𝖔𝖙𝖙𝖔 - 𝐈 𝐝𝐨𝐧'𝐭 𝐰𝐚𝐧𝐭 𝐲𝐨𝐮 𝐥𝐢𝐤𝐞 𝐚 𝐛𝐞𝐬𝐭 𝐟𝐫𝐢𝐞𝐧𝐝






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Made your mark on me,
a golden tattoo





L'edera mi aveva sempre attratta. Forse per via del suo fascino enigmatico, o forse per il suo potere di avvolgere e catturare tutto ciò che tocca. L'eleganza con cui si arrampica, la sua abilità di adattarsi a ogni ambiente per sfuggire agli sguardi con la sua natura subdola.

Rimasi a osservare la pianta che si inerpicava sul muro esterno, lo stesso che avevo fissato a lungo, ieri notte, appena dopo aver aperto la lettera. L'istinto di chiamare Ace era stato forte, ma l'avevo represso con tutte le mie forze. Avevamo litigato e sapevo che non avrei ottenuto risposte da lui, non dopo il modo in cui mi ero comportata. E non riuscivo ancora a perdonare ciò che aveva fatto a Cedar. Forse era solo una fase, ma il mio orgoglio mi impedì di chiedergli aiuto.

E poi... cosa significava quel documento? Avrei potuto chiamare mia madre, ma avrebbe trovato un modo per arrabbiarsi con me. Così me n'ero andata a letto con la testa piena di domande, e la mattina seguente mi ritrovavo ancora in quello stato, in pigiama, nel piccolo giardino a innaffiare le piante della nonna.






I rami sinuosi dell'edera si arrampicavano sul muro, formando un intricato intreccio che adornava il grigio dell'intonaco. Le foglie scintillavano sotto i primi raggi del sole, circondando la finestra di legno e il piccolo portico adornato da vasi di gardenie e ortensie.
Mi voltai e notai che lungo il vialetto, l'edera serpeggiava anche lì, strangolando tutto ciò che abbracciava, nutrendosi delle vite altrui, prosciugando gli alberi fino a ucciderli. E anche una volta fatta la sua vittima, trovava sempre altro da consumare. Come un parassita che rovina ciò che tocca, cresce negli spazi lasciati abbandonati. E proprio in quel vuoto che sentivo dentro di me, forse avevo permesso all'edera di germogliare.

«Scarlett?»

L'innaffiatoio mi scivolò dalla mano, gettando acqua ovunque.

«Ti aiuto», disse la voce maschile alle mie spalle.

Mi voltai di scatto, spaventata. Con un movimento maldestro urtai un vaso che cadde dal davanzale, frantumandosi in mille pezzi.

«Sei cresciuta, ma sei ancora distratta allo stesso modo», constatò Ivory Sanders, che si era materializzato davanti a me.

«Scusa», mormorai.

Lui posò le mani sui fianchi e mi guardò mentre mi abbassavo a raccogliere i cocci, ma inavvertitamente mi ferii con il bordo affilato di un frammento. Nascosi la mano dietro la schiena, stringendo il pugno per celare il sangue che dopo poco cominciò a colarmi tra le dita.

«Aspetta, ci penso io.»

Vidi la sua figura avvicinarsi all'ingresso, recuperò la scopa dal ripostiglio e iniziò a ripulire il disastro. Infine raccolse i cocci gettandoli nella spazzatura. Io intanto sentivo la mia mano pulsare dal dolore.

«Perché non mi dai una possibilità?»

La sua richiesta mi fece trasalire, poi un bagliore mi offuscò la vista perché mi rialzai in piedi di scatto. Mi girava la testa. Forse stavo perdendo troppo sangue.

«Cosa?»

«I miei sermoni non sono poi così noiosi, lo sai», continuò a parlare.

«Me lo ricordo.»

«Anche se non stavi mai attenta.»

Non ricambiai il sorriso che mi rivolse.
Osservai le rughe intorno ai suoi zaffiri e i ricordi si agitarono dentro di me, impedendomi di rilassarmi. Pensai a quanto parlavo sempre troppo, durante le sue funzioni ecclesiastiche, e quanto a lui non piaceva, specialmente quando mi distraevo.

«Magari possono darti spunti interessanti.»

La sua insistenza mi levò le parole di bocca.
Forse era la paura a paralizzarmi.
Non mi accorsi di avere della terra addosso, finché lui non si avvicinò e me la tolse via con un colpetto di mano sui miei fianchi, avvolti dai pantaloncini del pigiama.

Mi chiesi se avesse notato la cicatrice, o se avesse scelto di far finta di non vederla.

«Quando torni in caffetteria?», domandò «Rose mi ha detto che hai preso dei giorni liberi.»

«Non so ancora se...», iniziai ma fui interrotta.

«Tua nonna esce oggi. Cosa non sai?»

«Niente.»

Non gli avrei detto di Ace.

«Scarlett, mi stai nascondendo qualcosa?»

A differenza della mia, la sua voce era ferma.

«No, no.»

«Prenditi questi giorni per stare con la nonna, poi puoi tornare in caffetteria», ribadì con un tono che non lasciava spazio a discussioni.

«Okay» capitolai, ormai senza fiato.

«Scarlett!»

Mi riparai gli occhi con la mano e sollevai il capo verso il balcone della casa accanto. La signora Sanders era affacciata e mi aveva appena richiamata.

«Vieni a pranzo?»

«No, grazie.»

«Mangia qualcosa, così ti accompagniamo a prendere la nonna», poi si rivolse al marito.
«Ivory il pranzo è quasi pronto», disse prima di rientrare in casa.

Mi sfiorai lo sterno con la mano e non mi resi conto che stavo sanguinando.

«Ti sei ferita»

Guardai la t-shirt del pigiama, ormai macchiata di rosso.

«Andiamo dentro, te la fascio con una garza»

Mi guidò verso la porta che avevo lasciato socchiusa e mentre io recuperavo l'occorrente dal bagno, lui trovò la lettera sul tavolo. Tuttavia, anziché aprirla, la lasciò lì e si concentrò su di me. 

«Brucia?», chiese indicando la mia mano.

«Solo un po'», risposi.

Mi fece sedere su una sedia e si chinò davanti a me.

«Senti, Scarlett...», iniziò.

Sospirai e dovetti usare tutte le mie energie per non volare via da lì, in quel momento.

«Non mi aspettavo tornassi. E non perchè ci fosse un motivo in particolare...», proseguì sollevando lo sguardo nel mio.

«Mi dispiace», replicai di getto.

«Non ti preoccupare, è acqua passata», mi rassicurò.

«Ma... è proprio per questo che penso tu debba tornare a frequentare la chiesa. Ogni tanto si perde la bussola, l'importante è ritrovare la retta via», aggiunse con tono pacato, continuando a disinfettarmi la mano.

Quindi sapeva? Sapeva della più minima, piccola, minuscola cotta che avevo avuto per lui?

Era stato un momento di debolezza, una breve scintilla ormai sopita, ma non potevo nascondere il turbamento che la sua gentilezza e le sue attenzioni, forse troppe, suscitavano in me. I suoi modi di fare, a volte così accondiscendenti, mi recavano quasi fastidio, eppure non sapevo spiegarmi il motivo. I suoi sguardi perseveranti e le sue parole intrise di allusioni, mi facevano sentire al sicuro, come l'orfana prescelta in una moltitudine di bambini. Ma a volte no. A volte la sua presenza strideva, proprio come una scia di unghiate sul muro.

E sebbene mi piacesse vivere nell'illusione che lui non si fosse accorto di nulla, era ovvio che sapesse. Anche perchè occasionalmente me lo lasciava capire. Mai davanti alla nonna però. E io mi sentivo in colpa, come se tradissi Rose e la signora Sanders, anche solo con uno sguardo.

«Stai ancora con quel tuo compagno di classe?»

«Copper? No. Non stavamo insieme.»

«C'è qualcun altro?»

Lo guardai, mentre finiva di fasciarmi la mano.

«No.»

Curvai il collo rifuggendo le sue dita, quando mi spostò una ciocca di capelli dietro orecchio.

«Scarlett...»

Allungai una mano verso il tavolo e afferrai la lettera. «È arrivata questa», annunciai porgendogliela, forse per timore di ciò che avrebbe potuto dire. O fare.

Lui si stranì del mio atteggiamento, ma prese comunque la busta e lesse il documento che conteneva.

«Non lo faranno.... Non demoliranno la chiesa», commentò.

«La chiesa?», domandai confusa. «Qui si parla della casa della nonna...»

«Butteranno giù il quartiere per fare delle nuove costruzioni. Le case sono vecchie e dicono non siano a norma e nemmeno sicure. La verità è che vogliono rimodernizzare la zona, tagliare tutti gli alberi e costruire palazzi e centri commerciali.»

«Ma non possono...»

«Non lascerò che buttino giù la chiesa», dichiarò con fermezza.

«E le case? Noi dove andremo?»

«L'azienda costruttrice ha offerto una considerevole somma di denaro e la possibilità di trasferirci in un'altra zona, mentre loro procederanno alla ricostruzione di un quartiere più moderno», spiegò.

«Ma la nonna non accetterebbe mai...»

«Ne sei sicura? Perchè questo documento sembra dire altro. Ha firmato l'offerta.»





Verso le due andammo a prendere la nonna, che finalmente era stata dimessa dall'ospedale. I suoi occhi verdi s'illuminarono quando varcò la soglia di casa, e io non riuscii a pensare ad altro.
Era impossibile che sapesse.

Entrando in salotto, la signora Sanders recuperò il documento dal tavolo e lo nascose. «Non facciamola preoccupare», mi suggerì sottovoce.

«Non posso nasconderle una cosa del genere», le dissi, angosciata.

«Lo so Scar, ma devi fidarti», rispose lei.

Annuii poi aiutai la nonna a disfare le valige in camera sua, mentre la mamma di Rose scaldava una porzione di pasta.

«Tesoro, ma cosa fai ancora qui? Farai tardi!», esclamò la nonna guardando l'ora.

La fissai confusa. Ero così sconvolta per la questione della casa, che mi ero dimenticata del lavoro a casa di Ace.

«Nonna, ma sei sicura?»

«Vai, che aspetti?»

La strinsi in un abbraccio e, dopo aver salutato la signora Sanders che sistemava la cucina, mi diressi verso l'uscita.

Se non piove, prendo la bici. Ero immersa nei miei pensieri, quando varcai il corridoio e una mano mi fermò dal braccio.

«Ahia», mi abbandonai a un piccolo lamento.

«Dove stai andando?»

Non riuscii a sollevare lo sguardo, rimasi ferma ai bottoni che gli chiudevano la camicia bianca. Sentii però i suoi occhi blu correre sui miei abiti.

«Da un'amica.»

E finalmente mi lasciò andare.






































Con lo stomaco ancora sottosopra, presi la bici e pedalai fino a casa di Ace. Il sole alto nel cielo scaldava le mie membra, infondendomi una piacevole sensazione di benessere. Una volta arrivata a destinazione, mi accorsi di aver ricevuto una chiamata da Cedar.



«Quindi il telefono ti funziona adesso!», esclamai quando rispose alla mia chiamata.

«Scar, ma tu come facevi a saperlo ieri sera?»

«Ehm.... non lo sapevo. Sai, io tiro a indovinare.»

Chiusi gli occhi, pentita di avergli appena rifilato quella bugia, ma Cedar non ci fece caso.

«Okay, senti ti ho chiamata per dirti che ho una partita dopodomani, ci vieni?»

«Non lo so...»

«Non vuoi vedere me o non vuoi vedere Copper?»

Scoppiai a ridere. «Ah, già c'è pure lui. Mi ero dimenticata esistesse.»

«Ti dimenticherai anche di me?»

«No, è che...» Mi schiarii la voce. «Chiedo a Mauve, magari riusciamo a venire insieme.»

«Per quanto riguarda me, stavo scherzando. Perchè non dovresti volermi vedere?»

Poggiai la bici al muro della villa e suonai il campanello.

«Ti faccio sapere, Ced.»

«Certo, ciao.»

Cedar sembrò leggermente stizzito, ma decisi di non darci troppo peso.

Peach venne ad aprire la porta, seguita dal dobermann che restò dietro di lei, fissandomi a debita distanza. Dopo avermi salutata, la donna mi fece entrare e un profumo di frutta fresca solleticò le mie narici. Mi sfuggì un sorriso nel vedere le cassette di fragole posate sul bancone della cucina.




«Ho passato la mattinata a raccoglierle.»

Peach mi rivolse un sorriso, ma io mi irrigidii quando mi accorsi del cane che si era avvicinato a me, silenzioso come un felino.
Sembrò studiare la mia fasciatura, poi si allontanò a passo lento.

«Tutto bene?», chiese Peach, anche lei incuriosita dalla mia mano ferita.

«Sì, mi sono tagliata con il coccio di un vaso. Sono già lavate?», chiesi riferendomi alle fragole.

«Non ancora. Dopo te ne preparo una scodella se vuoi, così fai una pausa dal lavoro», disse con tono affabile.

«Grazie mille, Peach»

«La signora è in terrazza.»

Mi affacciai dalla finestra per dare un'occhiata fuori, ma Peach mi richiamò, aprendo la porta del corridoio e invitandomi a seguirla.

«É di sopra, all'ultimo piano. Vuoi aspettarla qui o...»

Cominciai a guardarmi in giro e riconobbi immediatamente il suo profumo. Sapevo che Ace era lì, nonostante non avessi visto la sua macchina fuori.

«Okay, ti accompagno da lei», disse Peach, che evidentemente aveva capito.



Salimmo le scale e uscimmo in terrazza, dove ci accolse il sole pomeridiano che riscaldava una piscina semi coperta da una tettoia in legno. Brick e Jet erano spaparanzati sulle sdraio.

«Sei bianco come un cadavere Jet, se non ti metti la crema ti ustioni.»

«Brick, senti, per caso mia sorella ti ha passato il testimone? Se non c'è lei, sei tu ad avere il compito di rompermi il cazzo?»

«Quando sarai carbonizzato, non venire a piangere da me.»

«Scarlett, eccoti!»

La mamma di Ace mi notò all'istante e mi venne incontro.
Balbettai un "ciao" alla quale risposero anche Brick e Jet.

Mi accorsi di Ace, solo quando uscì dall'acqua. Piantò i palmi sul bordo della piscina e si issò in piedi in tutta la sua altezza. I pantaloncini bianchi del costume gocciolarono sulle mattonelle di terracotta.

Con un movimento fluido, si avvolse le spalle con un asciugamano blu, senza distogliere lo sguardo dal mio. Aveva un'aria infastidita, non solo a causa dei raggi del sole.

«Sono in anticipo?», domandai, leggermente turbata da quello spettacolo inatteso.

Riportai la mia attenzione sulla madre, cercando di restare concentrata.

«No, stavo dando due raccomandazioni a mio figlio. Ora ho una telefonata, poi devo uscire e...
oh aspetta un attimo», disse la donna, allontanandosi per rispondere alla chiamata.

Sembrava sempre così impegnata, mi chiesi come facesse a trovare del tempo per la sua famiglia.

Nel frattempo, Ace mi fissava senza parlare. Non so di cosa mi stessi privando in quel momento, perché mantenni lo sguardo fermo nel suo. Sarebbe stato peggio interrompere quella connessione per scivolare via e perdermi tra le tessiture dei suoi muscoli duri e abbronzati.

«Scarlett, ne vuoi un po'?»

Peach tornò con un vassoio colmo di bicchieri e una caraffa di limonata fresca.

Non fui abbastanza svelta nel rispondere, che Ace prese la parola al posto mio.

«Scarlett è qui per lavorare, no?», disse con aria di sfida, freddando l'aria attorno a me.

Jet ridacchiò, mentre Brick lo fulminava con lo sguardo.

«Non ruberò neanche un sorso della tua preziosa limonata, sta' tranquillo», replicai, cercando di mantenere la calma.

Jet strinse la labbra per trattenere l'ennesima risatina divertita, mentre Brick rimase immobile con il bicchiere di limonata in mano, il suo divertimento palpabile anche a distanza.

E se io trovavo stimolante confrontarmi con lui, Ace sembrava invece disinteressato a parlare con me, perchè si rivolse di nuovo a Peach.

«Peach, non preoccuparti. Se Scarlett avrà sete o vorrà mangiare qualcosa, lo chiederà a me.»

Continuava a parlare di me in terza persona e la cosa cominciava a darmi sui nervi.

«Quindi vuoi farla morire di stenti?» lo provocò Brick.

Vidi le labbra di Ace curvarsi subdolamente, l'attimo prima di sorseggiare il suo bicchiere ghiacciato senza interrompere il gioco di sguardi.

«Qual è il problema? Basta chiedere in modo educato», aggiunse dopo essersi leccato le labbra.

Peach non riuscì a trattenersi. «Ace, però...»

«Grazie Peach, qui siamo a posto», la interruppe Ace con un tono duro, costringendola ad allontanarsi e tornare in casa.

Ace sapeva essere gentile, galante e protettivo, ma avevo appena scoperto che era anche dannatamente vendicativo. Me l'avrebbe fatta pagare, tutta. E io, seppur conscia di quel pensiero, non riuscii ad abbassare la testa.

«Spetta a tua madre decidere, non a te», lo sfidai.

Ace mosse due passi, lentamente, accorciando la distanza tra i nostri corpi.

«Lei non ci sarà oggi pomeriggio», sussurrò abbassandosi al mio orecchio. All'improvviso il sole divenne insopportabile e la pelle delle mie guance cominciò a bruciare.

«Quindi, fossi in te, mi comporterei bene. E farei la brava.»

Girai di poco il capo, ma lui non si spostò minimamente. Nel suo respiro avvertii la menta fresca mescolata alla nota acidula del limone.

«Non ho sentito, Scarlett», proseguì incalzante.

Deglutii. Le nostre labbra erano troppo vicine. Voleva che gli dicessi "sì, Ace."

Beh... non l'avrei fatto.

«Bastava che non organizzassi il tè pomeridiano con i tuoi amici, proprio quando sapevi che sarei venuta qui.»

La mia voce era troppo flebile. Ace sorrise, due fossette gli solcarono le guance. Non mi stava prendendo sul serio, ma io non mi fermai.

«Non è nemmeno più casa tua questa», proseguii causandogli un'espressione sorpresa.

A quel punto lo vidi cambiare faccia. Le sue labbra tornarono a formare una linea dritta.
Inspirai profondamente, nella speranza di mantenere i nervi saldi, ma il suo corpo abbronzato emanava tutto il calore del sole e l'odore cloro sublimava il suo buon profumo.

«Quindi pensi davvero che io venga qui solo per te?» domandò, affilando lo sguardo.

Mi mancò il fiato.

«So che non ti piace stare qui, perciò il motivo deve essere alquanto importante...»

La mia voce tremó quando i suoi occhi si scurirono. Provai a indietreggiare e Ace mi fermò dal polso. La sua presa fu delicata, ma lo sguardo troppo duro.

«Cos'hai fatto alla mano?»

Il tono di voce profondo mi diede i brividi. Non riuscii a rispondere. Lui mi guardò e io sentii la tensione esplodermi nella pancia.

«Ace!»

Sua madre lo redarguì prontamente e lui fece un passo indietro.

«Lasciala stare, per favore.»

La donna lo investì con uno sguardo severo.

«Andiamo». Poi mi indicò la strada, accompagnandomi verso la casa.

«Non farti distrarre da mio figlio. Ha quasi finito gli esami e comincia ad annoiarsi.»

Si girò e gli scoccò un'altra occhiataccia. «Quando invece avrebbe gli allenamenti di nuoto.»

«La piscina per allenarsi c'è», udii Brick in lontananza.

«Tua madre ti dà un po' di tregua almeno mentre scopi?» scherzò Jet mentre io e Fawn scendevamo le scale.

La donna scosse il capo, poi, una volta davanti al suo ufficio, mi rispiegò brevemente le mansioni e si dileguò.

«Verrò a portarti la merenda a un certo punto», mi avvisò Peach con un cenno d'intesa.

«Devi chiedere il permesso ad Ace?»

«Di sicuro non chiedo il permesso a un ragazzino!», esclamò lei, facendomi sorridere.

Così mi chiusi nell'ufficio e per circa un'ora misi in ordine i fascicoli che mi erano stati indicati. Fawn mi aveva spiegato come usare un programma sul computer, ma fu troppo frettolosa e io a un certo punto mandai tutto in crash. La rotella girava, sembrava bloccato e io ero disperata.

Fortuna che Peach venne a portarmi un tè freddo alla pesca e una tazza di fragole mature. Quel gesto carino mi distrasse, ridandomi il sorriso, ma fu troppo breve perché il computer continuava a non funzionare. Provai di nuovo a riavviare il programma, ma invano.

«È inutile che continui a cliccare.»

Mi voltai di scatto.

Ace era fermo sulla porta, si era lavato e vestito.

«Posso?» chiese avvicinandosi.

«Be', il computer non è mio, quindi...»

«No, intendevo...»

«Cosa?», domandai incerta.

Poi però deglutii a fatica, perché lui si posizionò alle mie spalle.

«Fare questo.»

Mi circondò con le braccia, avvolgendomi completamente, e un senso di sicurezza m'invase.

«Ace, non credo che...», m'interruppi quando percepii il suo petto caldo contro la mia schiena tremante.

«Non credi che...?»

Mosse le dita sulla tastiera in modo troppo svelto e io non riuscii a vedere cosa facesse di preciso, ma sistemò il computer, poi con l'indice sfiorò delicatamente la fasciatura che mi copriva la mano.

«Cos'hai fatto?», mi sussurrò all'orecchio, il suo respiro caldo sulla mia pelle sensibile.

«Ho urtato contro un vaso e mi sono ferita mentre raccoglievo i cocci, niente di grave», risposi.

«L'hai disinfettata?», chiese.

«Sì.»

Ace si allontanò appena per darmi spazio di girarmi verso di lui.

«Grazie per il computer...», bisbigliai con un filo di voce, lo sguardo basso.





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Ace annientò ogni distanza tra noi e mi raccolse il mento con due dita. Eravamo così vicini che riuscii a percepire il sapore del limone marchiare le sue labbra leggermente socchiuse. Guardò le mie e io mi sentii morire quando si lucidò la bocca con una passata di lingua. Il cuore mi martellava così forte, che per un attimo pensai potesse udirlo, o forse vederlo attraverso la mia maglietta.

«Ace...» riuscii a sussurrare, ma la mia voce era appesa a un filo d'aria.

Lui unì le labbra distruggendo l'ossigeno che vi passava in mezzo. «Mhm?»

Perchè sei così ostile con me?

Non so come, ma Ace capì il mio sguardo confuso e si sedette sulla sedia dietro la scrivania. Io rimasi immobile, paralizzata.

«Continua, no?», m'incoraggiò, indicando i documenti da risistemare.

«Perchè devi torturarmi?»

«La mia presenza è una tortura, davvero?»

Le mie guance avvamparono. «No, ma...»

«Se non riesci a farlo davanti a me, allora non sei tagliata.»

Così ci provai. Provai a concentrarmi, eppure...
Come faccio?

Dovevo rimettere a posto quelle scartoffie, ma il suo profumo dilagava nella stanza, distraendomi. Ogni tanto mi perdevo nei miei pensieri e ogni due secondi mi cascava qualcosa dalle mani. Quando un documento scivolò a terra, anziché raccoglierlo, mi voltai verso di lui. Ace restò sulla sedia, si abbassò soltanto per prendere il foglio dal pavimento, infine me lo porse.

«Grazie.»

«Lascerai la caffetteria?»

«Non penso», risposi, cercando di mantenere il controllo.

«Perchè?»

«Sai, credo che tua madre sia stata fin troppo gentile con me... E anche tu», confessai.

Mi sentii in debito con lui, nonostante si fosse comportato in modo poco carino con Cedar.

«Non mi costava nulla aiutarti.»

«E se ti fosse costato qualcosa, non l'avresti fatto, Ace?»

Vidi il suo sguardo spostarsi a lato, stava pensando a qualcosa. Infine annuì. «L'avrei fatto ugualmente.»

«Per questo Honey è venuta a chiederti un passaggio, vero?», chiesi guardandolo dritto negli occhi.

«Be', se una ragazza è ubriaca, non la lascio guidare. Se posso l'accompagno a casa», rispose, confermando le mie supposizioni.

«E sei arrabbiato con me.»

Lui si stirò, portando il bacino in avanti. «Mhm, poi?»

Non aveva negato. Ma le mie guance erano già in fiamme.

«Sei... infastidito.»

«E tu sei agitata.»

«No.»  Indietreggiai, urtando il fianco contro la scrivania.

«Non era una domanda.»

«Ma se stai lì seduto...»

Lui allora si alzò in piedi e si avvicinò a me con le mani nelle tasche.

«Preferisci così?»

Mi ritrovai con i glutei schiacciati contro il bordo della scrivania, senza sapere cosa dire. Si accostò così tanto alle mie labbra, che volli strapparmi le guance da quanto ardevano.

«L'ultima volta hai detto "niente baci". Cambiato idea, Scarlett?»

Tesi la schiena. «No.»

«Quindi vuoi parlare...», ipotizzò.

Il suo sguardo era serio ma la bocca ebbe uno spasmo malizioso.

«Be', parlare...», iniziai a boccheggiare.

Maledizione, resistergli si sta rivelando più difficile del previsto.

«Perché io non voglio parlare», disse lasciandomi senza fiato.

Non avevo saliva, risposte, pensieri.

Sentii solo il bisogno di schiudere le labbra quando mi guardò dall'alto.
La verità? Non vedevo l'ora che mi baciasse.

Rimasi con i fogli stretti al petto, lui mi circondò con il braccio, posando una mano sulla scrivania alle mie spalle.

«L'altro giorno hai detto di avere paura, di cosa hai paura?», domandò con lo sguardo ben saldo nel mio.

Si ricorda quello che dico?

«Di farmi molto male con te», replicai con un soffio di voce.

I suoi occhi restarono pesanti, dentro di me. Nelle mie pupille dilatate.

«E tu di cosa hai paura, Ace?»

«La stessa cosa. Fartene senza volerlo.»

Replicò così velocemente da levarmi il fiato.

Reclinai il collo per accogliere tutta l'intensità dell'occhiata che mi lanciò addosso, ma il suo sguardo vagava dai miei occhi alle mie labbra, troppo sfacciatamente.

Se ora cominciamo a baciarci, diventa un incendio.

No, dovevo pensare ad altro.

«Nemmeno tu sembri aver voglia di parlare», aggiunse leggendomi nel pensiero.

«Tu, Ace?»

«Non ho varcato quella porta per parlare, te l'ho detto, Scarlett. Ma tu...»

Mi ghiacciai perché sfiorò la mia gola con l'indice. «Ma tu l'ultima volta mi hai dato questa regola del "niente baci".»

«E se non te l'avessi data?», chiesi con il poco fiato che mi rimaneva.

«Sarei entrato qui dentro, avrei chiuso la porta e ti avrei presa.»

Sentii le sue dita affondare nel mio collo. Mi afferrò dalla gola facendomi sgranare gli occhi.

«Poi ti avrei baciata.»

Si abbassò sulle mie labbra, provocandomi con quel gesto spudorato.

«Senza nemmeno salutarmi?», gli domandai.

Ace mi guardò con aria corrucciata.

«Già, ma tu mi avresti detto di no.»

«Già», confermai.

«Quindi deduco che tu sia ancora arrabbiata con me», disse lasciando la presa.

In realtà, ora che il cellulare di Cedar funzionava, non ero più arrabbiata con lui.

«No, però di sicuro non ti bacio, Ace.»

«Anche se lo vuoi», realizzò con una punta di orgoglio.

«Ora devo finire il lavoro che mi ha dato tua madre, non posso stare qui a parlare di ciò voglio o non...».

Un sorrisetto compiaciuto gli modellò il lato della bocca. «Ah, quindi adesso mi vuoi.»

Poi mi cinse la vita con entrambe le mani e mi fece sedere sulla scrivania. Afferrò la mia mano e osservò la fasciatura. Bastò quel semplice gesto e le sensazioni della mattina presero il sopravvento. C'era Ace lì con me, ma sentii una sensazione insidiosa riemergere alla bocca dello stomaco. Come l'edera, era qualcosa che mi cresceva dentro.
Il senso di colpa.

«L'hai fatta tu questa fasciatura?»

Porca miseria, non gli sfugge niente.

La voce di Ace si perse. Avvertii la pressione tra i miei fianchi e il suo calore m'inondò la mente e il corpo come una scarica elettrica.
Schiusi la bocca e lui vorticò la lingua insieme alla mia, facendomi impazzire. Mi strinse con forza e la pelle in mezzo alle mie cosce cominciò a bruciare per pressione forte che applicò.

«Scarlett stai bene?», mi chiese d'un tratto.

La sua voce mi risvegliò da un brutto incantesimo.

«Cosa?»

Lo guardai. Ace era immobile, le guance leggermente dorate e le sopracciglia ambrate sollevate, in segno di confusione.

Non mi ha baciata.
Mi sono appena immaginata tutto.

«Ehm... sì è solo un taglietto», minimizzai ricordando di essermi persa subito dopo la sua domanda.

Ace annuì, poi affondò una mano nella tazza poggiata sulla scrivania e prese una fragola. Se la portò in bocca e la masticò, continuando a fissarmi con aria diffidente.

«Per un attimo ti sei...»

«No, io sto bene», mi affrettai a dire.

E m'imbarazzai. Come se Ace potesse leggermi nella mente.

«La vuoi?»

Mi rivolse quella domanda con le sue labbra invitanti, del medesimo colore del frutto maturo che mi stava offrendo.

Senza attendere una risposta, Ace afferrò una fragola, ne morse metà e portò l'altro pezzo alle mie labbra. Poi lo spinse con il pollice dentro la mia bocca.

Ma l'imbarazzo mi paralizzò e riuscii a malapena a schiuderla.

«Aprila, di più.»

Obbedii e sentii il suo polpastrello dolce slittare sulla mia lingua.

«A cosa stavi pensando poco fa?», domandò con gli occhi fissi sul dito che spariva nelle mie labbra.

Feci cenno di no con la testa. Non volevo dirglielo.

«Ancora», ordinò assottigliando lo sguardo.

La fragola l'avevo ormai ingoiata, ma Ace continuava a carezzarmi il labbro inferiore. Non riuscivo a capire che cosa volesse.

Poi appoggiò la fronte sulla mia, forse affaticato da quello scambio di sguardi languidi e io sentii le guance farmi male. Le gambe cedere. E lo stomaco si contrasse. Guardai la sua bocca a pochi centimetri dalla mia. E la desiderai così tanto.

«Ancora», ripetè.

Succhiai la punta del suo pollice, rubando tutto lo zucchero rimastovi sopra. E avvertii di nuovo quella pressione nel bassoventre, anche se non mi stava sfiorando.

«Ace...»

«Ancora», ripetè, perforandomi con uno sguardo intenso. Vorticai la lingua intorno al suo dito che aveva un buon sapore di fragola.

«Lo vuoi ora?»

Ace fece scivolare il polpastrello, ritraendolo piano.

«Il bacio, lo vuoi?»

Io non risposi, ma quando strinsi le labbra intorno al suo pollice, udii un gemito roco solleticargli la gola.

Poi un tonfo alle mie spalle mi fece sobbalzare. Qualcuno bussava alla porta.

«Cazzo.»

Ace si voltò verso la finestra e prese un lungo respiro mentre udimmo dei passi fare il loro ingresso nell'ufficio.

«Ace?»

«Ciao papà, la mamma è uscita.»

L'uomo mi osservò con aria stralunata.
Io intanto mi ripulii con il dorso della mano e mi coprii le labbra che, troppo sensibili, bruciavano ancora.

«Scarlett, giusto? Pensavo di trovare mia moglie. Sapete dov'è?»

«Non dovresti saperlo tu?», sbottò Ace continuando a guardare fuori dalla finestra. Posò le mani sul davanzale e i miei occhi slittarono sulle vene prominenti che gli attraversavano le braccia.

«Credevo lavorasse a casa oggi.»

Vidi Ace stringere la mandibola ma non capii il perché del suo atteggiamento.

«Be', ero venuto qui perché avevo una bella notizia da comunicarle, perciò lo dico a voi. Mi hanno appena dato l'okay per la mostra al castello. Dovresti venirci, Scarlett. Lo stiamo rimettendo a nuovo, è davvero uno spettacolo.»

«Quando?», gli chiesi curiosa.

«Domani... Ah, no, domani c'è la festa di beneficienza. Dopo domani», rispose con sguardo pensieroso.

«Grazie mille per l'invito, ci penserò.»

«Va bene, io vado a chiamare tua madre», disse poi rivolgendosi al figlio.

«Già, fai così», borbottò Ace e quando suo padre abbandonò lo studio, finalmente si voltò.

«Non so se verrò alla mostra...» annunciai.

«Perché?» chiese senza scollare gli occhi dalle mie labbra.

«Cedar ha una partita dopodomani, ma sono felice che tuo padre mi abbia invitata.»

Lui rimase in silenzio per qualche istante, poi spostò lo sguardo lontano da me.

«Non farti illusioni, mio padre invita chiunque.»

Infine se ne andò, lasciandomi letteralmente senza parole.


🦋💙🦋💙🦋


«Non lo so, Mauve... non lo capisco, ti giuro.»

«Cosa c'è da capire?» mi chiese lei mentre eravamo al telefono.

«Perchè fa così? Ha detto che sono "chiunque". L'ha proprio detto... non gli importa niente di me, forse Sienna ha ragione. È solo annoiato.»

«Scar, non lo so... è venuto in ospedale da tua nonna.»

«Sì, ma...»

«Hai paura voglia solo quello?»

Mi lanciai su letto sbuffando. «Non è forse la paura che abbiamo tutte?»

«Già...»

«Hai parlato con Brick?»

«Brick mi tratta come un'amica. Ora gli piace questa tizia che è l'opposto di me. Non lo so, se prima ero nella mia Speak now Era ora mi sto ritrovando impantanata in Teardrops on my guitar e non è bello.»

Io e Mauve amavamo descrivere i nostri stati d'animo usando le canzoni di Taylor Swift e la cosa creava una connessione tutta nostra, perchè così capivamo perfettamente cosa intendessimo.

«Almeno tu stai nella tua "Reputation era", Scar. E non perché vuoi vendicarti, ma perché lui è palesemente preso da te.»

Già, eppure mi sembra di stare su un treno in corsa che va a tutta velocità verso Red, senza passare da Lover.

«Non ne sarei così convinta, Mauve...»

«Lo vedi stasera?»

«Certo che no... Ora ti devo lasciare. Mia nonna vuole andare in chiesa.»











Quella sera la nonna voleva andare in chiesa per davvero. Era appena uscita dall'ospedale e io desideravo trascorrere del tempo insieme a lei, quindi non potei fare a meno di accontentarla.
E l'edera era anche lì. Soprattutto lì.

Erano le otto di sera quando entrai in quel vecchio edificio. L'odore d'incenso mi assalì lo stomaco e mi strinse la gola. Volevo fuggire. L'acqua mi riempì gli occhi e i polmoni, come una cascata al vetriolo.
Senza nemmeno rendermene conto, mi tastai la guancia, che bruciava quando sentivo quell'odore, come se lo schiaffo lo avessi appena ricevuto.

«Scarlett, vuoi restare qui con me?»

La nonna mi sorrise e io provai in tutti i modi a non mostrarle che stavo tremando.

«No, nonna. Torno a prenderti tra un'ora.»

«Ci vediamo dopo», mi salutò avventurandosi tra le file di panche in legno.

Lanciai un'occhiata distratta all'altare. A volte mi immaginavo là sopra, poi però l'idea mi abbandonava subito.
Che cosa mai avrei potuto insegnare?
Io, a differenza sua, non sapevo nulla.



Avevo deciso di passare inosservata, dal retro, evitando gli sguardi delle amiche di mia nonna e delle donne della comunità religiosa. Tuttavia, finii per ritrovarmi a sbirciare nell'ufficio del pastore.

«Scarlett.»

Lo vidi uscire da lì e dopo aver stretto la mano a una signora anziana, mi fece cenno di entrare nel suo stanzino. Ma io restai ferma, non volevo varcare quella soglia.

«Già finito con la signora?», gli chiesi quando si unì a me, nel corridoio illuminato da imponenti candelabri.

«Sì, sei arrivata tu.»

«Ho solo accompagnato la nonna per evitare che facesse il tragitto da sola. Tornerò fra un'ora a riprenderla.»

«Quindi non ne vuoi proprio sapere?», mi chiese con un'aria vagamente interrogativa.

Non riuscii nemmeno a scuotere la testa in segno di negazione. Sapevo che voleva solo aiutarmi, ma avevo un rifiuto profondo per quel luogo.

«Non c'è fretta, Scarlett. Non devo mica convincerti subito, ora che so che starai qui per tutta l'estate.»

«Devo andare.»





Tornai a casa giusto in tempo per lasciar scorrere tutte le lacrime che avevo trattenuto nelle ultime ore. Appena chiusi la porta alle mie spalle, mi lasciai andare. Avevo solo bisogno di piangere.
A volte non riuscivo a individuare una causa, piangevo e basta.

Ma quando varcai la soglia della mia stanza con gli occhi offuscati dalle lacrime, scorsi qualcosa in fondo al letto. Erano rose. Cosa ci facevano tutte quelle rose in camera mia?





Notai che accanto al mazzo c'era un bigliettino.

non sei chiunque, lo io sono quando ti ferisco

Scoppiai di nuovo a piangere.
E sì, c'erano ancora le spine.






«Chi ti manda tutte queste rose rosse?»

La voce della nonna s'insinuò nei miei sogni che erano molto meno nitidi rispetto a ciò che immaginavo a occhi aperti.

Mi tirai su di scatto. Dove mi trovo?

«Nonna!», esclamai.

«Sono proprio io», disse lei incrociando le braccia al petto.

«Ma è mattina» realizzai guardando il sole oltre le tende.

Oh no, mi ero addormentata piangendo.

«Nonna scusami, come ho potuto...»

Lei però non mi stava dando retta, presa com'era a scrutare il mazzo di rose.

«Queste chi te le manda?»

«Ah queste. Ehm... un amico.»

«L'amico che ti manda le rose voglio conoscerlo però.»

Nonna sparì in cucina per preparare la colazione, così feci un audio per ringraziarlo.

«Ciao, grazie per le rose, sono bellissime... forse un po' troppe.»

Ace rispose con un messaggio.

non mandarmi vocali, chiamami.

E così feci.

«Ciao Scarlett.»

«Volevo ringraziarti», dissi con un filo di voce.

«L'hai già fatto. Come va la mano?»

«Ho tolto la fasciatura, era una sciocchezza.»

«Hai fatto attenzione alle spine questa volta?»

Sorrisi. «Certo. Sai cosa dicono?»

«Innanzitutto chi lo dice?», m'incalzò lui.

«L'ho letto in un libro.»

«Fammi sentire. M'interessa.»

Presi un lungo respiro e cominciai a parlare.

«Dicono che quando mostri i tuoi lati negativi, stai rivelando davvero te stesso. E se fai innamorare qualcuno della parte più oscura della tua anima, non ci sarà niente che lo spaventerà. E ti amerà per sempre.»

«Che razza di libri leggi?, mi prese in giro sorridendo.

«Libri in cui i protagonisti tolgono le spine», lo provocai.

«La vita è diversa dalla fantasia, Scarlett.»

«Sei troppo cinico.»

«Così soffro meno le spine, no?»

Continuammo a sorridere, finchè lui non decise di lanciarmi sulle nuvole.

«Voglio vederti, Scarlett.»

Spalancai gli occhi.

Ora? Diceva sul serio? Quando?

«Ma...?»

«Nessun ma, lo voglio davvero.»

Stava per arrivare il ma.

«Andrai alla partita?»

«Quale partita?», chiesi confusa.

«Quella del tuo amico.»

Ah già, Cedar.

«Sì, non lo so.» Mi irrigidii un po' perchè ricordai la questione del telefono. «Cedar ha detto che il cellulare adesso funziona.»

«Non c'era bisogno che te lo dicesse lui. Ora devo andare.»

«Quando hai l'ultimo esame?», lo trattenni con quella domanda, ma in realtà m'interessava davvero ricevere una risposta.

«Tra...» Fece una pausa «Un'ora e mezza.»

«Oh, scusa.»

«Sono contento che le rose ti piacciano.»

Sentii una paralisi al viso per quanto sorridevo.

«Anche con le spine», aggiunse prima di salutarmi.

Misi giù la chiamata e quando mi guardai allo specchio, quasi non riconobbi la ragazza che aveva pianto per tutta la notte. Allungai il collo verso il corridoio e sorpresi la nonna a spolverare una cornice.

«Nonna, non stavi origliando, vero?»

«Ma ti sembro il tipo, Scar?»

Poi scrutò la mia chioma spettinata. «Perchè non sistemi i capelli, dov'è finito il nastro?»

Oh no, quello era un regalo della nonna.

«Ehm...»

«Non l'hai perso, vero?»

«No, devo averlo lasciato da Mauve...»

«Ti ho preparato una tazza di latte», sospirò la nonna, con l'aria di chi sapeva intuire le bugie lontano un miglio.

Mi diressi in cucina con il cellulare tra le mani e mi accorsi che qualcuno mi stava chiamando.
La mamma di Ace.

«Scarlett!»

Esitai per qualche istante. Avevo combinato qualche guaio?

«S...sì?»

«Sono Fawn. Stai bene? Senti, so che la mia sarà un po' azzardata come richiesta... ma oggi ho una festa di beneficienza e due cameriere mi hanno dato buca all'ultimo. Per favore, vieni a darci una mano, te lo chiedo davvero come favore speciale. Ovviamente ti pago, ma è un evento importante e...»

«Mi dispiace, non posso lasciare la nonna da sola.»

Fui ferma nel pronunciare quella frase e ovviamente la nonna si girò verso di me al solo sentirsi nominare.

«Può venire anche lei, qual è il problema?»

«Davvero? Ehm non lo so, io...»

La nonna, che si era già avvicina a me, udì tutto e fece cenno di sì con il capo.

«Allora, è confermato?»

Che stavo per cacciarmi in qualche guaio? Certo.











Dopo circa un'ora, un'auto ci venne a prendere e ci portò a destinazione.
Quando mettemmo piede nel giardino, la nonna dapprima sgranò gli occhi per la sfarzosità della dimora, poi però si ambientò in fretta, perchè riconobbe alcune signore che frequentavano la chiesa e si perse in chiacchiere con loro.

«Le ho riservato un posto, ci penso io a lei», mi rassicurò Fawn, nel vedermi apprensiva con la nonna.



Lasciai quindi la nonna in compagnia delle signore e seguii Fawn nella cucina, dove il personale del catering si occupava di impiattare e servire. Pregai che Peach fosse da qualche parte e mi aiutasse a capire quali sarebbero stati i miei compiti, ma di lei non c'era traccia.

«E Peach?»

«È il suo giorno libero. Vieni.»

La donna mi consegnò la divisa e mi condusse nella stanza degli ospiti, dove mi cambiai mentre lei attendeva fuori. Una volta indossati un paio di pantaloni scuri e una camicia bianca, uscii nel corridoio.

«Dove hai conosciuto Ace?», chiese Fawn, forse per rompere il ghiaccio, durante il nostro tragitto verso la cucina.

«In un locale.»

«Lui ti ha parlato per primo?», domandò confusa, come se l'eventualità non potesse sussistere.

«Ace è stato molto carino con me.»

Lei scrollò il capo poco convinta. «Non lo so... Mio figlio è distaccato e introverso, a volte troppo.»

«È il suo carattere, no?»

«Forse l'ho caricato di troppe aspettative, chi lo sa», proseguì con tono malinconico. «Ma ora non voglio appesantirti con questi discorsi. Grazie per aver accettato all'ultimo momento, Scarlett.»

Ricambiai il sorriso, ma presto venni distratta dalle foto appese in corridoio. Mi domandai perché lei fosse quasi sempre assente nelle foto di Ace da bambino. E lui sorrideva raramente.

«Ho come l'impressione non sia in grado di divertirsi. Ma magari mi sbaglio», disse nel vedermi assorta tra quelle immagini. Per un attimo ebbi come l'impressione che cercasse risposte da me.

«Ora dov'è?», le domandai.

«Sta dando l'ultimo esame, poi ci raggiunge per il dolce.»

La donna si avvicinò alla sagoma femminile ferma alla portafinestra che dava sul cortile.

«Scarlett, hai già incontrato Sienna?», chiese Fawn con un sorriso.

«Sì», risposi bruscamente quando posai gli occhi sulla chioma ricciola della rossa.

«Ciao, come stai?» Sienna si trasformò in un cucciolo di panda davanti alla mamma di Ace.

E io ero quella maleducata che non rispondeva.

«Bene», mugugnai controvoglia.

Fawn sembrava adorarla perché iniziò a raccontare un sacco di aneddoti, tra cui: «Sienna la conosco da quando era piccolina, proprio come Brick.»

Mentre la donna parlava, Sienna fissava il mio outfit e le bastò uno sguardo per capire quale sarebbe stato il mio ruolo, quel pomeriggio.

«Sienna è anche un'ambientalista ed è molto impegnata nel...», Fawn s'interruppe perchè la chiamarono dalla cucina.

«E tu? Hai interessi al di là di servire ai tavoli?», mi chiese Sienna approfittando della distrazione della donna.

«Scarlett, ti cercano», disse Fawn, prima di tornare in giardino.

Ma Sienna mi bloccò l'ingresso in cucina.
«Dopo quello che hai detto e fatto l'altra sera, da Brick, e dopo il modo in cui gli hai parlato... Sono certa che Ace non vorrà più vederti.»

Restai di sasso. Ace aveva detto di volermi vedere... ma se non fosse più interessato come prima?

Sienna aveva appena scavato un buco nel mio stomaco. E se non fossi abbastanza interessante per lui? Sua madre sembrava adorarla. Eravamo così diverse...

«Scarlett ieri ha ricevuto un gran bel mazzo di rose e non credo di averne mai visto uno più bello in tutta la mia vita. Anzi, a me non è mai capitato che me ne regalassero così tante. A te?»

La nonna, che ci passò accanto con una sua amica, aveva appena rivolto quella domanda a Sienna, che era rimasta senza parole.

«Ho fatto un giro del piano terra, ora andiamo a fare aperitivo», disse lanciando un'occhiata glaciale a Sienna, come volesse strapparle ogni ricciolo dalla testa.

Avrei voluto ricordare alle nonna che non poteva bere alcolici, ma lei uscì in grande stile e io restai da sola con Sienna.

«Si fa come dice lui, non farti ingannare da ciò vuole farti credere.»

«Magari i mesi passano e le cose cambiano...» azzardai.

«I mesi passano?»

«Tu e lui non vi vedete da un po'.»

Era un colpo basso il mio, ma avevo bisogno di sapere cosa stava succedendo tra di loro.
Sienna arrossì, ma non mi rispose a tono come al solito.

E io avevo ottenuto la mia risposta.






BRICK


Stavo andando a casa di Ace, ma in macchina con mio padre era una noia mortale.

«Ti faranno buttare giù tutto il quartiere? Il pastore è d'accordo?», domandai per smorzare quel fastidiosissimo silenzio.

Mio padre non si scomponeva mai e non lo fece nemmeno in quel momento «Certo.»

«Non puoi farlo senza avere i permessi», mi ritrovai a insistere.

«A me non interessa e se non accettano... ho un piano b.»

«Ma come un piano b? E gli alberi? La chiesa?»

Guardai Candy, seduta sul sedile del passeggero, accanto a lui. Non fiatava.
Forse perchè odiava suo padre. Peccato se ne fosse trovato uno della stessa età.

«Senti Benjamin, non iniziare. Oggi annuisci e non farmi fare figuracce. E, soprattutto, non dare retta a Sienna e alle sue idee strampalate. Abbiamo bisogno di altri investitori per il progetto.»

Non c'è pericolo, io e Sienna siamo come cane e gatto dalle elementari, pensai guardando fuori dal finestrino. Gli alberi si susseguivano lungo il viale infinito, segno che eravamo prossimi a casa di Ace.

In quell'istante mi arrivò una notifica sul telefono. E di certo non era Honey, dato che mi aveva baciato con la scusa di andare a scegliere un film in camera mia e subito dopo l'avevo vista baciarsi con Maize.

stai meglio oggi?

Mauve. L'unica che sembrava preoccuparsi di chiedermelo.

oggi la rivedo e non so come comportarmi le scrissi.

Mauve era brava a dare consigli. Sarà che la concorrenza era penosa: Jet non sapeva parlare di sentimenti, mi avrebbe riso in faccia. Ace invece non sembrava averne e soprattutto, aveva un esame.

fatti desiderare Brick, altrimenti quella ne approfitta

hai ragione, come farei senza di te Mauve?




SCARLETT

«Cosa ci fa quella Scarlett, qui?»

Mi bloccai dietro una colonna con una pila di piatti in mano.

«La cameriera. Cosa vuoi che faccia?», sputò Sienna.

«Sbaglio o Ace se la sta cucinando a fuoco lentissimo?», ipotizzò Candy.

«Io sapevo che erano solo amici...», commentò Honey.

«Ma a te non importava di Brick?»

Mi sporsi appena e vidi le ragazze in un angolo del giardino a fumare.

«Brick è troppo carino, poi con quella storia della mela...»

«Non ti piace, però», realizzò Cinnamon.

«Brick è un cucciolo, ma non è il mio tipo. Non mi fa tremare gambe quando parla.»

«Ti piacciono i tipi problematici, l'abbiamo capito», mugugnò Sienna, che sembrava infastidita dal tono smielato della bionda.

«Ace non è problematico», puntualizzò Honey.

Sienna si voltò di scatto. «No, ti ci fa solo diventare.»

Una fitta mi trapassò il petto. Sienna era insopportabile, ma Honey era una dea scesa in terra. Perché mi ero messa in quel casino?

«E poi dovresti tingerti i capelli», spiegò Cinnamon.

«E cambiare profumo. Lascia perdere. Non fa per te.»

«Honey, stavi malissimo con i capelli scuri fattelo dire.»

Sienna e le ragazze risero con troppa leggerezza, mentre a me venne il voltastomaco.

E per poco non feci cadere tutta la pila di piatti che trasportavo. M'infilai in cucina e mi concessi una piccola pausa. Mentre sorseggiavo un bicchiere d'acqua, fissavo fuori dalla finestra i genitori di Ace. Sembravano felici. Non seppi il perchè, ma li invidiai così tanto...

«A cosa pensi?» Una voce conosciuta mi colse alle spalle.

Aprii la bocca ma non uscì un suono. Desiderai voltarmi, lui però mi fermò, posizionandosi alle mie spalle.

«Non vale pensarci troppo, signorina.»

Il tuo profumo, vorrei affogarci dentro.

«I tuoi genitori sembrano così felici...»

«Non farti ingannare dalle apparenze», sussurrò Ace cingedomi il fianco con il braccio.

«Scarlett! Dai!» mi rimproverò la chef quando mi vide sostare.

Ace ritrasse il braccio, così mi voltai e, con sguardo avido, rubai un'occhiata alla camicia bianca che metteva in risalto le sue spalle larghe.

«È andato bene l'esame?»

«Scarlett!» mi richiamarono di nuovo dalla cucina.

Lui sorrise guardandomi negli occhi.
E io pensai di morire.



Tornai in giardino con il dessert e notai che Ace si era unito al tavolo dei suoi genitori. Fortunatamente, ero stata assegnata alla tavolata dei più giovani, ma la mia gioia fu breve, perché tra gli amici di Ace, c'era anche Maize, accompagnato dai suoi fratelli.

«Se non ricordo male, ti piacciono i dolci, vero? Te ne teniamo una fetta da parte?» mi provocò Maize, indicando il piatto che gli avevo appena servito.

Guardai la fetta di torta alla panna e mi lasciai distrarre: i cucchiaini che tenevo in mano scivolarono e caddero sul prato.
Invece di aiutarmi o cercare di stemperare l'imbarazzo, quei ragazzi risero di me.

«Questo succede quando le bambine fanno il lavoro dei grandi.»

«Be', a me piacerebbe che mi facesse qualche altro tipo di lavoro...», alluse uno dei fratelli.

Mi agitai così tanto che quando mi girai di scatto, con il gomito urtai una bottiglia che si rovesciò sulla tovaglia.

«Sì però guarda dove vai.»

Sentii un nodo in gola. «Mi dispiace.» 

L'ossigeno non arrivava ai polmoni e il probabile attacco d'asma stava per trasformarsi in un attacco di panico. Se la mamma di Ace si fosse voltata nella nostra direzione, sarei sprofondata nell'abisso.

«Pulisci, no?», mi redarguì Maize con tono seccato.

«Non è necessario. Guarda, ho già fatto io», disse Brick lanciando il suo tovagliolo sulla chiazza di vino per coprirla.

«A me invece sembra necessario»

Maize si indicò la camicia macchiata, continuando a fissarmi con aria strafottente.

Stavo per scoppiare in lacrime. Con gli occhi umidi, mi girai verso Ace e lo trovai a osservare la scena da lontano.

Invidiavo il controllo che riusciva sempre a mantenere. Poi, all'improvviso, disse qualcosa a sua madre e si alzò, allontanandosi dal giardino.

Io mi trovo in questa situazione terribile e lui se ne va?

Senza fiatare, tornai in cucina cercando di calmare i battiti del mio cuore.

«Pensi di aver già finito?», mi chiese la signora che si occupava del catering.

«Sì, credo proprio di sì. Ho finito di servire il dessert.»

«Allora se vuoi puoi cambiarti e mangiare qualcosa», sbuffò la donna, che aveva sbraitato per tutto il pomeriggio.

Avevo lo stomaco rivoltato e troppo chiuso per poter mangiare, così uscii in balcone a prendere una boccata d'aria.

D'un tratto, in giardino, notai un uomo che avevo capito essere il padre di Brick, impegnato in una discussione animata.

«Che diavolo hai combinato, Maize? Mi ha appena chiamato la segretaria», rimproverò Maize con voce agitata.

Quest'ultimo lo guardava confuso.

«Le ultime fatture erano tutte sbagliate. Tutte.»

«Mica sono stato io.»

«Ah, non è il tuo lavoro?»

«Certo, lo faccio da anni e lo so fare.»

«Cosa stai insinuando, Maize?»

«Che la tua segretaria, in quanto donna, è un'incapace!»

«Il programma è il tuo, sono state caricate dal tuo computer e hanno la tua firma elettronica.»

«Avanti, basta» Mi accorsi che la madre di Ace intervenne per calmare la situazione e sembrò andare in soccorso di Maize. «La risolvete dopo.»

«Secondo me ti sei fatto troppi bicchieri», disse Maize andandosene.

«Lunedì ti fai trovare nel mio ufficio e sistemi la situazione. Oppure ti licenzio, a te la scelta!»

«Calmati.» La madre di Ace passò una mano sul braccio dell'uomo, che ormai era paonazzo per l'agitazione. Poi la donna sollevò gli occhi e mi beccò in pieno a fissarli.

Rientrai immediatamente, perchè mi accorsi di essere un intruso che stava mettendo il naso in una situazione privata.

«Stai bene? Guarda che puoi cambiarti, abbiamo finito», mi disse un'altra cameriera.

M'infilai nel bagno degli ospiti e aprii il mio zainetto. Avevo portato con me un vestito, ma era troppo scollato, così alla fine optai per una semplice t-shirt bianca e una gonna.

Uscii e notai che la maggior parte delle persone non era più seduta ai tavoli, tranne gli anziani. Individuai subito la nonna, perfettamente a suo agio tra le chiacchiere.
Io rimasi in disparte, quando mi accorsi di non essere l'unica.
Sui gradini del porticato c'era seduto un ragazzo, proprio quello che desideravo diventasse il mio.

«Non dovresti», dissi senza nemmeno riflettere.

Lui buttò lo sguardo distratto nella mia direzione. «No?»

I suoi occhi si erano riempiti di riflessi ambrati, illuminati dal sole che stava tramontando.

«Se gareggi, non dovresti fumare, giusto?» chiesi notando la sigaretta spenta con cui stava giocherellando.

«Giusto. E anche se potrebbe sembrare una scusa, è la verità: lo faccio solo ogni tanto, quando sono troppo nervoso.»

«Quindi ora lo sei...»

Un breve momento di silenzio seguì la mia domanda.

Ace si spostò leggermente, facendomi capire che mi voleva sugli scalini insieme a lui.







«Però l'esame è andato bene. Non basta?»

«No.»

Non mi feci abbattere dalla sua risposta secca e gli chiesi: «Come ti senti?»

La mia domanda. E la sua faccia. Come se gli avessi chiesto il quesito di logica più difficile al mondo. Mi guardò dapprima sorpreso, poi confuso.

«Non vale pensarci. Devi essere sincero», ricalcai le sue parole, ma stavolta non riuscii a farlo sorridere.

«In trappola.»

«È lo studio, o....»

«Tutto.»

Fu troppo conciso nel darmi quella risposta e io mi ritrovai ancora più curiosa.

«Non dev'essere facile...»

«Non lo è mai. La perfezione richiede sforzi, rinunce. Non potrei nemmeno bere.»

«Mai?»

«Quando ho le gare no. Ma gli esami non finiscono mai e le gare nemmeno.»

Cosa c'è di così allettante nella perfezione?

«Hai mai preso in considerazione l'idea di non arrivare primo?»

«No.»

«Non ci sarebbe niente di male però», mormorai scacciando un sassolino con la punta delle Converse bianche.

«Non mi piace la sensazione. Non voglio che nessuno si dispiaccia per me. Posso farcela da solo.»

«Arrivare secondi è un ottimo traguardo, nessuno di dispiacerebbe mai solo perché sei arrivato secondo.»

«Purtroppo nella vita conta solo chi arriva primo, Scarlett.»

Abbassò lo sguardo e questo cadde sulla cicatrice che mi tagliava il ginocchio sinistro.

«Come l'hai fatta?»

«Sono caduta dalla bici. Le rose erano un modo per chiedermi scusa?»

«Sì, non sono stato abbastanza chiaro?»

«Mhm...» mi finsi pensierosa.

Lui mi si avvicinò alla guancia e il mio cuore fece una capriola. «Scusa», mormorò nel mio orecchio.

«Meglio così?»

Sorrisi con lo sguardo rivolto alla ghiaia che ricopriva il terreno. Arrossii così tanto che non riuscii nemmeno ad annuire.

«Ti sei cambiata», realizzò Ace, osservandomi attentamente.

«Sì.»

«Dove?»

«In camera tua.»

La mia presa in giro gli causò un sopracciglio inarcato.

«In camera mia?»

Poi però accennò una risata.

«Perchè ridi? Cosa c'è di strano?»

«Nella mia camera non ci entra nessuno», asserì ricacciando la sigaretta in tasca.

«Comunque grazie per i fiori e per quanto riguarda il telefono di Cedar...»

«Si è spaventato così tanto solo per un telefono.»

«Non tutti possono ricomprarselo, Ace»

«Può stare senza, è solo un oggetto», insistette. «Ma a quanto pare non può farne a meno, dato che ha dovuto chiamarti per informarti della partita.»

Mi girai e caddi nei suoi occhi profondi.

«E tu come...»

Poi una smorfia deformò il mio viso. Mi sentii completamente nuda davanti a lui e un pensiero mi fece rabbrividire.

E se potesse leggere le nostre conversazioni?

«Ace, ma come...»

«Me l'hai detto tu della partita. Ma dalla tua faccia deduco ci sia altro che ti preoccupa, forse il tono delle vostre conversazioni?»

Oh no.

Ace si alzò in piedi.

Stava andando tutto bene, che diavolo è successo?

Mi voltò le spalle e io non seppi resistere.

«Che n'è stato dell'eccezione?» gli dissi, vedendolo in procinto di andarsene.

Lui si voltò verso di me, la fronte corrucciata.

«Te ne sei andata con lui l'altra sera. Ieri invece hai rifiutato il mio bacio. Hai fatto la tua scelta, no?»

«Cedar è mio amico.»

«Gesto chiaro il tuo però.»

Mi alzai anch'io e gli andai sotto il mento.

«Che significa, Ace?»

«Che a causa sua, ora non vuoi nemmeno più...»

Vidi la sua mascella contrarsi.

Baciarti? Sto morendo dalla voglia di baciarti e tu lo sai perfettamente.

Lui fermò le parole quando si accorse che le nostre labbra erano troppo vicine e gli sarebbe bastato abbassarsi di poco per sfiorarmi con un bacio che mi avrebbe lacerato la mente e riempito la pancia di farfalle.

«Hai mai giocato a tennis?»

Io e Ace ci voltammo in sincrono.
Davanti a noi c'era Maize, con Sienna al seguito.

«No», dissi stizzita da quell'interruzione.

«Ho prenotato il campo per sfidare quel rammollito di Brick, ma a quest'ora sarà ubriaco da qualche parte.»

Ace gli lanciò un'occhiataccia poco rassicurante, eppure Maize seppe solleticare la sua parte più competitiva.

«Sto cercando qualcuno da battere, vuoi farti sotto o hai paura di fare una figuraccia davanti alle ragazze?»

In tutta risposta, Ace non mosse un muscolo, ma io capii che non avrebbe lasciato correre tanto facilmente. Così ci avviammo al campo da tennis situato a pochi passi da casa sua, e lì scoprii che Sienna era vera una promessa del tennis.



Ace non battè ciglio quando lei decise che avrebbero giocato nella stessa squadra, né disse nulla quando Maize annunciò che avrebbe giocato con me. Mi scrutò soltanto, come per carpire qualcosa, ma non seppi cosa.

Prima della partita, alcuni camerieri della festa passarono con dei vassoi di cibo. Sienna rifiutò, lamentandosi dell'assenza di opzioni vegane, e io evitai di mangiare perché Maize mi fissava, creandomi un senso di disagio.

Quando finalmente cominciammo a giocare, la racchetta sembrava pesare un quintale e io mi sentivo svenire per la fame.
Per fortuna, Ace evitava di colpire la palla verso di me, forse rendendosi conto della mia goffaggine cosmica. Almeno non ero ancora caduta. Sienna, invece, non aveva pietà e segnava solo punti contro di me.

Fu un'agonia, soprattutto perché ogni volta che mi chinavo per raccogliere la palla, sentivo gli occhi di Maize puntati addosso.

«Che c'è, sei stanca? Facciamo una pausa?» mi propose Maize dopo il primo set.

«No», borbottai scontrosa.

Ace schiacciò su Maize proprio nell'attimo in cui era distratto a parlarmi e la pallina arrivò a tutta velocità tra le sue gambe, colpendolo in pieno nelle parti intime.

«Ma sei impazzito?», strepitò prima di piegarsi in due, dolorante.

Vidi Ace allargare le braccia. «Ti sembra che l'abbia fatto apposta? Sei stato tu a fermarti senza avvisare.»

I ragazzi si misero a battibeccare, così io mi gettai sui pasticcini che avevano lasciato a bordo campo. Avevo saltato pranzo e la pancia brontolava troppo.

«Perché non ascolti i miei consigli?», mi disse Maize.

«Quali?» chiesi con la bocca piena.

«Ai ragazzi non piace troppa carne.»

«Sto solo...» Posai il secondo pasticcino e una curva rovesciata m'imbronciò le labbra.

«Guarda che non volevo offenderti», aggiunse nel vedermi ferita.

«E allora che vuoi?»

«Dirti che sei perfetta così»

Non te l'ho chiesto. E poi stai mentendo.

Maize cambio discorso non appena Ace si avvicinò a noi. «E comunque sono più buoni quelli alla crema.»

«Alla fine l'hai risolto il casino in ufficio?» gli chiese Ace che non aveva sentito nulla del nostro scambio.

«Non l'ho fatto io il casino. Il padre di Brick oggi ha alzato un po' troppo il gomito e ci avrà visto doppio.»

«Lo sai che se torna in ufficio e scopre che hai incasinato tutto per davvero, ti licenzia, vero?», fece Sienna.

«Ma figurati... Non ho fatto un cazzo.»

Poi tornammo in campo ma ormai era impossibile giocare. Sienna mi aveva presa di mira e Ace continuava a schiacciare addosso a Maize, tant'è che a un certo punto lo colpì dritto in volto.

«Ma che cazzo!», sputò raccogliendosi l'occhio malconcio.

«Mi sa che dobbiamo interrompere. Ho una pessima mira oggi», rispose Ace.

«Basta mi hai rotto, Marchesi. Giochi sleale.»

«Intanto abbiamo vinto noi», civettò Sienna.

E quando ci portarono del ghiaccio per Maize, servirono anche dei mojito alla fragola.

«Perchè danno cibo e bevande su un campo da tennis?» chiesi confusa.

Sienna mi squadrò da capo a piedi, come se avesse davanti agli occhi una creatura di un'altra galassia. Io accettai il mojito analcolico e non potei fare a meno di udire le chiacchiere tra Ace e Maize, che stavano leggermente in disparte.

«Che storia è?» chiese quest'ultimo mentre si applicava del ghiaccio sull'occhio.

«Devi solo smetterla, non è difficile», ribattè Ace.

«Smettila di fare co...»

«Di guardarla.»

«A te che importa se la guardo, scusa?», ghignò Maize.

«Niente, ma non è un po' piccola per te?»

Le parole di Ace mi misero sull'attenti. Stavano parlando di me.

«Il tuo problema è che è piccola o che, finita la festa, te la vuoi sbattere?»

Mi agitai nell'udire la voce di Maize e, mentre mi voltavo per andarmene, inciampai rovesciando il cocktail addosso ad Ace che si era appena avvicinato.

Lui osservò la sua camicia bianca, ormai macchiata di rosso.

«O mio dio, scusami», balbettai.

Ci provava ad aiutarmi, ma io ero un disastro.

«Non fa niente», disse con calma.

La mia t-shirt immacolata era diventata un disastro e Sienna mi guardò trattenendo una risatina malefica.

«Vieni con me», mi disse Ace prima di incamminarsi verso casa sua.

Ormai era lontano e non udì le parole velenose di Sienna. «Lo vedi, Maize? Con i casi umani non ti ci devi nemmeno impegnare, questa implode da sola».

Non ebbi il coraggio di alzarle il dito medio, ma andare via con Ace fu proprio come farlo.










«Dove stiamo andando?», gli chiesi mentre lo seguivo verso una casetta situata accanto al campo da tennis.



«Ti lascio il mio cambio.»

«Non ce n'è bisogno, Ace.»

«E invece sì, altrimenti devi tornare alla festa in queste condizioni.»

Chinai il capo e, osservando la mia maglietta sporca e trasparente, pensai a sua madre e a tutte quelle persone che si sarebbero girate a guardarci, se ci fossimo presentati in quello stato.

Ace aprì la porticina in legno che pensavo celasse uno spogliatoio, ma in realtà sembrava un ripostiglio per oggetti da giardinaggio.

Poi mi guardò sostare con aria impacciata.
«Tu che fai, mi aspetti fuori?»

Quando capii che attendeva me, mi decisi a entrare, così lui potè chiudere la porta, mentre io mi guardavo intorno, con ancora il bicchiere in mano. Era buio lì dentro, solo i raggi dell'ultimo sole che entravano da spiragli sottili.

Presi un lungo respiro e il profumo di erba appena tagliata mescolata alla fragola m'inondò le narici.
Ace mosse un passo, mi guardò, e io cominciai a boccheggiare.

Siamo ancora amici? Cosa siamo? Perché mi guardi così ora?




«Mi hai...»

Oh no.

«Ti ho?»

«Mi ha fatto piacere parlare con te, prima.»

«Anche a me.»

Davvero?

«Nonostante non mi piaccia parlare di me», puntualizzò.

«A me piace quando mi parli di te.»

Ace a quel punto chinò il capo per nascondere un sorriso spontaneo e io sentii qualcosa scoppiettare nel petto.

«Che c'è?» mi chiese quando si accorse che avevo abbassato gli occhi al pavimento.

Mi piaci da morire.

«Niente.»

Poi realizzai che aveva cominciato a sbottonarsi la camicia.

«Non dovresti cambiarti anche tu?», mi chiese.

Io annuii, immobile, ipnotizzata dai suoi movimenti. Ace si voltò ostruendomi la visuale, si sfilò la camicia macchiata esibendo la schiena che formava un triangolo rovesciato.

«Sei ancora vestita», realizzò tornando a girarsi verso di me.

E quando intuì che io non avrei mosso un dito, disse: «Magari esco, così ti cambi tranquilla.»

Ma io glielo impedii perchè sfiorai il suo polso e lui mi guardò come se fosse stato appena scottato. E io mi scottai anch'io.

Si avvicinò dall'alto, nel buio. «Cosa c'è? Perchè non parli ora?»

«Io...»

Oh no che figura.

«C'è qualcosa che vorresti fare, eppure non la fai. Avevi detto così, no?»

Non mi diede il tempo di realizzare che aveva di nuovo ricordato le mie parole, perchè immerse la mano avida tra i miei capelli sciolti e con una presa sicura mi portò vicina a lui.

Le sue labbra lievemente schiuse passarono lungo la mia gola, segnandola con la scia del suo respiro piacevole.

Con Ace mi sembrava sempre di vivere una battaglia. E se io dovevo ancora capire come parteciparvi, lui pensava solo a vincere.

«Ace...»

«Ti sto ascoltando», mugolò contro il mio collo, reso sensibile dalla sua bocca morbida.

«Cedar è mio amico e continuerà a scrivermi»

«Mhm...»

«E tu non puoi....»

Presi un lungo respiro perchè le sue labbra divennero lingua e con quella lasciò una traccia dietro il mio orecchio.

«...farci niente e non puoi...»

Poi succhiò il mio lobo sensibile e un calore diffuso mi trapassò la pancia.

«...non puoi baciarmi in questo modo, Ace»

«Non ti sto baciando. E se mi dici di non volerlo nemmeno tu, la smetto ora.»

Seguitò a leccarmi il collo, senza pudore, facendomi sentire le vertigini.
Appoggiando una mano sul suo petto nudo, forse per ritrovare l'equilibrio, mi accorsi che era piacevolmente accaldato.
E io non volevo si fermasse.

«Avevo detto niente baci», sospirai, affaticata.

«Lo chiami bacio questo?»

Già, tu devi sempre distruggermi l'anima

«Io comunque accetto la tua richiesta, Scarlett. Niente baci, ma solo se tu accetti la mia.»

«Quale?»

Lo sentii far scorrere la mano sotto la mia t-shirt inumidita dall'alcol e con il pollice tracciò la curva del mio reggiseno.

Mi sentii ubriaca e non era stato il cocktail analcolico a rendermi così, ma la sua voce, che fluì come una scarica violenta nel mio orecchio. 

«Toglilo, non ti serve.»

A quel punto mi voltai e lasciai il bicchiere su un gradino della scala in legno che mi ritrovai davanti. Poi, dandogli le spalle, sfilai il reggiseno da sotto la maglietta.

Ace sospirò, proprio come avevo fatto io poco prima, e me ne accorsi perchè sentii il suo respiro dietro di me, perdersi tra i miei capelli sciolti.
Il suo petto sembrava leggermente ansante, lo sentii adagiarsi contro la mia schiena. Mi sfiorò la mano quando prese il mio reggiseno e lo lasciò su una mensola appesa alla parete.

In quel momento, da fuori arrivò un chiacchiericcio conosciuto. Qualcuno stava lasciando il campo da tennis, passando proprio da lì.

«Sienna», sibilai riconoscendo la voce femminile.

Lo sentii sbuffare alle mie spalle, quando si accorse che c'era anche sua madre.

«Ace, forse dovremmo...»

Lui mi circondò con il braccio e mi sigillò la bocca con il palmo della mano. Applicò una lieve pressione, tanto che dovetti reclinare il collo, spingendo la nuca sul suo petto solido.
Fui costretta ad inarcare la schiena, sentii i miei seni spingere contro la t-shirt ancora umida e il mio petto cominciò a sollevarsi e abbassarsi velocemente, mentre Ace schiacciava il suo corpo contro il mio.

«Vuoi uscire?», mi domandò sottovoce.

Mossi la testa negando. Non potevo parlare, perchè lui non tolse la mano dalla mia bocca.

«Bene, perchè io non ho nessuna intenzione di lasciarti andare, Scarlett», sussurrò nel mio orecchio.

Poi le sue labbra calde cascarono sulla mia spalla e con l'altra mano scese sulla mia pancia. Da come i polpastrelli pigiavano sulla mia pelle, quel tocco non prometteva nulla di innocente. Ace percorse tutto il mio ventre risalendo verso l'alto, poi si insinuò sotto la maglietta, in una traiettoria proibita. Un gemito soddisfatto gli carezzò la gola quando passò il pollice caldo sul mio capezzolo turgido.

Lo pizzicò con forza, strappandomi un lamento e obbligandomi a tenere la schiena ferma e dritta, contro il suo corpo d'acciaio.

«Hai detto niente baci o ricordo male?»

Ormai odiavo quella richiesta. Ma annuii ugualmente e lui poté mordicchiarmi il collo. 
A quel punto le voci si erano dissipate e le sue braccia rilassate, perciò mi girai.

«Devo fermarmi?»

Mi sfidò con le guance leggermente arrossate e i capelli spettinati. La visione fu così divina che la mia ragione si offuscò.

M'issai in punta di piedi e gli tirai il labbro tra i denti. La sua bocca si aprì appena e le nostre lingue scivolarono pericolosamente, trovandosi per un breve momento.

«Scarlett.» Ace mi conficcò il pollice nel fianco, con durezza, e bastò quel gesto a farmi indietreggiare. Battei i fianchi contro la scala.

«Magari ho cambiato idea sul bacio», lo fronteggiai dal basso.

«Magari è a me che non va più, ora», sorrise lui.

Stronzo.

Non riuscii più a resistere, fortuna che lui sembrava più in difficoltà di me.

«Lo vuoi sì o no?»

Si avvicinò ancora e sfregò le labbra tiepide sulle mie, invitandomi a commettere quel peccato.

«No», mentii spudoratamente.

Lo vidi abbassarsi, dandomi l'opportunità di succhiare il suo labbro inferiore, gonfio e arrossato a causa del mio morso. Ma fui io ad allontanarmi di nuovo.

«Cristo, che bimba che sei», ansimò accerchiandomi le guance.

E finalmente mi baciò.

Sentii le gambe tremare, mentre la sua lingua scivolava nella mia bocca come il più dolce e proibito dei frutti.

Fu un'esplosione, così piacevole che mi fece tendere schiena e i capezzoli spinsero sotto la maglietta sfiorando il suo addome contratto.

«Solo una piccola eccezione», mugolò prima di interrompere quel bacio perfetto.

Mi sentii morire. Ne volevo ancora.
La mia maglietta era bagnata, ma a lui non sembrò importare perchè avvolse il mio seno nella sua mano grande e lo strinse con delicatezza, gli occhi ben saldi nei miei, forse per valutare le mie reazioni. Ricambiai l'occhiata dal basso ma quel gesto dolce durò poco perchè Ace scese con il viso su di me, dovette quasi inginocchiarsi per arrivare alla mia altezza, quando avvicinò la bocca. Passò la lingua calda sulla stoffa e le mie vene si inturgidirono al calore di quel contatto idilliaco.

«A me questi sembrano baci...» boccheggiai in preda alle sensazioni piacevoli.

Poi però mi sollevò di poco la t-shirt e si riempì la bocca, risucchiando il capezzolo che divenne dolorante tra le sue labbra dure, mentre la lingua vi scivolava sopra ininterrottamente.

«Tu dici?» chiese sollevando lo sguardo dal basso.

Le sue guance arrossate mi ipnotizzarono, ma riuscii comunque ad annuire.

«Mhm, ora che ci penso... hai ragione.»

Sentii i suoi denti sfregare pericolosamente e nei suoi occhi riconobbi la smania di addentare la carne morbida. Ma non lo fece.

Si alzò in piedi e mi circondò entrambe le cosce con le mani, vi applicò un po' di pressione e stringendole, mi sollevò.

«Così molto meglio, no?»

Mi fece sedere sul gradino più alto della scaletta pieghevole, incurante della gonna che si era sollevata. Ero alla sua altezza finalmente.

Io restai immobile, le mani salde al bordo del legno.

«Che c'è ?», chiesi nel vederlo passarsi una mano tra i capelli, mentre un sorrisetto gli incurvava le labbra piene.

«Non capiresti.»

«Fammelo capire allora.»

«Sei ferma, non ti stai muovendo.»

«E quindi?»

«E quindi stai aspettando me...» disse leccandosi il labbro inferiore e io sentii l'umidità pizzicarmi la pelle.

Ace infilò due dita nel bicchiere di mojito abbandonato sul gradino più basso della scala, le arcuò viziosamente contro il vetro e raccolse l'unica fragola presente.

«E perchè lo farei secondo te?», gli chiesi, mentre lui si portava il frutto alle labbra.

«Potrei azzardare...»

«Cosa...?»

«Che ti fidi di me....»

Mi fece succhiare la fragola, l'odore zuccherino mi travolse l'olfatto, già deliziato dal buon profumo di Ace, che ormai era ovunque in quello spazio ristretto, anche dentro di me.

«Che mi vuoi baciare ancora....»

Quell'elenco stava diventando pericoloso, tanto quanto la traiettoria della sua mano.
Tenni sguardo nei suoi occhi color cioccolato, mentre faceva scivolare le dita oltre la mia pancia e sotto la gonna.
Passò la punta della fragola sulle mie mutande, strisciandola su è giù.

Le mie guance presero fuoco. «Che cosa stai...»

«Niente, non sto facendo niente. Stiamo solo parlando.»

La spinse appena contro il cotone, che si appiccicò alle mie pieghe umide. Fu piacevole, troppo.

«Perché fai così?», gemetti quando sentii la punta della fragola roteare, stuzzicandomi in circolo.

«Perché sei morbida e le mie dita sono troppo dure per te. Non sarei altrettanto delicato.»

«Mi stai...»

«Tu stai bagnando le mutande, non io.»

Oltrepassò il cotone, che era ormai d'intralcio e passò il frutto sulle mie carni, un paio di volte. Poi risalì sul punto più sensibile. Dovetti chiudere gli occhi, sentii le gambe incapaci di stare ferme.

Ma per lui non era abbastanza indecente ciò che stava facendo, volle di più. Spinse dolcemente, trovando la mia fessura ammorbidita. Non andò oltre, mi titillò appena e sembrò aspettare, zelante. Quando mi sfiorò inavvertitamente con la punta delle dita, queste gli rivelarono quanto fossi bagnata. Fu a quel punto che sorrise, portandosi la fragola in bocca.

«E poi, siccome hai detto di non volermi baciare, mi è solo venuta più voglia di sentire il tuo sapore.»

Schiuse le labbra e rivelò la lingua rossa, che leccò la fragola, lasciandomi senza fiato. Infine la divorò con quelle labbra spietate.

Le mutande mi davano fastidio non sopportavo più quella sensazione troppo piacevole tra le gambe e il senso di insoddisfazione che mi lasció addosso mi fece gemere.

Ace, che mi osservava incuriosito, posò le mani calde sulle mie cosce. Me le divaricò e a me bastò quel contatto: il mio corpo tremò. Fu così dannatamente piacevole. L'impronta delle sue dita sulla mia pelle mi bruciò viva. I suoi pollici affondarono nella mia carne puntando al mio centro e una scossa mi colpì l'inguine.

«Non ci credo», ansimò con tono febbrile.

«Cosa...»

«Stai per venire e non ti ho nemmeno toccata.»

Lo sussurrò sulle mie labbra, che si dischiusero per lui, lasciando l'accesso alla sua lingua. La spinse tra le mie labbra con tanta irruenza che la sentii ovunque, tutta dentro. 
Reclinai il collo per sostenere quel bacio dilagante e per poco non caddi all'indietro.

Circondandomi la schiena con un braccio, Ace mi teneva ferma, mentre con la mano mi sollevò la maglietta e i miei seni rimbalzarono davanti ai suoi occhi scuri. Trattenni il fiato.

E pensai di svenire quando passò il labbro inferiore sul mio orecchio, dandomi i brividi.

«Sei bellissima.»

Non fiatai, altrimenti avrei detto....
Grazie anche tu.

«Ma quello che sto per fare è meglio se rimane tra di noi.»

«A cosa ti riferisci?», chiesi senza respiro.

«A questo.»

Adagiò la bocca calda sulla pelle chiara dei miei seni e ne succhiò una porzione fino a farmi gemere. Tirò la mia carne generosa tra i denti, mordendomi, e fu doloroso, poi piacevole. Così tanto che diedi un colpo di bacino in avanti, sfiorando la sua erezione racchiusa nei pantaloncini.

«Ace.»

«Non fermarti», ordinò con tono sodisfatto, quando si rese conto che il mio corpo era ormai un groviglio di impulsi incontrollabili. Continuai a cercare sollievo contro la sua sagoma d'acciaio, la frizione era troppo invitante e lui non smetteva di torturarmi.

«Shhh» disse quando strinse il capezzolo tra i denti e si rese conto che non riuscivo a fermare i gemiti.

Poi mi diede un altro morso e io urlai.

«E dire che sembravi così convinta, quando hai detto che non sarei riuscito a farti urlare...»

Sorrise sadicamente e io non potei trattenermi, perché continuava a succhiare e mordere la mia carne candida, fino a farle prendere colore.

«Però se fai così, ti sentono tutti.»

Ace si staccò da me e sembrò cercare qualcosa con lo sguardo.

La sua eccitazione era così evidente e il suo profumo così buono, che avvertii un pugno all'altezza dello stomaco.

Mi coprii i seni doloranti risistemando la maglietta, ma quando con le dita sfiorai il bordo della gonna per abbassarla, lui mi fermò.

«Quindi devo davvero legartele?»

Rimasi immobile, mentre lui si piegava per afferrare il tubo di una pompa da giardino. Poi l'azionò lavandosi l'addome. Rimasi stordita da quella visione. E non perchè l'acqua cominciò a scivolare sulla sua pelle abbronzata e tra i suoi muscoli contratti, ma perchè ora si preoccupava di lavarsi.

Non capii. Voleva andarsene?

«Posso?», chiese sapendo che non gli avrei mai detto di no.

«Cosa vuoi fare?»

«Ti ripulisco, così puoi vestirti», disse direzionando la pompa su di me.

Il getto gelido arrivò crudele, prima su un capezzolo, poi sull'altro. Bruciarono e sentii una fitta piacevole contrarmi lo stomaco. E la sensazione aumentò quando lui premette le labbra bollenti contro il mio orecchio.

«Se in questo momento io ti toccassi, sarebbe troppo, non è così?»

E senza nemmeno aspettare che rispondessi, Ace portò il flusso ghiacciato tra le mie gambe. Sobbalzai sul legno, quando l'intensità del getto colpì il mio interno coscia sensibile, così vicino all'inguine da levarmi il fiato. Inarcai la schiena, poi lo guardai negli occhi e mi bastò un suo sguardo per impazzire. Strinsi le gambe tra loro, ma non trovai pace.

«Ace...» ansimai, con l'acqua che mi scivolava giù lungo le cosce.

«Respira», mormorò tenendo una mano sulla mia gamba, per distanziarla dall'altra.

«Io...»

Portò di nuovo il getto lì in mezzo e stavolta fu spietato, perché mi colpì il clitoride ormai pulsante sotto le mutandine. Un flusso piacevole mi scaldò le guance e un vortice bollente mi riempì lo stomaco.
La terza volta mi uccise, fu così piacevole che sentii una fitta alla pancia e persi il controllo delle gambe.

«Ora però non sembri affatto una brava ragazza», mugugnò sulle mie labbra, prima di separarle con un affondo di lingua che mi mandò in estasi.

Ace continuo a vorticare la lingua con la mia e il quarto getto arrivò caldo e mi portò in paradiso con un colpo solo. Il mio corpo perse consistenza, il piacere dilagò incontrollato e io caddi rovinosamente dalle nuvole e tra le sue braccia.

Ace rallentò il bacio, con dolcezza, poi mi abbassò la gonna sulle ginocchia, ma quando mi resi conto che stava per allontanarsi, io mi aggrappai alla sua schiena e lo obbligai a cascare su di me. Le unghie affondarono nella sua pelle compatta.

«Non fare così», gemette con le labbra schiuse sulle mie.

«Perché?»

«Perché così finisce in un solo modo, Scarlett.»

Io non capii e lui volle farmelo intuire in maniera molto semplice. Ero ancora seduta sulla scala, quando Ace spinse il bacino tra le mie cosce. Premette contro i miei fianchi e sembrò in grado di distruggermi solamente con quel gesto accennato. Non avrei immaginato il resto.

«Davvero? Qui?»

La mia non era una domanda, ma una provocazione.
Sgranai gli occhi quando sentii il calore del suo palmo tra le gambe. Con l'interezza della mano, Ace mi coprì l'inguine e afferrò l'intimo completamente fradicio. Pensai volesse strapparmelo di dosso. Lo strinse nel pugno, portandolo a lato, lasciando spazio all'estremità dell'eccitazione che gli perforava i pantaloncini. Sembrava stesse fremendo per affondarmi dentro.

«Ovunque», sussurrò chiudendo gli occhi.

E per la prima volta lo vidi sofferente.

«È occupato?»

Qualcuno bussò contro la porticina facendomi spaventare. Le piccola mura vibrarono.

Ace mi tese la mano e mi aiutò a scendere dalla scala. Mi ritrovai in piedi, ma in realtà mi sembrava di danzare sulle nuvole.

«Devo cambiarmi, non posso uscire così...» dissi preoccupata.

Lui recuperò un borsone che teneva al fondo del ripostiglio e mi allungò una sua felpa pulita.

«Sono quelli che tengo per le emergenze. Metti questa, ti do anche i miei pantaloncini» disse porgendomi i suoi abiti asciutti.

«Ma era il tuo cambio. E tu come fai?», chiesi guardandolo.

Ace era completamente fradicio.

«Io posso benissimo farmi il tragitto fino in camera mia in questo stato.»

«Okay, mi cambio ed esco. La nonna si chiederà dove sono», dissi con un po' di agitazione.

Lui si accorse che stavo tremando, quindi mi fermò dalle spalle. «Stai bene, Scarlett?»

Alzai lo sguardo nel suo. «Sì. Tu?»

In tutta risposta, Ace mi lasciò un bacio sulle labbra che mi strappò un sorriso.

Poi però udimmo di nuovo una voce, stavolta quella di sua madre, perciò lui si affettò a uscire da lì.

Io non registrai i movimenti successivi, indossai i suoi abiti con la testa nel pallone e, dopo qualche minuto, ero fuori.


Mi diressi verso il giardino e lì vidi la mamma di Ace che mi adocchiò da lontano.
Avevo l'impressione che sospettasse qualcosa, ma forse aveva solo riconosciuto la felpa del figlio.


«Torniamo tesoro?»

«Sì nonna, ma dobbiamo chiamare un taxi», bofonchiai risistemandomi i capelli.

La nonna mi raccontò di aver già salutato la mamma di Ace, perciò quando la vidi dall'altra parte del cortile, io me ne tenni alla larga, nonostante accanto a lei ci fosse Ace che si era già cambiato. Lui si voltò e i nostri sguardi si unirono. Sentii tutte le sensazioni piacevoli annidate nel mio stomaco, risalire al cervello.

«Chiedi al tuo amico di accompagnarci a casa, no?», azzardò, mentre ci avviavamo verso l'uscita.

«Dici così solo perché lo vuoi conoscere, nonna.»

«Siamo state qui tutto il pomeriggio e non me l'hai presentato. Mi sembra il minimo.»

«Prima non c'era, stava dando un esame e...»

La nonna fiutava le bugie ancor prima che le dicessi. Si girò con aria furbetta.

«Devo chiederti di chi sono quei vestiti?»

«Sono miei. Scarlett ha avuto un piccolo incidente al campo da tennis», s'intromise Ace,  venendo in mio soccorso.

La nonna lo salutò con una stretta di mano e lo studiò a lungo, dal basso.

«State andando via?», domandò lui.

Sentii la mia pelle bruciare sotto la felpa. Mi imbarazzai e non riuscii nemmeno a guardarlo negli occhi.

«Sì, la nonna è stanca, dobbiamo tornare.»

«Vi accompagno.»

La proposta di Ace mi fece arrossire e cominciai a balbettare. «Ah, no, non è...»

La nonna intanto non fiatava, troppo persa ad ammirarlo.

Poi d'un tratto parlò. «E invece va benissimo, andiamo»













«Non sarà lussuosa o grande come casa vostra, ma ha il suo perché, non è così?»

La nonna fu fiera di mostrare la sua casetta a Ace e un'ombra malinconica mi oscurò il viso.
Non ne sapeva nulla di quel documento, ormai era chiaro.

«Stavo proprio per dirlo, Margaret.»

Ace le diede corda mentre ci scortava fino alla porta d'ingresso.

Poi però la nonna cominciò a frugare nella borsa.
«Ma dov'e il pacco con i dolci che mi ha lasciato la signora?»

«Nonna non dovresti mangiarli i dolci...»

«Se avete dimenticato qualcosa a casa mia posso tornare a riprenderlo, non c'è problema», si offrì Ace.

Lo vidi abbassare la testa per poter entrare dalla porta d'ingresso.

«Non c'è bisogno, grazie», mi affrettai a dire.

Non volevo che Ace si disturbasse troppo, ma la nonna era di tutt'altro avviso.

«Oh invece saresti davvero gentile», gli sorrise.

«Va bene, ci metto dieci minuti» Poi Ace mi guardò. «Vuoi venire con me?»

Non so quanti secondi sprecai a fissarlo a bocca aperta.

«Mi cambio un attimo. Avrei bisogno di una doccia però...»

«Ti aspetto qui, fa' con calma.»

Vederlo nel salotto della nonna mi fece sentire come sulle nuvole, di nuovo.

«Vieni, Ace. Aiutami a sistemare le scorte di caffè», disse la nonna, che aveva già trovato qualcosa da fargli fare nel frattempo.

Io intanto mi lavai e dopo aver indossato un vestito, uscii dalla camera da letto.

Non riuscii però a muovere un passo.
Qualcuno aveva suonato il campanello e la voce che udii mi fece raggelare il sangue nelle vene.

No.

«Vieni pure, ti faccio un caffè», disse la nonna.

Oh, no, no.

«Lui è Ace, un amico di Scarlett.»

No. No. No.

Ero spacciata.




ho di nuovo scritto troppo... ma io sono questa (e non cambierò facilmente) 🎀☝🏻

Spero il capitolo vi sia piaciuto 🩷 se così fosse, lasciatemi una stellina perché ciò mi aiuta a capire quali sono i vostri capitoli preferiti ⭐️

Volevo anche dirvi che non mi è possibile leggere tuttissimi i commenti, perché magari sono più di ventimila, ma ehi... io ci provo sempre🤞🏻 e spesso lascio like ad alcuni di questi, magari perché mi fate sorridere, oppure perché avete azzeccato una teoria... quindi attente ✨🦋

Per i TW e tutte le domande, ci vediamo su Instagram: stefaniasbooks 🎀

Vi amo, a prestissimo!! ✨

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