Jet.»
«Se Maize fa così con me, non è colpa tua, Ace.»
Lo vidi annuire con lo sguardo basso, le nostre labbra vicine.
«Sei ancora arrabbiato?»
«L'idea che dormi con qualcuno che non sia io mi...» Ace serrò la mandibola.
«Siamo amici io e Ced. Non abbiamo fatto niente di male», soffiai «E non puoi controllare le persone intorno a me.»
Lo vidi spostare gli occhi, di nuovo nei miei.
«Quali persone, Scarlett?»
«Cedar.»
«Perché hai usato il plurale?»
Ci fissammo.
«Sei...»
«Paranoico? È questo che vuoi dire? Vedo cose che non ci sono, Scarlett?»
No quella sono io.
«Forse ho solo visto cose in te che non esistono, Ace.»
Con mia sorpresa non si offese, ma si lasciò sfuggire un sorrisetto.
«Il ragazzo perfetto che pensavi non esiste. E dire che ci ho provato a dirtelo a fartelo capire...»
Ace tracciò la mia pancia nuda con l'indice e mi fece venire i brividi. La tensione tra noi era troppa, si era accumulata durante i giorni e ora non riuscivo più a respirare, così vicina a lui.
Indietreggiai ma il pavimento era bagnato a causa del suo costume che gocciolava, e per poco non scivolai.
«Attenta», disse afferrandomi al volo.
«Forse è meglio se torno in camera.»
«Dove dormi?», mi chiese.
«Nella stanza con le ragazze e Jade»
«Ma non ci sono abbastanza letti.»
«Ci stringiamo al massimo.»
«No.» disse. «Vieni.»
Lo seguii al piano di sopra e rimasi senza fiato quando aprì la porta di una camera immensa.
Il soffitto alto era costituito da travi in legno ridipinte di un bianco opaco come il resto della stanza. Le pareti erano chiare e al centro della stanza troneggiava un letto King size. Il lato destro era tagliato da finestre su una vista mozzafiato del mediterraneo, nascosta solo da tende bianche che oscillavano con la brezza marina.
«Non fare caso all'arredamento. Mia madre ha dei gusti tutti strani. Puoi dormire qui.»
Mi bastò spostare gli occhi sulla libreria colma di libri e vinili per capire.
«Ma questa è la tua camera.»
Mi puntò con un'occhiata affilata. «Dormiamo solo, no?»
Capii immediatamente la sua provocazione.
«Cedar è davvero mio amico, Ace. Non è la stessa cosa tra me e te. E lo sai.»
«Quindi vuoi dire che non riusciresti a dormire con me?»
Le sue mani si posarono sui miei fianchi. Erano così calde e grandi che mi sentii al sicuro.
«Ace, sono....»
«Delusa?»
Abbassai lo sguardo. «Dal tuo atteggiamento con Ced? Sì.»
«Quindi è sempre questo il problema. Volevi arrivare qui e trovare ragazzo perfetto che hai lasciato a casa.»
«Sinceramente sì.»
«Quello non esiste, Scarlett.»
Sospirai, provando a scacciare la cruda realtà.
«Comunque grazie per le rose...»
«Perchè quel broncio?», chiese.
«C'erano ancora le spine.»
Ace sorrise.
«Non ti avrei mai mandato il biglietto se non ti avessi voluta qui con me», sussurrò l'attimo prima di lasciarmi un bacio sulla guancia.
«Ma dove vai?»
«Puoi prendere il mio letto, Scarlett. Dormo di sotto.»
«No, questa è la tua camera. Non posso mandarti via.»
«Rimani qui. Almeno so che nessuno verrà a disturbarti.»
«Grazie, ma...»
Ace se ne andò chiudendo la porta e notai che la mia valigia era già lì, al fondo del letto.
Il problema è che per me resti perfetto.
Erano le otto del mattino e la casa sembrava avvolta dal silenzio più totale. Solo i miei passi sulle scale.
Un profumino mi guidò nella grande cucina al piano inferiore. Lì trovai Ace che stava ai fornelli con addosso un paio di pantalonicini.
«Sei già sveglio.»
Lui si voltò solo per rispondere. L'occhiata che mi lanciò fu troppo sfuggente.
«Sì.»
«Ma hai almeno dormito?», gli chiesi preoccupata.
«Non molto.»
«Sei ancora arrabbiato con me?»
Lo vidi spegnere il piano elettrico su cui aveva cucinato.
«Non ne ho il diritto, è così?»
«No, Ace.»
Ace annuì, tornando alla sua preparazione e io, attratta dal profumino invitante, mi avvicinai a lui. «Cosa hai fatto di buono?»
«Waffles. Vuoi anche delle uova?»
«No.»
Mi guardò di sottecchi. «Ieri sera non hai cenato, sarai affamata.»
«Non molto.»
«Vuoi che ti prepari qualcos'altro?» chiese poi.
Restai ipnotizzata dalla sua schiena, poi abbassai gli occhi e rimasi incantata dalle sue mani, che sistemavano la frutta fresca sui waffles.
«I waffles vanno benissimo», sussurai.
«Vuoi dello sciroppo?»
«Sì, grazie», risposi mentre lui impiattava con cura.
«Facciamo metà?»
«Come vuoi, signorina.»
Ace posò il piatto sulla superficie dell'isola
e mentre restava a guardarmi appoggiato al bancone, io mi sedetti sullo sgabello. Gli arrivavo a malapena alla spalla, ma lui non ci diede peso, tagliò una fetta, poi si avvicinò con la forchetta alle mie labbra.
«Posso?»
Annuii e assaggiai quella delizia.
«Tu hai dormito bene?», chiese guardandomi le labbra.
«Sì»
«Non ti dà fastidio, no?», mi domandò prima di addentare una forchettata di waffles.
«No. Dove hai dormito, Ace?»
«Nella camera degli ospiti con Jet.»
Dopo avermi risposto, si allontanò e io lo squadrai confusa.
«Non mangi altro?»
«Non mi va. Tu finisci tutto, Scarlett.»
«Ace...»
«Ho bisogno di farmi una nuotata.»
Mauve e Amber avevano organizzato un'escursione mattutina con Jade, ma a me non andava affatto: avevo lo stomaco sottosopra. Le ragazze uscirono verso le dieci, così io diedi una sistemata alla nostra camera e disfai la valigia. Guardai i miei costumi e ripensai alle amiche di Ace. Come facevano a essere così a loro agio?
Mi affacciai alla finestra e notai che Ace era in piscina. Ma non era solo, c'era anche Honey, appiccicosa come non mai. Non le importava di Maize, come non le importava che ci fossi io.
Cinnamon si stese la crema solare, poi si immerse in acqua e con la sua capigliatura voluminosa mi coprì la visuale. Vidi Ace piegare il collo, in un attimo alzò lo sguardo. E mi beccò in pieno.
Sembrava sempre che si aspettasse una mia reazione, che attendesse io facessi qualcosa.
Ma io non le avrei mai affrontate quelle ragazze. Volevo fuggire, come sempre, solo che stavolta non potevo, mi trovavo in una situazione in cui mi importava realmente di lui e scappare non era un'opzione.
Decisi perciò di rintanarmi in camera a leggere il romanzo che mi avevano assegnato per le vacanze, sarei uscita solo per pranzare.
Verso l'una lasciai "La lettera scarlatta" sul letto e scesi in cucina.
Qualcuno aveva cucinato della pasta e io ne presi una porzione abbondante.
«Buon appetito», mi disse Maize passandomi di fianco.
Mi sentii morire.
«Vorrei avere il suo coraggio», sogghignò Honey.
Sto solo mangiando un piatto di pasta.
«Boh, secondo me fa bene. Che le frega? Pensa di averlo già conquistato.»
«Sto solo mangiando un piatto di pasta» borbottai causando una risata generale.
In quel momento Ace entrò in cucina, con addosso il costume che risaltava la sua abbronzatura dorata.
Si accorse subito della mia faccia. «Tutto bene qui?» mi guardò con aria interrogativa.
I suoi amici si dileguarono all'istante. «Certo», replicò Honey, l'unica rimasta.
«Stavo parlando con Scarlett.»
La ragazza gli rivolse una smorfia, poi seguì gli altri fuori in giardino.
«I tuoi amici mi odiano», commentai con lo sguardo sul piatto di pasta.
«Brick e Jet stravedono per te.»
«Ma le ragazze...»
«Devi imparare a difenderti.»
«Da loro? Le hai viste?»
«Si, le ho viste, Scarlett. Ma ora vorrei che loro vedessero te.»
Ace si avvicinò e con dolcezza premette l'indice nella mia tempia.
«Se c'è una cosa che ti da fastidio, dilla.»
«Perchè?»
«Perchè devi essere forte o questo mondo ti mangia in un solo boccone, Scarlett.»
Ace avvicinò le labbra al mio orecchio.
«Ma nel frattempo... ci sono io, se hai bisogno.»
Sorrisi con le guance accaldate e non potei fare a meno di guardare la sua mano chiusa a pugno, sul tavolo. Con il pollice carezzai la sua nocca ferita, ma lui la ritrasse immediatamente.
«Vado a farmi una doccia. Finisci di mangiare.»
Non c'era bisogno di dirlo, divorai quel piatto, poi uscii in giardino. Sarei dovuta andare al mare con Jade e le mie amiche, ma non erano ancora tornate e in piscina c'erano solo sguardi ostili e troppe bottiglie di champagne.
Mi pentii subito di essere uscita, tant'è che girai i tacchi, quando qualcuno mi chiamò.
«Scarlett. Vieni, non avere paura!»
Era Cinnamon. La meno seria tra tutte, quella che aveva sempre un tono canzonatorio e irritante.
«No, grazie. Torno dentro.»
«Quella non è nemmeno simpatica. Perche sta sempre con lei?», chiese Honey. I loro toni alti mi fecero pensare che forse erano già ubriache.
«Indovina», bofonchiò Sienna.
«Ma si conoscono da un po'» proseguì Honey.
«Già, ma ancora niente.»
«Come lo sai?» domandò Honey.
Volli sprofondare perchè in quel momento arrivò Ace e loro si zittirono. Tranne Sienna.
«Scarlett! Aspetta, che hai fatto al ginocchio?»
O no.
Anche Ace mi guardò. E a me mancò il respiro.
Avevo tutte le attenzioni su di me.
«Io? Niente...», balbettai.
«Che c'è? Sienna ha solo chiesto» fece Cinnamon quando Ace le guardò male.
«È caduta dal seggiolone, sicuro», commentò Sienna facendo ridere le altre.
«Alzati.»
Il tono che Ace le rivolse mi fece trasalire.
«Hai già picchiato mio fratello ieri, non ti basta?» lo istigò Cinnamon, senza mai levarsi quel ghigno.
Ace però la ignorò e torreggiò su Sienna, che era seduta sul bordo della piscina. «Alzati, ho detto.»
«Sienna è una femmina. Te la prendi anche con lei? Non si picchiano le ragazze», ridacchiò Cinnamon.
Ace allora si diresse verso la casa a passo spedito.
«Dove stai andando, Ace?» Sienna si alzò preoccupata e lo rincorse.
«Te ne vai», disse lui.
«Non fai ridere.»
«Non sto scherzando, infatti. Prendi le tue cose e vattene.»
«Ma perchè?»
«O le prendo io. E sai che lo faccio.»
«Solo perchè ho offeso la tua amichetta? Seriamente?»
Sienna però non rideva più, ora sembrava prenderlo sul serio.
«Okay, l'hai voluto tu.»
«No, Ace!»
I due entrarono in casa, le altre ragazze rimasero pietrificate a fissarmi. Arrivarono anche Maize e Jet. Tutti mi guardavano male.
Mi sentii così a disagio che decisi di fuggirà da lì.
Uscii dal cancello della villa e scrissi alle mie amiche. Mauve dopo poco mi rispose dicendomi che Jade aveva perso l'attrezzatura per lo snorkeling e la stavano cercando alla spiaggia vicina. Presi una delle bici che trovai fuori dal cancello e le raggiunsi.
«Ho dimenticato l'asciugamano», annunciai quando arrivai in spiaggia.
Jade rovistò nel suo zaino e me ne allungò uno.
«Ne ho uno in più.»
Come faceva a essere amica di quelle? Jade era sempre carina con tutti.
«Che è successo ieri?», mi chiese Mauve, facendomi spazio accanto a lei.
«Ho dormito in camera di Ace... Senza di lui», puntualizzai.
«E...?»
«Niente.»
Speravo sempre che succedesse qualcosa, che dicesse non lo so... Una follia, tipo che voleva stare con me?
E invece mi ritrovavo come al solito in quel casino, in situazioni che non capivo. Se la prendeva con me, però mi difendeva. Mi preparava la colazione, ma non voleva parlarmi.
«Si è arrabbiato perchè ho dormito con Cedar», confessai causando degli sguardi sbigottiti sui volti delle mie amiche.
«Hai dormito con Cedar?»
«Ci siamo addormentati, eravamo preoccupati per Silver»
«E lui è caduto nel tuo letto?», mi chiese Amber.
«Ma no... non volevo restasse per terra e... Quindi dite che ho sbagliato?»
«Sì», disse Mauve.
«No», fece Amber.
Guardai Jade.
«Bè, io posso darti il punto di vista di Ace. Conoscendolo, non accetterebbe nemmeno lontanamente l'idea che tu stia nello stesso letto con un altro ragazzo. Mi fa strano ti rivolga ancora la parola.»
«Anche perchè Cedar, si sa...» Mauve lasciò la frase a metà.
«Cosa, Mauve? Abbiamo solo dormito, lo sai anche tu che...»
«Che gli piaci?»
Mi strofinai la fronte. Cedar non mi aveva mai detto nulla, ci conoscevamo da una vita.
«Okay, perché non riproviamo a cercare l'attrezzatura? Da quella parte non abbiamo cercato», disse Jade. Mi stupii perchè si rivolse soltanto ad Amber.
Avrei chiesto spiegazioni a Mauve, in un'altra occasione, ma ora avevo la testa piena di pensieri.
«Avanti Scar, Cedar ha una cotta per te», ripetè Mauve.
«Te l'ha confidato lui?»
«No, ci arrivo da sola. Ma Ace come ha fatto ha scoprirlo? Glielo hai detto tu?»
«No, non gliel'ho detto io.»
«Gliel'ha detto Ced?»
«No, Mauve.»
«Oh.»
«Già.»
«Gli importa così tanto di te da...»
«Mauve non pensarlo nemmeno. Io e lui conosciamo da... due mesi?»
«E non state nemmeno insieme.»
«Già. E ci proviamo a essere solo amici, ma è impossibile. Stanotte abbiamo dormito in letti separati. Altrimenti...» Mi morsi il labbro.
«Hai bisogno di svago anche tu, Scar. È una vacanza anche per te, questa. Sei libera di fare ciò che ti pare.»
«Ace mi piace, Mauve»
«Lo so, non c'è nemmeno bisogno che tu lo dica, Scar. E lo sa bene anche lui.»
«Neppure se ci provo, riesco farmi piacere qualcun altro», ammisi sconsolata.
Lei mi indicò due ragazzi seduti sugli asciugamani di fianco ai nostri.
«Perchè non ci proviamo?»
«Mauve...»
«E dai! Ci divertiamo, solo per un pomeriggio.»
La vidi sporgersi verso di loro. Uno era biondo, l'altro aveva una carnagione caffè e latte.
«No, Mauve!»
«Ciao» esordì con voce squillante. «Anzi Bonjour!»
Desiderai affogare.
Mauve si lanciò in una conversazione memorabile. Tutti amano il pan au chocolate, ma lei riusciva a farci una disquisizione quasi scientifica. Sfoggiava il suo francese, mentre io annuivo perché capivo la lingua ma non la sapevo parlare.
Un ragazzo biondo provò a dire qualcosa in inglese, ma finii per ridere sguaiatamente facendomi una delle mie solite figure.
Vedere Mauve così lanciata mi fece venire un dubbio. «E Brick?», le domandai sottovoce.
«Brick mi ha baciata di nuovo, ma ... non vuole impegnarsi. E io non posso accettarlo.»
«Quindi che pensi di fare?»
«Credo di aver perso abbastanza tempo. Soprattutto perchè vedo come guarda quella Honey.»
«Venite a cena con noi questa sera?» chiese il ragazzo dalla pelle scura. Io mi irrigidii immediatamente.
«Certo», esclamò Mauve.
«No, io non posso», mi affrettai a rispondere.
«Scarlett è troppo impegnata con il suo fidanzato immaginario.»
Ci voltammo ma io già sapevo chi aveva pronunciato quella cattiveria.
Cinnamon.
«Bè è davvero un peccato.»
Il ragazzo mi sorrise prima di risistemarsi il ciuffo biondo. «Sei fidanzata?»
Nella mia testa, certo.
«Ma quando ti ricapita un figo così?», fece Cinnamon sedendosi di fianco a me.
«Vuoi spingerla braccia di un altro?» ridacchiò Honey.
«Voglio solo il drama. E poi è solo una cena. Vacci, no?»
Le due si presentarono ai ragazzi, che cominciarono a ignorare me Mauve.
«Domani c'è una festa.»
«Sulla spiaggia?»
«C'è una grotta» spiegò uno dei due.
«Certo che ci veniamo», esclamò Cinnamon.
«Stasera invece?»
«Stasera organizziamo un bagno di mezzanotte.»
«Interessante. Noi e Scarlett ci saremo sicuro», annunciò Cinnamon mettendomi in imbarazzo.
«No, mi fa paura il mare di notte. Mi sa che resterò a casa.»
Scoppiarono tutti a ridere e io mi maledii per aver preso quel dannato aereo.
«Vieni, non c'è bisogno di fare il bagno. Possiamo anche solo fare una passeggiata», m'invitò il ragazzo biondo.
Cinnamon era la più elettrizzata di tutte.
«Ah, non vedo l'ora!»
Quando tornammo a casa, la notizia della festa e dei ragazzi francesi fu subito di dominio pubblico. Cinnamon si era impegnata nel raccontarlo a tutti.
«Io e Scar abbiamo conosciuto due ragazzi...»
Mauve raccontava l'accaduto a Jade, proprio mentre passavamo davanti a Brick e Jet, che erano seduti al tavolo.
«Ma senti, senti...», disse Jet beccandosi l'occhiata storta di Brick.
Era ormai ora di cena, difatti i ragazzi stavano mangiando.
Jet ci indicò dei cartoni ancora fumanti. «Abbiamo ordinato della pizza.»
«Okay, grazie.»
Avevo lo stomaco chiuso ma non volevo risultare maleducata perciò mi sedetti insieme a loro.
Dopo poco Ace arrivò in cucina, aprì il frigo e prese dell'acqua.
«Erano molto carini, soprattutto il biondo. Vero, Scarlett?» mi provocò Honey, di proposito.
Per poco non mi strozzai con la pizza.
Non sollevai gli occhi dal piatto, ma con la coda dell'occhio vidi Ace andarsene.
«Dovresti comprarti un sacco da boxe Ace, dicono che...»
Cinnamon non fu ascoltata, perchè ormai era già uscito.
«Scar è la mia nuova queen», aggiunse poi.
«Finiscila», sbottai.
«No, dico sul serio.»
«E sentiamo come mai?» chiese Maize, divertito dal siparietto.
Cinnamon allora si rivolse a me.
«Ace sbatte fuori di casa la sua ex solo perchè fa una battutina su di te e tu accetti di andare a fare il bagno di mezzanotte con un altro. Devo aggiungere altro?»
Maledizione.
Il modo in cui Ace mi ignorava mi causava una terribile sensazione alla bocca dello stomaco, ma decisi comunque di restare con le mie amiche. Quella notte indossai il costume e seguii le ragazze in spiaggia. Non avevo alcuna intenzione di fare il bagno, ma avrei fatto bene ad andare con loro comunque. Stare a casa avrebbe solo peggiorato le cose.
I ragazzi francesi erano già in spiaggia ma non erano gli unici, c'era diversa gente a fare il bagno di mezzanotte. Ci offrirono della birra, io inizialmente rifiutai, poi, visto che ero sempre l'unica guastafeste a non divertirsi, decisi di unirmi alle altre ragazze.
«Cosa ci hanno messo in questa birra? Mi gira la testa», esclamò Mauve, palesando ad alta voce il modo in cui mi sentivo dopo qualche sorsata.
«Non sei abituata... Non sono...»
«O mio dio.. Ci vedo doppio» si lamentò Amber.
«Ma smettetela di fare sempre le frignone. Avete il costume?», ci chiese Cinnamon.
«Ah, già... dobbiamo fare il bagno?» Amber era più confusa di me.
«Bè, se ti va», le disse Jade.
Si levò il top, poi i jeans, mostrando il suo fisico mozzafiato avvolto da un bikini nero.
«Qualcosa mi dice che ti va», sussurrò Mauve all'orecchio di Amber che arrossì.
Le ragazze si tolsero i vestiti e lo feci anch'io, ma per poco non inciampai mentre mi sfilavo i pantaloncini. Nella sabbia c'era una sola pietra appuntita, e ovviamente chi fu la fortunata a colpirla in pieno?
Già.
Poggiai male il piede e mi feci male alla caviglia, fortuna che un ragazzo mi sorresse.
Era il biondo della spiaggia.
«Alcune ragazze hanno bisogno del principe azzurro che venga a salvarle.»
«Un po' sessista...», commentai, già brilla.
Lui mi squadrò accigliato.
«Ehm, volevo dire, Grazie... Non ricordo il tuo nome.»
«Philippe.»
«Io non... Non so cosa mi avete dato da bere, ma ho caldo.»
«Vuoi fare un bagno?», mi domandò,
«Bè...» Mi girai in cerca delle mie amiche. Ma dov'erano finite?
«No.. grazie» risposi impacciata.
Chi ti conosce? Ma chi sei?
«Dai, vieni»
«No»
«Io dico di sì», sorrise il ragazzo.
«E io dico di no.»
Un sospiro di sollievo lasciò le mie labbra quando udii la voce di Ace.
Era un fantasma? Una mia allucinazione?
A quanto pare no, perchè Philippe sparì all'instante.
Posai immediatamente una mano sul suo petto avvolto dalla camicia bianca, forse per assicurarmi che fosse davvero lì con me.
«Cosa c'era di così interessante da dirvi?»
Notai nella sua voce una leggera inflessione. Sembrava che anche Ace avesse bevuto.
«Boh... ha blaterato di essere un cavaliere pronto a salvarmi.»
«E glielmhai detto che ce la fai da sola? E che non hai bisogno di nessuno...»
Ace si abbassò alla mia altezza e nascose le labbra dietro il mio orecchio.
«A parte me», sussurrò dandomi i brividi.
Le nostre bocche si sfiorarono facendo scintille, ma non mi baciò.
«Raccogli i tuoi vestiti», disse d'un tratto.
«Perchè?»
«Ti riaccompagno a casa.»
Li presi, ma invece che dargli retta, mi allontanai verso la riva.
«Scarlett! Dove vai?»
«In acqua!»
Ace mi rincorse. «Non penso proprio, signorina.»
«Perchè?»
«Quella volta al lago avevi paura...»
«Oggi la signorina vuole farsi un bagno!»
Lo annunciai con tono solenne, facendolo sorridere.
Mi gettai nell'acqua fredda e una strana sensazione di libertà m'incendiò nelle vene. Eravamo un po' distanti rispetto agli altri e sopra di noi solo le stelle.
«Ma dove vai? Aspettami. Quanto hai bevuto?»
«Un po'. Pochino» feci un gesto con le dita «Tu?»
«Cazzo, anch'io. Non allontaniamoci troppo dalla riva.»
«Però mi fido di te.»
«Sono io che non mi fido di me in questo momento...»
Sentii il suo respiro incerto quando mi avvicinai con le labbra alla sua gola che vibrò appena sotto i miei baci.
«Dio, Scarlett. E nemmeno di te», gemette quando gli posai le labbra sul collo.
«Pensi male di me adesso che ho dormito con Cedar?»
La mia richiesta ebbe un tono troppo infantile, ma non mi importò.
«Non penserei mai male di te, Scarlett.»
«Io invece spesso non ti capisco»
«Non sono giusto per te, lo sai.»
L'alcol nelle vene mi fece perdere la profondità del discorso e la mia voce uscì lamentosa.
«Perchè dici così...» sbuffai.
Ace mi passò due dita sotto il mento sollevandomelo.
«Sei una brava ragazza.»
«Non ricominciare con questa storia, l'hai già detto.»
«È la verità e non sei il tipo di ragazza che...»
«Che ... cosa?»
Lui si avvicinò al mio orecchio come volesse rivelarmi un segreto, ma eravamo lontani dagli altri .. forse voleva solo farmi rabbrividire con la sua voce profonda.
«Non sei il tipo di ragazza che farebbe quello che io vorrei fare con te, adesso.»
Chiusi gli occhi. «Di cosa parli, Ace?»
Le sue mani intorno ai miei fianchi divennero totalizzanti. «Dell'unica cosa che potrei darti in questo momento.»
«E tu cosa ne sai che non lo farei?», lo sfidai.
«Perchè io non te lo permetterei mai. Perchè non è quello che vorrei tu facessi, Scarlett.»
«Nemmeno se lo facessi con te?»
«È qui il paradosso.»
Confusa dalle sue parole, lo guardai, mentre un'onda mi faceva perdere il contatto con il fondale. Mi strinsi a lui, le braccia intorno al suo collo.
«Tu non sai cosa voglio da te, Ace.»
«Di sicuro non ti accontenti di quello che potrei darti.»
«Sarebbe?»
«Un po' di svago, una distrazione. Ti piace l'idea?»
Posai guancia sul suo petto umido e caldo avvolto dalla camicia fradicia. Profumava così tanto.
«No, Ace. Non voglio affezionarmi a te e poi non vederti mai più», confessai sottovoce.
Lui non parlava, perciò sollevai il capo e vidi che mi guardava con due occhi languidi.
«Non voglio che tu sia l'ennesima persona che se ne va dalla mia vita», sussurrai.
Sentii le sue dita carezzarmi lo zigomo. «È proprio di questo che parlo, Scarlett. Non te lo meriti.»
«E tu non hai questa paura per te stesso?»
«Di solito, quando ho una cosa, ne voglio un'altra...»
«Quindi ora vorresti stare con un'altra ragazza?»
«No. Ora ti voglio così tanto che non desidero altro.»
In quel momento mi circondò la vita e mi strinse a sè, le labbra soffiarono sulla mia mandibola.
Ci stavamo per baciare quando schiamazzi e schizzi improvvisi ci colsero di sorpresa.
Ace sbuffò perchè non eravamo più soli, altri ragazzi si buttarono in acqua insieme a noi.
«Hai freddo?» mi chiese nel sentirmi tremante tra le sue braccia grandi.
«Un po'» Mi avvicinai al suo orecchio «Voglio tornare a casa», sussurrai.
«Ai suoi ordini, signorina.»
Sorrisi, poi mi prese per mano e uscimmo dall'acqua.
«Ace, dove vai?»
Nel buio udimmo la voce di Jet.
«Non ci molli qui, vero?» Stavolta fu Brick a parlare.
«Io torno adesso», tagliò corto Ace.
«Hai aspettato un mese, non puoi aspettare un'altra mezz'ora?» lo prese in giro l'amico.
«Torni a piedi, Jet.»
«Okay okay!»
I ragazzi ci raggiunsero e tornarono con noi, mentre Amber, Cinnamon e Mauve rientrarono con la macchina di Jade.
Quando arrivammo a casa, gli altri erano tutti affamati e vollero preparare qualcosa da mangiare.
«Controllo non mi diano fuoco alla cucina», disse Ace, poi si indicò la camicia fradicia. «E devo cambiarmi, okay?»
Sembrava che il nostro momento fosse sfumato. Ma era stato davvero il nostro momento?
Gli attimi con Ace esistevano, così come le sue parole, i suoi sguardi, ma... l'interpretazione di essi? Ero forse io a esagerare?
«Smettila di stare lì impalata!» mi punzecchiò Cinnamon quando mi vide in piedi, davanti alla piscina. «Un bel ragazzo ti aveva invitata a uscire e guardati ora.»
L'alcol scorreva prepotente nelle mie vene, non mi era mai capitato che con due sorsi di birra reagissi così, eppure non riuscii a contenermi.
«Sentite, io non so che cosa vi ho fatto. Perchè mi odiate così tanto?»
«Nessuno ti odia» intervenne Honey.
Cinnamon mi guardò confusa. «Ma che dici? Scarlett, noi scherziamo, davvero.»
«Ma...»
«Vieni», dissero invitandomi in piscina con loro.
Diffidente, le fissai.
«Dove sono le tue amiche? Puoi aspettarle qui con noi, se vuoi.»
Dove sono le mie amiche? Mauve era di sicuro con Brick, mentre Amber...
La cercai con lo sguardo e la intravidi nel salotto. Giocava con Jade alla playstation.
«Si divertono e tu sei l'unica a non farlo», sottolineò Cinnamon quando mi vide entrare in acqua.
«E quindi?»
Mi proposero degli shottini di liquido trasparente ben allineati sul bordo piscina.
Negai con il capo. «No, grazie. Quella birra era già forte.»
«Hai mai giocato a "non ho mai?" chiese Honey.
«Devi bere se dico qualcosa che io non ho mai fatto, ma tu sì.»
Ero già pronta a fuggire da lì, ma Cinnamon sapeva come catturare la mia attenzione.
«Non sono mai stata a letto con Ace», esordì.
Honey si strinse nelle spalle e non bevve.
«Nessuna delle due?», chiesi senza filtri.
«No e nemmeno Sienna potrebbe bere», bofonchiò Cinnamon.
«Non ho mai dormito con Ace...», proseguì Honey.
«Sbaglio o sta diventando a tema, questo gioco?» Poi Cinnamon mi guardò. «Tu non bevi, Scarlett?»
Ingurgitai il primo shottino. Forse fu l'adrenalina data da quelle scoperte a spingermi a continuare il gioco, ma senza rendermene conto, dopo poco ero completamente andata. E il mio cervello andò in tilt quando vidi Ace uscire di casa e avvicinarsi con solo i pantaloncini bianchi del costume addosso.
«O mio Dio...» biascicai.
«Cosa?» ridacchiò Honey.
«Sta guardando me, proprio me.»
Le ragazze continuavano a sghignazzare. «È ubriachissima.»
«Non vi capita mai di pensare di essere così fortunate da immaginarvi tutto?»
«Fortunata di cosa? Ti ha messo un bambino dentro e l'anello al dito?»
Cinnamon mi prese in giro. O forse Honey. E quella strega di Sienna dov'era?
«Chi ti ha messo l'anello al dito?» udii voce maschile di fianco a me.
Poi sentii un braccio circondarmi le spalle. Un tizio sconosciuto mi stava toccando?
Mi spostai immediatamente e mi misi a sedere sul bordo della piscina.
Ace però l'aveva visto e ci tenne gli occhi addosso per tutto il tempo.
«Vuoi bere?»
«No» risposi al ragazzo. Però avevo la gola secca. «Cioè solo analcolico.»
Mi versò un po' di succo d'arancia. «Ne vuoi ancora piccola?»
«Come l'hai chiamata?»
O no.
«Calmiamoci, Ace. Respira. Facciamo un po' di meditazione»
Brick si gettò addosso ad Ace per fermarlo.
«Come cazzo l'hai chiamata?»
Mi girava la testa, ero intossicata, sì, ma la violenza la fiutavo lontano un miglio. Ace stava per mettergli le mani addosso, glielo lessi negli occhi. E nè Brick, nè Jet sarebbero riusciti a fermarlo.
Mi venne voglia di rannicchiarmi in un angolo del giardino, ma sconfissi quell'istinto e mi alzai in piedi.
«Ace, per favore.»
Tremavo come una foglia e non erano solo i capelli bagnati lungo la mia schiena a rendermi in quello stato.
«Te lo chiedo per favore, non farlo», ripetei.
Ace mi guardò con occhi vuoti, poi si scrollò di dosso le braccia dei suoi amici e si allontanò.
«Sei troppo nervoso, Marchesi», gli urlò il tipo, mentre io entravo in casa.
«Ace!»
Lo inseguii sulle scale, ma era buio e facevo fatica a stargli dietro. Fu un miracolo che non inciampai.
O almeno, ciò non accadde finchè non calpestai l'ultimo gradino.
Oscillai in avanti, quindi Ace mi afferrò con uno scatto di riflessi prima che cascassi con la faccia a terra. Solo allora mi accorsi che eravamo arrivati in un'ampia terrazza che dava sul mare.
«Perchè sembra che un attimo prima non puoi fare a meno di me, poi ti do fastidio, poi diventi geloso e...»
Mi spinse contro il muro, e non fu affatto delicato. Mi sfuggì un gemito quando la sua mano si strinse attorno alla mia gola. Con la lingua mi separò le labbra e mi lacerò la bocca, obbligandomi ad accogliere il suo bacio intenso. Mi sentivo devastata ogni volta che mi baciava in quel modo. Il ritmo incalzate della sua lingua dura mi riempì la bocca, così tanto da impedirmi di muovere la mia.
Reclinai la testa e presi fiato. «Ace, che vorresti fare...?»
«Scopare.»
Ansimò sulla mia guancia e io sentii la mia pelle prendere fuoco.
«Non...»
...Dici sul serio.
Eppure non sembrava più un gioco quello tra noi, perchè i suoi occhi mi inchiodarono con un'occhiata affilata e il suo corpo caldo contro il mio iniziava a darmi le vertigini. Sentii il suo petto nudo e ansante sotto le mani, mentre mi circondava con le braccia, tenendomi salda contro il muro.
«Sempre vago...», commentai impacciata, tentando di non soccombere a quella tensione.
La sua bocca ricurva ebbe uno spasmo, fu un ghigno impercettibile.
«Hai ragione. Lasciami essere più esplicito.»
Sfiorò le mie labbra con l'indice.
«Prima vorrei averti stretta qui intorno.»
Avvicinò due dita alla mia bocca e me le fece ingoiare.
Non vidi nulla, nemmeno respirai quando le ritrasse e m'infilò la mano nelle mutandine del costume. Superò la barriera del cotone e lo spinse a lato, facendomi sentire tutto il calore dei suoi polpastrelli bagnati che mi carezzavano dolcemente.
Chiusi gli occhi, perchè le sue parole non furono altrettanto delicate.
«Scoparti. Proprio qui. Finché non ne potrai più di me.»
Sentii le sue dita arricciarsi appena, cercando la mia fessura.
Sapevo che era l'alcol a parlare, ma Ace non era in grado di contenersi, e nemmeno io.
«Ace, non... io non so come dirti di no.»
«Fammi sentire quella parolina», sussurrò nel mio orecchio. La sua voce pericolosa mi diede i brividi.
«Non ti dirò di smetterla.»
«E cosa mi dirai?»
«Fallo», lo pregai inebriata, andando incontro alla sua mano.
«No.»
«Hai paura?»
«Di sentire quanto sei stretta?»
Annuii, incapace di parlare.
Ma prima di applicare anche solo la minima pressione, Ace si fermò. Si fermava sempre.
«Visto che non sai dirmi di no, ci penso io a dire no per entrambi.»
Ritrasse la mano dal mio costume, perciò lo studiai dal basso. «Hai paura di farmi male?»
«Lo sento che non è il momento giusto per te.»
Cosa voleva dire? Forse parlava di tutto ciò che era successo? Dopo il pugno a Maize, l'episodio con il ragazzo francese, la scena in piscina e Cedar... Forse perchè avevamo bevuto?
Ma al mio corpo non importava nulla, e nemmeno al suo, premuto contro il mio, così duro da farmi male allo stomaco. Era diventato un tormento inevitabile, quasi necessario.
«E allora perchè fai così...» Mi abbandonai a un lamento infantile.
Tutta quella tensione non mi dava tregua. Non riuscii più a respirare, quindi reclinai il capo e portai la nuca all'indietro, contro il muro, forse per ritrovare fiato. Ma il suo profumo mi soffocava, impedendomi di ragionare.
«Stiamo solo parlando.»
Quella però frase mi pizzicò le vene, incendiandole.
«No, non è vero, Ace. Dici sempre così, come dici sempre che siamo amici, ma lo sai che non è vero!»
Maledetto alcol, non riuscivo a tenere a freno la lingua.
«Invece lo siamo», insistette con voce fredda.
«No.»
«Sì, Scarlett.»
«No, hai appena detto...»
Mi sentivo confusa. Tremendamente confusa.
«Cosa? Cos'ho detto?»
Cosa aveva detto?
«Io... non lo so. Hai detto che vorresti... Hai... Poco fa...»
«Sì, l'ho detto. Ma tu davvero vorresti farlo per la prima volta con qualcuno con cui non ci stai nemmeno insieme?»
«Voglio che sia con te.»
Mi fissò per qualche istante, lo vidi abbassare le sopracciglia.
«Scarlett?»
«Hai capito bene. Voglio te. Ora.»
Mi mostrai risoluta e lui incredulo.
«Ora, vuoi...» Ace boccheggiò. «O cazzo.»
Indietreggiò lasciandomi un po' di spazio.
«Non adesso, non così», sembrò dire tra sè e sè.
Forse lui non aveva tutti i torti, ma ero un po' stufa di tutti quei giochetti, delle parole ambigue, del suo tira e molla.
«Hai ragione, che idea stupida. Meglio farlo con qualcun altro.»
Era una provocazione, ma quando mi voltai, Ace mi afferrò dal braccio riportandomi sotto di lui.
«Ah, davvero?»
MI guardava, mentre mi teneva stretta al suo petto.
«Magari qualcuno che non è così...»
Lo sfidai con le labbra sulle sue.
«Così come, mhm?»
«Indeciso.»
«Te lo farei vedere quanto sono indeciso.»
Le sue mani dure si appropriarono dei miei fianchi e io mi sentii così bene che sperai di non star sognando.
«E poi, se non sbaglio, ti ho chiesto di aiutarmi a levarmi questa cosa dalla testa, Scarlett... ma tu non lo fai. Non mi stai aiutando affatto.»
«E cosa starei facendo?»
«Stai giocando la mia ossessione.»
Gemetti perchè mi strinse a sè e il suo torace possente mi schiacciò i seni compressi nel bikini ancora zuppo.
«Abbiamo bevuto troppo.» Mi guardò con due occhi languidi che mi fecero sciogliere. «E io finirei per dire cose... di cui domani potrei pentirmi.»
Sorrisi soddisfatta. «Ne approfitto allora.»
Ace si morse il labbro e chiuse gli occhi.
Stavamo contro quel muro da non so quanto tempo. Avevo perso la cognizione.
«Vuoi restare qui ancora per tanto?» lo presi in giro.
«No.»
Mi guardai intorno. «Dove possiamo andare?»
«Be' possiamo...» Lo sentii risucchiare un respiro tra le labbra disegnate.
«Bere ancora?» proposi sapendo di farlo innervosire.
«No, è meglio se tu vai in camera mia.»
«Mi lasci andare da sola?»
«Scarlett, non siamo lucidi.»
«Andiamo di sotto in piscina?»
«No, ti ho detto di... Ti ho detto di andare in camera mia.»
«Vieni con me, Ace.»
«No ti ho detto», mugugnò accaldato, contro la mia guancia
«Cosa può accadere di così grave...», sogghignai.
«Ti sfondo l'imene. Ti piace l'idea?»
«Ace.»
«Cristo, l'ho detto a voce alta?»
Annuii, poi le sue labbra scivolarono lascivamente sulle mie e la sua lingua cadde come un incantesimo nella mia bocca. Accolsi quel bacio a fatica, sentivo i muscoli del viso tesi e un formicolio mi attraversava le guance, segno che tutto quell'alcol mi aveva intossicata e mi veniva da ridere senza un motivo.
«Vorrei davvero sapere cosa c'è li dentro», dissi sfiorandogli la tempia con il pollice.
«No, non vuoi.»
«Okay, Ace... facciamo questo gioco.»
Il suo sguardo si fece curioso sotto ciglia lunghe.
«Guardami e dimmi cosa ti passa per la mente.»
Mi fissava a labbra strette, ma non parlava.
«Ah, non vale pensarci! Se facciamo questo gioco è solo perchè tu di solito pensi troppo e...»
«Sei bella», m'interruppe.
Il cuore mi scoppiò nel petto, ma dovetti far finta di nulla.
«E poi?» chiesi tentando di nascondere la reazione piacevole che mi causava la sua esternazione.
«Dai, non farmelo dire» supplicò nel mio orecchio, facendomi sentire divinamente.
«Dopo tutto quello che hai detto finora...»
Ace allora mi carezzò labbro inferiore con il pollice.
«Saresti ancora più bella con il mio DNA addosso. Ci hai mai pensato?»
Scoppiai a ridere. «Sei una tale red flag...»
Lui però continuava a baciarmi il collo. Risalì con la mano sul mio seno stretto nella coppa del bikini ancora umido. Faceva caldo e Ace sembrava incapace di respirare.
«Dammi un attimo», ansimò prima di girarsi verso balconata.
Non riuscii a controllarmi, mi portai una mano alla bocca per nascondere un sorrisetto divertito.
«Non mi è mai successo», disse con un filo di voce.
«Questa forse è la cosa più assurda che hai detto stasera», lo presi in giro.
«Non mi capita mai di perdere la testa in questo modo», proseguì.
È ubriaco, Scarlett. Non dice sul serio.
Ace però non mi assecondava e non sorrideva, era serio. «Che significa?», gli chiesi quindi.
Si voltò e mi inchiodò con i suoi occhi scuri.
«Che ti voglio e farò qualsiasi cosa pur di averti. Quindi inizia a mettertelo in testa.»
«Ace, cosa dovrei...»
Il mio sussurro indeciso lo invitò a tornare su di me. «Me lo lascerai fare?»
E il suo tono di voce si fece così vulnerabile, che mi scaldò lo stomaco.
«Dimmi che sarò il primo a farlo.»
«Perché non lo fai e senti tu stesso?»
«Non sei...»
«Lo sono. Sono pronta», soffiai contro il suo collo affusolato.
«Non così. Non lo ricorderesti nemmeno domani.»
«Cosa dovrei ricordare?»
«Voglio che la ricordi bene la sensazione di singolo centimetro di me, dentro di te.»
«Non lo so...» Lo stuzzicai.
«Non troverai di meglio.»
«Non ho nemmeno mai provato, quindi finchè non scarto il regalo, vedo solo la confezione»
«E come ti sembra...»
La cosa piú bella che abbia mai visto... E non parlo solo dei tuoi occhi, delle tue labbra ma la tua voce, il modo in cui mi guardi e ...
Oh no... Lui parlava di sesso e io ero persa, completamente.
«Non hai risposto. A cosa pensi, Scarlett? Non vale pensarci troppo», ricalcò le mie parole.
«Tu sei l'unico momento in cui non mi sento in pericolo.»
Fu repentino il suo cambiò d'espressione. Divenne serio e lo fece così rapidamente, che mi spaventai.
«Ho fatto qualcosa? Ace, ho detto....»
«No.»
Lo vidi eludere il mio sguardo, come se qualcosa lo avesse colpito, ma non volle ammetterlo.
«Ace , non volevo rovinare... scusa...»
«È tutto okay, vuoi mangiare qualcosa?»
Si avvicinò a quella che aveva tutta l'aria di essere una cucina. Notai un piano cottura a gas e un lavello, sotto un pergolato di legno che si estendeva in un angolo della terrazza. Ace aprì il freezer, poi mi guardò.
«Il gelato ti va?»
«Non ho fame.»
«Quello che hai detto... Lo pensi davvero?» chiese tornando da me con un cono tra le mani.
«Ace, non volevo appesantire la conversazione con quella frase, mi è uscita naturale....»
«Rispondi», m'interruppe con un'occhiata decisa.
«Sì, lo penso davvero.»
Lo seguii con lo sguardo quando si appoggiò con il fianco alla balconata di pietra e scartò il gelato.
«È solo come mi sento. Non voglio addossarti responsabilità o cose di questo tipo...» provai a spingere.
«Perchè? Pensi che io non sia in grado di reggerle?»
«No, io...»
Ace avvicinò il cono alle mie labbra. Strofinò la vaniglia leggermente disciolta sul mio labbro inferiore. Lo macchiò, lo guardò, infine lo leccò.
«Ti piace?»
«Sì», mormorai assaporandomi il labbro dal gusto zuccherino.
Poi non mi lasciò tregua, affondò i pollici nelle mie guance, obbligandomi a schiudere la bocca per lui. Mi succhiò la lingua che, fredda, divenne bollente come la sua.
«Ne vuoi ancora?»
Annuii, quindi mi afferrò dai fianchi e mi sollevò, facendomi sedere sul bordo della balconata.
Tornò a leccare il cono, ma la vaniglia restò tra le sue labbra solo per un breve momento, perchè schiacciò il gelato sul triangolo del mio bikini.
Sobbalzai dal freddo e lui mantenne lo sguardo nel mio, mentre scendeva sul mio seno. Con la lingua spostò il costume, poi tirò il capezzolo tra i denti, facendomi inarcare la schiena. Leccò l'aureola levando tutto il gelato e io ansimai al contatto caldo della sua lingua.
Nel buio non vidi cosa fece Ace, ma sbarrai gli occhi quando spostò mie le mutande a lato e sentii la vaniglia gelida colarmi in mezzo alle cosce. Il freddo mi pervase e mi colpì sul mio punto più sensibile, come una scossa nella pancia che mi levò il fiato.
«Shhhh», mugolò nel mio orecchio «Resisti.»
Non riuscii a resistere, mi lasciai sfuggire un gemito prolungato, provocandogli un sorrisetto compiaciuto.
«Posso?», domandò.
Lo sai che puoi
Feci cenno di sì e lo guardai scendere sempre più in basso, stravolta tra le mie gambe,
Leccò il mio interno coscia e il calore della lingua mi mandò in estasi.
La ringhiera in pietra era completamente avvolta da cascate di fiori colorati che impedivano la visuale, io però sapevo che sotto di noi, nel giardino, era pieno di ragazzi. Chiusi gli occhi. Sebbene mi sentissi sulle nuvole, gli schiamazzi provenienti dal giardino mi fecero subito irrigidire.
«Ace...»
«Non ci vede nessuno.»
Avvicinò il respiro tiepido alla mia pelle umida, poi risucchiò il mio clitoride tra le labbra turgide e io dovetti addentarmi il labbro inferiore per non urlare.
Strinsi la ringhiera di pietra sotto le dita, ma Ace si accorse immediatamente del mio attimo di esitazione.
«Non cadi, te l'ho detto.»
Mi allargò la carne con i pollici e un mugolio di approvazione lasciò le sue labbra lussuriose quando mi toccò la fessura con la punta della lingua.
Feci una piccola resistenza, ero tesa.
«Di più, Scarlett.»
Presi un lungo respiro e aprii le cosce. Ace vi spinse la lingua dentro, con prepotenza. E io cedetti, lentamente, mentre mi disintegrava senza pietà. Poi un morsetto mi fece sobbalzare.
Lo guardai con occhi sgranati.
«Sarai anche perfetta da mordere...»
Mi mancò il respiro.
«...e morbida da baciare, ma...»
Vi strofinò le labbra calde sopra, prima di affondarci nuovamente la lingua dentro.
«Cazzo, quanto sei stretta.»
Sembrò sofferente nel dirlo, quindi fu naturale chiedergli: «Ti piace?»
«Proprio come a te piace fottermi con gli occhi mentre lo faccio. Sì.»
Ace mi circondò la vita con un braccio e passò la lingua sul mio clitoride, la fece vorticare dentro di me e io mi aggrappai alla sua nuca con entrambi le mani. Sentii le gambe irrigidirsi intorno alle sue guance, c'ero quasi.
Ma d'un tratto udimmo dei passi e Ace dovette reggermi veramente questa volta, perché stavo per cadere di sotto.
Diedi un colpo di schiena e uno al braccio di Ace. Il cono cadde giù.
«Ma sei stupida!», urlò qualcuno da sotto.
La riconobbi quella voce. Era Honey e il gelatosi era spaccicato sui suoi preziosissimi capelli tint.
In quel momento ci voltammo perchè il caos riempì la terrazza e io sospirai nel vedere tutti quei ragazzi.
«Che c'è?» mi chiese Ace.
«Non mi va di stare nel casino, Ace.»
«Facciamo così: tu inizia ad andare, io ti raggiungo.»
Non capii come mai prendesse tempo, lo vidi voltarsi verso la balconata e dare le spalle a Brick che corse da lui non appena lo vide.
«Ace!»
«Eh, Brick. Cosa c'è ...»
«Sei impegnato a guardare l'orizzonte? Un giorno tutto questo sarà tuo, Simba?»
Brick mi fece ridere come al solito, quindi lasciai i ragazzi e mi diressi in casa. Non passai a recuperare le mie cose, andai dritta in camera sua. Quando aprii la porta, notai che il letto era fatto ed era tutto in ordine. Andai nel bagno in camera, mi levai il costume e mi feci una doccia fredda. Diedi una rapida passata con il phon ai capelli, mi lavai i denti e, quando uscii dal bagno con il corpo avvolto da un asciugamano, mi bloccai. Ace stava entrando in stanza proprio in quel momento, i suoi occhi che si posarono immediatamente su di me.
«Ti lascio il letto», annunciò senza inflessioni.
Resta.
«Ah okay», bofonchiai distratta. «Hai qualcosa da prestarmi? Ho lasciato lo zaino nella stanza delle ragazze»
Lo sguardo restò fisso sul mio corpo, che l'asciugamano copriva a malapena, visto che probabilmente ne avevo preso uno di quelli per le mani.
«Ti diverti a torturarmi, vero?», domandò avvicinandosi.
«Ma no, è solo...»
«Tieni» disse allungandomi una maglietta delle sue.
Ci voltammo all'unisono, e per poco non mi scivolò l'asciugamano di dosso. Qualcuno era entrato senza preavviso, e il rumore improvviso di un vaso che cadeva a terra mi fece sobbalzare.
Erano un ragazzo e una ragazza. «Possiamo?», biascicò lei. Il ragazzo mi mise gli occhi addosso, forse un po' troppo per i gusti di Ace.
«Uscite», ordinò risoluto.
Ma il tizio, invece che indietreggiare, mosse due passi verso il letto. Sembrava ubriaco, ma ad Ace non importò perchè gli andò incontro.
Lo spinse fuori dalla stanza, poi chiuse la porta per impedirmi di guardare oltre.
M'infilai la maglietta il più rapidamente possibile e corsi ad aprire la porta.
Nel corridoio notai un po' di trambusto. Ace aveva spintonato il ragazzo, ma lo aveva fatto con troppa forza e quello era caduto di schiena.
«Non respira!» si allarmò la ragazza.
«Ace, sei impazzito? Paralizzi una persona in quel modo!» strepitò Honey.
«Che succede?» chiesero i curiosi che passavano da lì.
«Digli qualcosa!» Brick si rivolse a Jet con voce angosciata.
«Cosa devo dire?» fece quest'ultimo.
«Che è una reazione spropositata? Come quella di prima in piscina, quella di ieri con Maize?» Poi Brick si girò a guardare Ace. «Non puoi essere geloso di Scarlett!»
«Non sono geloso.»
«Lo stressi soltanto, Brick» borbottò Jet girandosi una sigaretta. «E poi questo gli è entrato in camera senza permesso, io gliel'avrei data più forte la spinta.»
«Possiamo evitare di fare troppi casini? E tu hai le qualifiche alle nazionali, Ace. Cosa cazzo fai?»
«Parli tu, Brick che sei più fatto di me?» ridacchiò Jet.
Brick però l'aveva presa sul serio e non rideva affatto.
«Sì ma io non ho un futuro da rovinarmi», concluse Brick con tono amaro.
I ragazzi battibeccavamo, ma l'unica ad accorgersi della mia presenza fu Cinnamon.
«Che te ne pare del tuo ingresso nel paese delle meraviglie?»
Non volli restare lì a farmi prendere in giro, perciò tornai in stanza e Ace mi seguì.
«Di cosa parlava Brick?»
Ace non fiatò.
«Sei... sicuro di stare bene?» domandai ancora intossicata, quando lo vidi sedersi sul letto.
Aveva i nervi a fior di pelle e d'un tratto capii cosa intendeva Brick.
Non erano Maize o i ragazzi di stasera. Le reazioni di Ace erano spropositate perché era sotto pressione. Non era un giustificazione, soltanto un dato di fatto.
«Di cosa parlava Brick?» ripetei, stavolta addolcendo il tono, quando mi sedetti di fianco a lui.
«Delle gare nazionali. Dovrei cominciare la preparazione in autunno»
«La pressione ti sta distruggendo, Ace.»
«La pressione mi serve per fare meglio.»
Chinai il capo e osservai le sue mani strette a pugno sulle ginocchia.
«Ace, se un giorno dovessi fare così con un mio amico, io non te lo perdonerei mai.»
«Non hai da temere. Se Cedar o... chiunque altro, si comporterà bene con te, io non avrò problemi con nessuno.»
Ci guardammo. «Ma se qualcuno prova anche solo a pensare di farti del male, Scarlett...»
In quel momento capii. Forse avrei dovuto seppellirlo ancora di più il mio dolore. Ace non era sotto il mio controllo.
Gli sfiorai la schiena nuda e accaldata con la punta delle dita. «Se posso fare qualcosa per te, qualsiasi cosa...»
Lui girò il capo.
«L'unica cosa che puoi fare è andartene, Scarlett.»
Ci avevamo provato ad andare piano, in tutti i modi, ma quella cosa ci stava esplodendo tra le mani. E a me importava di lui.
«Ma che dici...»
«Se non ti piace come sono, se non ti piace tutto questo... è forse arrivato il momento di fermarsi. Prima che cominci a provare qualcosa per me», disse, gli occhi bassi.
Troppo tardi.
Rabbrividii a quel pensiero.
«Ci provo a fare tutto perfetto, ma sembra che non sia mai abbastanza. Qualcosa sfugge sempre al mio controllo. E avrei voluto andarci piano con te».
Ace mi carezzò il viso con la mano ancora ferita.
«Ma non ci riesco perchè il mio cervello vuole fottermi continuamente, Scarlett. Esattamente lo come vuoi tu.»
Sentii le sue labbra soffici scaldarmi la pelle. Mi baciò la spalla.
«Perchè Brick si è arrabbiato così tanto?»
«Non sono perfetto come pensavi, te l'ho detto. Tento di restare pulito per le gare, ma delle volte... mando tutto a farsi fottere.»
«Perchè?»
«Che significa perchè?»
«Voglio dire... non sei il tipo di persona che perde di vista i propri obiettivi per delle cavolate. Se commetti degli sbagli, forse è perché in fondo volevi farli.»
Lui mi guardò, sorpreso del mio tono fermo, come se avessi appena c'entrato il punto.
«Mi stai dicendo che lo faccio di proposito?»
Ho come l'impressione che la tua vita sia una proiezione architettata da tua madre, ogni sua idea sembra aver plasmato le tue scelte. La pressione che ti mette addosso non ti fa bene.
Ma non lo dissi, non volevo risultare scortese o peggio, invadente.
«Vuoi dirmi che ti capita e basta, Ace?»
Si alzò in piedi. «Quindi non sono come la piccola Scarlett si aspettava...»
«Okay, non me lo aspettavo, ma almeno so che sei umano. Che sei reale e non frutto della mia fantasia.»
Anche tu hai problemi e insicurezze come tutti noi mortali.
Ace non sembrò volermi stare a sentire, si avvicinò alla porta.
«Ace, non andartene.»
Si fermò, stupito dalla mia richiesta.
«Resta qui.»
«Ma come? Ti ho appena detto...»
«E io ti ho detto... resta.»
Il suo sguardo vuoto non mi lasciò scampo. Ero sicura che stesse per andarsene, perciò decisi di rannicchiarmi sotto le coperte. Ma con mia sorpresa, Ace andò ad aprire la porta del bagno.
«Perchè il mio bagno è pieno di cose tue?»
«Ehm...» Lo guardai intimorita, con il lenzuolo a coprirmi il naso.
Lui però scrollò il capo ridendo, entrò in bagno e dopo poco sentii lo scroscio della doccia.
Avevo addosso la sua maglietta, forse era stato il suo profumo, ma mettermi nel suo letto mi fece addormentare all'istante.
«Posso?»
Nel sonno udii una voce.
«È il tuo letto, Ace. Non mi devi chiedere il permesso», sospirai senza aprire gli occhi.
Si distese dietro di me e mi circondò con un braccio, facendomi sentire al sicuro.
«Perché non parli con tua madre?» mormorai.
«Non ora, Scarlett.»
«Ace...»
«Dimmi.»
«Posso farti una domanda?»
«Certo», sussurrò tra i miei capelli sciolti.
«Perche il mondo non è un posto sicuro?»
«Cosa ti fa paura?»
Non glielo dissi, ma ogni volta che chiudevo gli occhi, ne avevo tanta.
Tre anni prima.
He hit me and it felt like a kiss
Il giardino dell'oratorio formicolava di ragazzi in occasione della partita di calcio.
«Chi è quel tipo?», domandò la signora Sanders indicandomi uno dei ragazzi in campo.
«Di chi parli?», le chiesi.
«La tua amica Silver ha un fidanzato?»
«Bè sì»
«Avete quattordici anni! Che Dio ci aiuti!», esclamò la donna.
Eh, ma mica è il mio.
«Scar sei piccolina, lascia perdere. Vedi, Rose?»
Con fierezza mi indicò sua figlia che ci veniva incontro e che aveva sentito tutto.
«Cosa mamma? Che ho quasi vent'anni e non ho mai dato il mio primo bacio?»
«E quindi? Non è assolutamente motivo per vergognarti», scandì la madre.
«Stai aspettando quello giusto, è una cosa bellissima, Rose», le dissi mentre lei si sedeva sulla panchina, di fianco a me.
«È imbarazzante, Scar, soprattutto se tua madre se ne vanta in quel modo», sbottò Rose sottovoce, rivolgendomi una smorfia buffa.
Scoppiamo a ridere.
«Cosa c'è di divertente?»
Non sollevai lo sguardo perchè sentii i suoi occhi blu fissi su di me. Rose salutò Ivory poi si misero a parlare del campeggio. L'estate stava per finire e quell'evento era in programma, in vista della chiusura della stagione estiva.
«Tu non vieni, mamma?»
«In campeggio? No», fece la donna con tono sbrigativo.
Rose mi fece cenno di seguirla, così andammo ai tavolini allestiti fuori dalla chiesa, con la scusa di preparare le buste regalo per i bambini dell'oratorio.
«Vieni aiutami, dobbiamo mettere le caramelle qui e i portachiavi in questi.»
Cominciai ad aiutarla, ma ben presto m'insospettii perchè Rose era troppo silenziosa.
«Tutto okay?», le chiesi.
«Ho il sospetto che quei due si stiano per lasciare.»
Mi voltai di scatto. Quella notizia fu un fulmine a ciel sereno.
Sollievo. Ecco cosa provai. Dello stupido sollievo. Così mi sarei sentita meno in colpa per i miei pensieri... Ma in realtà, non volevo che i genitori di Rose si separassero, perché non volevo assolutamente vederla soffrire.
«Mio padre ci è già passato», aggiunse poi.
«Era già sposato?»
«No, ma si è già separato dalla donna da cui ha avuto la prima figlia.»
«La vedi mai?»
«Chi, Candy? No.»
In quel momento ci zittimmo perchè Ivory passò alle nostre spalle.
«Brava.»
Lo vidi lasciare un bacio sulla testa a Rose. Poi si rivolse a me.
«Scarlett, stai mettendo troppe caramelle.»
«Oh, sì scusa»
«Ti piace, vero?», domandò Rose.
Arrossii così tanto che mi fece male la pancia.
«Chi?»
«Il ragazzo di quella tua amica.»
Tornai a respirare.
Ahh
«Ma no... che dici, Rose?»
«Scar, me l'ha detto la tua amica.»
«Come scusa? Te l'ha detto Silver?»
«Che gliel'ha detto lui.»
«Ma se io non ho mai parlato con quello...»
Rose fu richiamata da sua madre, fortuna che arrivarono Mauve, Amber e Silver ad aiutarmi.
Chiacchierammo del più e del meno, finchè l'argomento principale non divenne Silver e il suo fidanzatino. Mai nessuna di noi aveva avuto un ragazzo, quindi per noi era tutto nuovo.
Vidi Mauve e Silver parlottare tra loro.
«Che c'è?» domandò Amber incuriosita dalle loro risatine.
«Niente, le stavo raccontando una cosa di ieri...»
«Cosa?»
«Non lo dico davanti a Scar, sennò si scandalizza.»
Lo disse Silver, prima di abbassarsi su Mauve e sussurrarle qualcos'altro all'orecchio.
«Ewww che schifo», rispose Mauve.
«Sì mi ha fatto un po' schifo. Poi lui dopo era tutto strano e non sapeva come fare. Che imbarazzo, non lo farò mai più.»
Silver si sedette a gambe incrociate sulla panchina poco distante e tirò fuori una sigaretta.
Volevo dirle che non poteva fumare nel cortile dell'oratorio con tutti quegli adulti nei paraggi, ma lei era troppo distratta a guardare in una direzione precisa.
«Quello sì che è un uomo che sa perfettamente come trattare una donna», annunciò atteggiandosi a gran conoscitrice del genere maschile.
E io avevo capito perfettamente dove stava guardando. E chi.
«Ma che dici?»
«Scommetto che con lui sarebbe tutta un'altra storia.»
«Sì okay, ma avrà quarantacinque anni» fece Amber con una smorfia riluttante.
«Ne ha trentanove.»
Si girarono tutte verso di me.
«Come scusa?»
«Ehm... ho solo detto che ha trentanove anni», ripetei.
«Tu lo sai bene, Scar...» mi prese in giro Mauve.
«No, lo vedo sempre in chiesa...»
Le mie amiche risero e così facendo mi alleggerirono il peso sul cuore. Mi sentii improvvisamente meno in colpa, dopotutto il commento lo avevano fatto loro. Forse non era così sbagliato? Non lo sapevo, desideravo che qualcuno me lo dicesse una volta per tutte.
Quando Amber e Mauve andarono a salutare Rose, mi sedetti sulla panchina accanto a Silver.
«Dicevi sul serio quando parlavi di lui?», azzardai.
«Di lui chi?»
Mi morsi il labbro. Silver capì quando si voltò e vide Ivory che ci stava guardando da lontano.
«Ma sei impazzita, Scar? Era una battuta. Un conto è fare apprezzamenti, viaggiare con la fantasia, mentre un conto è... Insomma, pure se fosse più giovane, ha una famiglia.»
«No, no, certo. Io sto solo chiedendo.»
Ma poi... a chi dovevo chiederlo? Me l'avevano insegnato cosa fosse giusto o sbagliato, eppure non ne riconoscevo i bordi di quei concetti così astratti.
«Perché lo chiedi a me? È lui l'esperto di morale... perchè non lo chiedi a lui?» mi prese in giro la mia amica.
Silver ci scherzava, ma io mi sarei davvero rivolta a lui per sapere cosa fosse giusto o sbagliato.
Mi voltai anch'io e vidi che Ivory parlava con alcuni ragazzi, ma ogni tanto lanciava occhiate nella nostra direzione.
«Da come ti guarda, ti direbbe che è giusto.»
«Cosa?»
«Sto scherzando! Scarlett, ma cos'hai oggi?! Prendi tutto sul serio! E poi che pensieri fai, non l'avrei mai detto da una ragazza come te.»
Scrollai il capo con le guance in fiamme.
«O forse vuoi solo sviare l'argomento principale», proseguì Silver.
«Che sarebbe?»
M'indicò il campetto da calcio in cui stava giocando il tizio di quarta con cui si vedeva.
«Che significa?»
«Jim ha detto che non possiamo metterci insieme perchè sa che ti ferirebbe.»
«Ma di cosa parli? So a malapena come si chiama. Me l'hai detto tu ora.»
«Non ti piaceva l'anno scorso?» fece lei.
«Bo, sì, non lo so. Ma non gli sono mai piaciuta.»
E poi tanto l'hai baciato lo stesso, in gita, anche se sapevi che mi piaceva.
«Se vuoi gli parlo...» propose nel vedermi pensierosa.
«Silver, per dirgli cosa? No!»
«Scusa, non pensavo ti piacesse così tanto. È difficile capirti, Scar. Sembra non ti piaccia mai nessuno. Da quando ti conosco non ti è mai piaciuto nessuno...»
La vidi sogghignare.
«A parte lui», sussurrò indicando qualcuno dall'altra parte del prato.
Sgranai gli occhi con le guance in fiamme.
«Sto scherzando!» Scoppiò a ridere. «Sei davvero strana oggi.»
La partita dei ragazzi finiì e Silver andò a salutare il suo ragazzo.
Io decisi di tornare ai pacchetti, mi nascosi dietro al tavolo più isolato, ma non fu abbastanza.
«Tutto bene?»
Annuii senza sollevare il capo.
«Chi era quel ragazzo?»
«Il ragazzo di Silver. Cioè lei lo vorrebbe che lo fosse, ma lui boh» Lasciai morire la frase con una scrollata di spalle.
«Sei gelosa?»
«Io non gli piaccio.»
Sentii Ivory sorridere alle mie spalle.
«Non sono come Silver. E Silver non è noiosa come me.»
«Sei una ragazza normale e alcuni trovano noiose le brave ragazze.»
Mi irrigidii perché sapevo che si era appena avvicinato. Percepii il suo corpo contro il mio quando si abbassò per raccogliere qualcosa dal tavolo.
«Hai dimenticato di aggiungerci la spilla in questo pacchetto.»
«Ah, sì»
Afferrai la spilla che mi stava porgendo, ma non mi accorsi che era sganciata, infatti mi punsi.
Dopo il dolore acuto, mi guardai la mano e vidi l'indice che aveva cominciato a sanguinare copiosamente.
«Santo cielo, Scarlett. Vieni.»
Ivory mi scortò in infermeria.
Io mi sedetti sul lettino in attesa che lui prendesse il materiale, ma ritrassi la mano l'attimo prima che provò a medicarmi con dell'acqua ossigenata.
«Perché fai così?»
Sollevai lo sguardo lentamente. Qualcosa mi scaldò il petto nel vederlo preoccuparsi per me e un nodo mi strinse la gola.
Mi veniva da piangere.
«Scusa», dissi offrendogli il dito. Lui fermò la fuoriuscita del sangue poi mi applicò un cerotto.
«Hai paura di me?»
Continuava a insinuarsi sotto la mia pelle.
Non sapevo come, ma non l'avevo chiesto io.
Eppure non smetteva e io mi sentivo confusa. Non risposi alla sua domanda, perciò lui si alzò in piedi.
Stava per andarsene e quella linea indefinita tra noi, il non sapere, era quasi peggio di avere risposte sbagliate. Avevo io bisogno di risposte, qualsiasi esse fossero.
Perciò lo feci. L'attimo prima che lui si voltasse gli afferrai la mano che ciondolava lungo il fianco.
Non volevo se ne andasse.
Non m'importò di sapere che sarei scoppiata a piangere da un momento all'altro.
«Scusa», mormorai quando mi accorsi di avergli macchiato di sangue il polsino bianco della camicia.
Lui però stava fissando con aria riluttante la mia mano aggrappata al suo dito. «Cosa stai facendo, Scarlett?»
Ecco la risposta.
Ero io. Mi ero davvero immaginata tutto.
Lo guardai, incapace di parlare, lui allora strattonò appena la mano, ritraendola.
«C'è la mia famiglia lì fuori», disse l'attimo prima di uscire dall' infermeria.
Non dirlo a Rose, ti prego.
L'ultimo dei miei desideri era partire per il campeggio, visto che ci sarebbe stato anche lui, ma avevo invitato le mie amiche apposta e quell'evento lo aspettavamo da tutta l'estate...
Così mi lasciai convincere e quando giungemmo a destinazione, mi promisi di evitarlo.
Ci riuscii per tutto il pomeriggio e avrei continuato a farlo, solo che ogni volta che guardavo Rose negli occhi, mi veniva un gran magone allo stomaco. Avevo il terrore che lui le dicesse qualcosa. Dovevo parlare con Ivory e assicurarmi che non ce l'avesse con me. La paura che fosse arrabbiato ebbe il sopravvento e quella sera finii per cercarlo.
«Mi dispiace per ieri», mormorai abbattuta, mentre camminavamo nel bosco. Lui rallentò il passo, così tanto che perdemmo il gruppo e restammo da soli.
«Spero solo tu non sia arrabbiato con me, non so cosa mi è saltato in mente. Non avrei dovuto.»
Ivory mi rivolse uno sguardò spazientito, però poi mi circondò la guancia con la mano, costringendomi a sollevare il mento per guardarlo negli occhi.
«Sono stufo dei tuoi giochetti. Sei una bambina. Smettila di fare così e io non sarò più arrabbiato con te.»
Girai il capo perchè le sue labbra erano troppo vicine e la cosa mi diede fastidio.
«Volevo solo chiederti scusa, tutto qui.»
«Tutto qui?» domandò.
«Sì.»
Per un attimo ebbi come l'impressione che fosse deluso dalla mia risposta, perché i suoi occhi si scurirono. La sua mano grande scivolò sul lato della mia gola e mi ritrovai a tossire quando la tolse, riportandola in tasca.
Vidi il suo petto gonfiarsi di un ampio respiro.
«Smettila o...»
Mi ghiacciai.
«...dovrò dirlo a Rose.»
No. Io pensavo mi perdonassi e poi mi abbracciassi.
E invece no, era solo un altro pugno nello stomaco. Rose non mi avrebbe rivolto la parola, mai più.
All'improvviso udii dei passi avvicinarsi a noi, scricchiolando sulla sterpaglia.
«Ah, sei qui! Tutto okay?»
Una ragazza mora con gli occhi chiari venne a richiamarlo. Era Lucy, una delle animatrici.
Ivory mi rivolse un'occhiata distratta.
«Sì. Scarlett si era persa. Le capita spesso»
Il pomeriggio seguente, al lago, mi sforzai in tutti i modi di stargli lontano e con mia sorpresa ci riuscii. Lui non mi rivolse parola nemmeno una volta, nè mi guardò. Lo vidi spesso con quella Lucy, era un po' più grande di noi e faceva parte delle animatrici che si occupavano di controllare i ragazzi dell'oratorio.
Dopo l'incidente della spilla, Ivory non mi parlò piu come prima. Era la prova che mi ero inventata tutto. E ci rimasi male perchè in realtà volevo solo che accettasse le mie scuse. Se non l'avesse fatto, avrebbe potuto raccontarlo a Rose. Avevo il terrore e vivevo con la paura costante.
Ormai avevo aspettative che non corrispondevano alla realtà, forse quell'uomo premuroso che si preoccupava di me non esisteva realmente. Ma ormai era tardi, la sua immagine, o meglio, la speranza, era rimasta impressa nella mia testa.
«Scar, non hai fatto pranzo e ora rifiuti le meringhe di mia madre? Sono le tue preferite!» si lamentò Amber indicandomi uno dei contenitori in metallo distribuiti sull'asciugamano.
Stavamo trascorrendo la giornata al lago, tutti si divertivano, ma io vivevo con l'angoscia e la testa occupata da pensieri troppo ingombranti.
Avevo lo stomaco chiuso, quindi rifiutai l'ennesima offerta di cibo e passai la giornata stesa sull'asciugamano con gli occhi chiusi e le cuffie nell'orecchio. Mi isolai dagli schiamazzi e andai lontano da tutti, con la mente, non so per quanto tempo.
Quando riaprii gli occhi mi accorsi che il sole stava per calare, aveva cominciato a fare freddo e la maggior parte dei ragazzi avevano lasciato il lago. Notai che in acqua c'era ancora Silver e qualche altra ragazza.
Recuperai l'asciugamano, poi mi avvicinai alla riva. «Silver, dobbiamo tornare!»
Ma Silver non mi diede retta. C'era pure il ragazzo che le piaceva insieme a lei, e io non esistevo più.
Due delle animatrici vennero a richiamarli, ma non dissero nulla a me, che mi stavo avvolgendo con l'asciugamano.
«Scarlett!»
Ivory raccolse il mio zaino.
«Si?»
«Si sta facendo buio, sbrigati.»
Camminai svelta di fianco a lui, che portò il mio zaino senza parlare.
«Lucy è nuova?»
«Di cosa parli?», sbuffò.
«Non lo so, sembrate molto amici»
Ivory fermò la camminata e io mossi un passo all'indietro, spaventata.
«Cos' hai visto?»
«Niente. Dicevo solo...»
«Senti, Scarlett... Ci ho riflettuto a lungo e sono arrivato alla conclusione che sarebbe meglio che tu non frequetassi più la mia chiesa.»
Restai senza parole.
Ma hai insisto tu...
«Perché mi stai punendo?»
«Non ci volevi nemmeno venire in chiesa. Non ascolti, sei sempre con la testa tra le nuvole.»
Deglutii, ferita.
«Non leggerai più i miei racconti?» domandai sottovoce.
«Non volevi nemmeno quello. O sbaglio?»
«Quindi lo sapevi che non volevo li leggessi, ma me li hai presi ugualmente senza chiedermi il permesso?»
Lo vidi sollevare un sopracciglio, sorpreso dalla mia flebile tenacia.
«Di che cosa stai parlando, Scarlett?»
Mi rispondeva sempre in quel modo, come se mi inventassi tutto. Magari non mi ero espressa bene, così provai a spiegarglielo.
«All'inizio, ti ricordi? Io non volevo che tu li leggessi. Ma tu hai voluto, allora...»
«Allora ti ho obbligata? Questo stai dicendo?»
Lo fissai confusa. «No, non ho...»
«Io volevo darti una mano con la scrittura. Darti dei consigli utili e ora mi stai dicendo... che ti avrei obbligata?»
Mi sentii terribilmente ingrata. E lui aveva ragione.
«Scarlett... io sto facendo di tutto per fare finta di niente.»
Il suo tono si addolcì e finalmente potei tornare a respirare.
«Sto facendo di tutto per evitare di parlarne con tua nonna.»
Con la nonna?
Mi sentii morire.
«Con Rose, con mia moglie...»
«Di cosa...»
«Lo sto facendo per te. Immagina cosa penserebbero.»
Il lato del collo mi mi pizzicò appena, me lo carezzai e lui se ne accorse.
«Cos'hai fatto al collo?»
Deglutii e sfiorandolo con la punta delle dita, notai un leggero graffio.
«Forse non te ne accorgi, ma stai esagerando e la cosa non mi piace affatto. Ho una famiglia, una comunità di persone che fanno affidamento su di me.»
«Scusa, non ti parlerò mai più se non vuoi.»
Azzardai, ma furono le lacrime a farmi parlare in quel modo. Sperai dicesse che andava tutto bene, che mi abbracciasse.
«Ecco grazie. Mi faresti un favore.»
Non mi aspettavo quella risposta. Mi ero appena distrutta con le mie stesse mani.
Avevo acceso il fuoco da sola e avevo cominciato a bruciare lentamente. L'avrei spento, sì, ma quelle ferite facevano male.
Così quella sera mi rannicchiai in tenda molto presto, ma non presi sonno. Feci finta di dormire, mentre le mie amiche si godevano la nottata tra chiacchiere e gossip. Non potevo parlare con nessuno del modo in cui mi sentivo, perché sapevo che sarei scoppiata a piangere. Ma quando verso mezzanotte tutti gli altri si addormentarono, non riuscii più a restare lì. Mi alzai e uscii nel bosco. Desiderai sparire.
Iniziai a camminare senza una meta. Più camminavo e più la sensazione di angoscia si affievoliva. L'aria era gelida e indossavo solo una maglietta.
Tra il sibilio delle cicale e i miei passi sulle foglie, udii dei rumori. Erano mormorii.
Mi avvicinai e intravidi delle sagome scure dietro un albero. Non sembravano essersi accorti di me, perchè continuarono.
Non riuscii a riconoscere quei rumori.
Era buio, e quando mi nascosi dietro a un tronco vidi di profilo Lucy, l'animatrice. Era insieme a qualcuno e di certo non stavano parlando, si baciavano.
Lei aveva Ia gonna alzata e la coscia avvolta intorno alla sagoma di un ragazzo. Notai i pantaloni leggermente abbassati. E quando sollevai lo sguardo...
No.
Il cuore smise di battere. Sentii un gelo improvviso nel ventre e la mia schiena attraversata dai brividi.
Non è vero, non è possibile.
Mi portai una mano al volto, schifata, poi mi stropicciai gli occhi, ma quando li riaprii, non era cambiato niente. Lui continuava, distruggendomi il cuore.
Sto sognando, non è possibile.
Ma non stavo sognando. Era tutto vero. E se dopo avessi pensato il contrario?
L'hai visto, non l'hai immaginato. Mi dissi. Ricordatelo. Ricordatelo. Ricordatelo.
Nello stesso tempo però, volevo cancellare quell'immagine dalla testa. Ma sarebbe stato impossibile. Una terribile ondata di nausea mi travolse e la mia vista si annebbiò completamente. Vagai tra gli alberi e con le mani tastavo i tronchi per evitare di sbattere. Oscillai come una foglia al vento finchè non mi ferii la mano e mi scappò un lamento.
«Cos'è stato?»
«C'è qualcuno, fammi controllare.»
A quel punto non avevo alternative: inizia a correre via da lì.
Lui però fu più veloce e mi afferrò dal braccio.
«Di nuovo, Scarlett?»
Mi spinse contro il tronco, causandomi un altro lamento, stavolta più sofferto.
E io non ebbi dubbi: avevo paura.
La sua voce era diversa e il modo in cui mi guardava...
Il terreno si aprì sotto di me, divenne ostile, affamato. Proprio come il suo sguardo. Ero terrorizzata, immobile. Volevo fuggire ma le mie gambe non rispondevano. E non era una paura generica, avevo paura di lui. Così tanta che l'istinto di sopravvivenza mi fece chiudere gli occhi.
«Ti prego no», lo supplicai.
«No, cosa?»
«Non voglio», mormorai con voce rotta dal pianto.
Ero terrorizzata perchè il suo corpo era diverso dal solito. Non sapevo come, ma lo sentivo diverso e mi spaventava a morte.
Ivory mi mollò e si passò una mano tra i capelli. Il suo respiro finalmente si regolarizzò e parlò con voce calma. «Hai bisogno di un aiuto, Scarlett. Sei completamente fuori controllo e io ci ho provato ad aiutarti, ma è del tutto inutile. Mi dispiace così tanto per te.»
La piccola luce che a credevo di aver trovato era ormai cenere tra le mie mani.
Desiderai morire in quell'istante.
Il giorno seguente, sul pullman che ci riportava a casa, le mie amiche sembravano veramente preoccupate per me.
«Scarlett, non mangi da giorni, cosa ti sta succedendo?»
Non riuscivo più a sopportare quella situazione e quando tornai dalla nonna, finalmente glielo confessai.
«Nonna, voglio tornare a casa.»
Stavo male. E non perchè l'avevo visto con un'altra ragazza o perchè non mi voleva più parlare. Era quella strana sensazione che avevo costantemente addosso: senso di colpa e confusione. Cosa avevo fatto di così terribile? Perchè era arrabbiato con me? Perchè ero così folle da volere il suo affetto? Stavo impazzendo.
La nonna si sedette al tavolo della cucina insieme a me e mi guardò con occhi lucidi.
«Scarlett, lo sai che la situazione a casa in questo momento è delicata. La mamma ti ha mandata qui per non farti stare lì.»
E che qui è quasi peggio...
Ma non lo dissi. Non volevo darle altre preoccupazioni e non volevo essere un peso per nessuno, quindi diedi un bacio sulla guancia alla nonna e mi nascosi nel mio letto per affogare nelle mie stesse lacrime.
Desirai morire ancora un volta.
Quella sera la nonna mi stava preparando le lasagne, quando qualcuno suonò il campanello. Riconobbi subito la sua voce. Parlarono della chiesa, poi lui le fece la domanda.
«Scarlett? Come sta?»
No, non di nuovo.
«Scar sta affrontando un brutto periodo. Non so come aiutarla», rispose la nonna con voce rotta. Potei percepire la sua angoscia a distanza.
«Posso parlarle?» chiese lui.
Si stava preoccupando per me o era tutta una finta?
«Vedi se riesci a farle cambiare idea. Vorrebbe tornare a casa, ma ora la situazione è troppo delicata.»
Mi avvicinai alla porta per origliare meglio.
«E tu te ne lavi le mani, Margaret?»
«A me importa soltanto di Scarlett.»
«È tuo figlio.»
«Quella è la porta, Ivory», disse la nonna. «Poi non sono affari che ti riguardano.»
«Lasciami parlare con lei.»
Sgranai gli occhi.
«Hai dieci minuti, poi lasciala in pace.»
Sentii i suoi passi pesanti avvicinarsi e quando entrò in camera mi trovò ferma vicino alla porta. Non ci provai nemmeno a fingere di non aver ascoltato, a fingere di non aver pianto tutto il pomeriggio e a lui non importò.
«La nonna mi ha detto che vuoi tornare a casa.»
La sua voce ferma e la sua indifferenza mi fecero crollare. Iniziai a singhiozzare ma le lame nella mia gola non erano dolorose quanto il suo sguardo impietosito.
«Sì, dopo quello che mi hai detto tu... Forse hai ragione», sussurrai.
«Ho solo detto che hai bisogno di aiuto, Scarlett.»
Forse me la meritavo un'ultima doccia fredda, che mi mandasse via una volta per tutte.
«E non puoi darmelo tu questo aiuto?» lo istigai, nella speranza che mi dicesse che non gli importava di me.
Ma Ivory mi raccolse la mano e mi invitò a sedermi sul letto. «Non lo so... Dici cose pericolose e sei imprevedibile, Scarlett.»
«Che cos'ho fatto?»
«Be' ieri notte...»
«Ieri notte cos'ho fatto?»
Perchè era colpa mia?
«A volte viaggi troppo con l'immaginazione...» proseguì tenendomi la mano.
«Tu come lo sai?»
«Avanti, ieri notte sembravi sconvolta... ma per cosa?»
La presa calda della sua mano era piacevole e rassicurante, tant'è che per poco non caddi nella sua trappola.
L'hai visto, non l'hai immaginato.
Ricordatelo. Ricordatelo. Ricordatelo.
«Ieri notte eri con una ragazza che non era tua moglie», esclamai alzandomi in piedi.
E ora ti comporti così solo per farmi stare zitta, ma stavolta non mi lascerò convincere.
Vidi i suoi zaffiri iniettarsi di rabbia. Si alzò, mi afferrò dai capelli e mi trascinò a sè.
Sentii la mia schiena aderire al suo petto e la sua bocca sul mio orecchio.
«La vedi quella?»
Annuii pietrificata quando mi indicò la mia finestra.
«È casa mia. Sai che stanza è quella?»
Deglutii.
«Sai che stanza è quella?», ripetè concitato.
«No.»
«È la mia camera da letto. È la stanza in cui trascorro le serate e mi subisco la tua aria da svampita con quel ridicolo pigiama addosso.»
Una lacrima mi rigò la guancia e si posò tra le mie labbra.
«E quell'aria non riesco a levarmela dalla testa nemmeno quando mi infilo nel letto insieme a mia moglie. E sai perché? Perchè tu sei una piccola disgrazia. Una disgrazia che mi sta rovinando la vita.»
Iniziai a singhiozzare rumorosamente.
Mi fai male.
«Che cosa ti ho fatto di male? Perchè mi fai questo?», sibilai.
«Continui a provocarmi.»
«Ma io ti ho visto ieri notte.»
«Sei bugiarda.»
«No.»
«Quante volte ti ho detto che sono sposato? Ma tu continui. Continui a cercarmi, come di notte, nel bosco»
«No, io non stavo cercando te. Tu dici di avere una famiglia e poi eri con quella...»
«Ero da solo. Mi hai seguito perchè sei ossessionata da me.»
«No, io vi ho visti...»
«Dai, avanti... Cos'hai visto?»
La nausea mi trafisse lo stomaco al solo pensiero.
«No.»
«Sì, adesso lo dici, Scarlett.»
Indietreggiai e per sottrarmi alla sua presa, sbattei l'anca contro la scrivania.
«No, non mi piace pensarci», confessai spaventata, massaggiandomi il fianco dolorante.
Non avevo più voce, volevo solo se ne andasse dalla mia stanza.
«O no, io voglio che ci pensi adesso», tuonò avvicinandosi.
«Smettila.»
«Cosa facevo, Scarlett?»
«Smettila», lo pregai, tra le lacrime.
Torreggiò su di me, mentre chiudevo gli occhi e mi portavo una mano davanti al viso.
«Cosa stavo facendo?»
Non risposi, quindi lui perse la pazienza e mi spinse contro la scrivania. Il dolore sordo mi colpì nuovamente e solo allora mi accorsi che l'attimo prima non avevo sbattuto da sola. L'aveva appena rifatto.
«Pensa alle bugie che dici, mentre continui con il tuo piano di rovinarmi la vita, solo per una stupida cotta. Dovresti vergognarti, se lo scoprisse tua nonna le daresti un dolore immenso.»
Ero un cumulo di singhiozzi, tremavo. Mi sarebbe bastato un abbraccio, gli avrei perdonato qualsiasi cosa.... Ma lui se ne andò.
Corsi a chiudere la tenda, poi mi alzai la maglietta e notai la chiazza rossa che mi macchiava il fianco.
La cosa peggiore non erano di certo i lividi o le sue parole crudeli, ma il fatto che non potessi parlarne con nessuno.
Nemmeno con la nonna.
Era tutta colpa mia.
Presente
Mi svegliai sudata e tremante.
Ace dormiva ancora, ma se avesse saputo ciò che popolava i miei incubi, probabilmente non mi avrebbe mai più rivolto la parola.
Lo guardai e mi accorsi di quanto fosse bello mentre dormiva, tant'è che decisi di non guardarlo troppo o mi sarei svegliata da quel sogno.
Scesi dal letto e mi diressi in cucina per cercare dell'acqua da bere.
«Ma tu cosa ci fai qui?» domandai quando vidi Sienna rovistare nel frigo come un predone affamato.
«Avevo fame.»
Recuperò un avanzo di torta e si sedette sul tavolo per mangiarlo.
«Ma i tuoi non hanno una casa qui vicino? Cinnamon ha detto....»
«Che vuoi sapere?»
La guardai. I capelli ricci erano sfatti e sembrava non si fosse cambiata i vestiti da un po'.
«Be', vorrei sapere dove hai dormito ieri notte.. Non sei tornata a casa o sbaglio?»
Mi fissò di sbieco. «Perchè fingi di preoccuparti?»
«Non fingo, Sienna. Dico a Ace che va bene così. Che non ce l'ho con te e se lui vuole, puoi tornare.»
«Sappi che mi stavi sul cazzo e mi ci stai ancora»disse allungando il piatto nella mia direzione.
«È vegana spiegò» quando feci una faccia strana assaggiando la torta.
«Perché da quando mi hai conosciuta, non fai che comportarti così con me?»
«Quando ti ho conosciuta Ace mi piaceva ancora.»
«Ora non più?»
«Senti, Ace è Ace, ma come fai a innamorarti di uno che non prova un briciolo di emozione, di empatia o di interesse per gli altri?»
L'aveva sbattuta fuori di casa senza le sue cose, non potevo biasimarla. E tutto per una battuta fatta su di me.
«Non è vero, Ace non è così», affermai.
«Vuoi dirmi che si preoccupa per te?»
«Sì»
«Come sei ingenua, Scarlett.»
«Che significa?»
«Ace farebbe qualsiasi cosa per ottenere quello che vuole.»
«Questo lo so. Ma non sta facendo niente di sbagliato e non mi sta mettendo pressione, se è questo che intendi.»
«Perchè altrimenti tu fuggiresti. E lui l'ha capito benissimo. È molto piu intelligente di quanto pensi.»
«Okay, ma che vuoi dire?»
«Se si è messo in testa una cosa, l'avrà, puoi farlo aspettare anche un anno. Non ci dormirà la notte ma otterrà ciò che voleva, come lo voleva.»
«Sapevi di mia nonna e della casa?», cambiai discorso.
«Sto facendo lo stage nel ufficio del padre di Brick. Lo sapevamo tutti. Ma spoiler: a nessuno importa di te. Tra un po' sarai quella di cui rideremo perchè Ace ha dovuto aspettare mesi per cinque minuti di gloria.»
Mi lasciò lì, la torta sul tavolo e io a fissarla sgomenta.
«Buon appetito.»
Dopo l'incontro con Sienna ero tornata a dormire, ma gli incubi erano ricominciati. Fortuna che al risveglio non ricordavo nulla.
Mi alzai che era ormai l'una passata e Ace non era più nel letto insieme a me.
«Buongiorno Scar. O forse dovrei dire buon pomeriggio. Dove sei stata ieri?», mi domandò Amber quando mi vide fare il mio ingresso in cucina.
«Parli tu», la riprese Mauve.
Notai che stavano già pranzando.
Io avevo la forza vitale di un bradipo e seguii a stento i loro discorsi.
«Scar era con Ace, lo sanno anche i muri. Ma tu, Amber? Chi è il fortunato?»
«Nessuno.»
Le guance di Amber si colorarono quando Jade ci sfilò di fianco rivolgendoci un sorriso. Era in costume e il suo corpo da modella non passava di certo inosservato.
Decisi di non dire nulla perché Mauve non se n'era accorta e non volevo che mettesse a disagio Amber.
Restai nel mio angolo, con la testa china, a mangiare, quando udii Jet e Brick parlare tra loro.
«Brick, dov'e Ace?»
«Mauve!» la sgridai perché ogni volta lo chiedeva per me facendomi imbarazzare.
«Credo sia alla piscina del polisportivo», rispose lui. «Passerà la giornata ad allenarsi»
«Il ragazzo di ieri sta bene?», domandai lievemente preoccupata.
«Si è tutto okay.»
«Mi dispiace», dissi di getto.
«Di cosa, non è colpa tua», sottolineò Brick.
Jet guardò me, poi Brick. «Cosa sono quelle facce da funerale? Stasera abbiamo una festa sulla spiaggia.»
Passai il pomeriggio nella stanza delle ragazze a leggere, poi verso sera mi preparai controvoglia e uscii con le altre.
Io, Mauve, Jade e Amber passammo davanti ai ragazzi che sostavano sulle sdraio nei pressi della piscina.
Ace non fiatò quando mi vide.
«Ace, tu non vieni?» chiese Jade.
«Non mi va », rispose controvoglia.
Sollevai lo sguardo e notai che indossava un paio di pantaloncini del costume, una camicia e la sigaretta stretta tra le labbra.
«Tutto bene?» Gli chiesi quando gli fui di fianco.
Lui sfilò la sigaretta dalle labbra, il suo profumo mi mandò in estasi.
Pensavo mi avrebbe ignorata, proprio come aveva fatto per tutto il giorno, invece si sporse verso di me.
«Fa' la brava stasera.»
«Vuoi?» mi chiese Jade quando giungemmo in spiaggia.
«No, grazie. Ieri ho bevuto troppo, ho ancora lo stomaco sottosopra», risposi.
«Ma non siamo ancora arrivati?» si lamentò Mauve, vedendo che Jade e Amber continuavano a camminare, davanti a noi.
Per raggiungere la festa dovemmo arrampicarci sulle rocce. Gli altri camminavano disinvolti, io stavo morendo, inciampando e cadendo come non ci fosse un domani. Il percorso era tortuoso, io non vedevo un accidenti e mi ero fatta un centinaio di graffi tra quegli scogli maledetti.
«Scarlett!» L'accento buffo che Philippe mise al mio nome mi fece sorridere.
«Vieni?»
In un posto che non sia rocce e pietre? sì grazie
«Mi sto squartando le caviglie...» commentai.
Nel buio lo vidi rivolgermi uno sguardo accigliato. «Squarta... che?»
Mi guardai intorno e mi resi conto che ero rimasta indietro rispetto alle altre.
«Niente.»
Philippe mi fece strada ed ero così c oncentrata a non cadere, che solo quando giungemmo la destinazione, mi accorsi che quella era una zona appartata su una scogliera a picco sul mare. Non era altissima, però a me faceva paura.
«C'è acqua sotto?»
«No, ora c'è bassa marea.»
«Okay...» dissi tentennante. La sua risposta non mi rassicurò affatto.
Mi sedetti sulla roccia perchè stare in piedi mi dava le vertigini.
Stordita da quella situazione, guardai Philippe, che si accomodò di fianco a me.
Era tutto un po' troppo romantico ed ero così presa dalla voglia di fuggire da quel posto, che non notai subito come lui mi stava fissando.
«Che c'è?» gli chiesi, confusa.
Il ragazzo si sporse verso di me e io portai il busto all'indietro.
«Non... no.»
Mi ritrassi immediatamente.
«Oh, pensavo...»
«Non mi va», asserii con decisione.
Philippe gonfiò le guance e sbuffò appena.
«Okay, non fa niente. Vuoi bere qualcosa?»
Mi allungò una bottiglia e non capii di cosa si trattasse, ma rifiutai ugualmente.
«No», risposi guardandolo negli occhi.
Lui a quel punto si alzò.
«Ma dove...»
Si allontanò nel buio e io cominciai ad andare nel panico. «Dove stai...»
Provai alzarmi in piedi, ma per poco non caddi.
«O mio Dio.»
Respira ce la puoi fare, Scarlett
Era dannatamente buio. Mi voltai e Philippe non c'era più. Ero da sola.
Controllai il telefono. Non c'era campo.
Ora muoio, è certo.
Posai i palmi sulla roccia per alzarmi in piedi, ma era umida e scivolosa, tant'è che caddi in avanti. Battei il ginocchio sulla sabbia dura e sentii l'acqua salire fino alle caviglie. Mi alzai e indietreggiai contro la roccia. Ero in trappola.
Tre anni prima
I think he did it
but I just can't prove it
«Chi è quella dea?»
«Sua figlia Candy. L'ha avuta a diciassette anni da una donna più grande. Secondo me, Ivory ha avuto una brutta infanzia»
Ignorai il più possibile la sua presenza, le analisi psicologiche di Mauve e tutto ciò che lo riguardava.
Osservai Rose e sua madre, che da fuori sembravano felici... eppure io ormai ero convinta di una cosa. Era tutta finzione. Lui era un bugiardo e la tradiva.
E mi faceva male quel pensiero.
Avrei potuto raccontar tutto a Rose, ma sarebbe stato un dispiacere forte e poi....se me lo fossi immaginata?
No, l'ho visto.
Ma non avevo prove. Come non avevo prove di ciò che mi aveva detto e forse, fatto.
Il mio zigomo non era più violaceo. L'impronta sul collo era andata via, l'unica prova era quel livido che avevo sul fianco. Ma iniziai a pensare che avrei potuto farmelo sbattendo da sola.
Oppure era stato lui? Forse quelle piccole ferite mi servivano a ricordare che non ero pazza?
Finalmente l'estate era giunta al termine.
Il giorno prima di partire andai in chiesa.
Non cercavo la sua presenza, ma una connessione con qualcosa di divino, un segnale. Non c'era nulla di tutto ciò lì dentro.
Solo la sua voce, che rimbombava tra le pareti. Avevo il batticuore.
«Scarlett.»
«Lo so che non sono la benvenuta, me ne vado», annunciai frettolosa girando i tacchi.
«No, vieni. Ho bisogno di parlarti.»
Ivory mi invitò a sedermi su una panca di legno. Era più gelida del solito.
«So che te ne vai.»
«Sei contento?»
«No.»
Rimasi in silenzio.
«Cos'hai? Vuoi parlare?» mi domandò.
«Non so da dove iniziare», confessai.
«Iniziamo da me.»
Lo guardai con un cipiglio interrogativo sul volto. «Da te?»
«Hai fatto un esame di coscienza? Com'è stata la tua estate?»
Mi strofinai la mano chiusa a pugno sul ginocchio e non risposi.
«Non hai qualcosa per cui chiedere perdono?», m'incalzò.
«Intendi...»
«Le nostre fantasie talvolta sono sbagliate.»
La sua voce serpeggiò sul mio collo e mi levò il respiro.
«Non controllo le mie fantasie», boccheggiai.
«Devi imparare a farlo, Scarlett.»
«E tu lo fai?»
Lo vidi sollevare un sopracciglio. «Decisamente.»
Tenne il braccio steso lungo lo schienale per tutto il tempo, ma d'un tratto avvertii il tocco delle sue dita sulla nuca, mentre mi carezzava le ciocche di capelli.
Mi ghiacciai, ma lui proseguì come se nulla fosse.
«Ma non ti condannerò per questo, Scarlett. Scrivi, forse ti aiuterà a riordinare le idee e a tenere a bada le tue pulsioni.»
Annuii.
«Hai iniziato qualcosa di nuovo?»
Il suo interesse mi solleticò il petto, ma provai a non cascarci.
«Sì, un romanzo», replicai con freddezza.
«Come s'intitola?»
«Venticinque.»
«Venticinque cosa?»
«Anni», sussurrai.
«Tu ne hai quattordici, non capisco.»
«Non è la mia età. Quindi non c'è l'hai con me?», cambiai immediatamente discorso.
«No.»
«Non lo dirai a Rose?»
«Io non dirò niente, Scarlett. E nemmeno tu. Non è così?»
Sentii la sua presa intorno ai miei capelli farsi più decisa, tant'è che annuii subito.
Ormai l'avevo fatto il mio patto con il diavolo.
BRICK
Ace arrivo con un broncio stampato sul volto.
«Puoi chiedermelo, non farò insinuazioni», lo presi in giro.
Sapevo che voleva solo sapere dove si fosse cacciata Scarlett.
«Finiscila», sputò guardandosi intorno.
«Ti sei allenato oggi?»
«Sì.»
«Quindi non mollerai?»
«Non lo so ancora», replicò distratto.
In quel momento arrivò un tizio francese che si unì alle ragazze.
«Quanti anni ha Bridget?», chiese rivolgendosi a Cinnamon.
«Chi cazzo è Bridget?», domandai io.
«La piccoletta che è venuta con me.»
Ace capì immediatamente e lo afferrò dal braccio. «Dov'è Scarlett?»
«Ah Scarlett, ecco...»
«Dove cazzo è?»
«L'ho lasciata lì»
Il tizio che a quanto pare voleva mettere a repentaglio la sua vita, perché indicò un punto indefinito tra gli scogli.
«Lì dove?» feci io.
«Tra le rocce.»
Ace non lo ascoltò nemmeno, lo vidi correre in quella direzione.
«Ha paura del buio, idiota.»
SCARLETT
Il mio respiro non accennava a rallentare. Stavo per avere un attacco di panico. Ogni singolo rumore che udivo mi faceva raggelare il sangue. Era così buio che avevo il terrore di muovermi. Avevo usato la torcia del telefono, ma ero scivolata giù sgraziatamente e ora me ne stavo con i piedi a mollo.
Maledizione, l'acqua sta salendo.
«Scarlett!»
Sollevai gli occhi e lo vidi. Ace scese giù con facilità e in un attimo era davanti a me.
Non ci pensai due volte, mi buttai su di lui e lo abbracciai.
Ace resto di ghiaccio ma non m'importò.
Il suo maglione profumava di pulito e il suo petto era d'acciaio.
«Stai bene?», mi domandò.
«Sì.»
«Ti ha fatto qualcosa?»
«No, mi ha... solo lasciata qui.»
Ace mi afferrò fianchi e mi aiutò a risalire sulla scogliera.
«Ti fa male?» chiese indicandomi la caviglia leggermente zoppicante.
«Non è niente. Non avrei dovuto venire qui.»
«È tutto okay. Aspetta.»
Si tolse il maglione e mi aiutò a indossarlo.
«Scusa, sono stata una stupida a voler...»
«No, io sono stato stupido. Non avrei dovuto arrabbiarmi con te per Cedar.»
«Non sapevo ti potesse dare così fastidio, Ace.»
«Non ci avresti dormito se l'avessi saputo?»
Feci spallucce. «Ci avrei dormito uguale, ma almeno te l'avrei detto.»
Ace sorrise.
«Ti va di tornare a casa? Stai tremando.»
«Sì.»
In macchina Ace era alla guida e fu così intimo il silenzio tra noi, che non riuscii a spiaccicare parola.
«Ti sei ripresa da ieri?» mi chiese d'un tratto.
«Sì. Scusa se ti ho abbracciato in quel modo prima. Magari ti ha dato fastidio.»
«Ehm...» Nella penombra vidi le sue guance colorarsi appena, forse si imbarazzò un po'. «Ma no, è stato carino.»
«Ah sì?»
«È stata una giornataccia... e il tuo abbraccio la cosa più bella.»
Restai senza parole.
«No?», chiese lui, quasi titubante. «Voglio dire...»
Ma io ero ancora scioccata, la bocca spalancata. «L'abbraccio?»
Ace tornò a guardare davanti a sè. «Per me sì.»
Mi sfuggì una smorfia sbuffa che dovetti coprire con la mano.
«Cosa c'è?», chiese rivolgendomi un sorriso che mi spedì sulla luna senza mai più ritorno.
«No, no. Niente.»
Amber e Mauve erano le uniche già a casa e sembravano cercare qualcuno.
«Cosa fate qui?» le interrogai confusa, quando le vidi vagare per il giardino.
«Stiamo cercando Jade.»
«Qui? Non era con voi alla festa?»
«Alla fine non ci stavamo divertendo, perciò siamo tornate indietro. Avevamo appuntamento con lei per usare il telescopio su in terrazza», spiegò Amber.
Mauve la guardò arricciando le labbra. «Appuntamento?»
«Mauve finiscila», la zittii.
«È strano che Jade non avvisi», commentò Ace, prima di entrare in casa.
«Mi sa che torniamo in spiaggia, ci saremo capite male.»
«Okay, fatemi sapere.»
Salutai le mie amiche poi guardai in direzione di Ace che mi aspettava sulle scale.
«Vieni o no?»
Lo seguii anche quando superò la sua camera, fino a raggiungere una porta chiusa a chiave che conduceva al tetto. Ace l'aprì e una volta fuori, rimasi senza parole. C'era una piccola vasca idromassaggio incastonata in un angolo e un enorme bagno all'aperto che dava su una vista mozzafiato. Una brezza leggera mi carezzava i capelli e mi sentii così bene che l'episodio spiacevole sugli scogli fu un brutto ricordo lontano.
«È successo qualcosa?» chiesi quando vidi Ace provare a richiamare Jade.
«Non risponde, sarà rimasta con gli altri.»
«Ti preoccupa?»
«Te l'ho detto, è strano. Jade non sparisce mai.»
Ace sembrava vagamente impensierito, poi però i suoi occhi caddero sulle mie gambe graffiate.
«Sei un piccolo disastro.»
«Lo devo prendere come un complimento?»
Mi fece sedere su un ripiano in marmo, sentii qualcosa rovesciarsi alle mie spalle, ma a lui non importò. Sembrava avere altre priorità, difatti controllò i miei graffi, infine tornò a guardarmi negli occhi.
«Hai baciato quel ragazzo?»
«No, Ace.»
«Cedar, nel tuo letto?»
«No.»
«E dimmi, Scarlett, chi baci nel tuo letto?»
I nostri sguardi si allacciarono in una stretta indissolubile.
«Soltanto te, Ace.»
Lo vidi chiudere gli occhi per un breve attimo, come piacevolmente colpito dal mio sussurro. Poi percepii la sua bocca morbida contro il mio collo.
«Brava.»
Mi diede i brividi.
Ace tracciò la mia mandibola, poi, finalmente, mi baciò. Lentamente, così lentamente che sentii le cosce tremare. Fu infinito e non si fermò nemmeno quando una timida pioggerella cominciò a cadere sulle nostre teste.
Ma il bacio straripò in fretta e la sua lingua morbida divenne così dura che mi strappò un lamento.
«Piano», mi redarguì con il fiato corto.
Gli morsi il labbro quando lo sentii eccitato contro la mia coscia. Poi lo risucchiai facendolo gemere.
«Scarlett, non mi va di farlo sul ripiano delle piante di mia madre.»
Arrossii perché eravamo già lì, senza gesti eclatanti o paroline romantiche.
La vita non è come nei libri, maledizione.
Rimasi con il petto ansante e lo vidi indietreggiare, tra le goccioline di pioggia che ormai scendevano copiose.
Ace a quel punto osservò la sua camicia fradicia, poi si portò la mano sul bordo dei pantaloncini e mi guardò.
«Hai bisogno di una doccia», lo stuzzicai nel rimirare l'enorme box alle sue spalle.
«O sì ne ho proprio bisogno.»
Boccheggiai perchè la tensione era ormai insopportabile.
«Ma ho bisogno di farla...» Ace allungò una mano e mi distanziò le cosce tra loro. «Con te, signorina.»
Restammo a fissarci per diversi attimi, mentre la pioggia iniziava a cadere con un ritmo sempre più serrato. Ben presto si trasformò in un acquazzone, perciò ci riparammo sotto la tettoia.
C'era un piccolo lavandino con uno specchio, quindi ne approfittai per... lavarmi le mani.
Non so perchè lo feci, forse per stemperare l'agitazione. Nel buio intanto, cercai il suo riflesso nello specchio. Ace si stava sbottonando la camicia, gli occhi nei miei. Fui così distratta a guardare ogni suo movimento, che per poco non sbattei l'anca contro la maniglia del mobile.
«Va bene per te?», domandò sfilandosi i pantaloncini.
Mi chiese il permesso e quando mi vide annuire, si voltò lasciando intravedere i glutei perfetti, mentre si abbassava anche i boxer. Poi si girò di profilo per recuperare un asciugamano e... Trasalii.
«O santo ...»
Scollai gli occhi dallo specchio e li riportai sul lavandino con le guance pulsanti.
«Tutto bene?»
Sgranai gli occhi. «Sì, sì....» Il fiato mi morì in gola.
«Se vuoi rientrare...»
Con una mano Ace mi indicò la casa, mentre con l'altra cercava di coprirsi il bacino, stringendo un asciugamano bianco nel pugno.
E ora che faccio?
Mi asciugai le mani, lui intanto andò ad azionare l'acqua della doccia, poi tornò da me.
E io fui costretta a passargli di fianco.
Ace si era avvolto l'asciugamano intorno alla vita, ma io ormai ero nel panico, tant'è che inciampai su una mattonella.
«Attenta.»
Mi sorresse dal gomito, io mi ammutolii.
«Cosa c'è adesso?», sussurrò nel vedermi così agitata.
«Niente, sei perfetto.»
O no.
«Davvero? Non sembra da come hai reagito.»
Ace si era accorto del mio imbarazzo quindi tenne l'asciugamano addosso e mi diede il tempo di riordinare le idee.
«Non ti tocco finché non me lo permetti», mi rassicurò con tono calmo.
Io allora gli rivolsi un sorriso impacciato, ma non riuscii a rilassarmi del tutto.
«Preferisci rientrare e farla da sola la doccia?»
La sua voce vellutata era rassicurante, ma il suo corpo troppo grande e io avevo la tachicardia al solo pensiero.
«No.»
«Se vuoi tenere l'intimo per me non è un problema. Puoi fare come ti senti.»
Mi avvicinai e con il mento innalzato, feci cenno di no con la testa.
«Allora spogliati.»
Restai immobile, Ace mi sfiorò la pancia nuda e con l'indice tracciò una traiettoria immaginaria fino al bordo dei miei pantaloncini.
«Ma se vuoi che sia io a farlo.... ancora meglio.»
«Fallo», sussurrai con un pizzico di coraggio.
Ace mi sfilò la canottiera, poi mi strinse a sè e premette i miei seni contro il suo petto caldo, mentre cercava il gancetto del costume che trovò in un secondo.
«Con piacere», mormorò nel mio orecchio, sfilandomi la parte sopra del bikini.
Rovesciò il palmo sulla mia pancia e mi sbottonò i pantaloncini.
«Scusa per l'altra sera... Non avrei dovuto parlarti in quel modo davanti ai miei amici.»
Ace mi stava di nuovo chiedendo scusa? Stavo sognando?
«È tutto okay...»
«Tocca a te», disse poi.
Sollevai un piede, poi l'altro, permettendogli di sfilarmi i pantaloncini.
«Cosa ti aspetti ti dica, Ace?»
«Scusarti perchè non mi hai detto di Cedar.»
«Io e te non stiamo insieme.»
«No, certo, ma stai mezza nuda nel mio bagno.»
«Significa qualcosa?»
Lo istigai con un'audacia che non mi apparteneva, forse perchè si era appena inginocchiato per sfilarmi le mutande e quella visione mi fece sentire divinamente.
«No, niente. Ma ti inviterei a non posare gli occhi più in basso, Scarlett.»
«Altrimenti?»
«Altrimenti vedresti quanto mi piaci. E la ragazza che mi piace in questo modo non dorme con un altro.»
Mi sfilò le mutande e mi guardò dal basso con uno sguardo che mi rapì l'anima.
«Hai capito bene?»
Mi morsi il labbro. «Sì.»
Ace si rialzò, poi aprì la porta in vetro della doccia e mi fece entrare. Io sparii nel vapore e la cosa mi aiutò con l'imbarazzo di stare completamente svestita. Lui intanto si levò l'asciugamano e mi raggiunse.
«Dio, è enorme.»
«Scarlett?»
«Questa doccia.»
«Ah, sì.»
Con la caviglia urtai contro qualcosa di plastica.
«Cos'è?», chiesi quando vidi uno piccolo sgabello per terra.
«È di quando ero bambino,» disse Ace. «Non arrivavo al lavandino per lavarmi i denti o le mani, quindi mia madre mi faceva usare quello. Mi sentivo grande ogni volta che riuscivo a farlo da solo.»
Sorrisi perchè l'immagine mi sembrò tenera. Ace mi prese per mano, mi aiutò a salirci sopra e io mi ritrovai quasi alla sua altezza. Le nostre labbra per poco non si sfiorarono.
«Meglio così, no?»
«Pensi che non siamo fatti l'uno per l'altro?», gli chiesi.
Le sue labbra si curvarono e una scintilla maliziosa gli fece abbassare lo sguardo.
«Non lo so ancora. Tu che dici, Scarlett?»
Chinai la testa, imbarazzata, ma dovetti spostare di nuovo gli occhi a lato.
Ovunque li posassi, c'era lui.
«La temperatura ti va bene?»
Sorrisi, pensando a quanto fosse premuroso. «Sì, grazie.»
Poi però vidi Ace deglutire. Il suo pomo d'Adamo si mosse rapido, sembrava in difficoltà anche lui.
La cosa mi diede un po' di coraggio e, tra i fumi della doccia, ammirai il suo corpo e cominciai a familiarizzare con quella forma perfetta. Lasciai scivolare lo sguardo dalle sue spalle modellate al suo petto ampio. Il torace definito e la vita stretta. Non scesi oltre l'ombelico però.
Ace si girò per raggiungere i dispenser in marmo affissi sulla parete. Allungò la mano verso uno di questi e prese una dose di shampoo. Vidi il suo addome contrarsi e il calore delle mie guance si propagò arrivandomi nello stomaco quando mi beccò in pieno.
«Posso?»
Annuii.
Era notte, ma le luci soffuse della terrazza creavano un'atmosfera piacevole, mentre la melodia della pioggia cullava le nostre parole.
«Girati e chiudi gli occhi.»
Mi voltai e strizzai le palpebre con una smorfia buffa. Lo sentii sorridere alle mie spalle. Il suo respiro caldo sulla nuca mi diede i brividi. «Dio, sei una bimba.»
Presi un lungo respiro e quando cominciò a massaggiarmi la testa con lo shampoo, parlai.
«Mi dispiace per non averti detto di Cedar e mi spiace per ieri. Mi dispiace per tutto», sibilai con gli occhi chiusi.
«Quello che è successo da quando sei qui, non è colpa tua. Te l'ho detto, tu non hai fatto niente.»
«Alla fine hai deciso cosa fare con le gare?»
«Non ho ancora deciso, ma non mi va proprio di iscrivermi al campionato.»
«Ne sei sicuro?»
«Sì.»
«Allora non farlo», dissi riaprendo gli occhi.
Mi voltai e lo vidi chinare il capo.
«Lo so che hai paura di deludere i tuoi...»
«Se dico a mia madre che non voglio iscrivermi, penserà che sia tutto un scherzo. Ci lavoro da quando ero un bambino.»
«Ma se l'idea non ti fa stare bene...»
«Vorrei solo mollare tutto.»
Gli mancò il fiato, vidi il suo petto contrarsi. E sembrò doloroso.
Strofinai quindi la fronte sul suo torace, sentendo il suo cuore correre veloce.
«Respira», mormorai. «Sono sicura che tua madre capirà. Non puoi stare male per degli obiettivi che ti hanno imposto.»
«Però potrei farcela, se volessi.»
«Certo che puoi farcela... ma a che prezzo?»
Lui mi guardò e sotto le ciglia lunghe, potei vedere dello stupore.
«Ti fa strano che io dica così, Ace?»
«Mai nessuno mi ha parlato in questo modo, così diretto.»
«Non voglio spingerti a mollare tutto, ma nessuno, più di te, può sapere cos'è meglio per te.»
Lo vidi gonfiare le guance e sbuffare.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?»
«So quello che stai facendo, Scarlett.»
«Cosa starei facendo?»
«Hai fatto un ritratto di tutte le mie imperfezioni e ora lo tieni ben impresso nella tua testa.»
Sorrisi.
«E quindi? Anche se fosse?»
«Non voglio che nessuno mi veda così.»
«Ma io voglio vederti così. Anzi, Voglio essere l'unica a vederti così.»
Ace si abbassò e mi lasciò un bacio a fior di labbra.
«Magari tua madre se la prenderà, ma tuo padre sono certa che capirà.»
Lo vidi scrollare il capo. «Non si capiscono nemmeno tra loro. A Natale scorso erano ancora innamorati. Poi non so cos'è successo.»
«Mi dispiace.»
«E io non riesco a essere triste, o arrabbiato con loro.»
«Be', datti tempo. Magari per loro è solo un periodo e tu...»
«Non sento nulla, Scarlett.»
Guardai i suoi occhi grandi. Sembrava una richiesta d'aiuto che non riuscivo a decifrare.
«Che significa?»
«Nemmeno all'idea che si lascino. Non provo nulla. Non esiste niente in grado di darmi sensazioni forti.»
Mi mancò il respiro.
«E mi dispiace davvero tanto per quello che hai dovuto vedere in ultimi questi giorni.»
«Non fa niente, Ace.»
«E per averti fatto credere che non fossi abbastanza per me.»
Deglutii, totalmente sopraffatta da lui.
«È che...» Lo vidi far correre il suo sguardo febbrile lungo il mio corpo. «Ora voglio di più.»
Anch'io, non mi accontento di esserti amica.
Ma come glielo dicevo se io stessa ero in conflitto?
Eppure volerti nella mia fantasia era già abbastanza.
Era come un piacere silenzioso che mi riempiva la testa, senza il bisogno di rischiare per davvero. Mi appagava solo l'idea di lui, come se la sua immagine potesse colmare il vuoto che sentivo dentro. Ma abbandonare la fantasia e intingere il piede nella realtà, significava correre il rischio di soffrire e forse dilatare quel vuoto, rendendolo ancora più insopportabile.
«Stai meglio?» gli chiesi nel vederlo tornare a respirare.
«Ora sì.»
Ace si voltò e rimasi a guardare la sua schiena nuda mentre si insaponava i capelli con cura. Io mi avvicinai ai dispenser per prendere dell'altro bagnoschiuma. Tentai di tenere gli occhi a posto, ma non fare figuracce era impossibile. Anche perchè lui era tornato a guardarmi e mi avrebbe beccata in pieno.
«Fa' attenzione a non scivolare», disse.
«Ace, sei cosi...»
«Così come?»
«Come se tua madre avesse fatto davvero un buon lavoro.»
Sorrise maliziosamente. «L'ha fatto.»
«Io parlavo di educazione, nel senso, non...»
«Ho capito», m'interruppe continuando a sorridere.
«Voglio dire... non mi sono mai sentita così tanto al sicuro, come con te.»
«Perché non dovresti? Stiamo solo facendo la doccia insieme», scherzò.
«Però io... sento questa cosa e la senti anche tu.»
Okay devo chiudere la bocca.
Ace mi puntò dall'alto. «Ah, davvero?»
Mi morsi il labbro e spostai lo sguardo.
«E dimmi Scarlett...» Si avvicinò pericolosamente. «Dove la senti?»
Porca miseria, sono fottuta.
«Perchè vorrei negare e dirti di non sentirla, ma... sarei ridicolo, non trovi?», sussurrò nel mio orecchio.
Presi a ridere e lui mi zittì baciandomi.
Iniziò come uno scherzo, ma ben presto la sua lingua esigente mi coinvolse in un gioco sfacciato. Con la mano mi avvolse il collo in una stretta possessiva, come ogni volta che mi baciava, ma a differenza delle altre volte, ero ancora sopra lo sgabellino, quindi non percepii quella tensione all'altezza della nuca.
«Ace...»
Provai a prendere fiato, ma la sua erezione pesante ebbe un fremito e mi colpì il clitoride.
Sbarrai gli occhi e per poco non urlai quando mi morse il labbro.
«Cazzo se mi sei mancata.»
Nel mio cervello esplose un cocktail di sensazioni divine.
Oltre all'educazione, tua madre ci ha messo della droga in quelle labbra perchè sono irresistibili.
Non era romantico, era osceno il modo in cui mi leccava le labbra e mi teneva stretta a sè, ma sentivo le scintille scoppiettarmi nelle vene e le farfalle nello stomaco.
«Ci sono riuscito?», ansimò tra un bacio e l'altro.
«A fare cosa, Ace?»
«A fare in modo che pensi a me ogni volta che stai nel letto, da sola.»
Sorrisi ripensando all'ultima volta in camera mia.
Poi chiusi gli occhi, godendomi la scia di baci peccaminosi che mi lasciava lungo la gola. «Che ne dici, penserai a me anche ogni volta che farai la doccia?»
«Non lo so...»
«Io dico che sarà così, Scarlett.»
Mi sfuggì un gemito perchè cominciò ad alternare i baci a piccoli succhiotti.
«Sienna ha detto che vuoi solo arrivare a quello...», ansimai.
«Ci voglio arrivare sì, ma...»
Ace mi sfiorò la tempia.
«Voglio soprattutto quello che hai qui, dentro la tua testa. È questo che mi interessa», sussurrò.
Gli restituii un altro bacio, mentre mi afferrava dai glutei e mi sollevava, spingendomi contro la parete di mattonelle.
«Voglio tutto, Scarlett.»
Gli circondai i fianchi con le cosce e sentii le sue dita affondare nella mia pelle, per aprire il mio corpo intorno al suo.
«Ora che dici, devo usare di nuovo la lingua? Mhm?»
Il battito del mio cuore era così disperato da rimbombarmi nelle orecchie. Così forte da farmi smettere di ragionare. Rimasi aggrappata a lui, che continuava a baciarmi, stremandomi con la sua bocca impaziente. Si spinse tra le mie cosce e frizionò la sagoma della sua lunghezza sulle mie carni umide, strusciando la punta turgida contro il mio clitoride, facendolo palpitare.
Poi abbandonò la fronte sulla mia, inarcammo fianchi in modo quasi istintivo e quando piego appena le ginocchia, la sua estremità titillò la mia fessura umida che si aprì.
«Così è pericoloso», mugugnò l'attimo prima di farmi scendere da quella posizione rischiosa. Poggiai di nuovo i piedi sullo sgabello.
Ace posò le mani sui miei fianchi e con un movimento fluido m'invitò a voltarmi con la faccia alla parete. Cominciò a mordermi le spalle di baci e la pressione del suo corpo mi spinse contro il marmo freddo.
«Troppo?» domandò premendo la base della sua erezione tra i miei glutei. Lo spessore mi fece boccheggiare.
«Non ho alcuna esperienza...» Con questo.
«Non vedo il problema.»
«Non ti da fastidio? Perché le tue amiche continuano a ridere del fatto che io sia...»
«La verginità è soltanto un concetto.»
«È vero...», riflettei.
«È un'idea utile all'uomo, in questo modo si convince di avere qualche diritto sul corpo femminile, quando in realtà non è così. È solo un costrutto sociale che non ha nulla a che vedere con il valore di una persona.»
Ero d'accordo con lui, ma non riuscii a resistere dal prenderlo in giro.
«Quanto parli...»
Mi arrivò una sculacciata così forte che dovetti sorreggermi contro la parete con entrambe le mani.
Il gluteo cominciò a irradiarsi di calore, quindi girai il capo e lo guardai esterrefatta.
Lo vidi abbassare le sopracciglia. «Male?»
«Non mi hai fatto niente», lo provocai con le guance rosse e la fronte contro il muro.
Inarcai la schiena e i miei capezzoli si tesero come spilli perchè lo fece di nuovo, stavolta colpendo l'altra natica.
«Non ho sentito il grazie, signorina.»
«Tu sei impazzito...»
Sorrisi, ma l'attimo dopo mi mancò il respiro perchè premette ancora di più tra i miei glutei obbligandomi a sopportare la sua eccitazione.
«Ace...»
«Non ti farò niente.»
«Sicuro?»
«Non sei pronta per me.»
Da oggi possiamo ufficialmente decretare che non lo sarò mai.
«Non credo che riusciremo...»
«Quando sarà il momento giusto, farò in modo di riuscirci. Non devi preoccuparti», sussurrò nel mio orecchio.
Non sfiorò le mie zone intime, ma il mio basso ventre si era ammorbidito, mentre Ace diventava sempre più teso. Mi sentii contrarre involontariamente, forse a causa del desiderio non soddisfatto. Ressi lo spessore della sua erezione che mi divaricava la pelle, finchè Ace non mi morse il lato della gola. Mi lasciai andare a un lamento sofferto perchè mi risucchiò il collo tra le labbra avide, mentre i miei capezzoli pulsavano dolorosamente contro la parete gelida.
Fu involontario, strinsi di nuovo le cosce e lui se ne accorse.
«Che stai facendo?»
Respirò nel mio orecchio e una scarica di adrenalina mi riempì il ventre.
«Niente.»
«Sempre così sensibile...» commentò con un sorrisetto soddisfatto. «Non ti sto nemmeno toccando.»
«Ace...»
«Mhm?»
Mossi il bacino all'indietro, quindi lui piegò leggermente le ginocchia e lasciò scivolare l'erezione in mezzo alle mie gambe. Tagliò come burro la carne del mio interno coscia, la sua lunghezza oltrepassò la mia pelle e sentii il suo corpo contro il mio. Si fermò solo quando con il suo bacino sbattè contro i miei glutei.
«Ora fa la brava, stringi le cosce per me.»
Obbedii e lo serrai tra le gambe.
Non abbassai lo sguardo ma sentii il suo calore proprio lì in mezzo.
Ace iniziò a muoversi lentamente, strusciò avanti e indietro, e solo allora capii. Quell'attrito era piacevole per entrambi.
Tutte le volte che la sua estremità mi sfiorava il clitoride, la mia pelle si irradiava di elettricità e le mie pieghe soffici sembravano volerlo risucchiare a ogni contrazione. Si indurì così tanto che lo sentii gemere nel mio orecchio e io mi bagnai a tal punto che la sua eccitazione finì per scivolare un po' troppo, tanto da spingere nella mia fessura.
Sbarrai gli occhi.
«Cristo, non così.»
Ci fermammo, entrambi con i respiri ansanti.
Lui era ancora alle mie spalle quando si protese in avanti, quindi girai il viso e riuscii a baciarlo. La sua lingua era calda e avvolgente, ma quel bacio sembrava supplizio.
Sorrisi al pensiero.
«Non c'è niente da ridere. È una tortura.»
«Allora fermati, Ace.»
«Vuoi davvero che mi fermi?»
«No.»
Con il ventre che bruciava di desiderio, pregai mi toccasse e quando finalmente portò una mano tra le mie cosce, mi sentii divinamente.
Mi carezzò soltanto con la punta delle dita, distrattamente, perché il suo intento era conficcare la sua lunghezza tra le mie pieghe sensibili e fare aderire le nostre intimità. Premette il pollice sull'estremità d'acciaio e la spinse contro il mio clitoride.
Lo invitai a muoversi con un leggero dondolio di bacino, poi serrai di più le cosce e l'attrito con la mia pelle bollente sembrò mandarlo fuori di testa.
Mi tenne stretta dal fianco e guidò il movimento, mentre i suoi gemiti incontrollati si riversavano sulla mia spalla. Eravamo entrambi senza respiro.
«Sì, così» Mi afferrò da una manciata di capelli bagnati e mi obbligò a reclinare il collo. «È esattamente così che mi prenderai. Tutto.»
Poi posò un mano sulla parete davanti per sorreggersi, mentre sentivo le sue vene turgide sfregare ripetutamente contro il mio clitoride sensibile.
«Ace», gemetti il suo nome con il cuore che martellava impazzito.
Non riuscii a esprimere il mio desiderio a parole. La sua pelle era in fiamme e le venature che tornivano la sua erezione creavano un attrito divino.
«Aspetta, dimmi una cosa...», ansimò nel mio orecchio.
«Ace, ti prego.»
Tremavo, ero senza fiato.
«Ora farai la brava e mi darai tutto quello che voglio, non è così?»
Il suo respiro caldo nel mio orecchio iniziò a trasformarsi in un cumulo di gemiti.
Ace e il suo corpo mi mandavano in estasi.
Strinsi le cosce, di più, ma invece che fermarsi, aumentò il ritmo e fu piacevole il modo in cui suo corpo reclamava il mio.
«Ace...»
Il mio interno coscia bruciò perché lui divenne sempre più grande da contenere, con quella frizione indecente.
«Scarlett...»
La doccia di riempì di ansiti e la sensazione piacevole arrivò al culmine quando capii che anche Ace aveva perso il controllo.
Il mio corpo accaldato venne stravolto da una scarica di piacere perché il suo seme bollente mi colpì in pieno il clitoride, che comincio a pulsare sempre più rapidamente, mandandomi in paradiso.
Ace si ritrasse subito, mi afferrò dalla vita e mi fece voltare.
Mi rapì con un bacio, mentre sentivo il suo calore colarmi sui seni nudi, sulla pancia e il bassoventre.
Bastò il tocco della sua lingua che sprofondava nella mia bocca con affondi languidi, che ricominciai a tremare.
Fiotti caldi marchiarono la mia pelle, fu una sensazione piacevole e il mio baricentro si contrasse, così tanto che venni di nuovo.
Inarcai schiena contro la parete e portai il bacino in avanti, poi, finalmente, aprii gli occhi.
Vidi Ace con il respiro affannoso, l'erezione stretta nel palmo venoso, il braccio contratto, e le guance scarlatte. L'altro braccio teso verso il muro alle mie spalle e le labbra gonfie leggermente socchiuse.
Lo sguardo affilato che teneva seppellito tra le mie cosce, lentamente si sollevò. Non mi mossi, perché con occhi languidi sembrò supplicarmi di stare ferma e di lasciarlo finire. Riversò tutto il suo piacere sul mio corpo, finché entrambi non rimanemmo completamente senza fiato.
Chiuse gli occhi, poi un lieve sorriso.
«Avevo ragione. Così sei ancora più bella.»
Nel letto mi ritrovai a guardare il soffitto. Era così morbido quel materasso... o forse, ero io che mi trovavo in un altro mondo.
«Magari mi hai uccisa e adesso sono in paradiso»
Ace tornò in stanza con addosso un paio di pantaloncini puliti e mi guardò sconvolto. «Come scusa?»
Le sue guance erano ancora arrossate, ma il suo sguardo rilassato. Quando abbassai gli occhi mi accorsi che aveva un piatto fumante tra le mani.
«Cosa sono?» chiesi tirandomi sù.
«Waffles alla nutella.»
E io li amavo. «Come sai che mi piacciono così tanto?»
Lo guardai stringersi nelle spalle.
«Devo crederti quando dici che non fai ricerche su di me, Ace?»
«Sono solo attento. L'altra mattina li hai divorati.»
Sorrisi, allora Ace posò il piatto sul letto e si sedette accanto a me.
«Scarlett... »
Il suo tono serio mi mise sull'attenti.
È diverso il modo in cui sei con me, ora. Il modo in cui mi baci.»
«Che significa?»
«Non hai più paura, è così?
Non so se la sua fosse una ricerca di rassicurazioni, o solo voglia di approfondire qualcosa che io non volevo.
Nel dubbio, mi alzai in piedi e mi avvicinai alla libreria in cui c'erano dei vinili.
«Per caso di piacciono i the1975?»
Cambiai discorso, ma lui non ci restò male.
«Perché, a te no?.»
«Sì, ma non così tanto, Ace.»
Sorrise abbassando lo sguardo.
«Lo fai sempre quando vuoi dire qualcosa, ma poi non lo dici. Quel gesto», dissi indicandolo.
«La signorina ora legge anche nel pensiero.»
«Magari. Però io dico ciò che penso anche a costo di farmi figuracce. Non dovresti avere paura di... »
Ace si alzò in piedi e mi venne vicino. «Mi fanno pensare a te, okay?»
Poi mi zittì con un bacio sul collo.
«Stavo pensando che ho visto tutte le tue stanze da letto... tranne quella di quando eri piccolo, a casa dei tuoi.»
Lui mi spostò i capelli dietro orecchio.
«Scarlett, domani ti porto in un posto.»
«Davvero?»
«Sì.»
«Parlerai con tua mamma?»
«Sì. Le dirò che non mi preparerò per le nazionali.»
«Ace... Aspetta. Fino a poco fa eri indeciso e...»
«Ho deciso», asserì risoluto.
«Ma... Ci hai pensato davvero?»
«L'università è sufficiente.»
«Ma sei sempre riuscito a fare entrambe le cose.»
«Lo so ma ora è diverso», sussurrò con gli occhi nei miei.
Per un attimo mi sentii responsabile, ma scacciai immediatamente quel pensiero folle.
Ace tornò a sedersi. Sembrava pensieroso e io sapevo che c'era qualcosa che non gli permetteva di stare del tutto tranquillo.
«Possiamo mangiare signorina, o...?»
Scoppiai a ridere, poi delle voci dal corridoio ci interruppero.
Quando riconobbi quella di Amber mi allarmai e andai subito ad aprire la porta.
Amber mi guardava con occhi terrorizzati.
«Abbiamo trovato Jade. Era qui davanti al cancello di casa.»
«Ma come, quando è arrivata?»
«Non lo so. È svenuta e non riusciamo a rianimarla.»
Non era un capitolo, ma un libro ✨
Grazie a chiunque sia arrivato fin qui ♥️
Vi chiedo solo di mettermi un like se vi è piaciuto il capitolo 🙏🏻 e spero tanto sia così.
Il prossimo sarà piuttosto movimentato, finalmente un po' di azione... ✨
Vi amo sempre 🎀
A presto.... Con il capitolo, o chissà cos'altro... 🤍
🫶🏻
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