7. (𝕴𝖉𝖆𝖑𝖎𝖆)

Quella mattina si era svegliata più infastidita del solito: non aveva memoria di ciò che aveva sognato, ma doveva essere stato qualcosa di doloroso o cupo. Le aveva lasciato un sentimento di malessere, di cui non riusciva a ripescare l'origine, ma di cui sentiva ancora l'amaro addosso. I suoi sogni notturni la venivano a trovare alternati: qualcuno bello, qualcuno brutto, ma tutti roteavano intorno allo stesso periodo della sua vita; nondimeno, l'unico interessante di cui avesse memoria.

«Vostra Altezza, volete essere preparata per scendere a mangiare? » le aveva chiesto Bebhin con aria apprensiva e docile, la stessa di ogni giorno.

«No, fai portare la colazione in camera. Oggi non ho voglia di farmi vedere».

«Come desiderate».

Aveva lasciato che la sua domestica la vestisse e pettinasse in fretta, senza sforzarsi di sedare troppo la stizza che provava. Di solito non era tanto capricciosa, ma non riusciva a contenere quel malumore.

Durante quella mattinata si era rifugiata in libri di cui aveva capito poco e nulla. Più tardi aveva preteso di fare un giro nel giardino reale, decidendo di arrivare fino allo stagno: era solita rifugiarsi lì ogniqualvolta voleva lavare via un dispiacere, un malumore o la noia.

Quella frequente, asfissiante noia.

Si era messa a giocare nella pozza come faceva da piccola, noncurante delle guardie che l'avevano seguita fin lì e che l'avrebbero vista in quella condizione poco dignitosa, infilata fino alle ginocchia nell'acqua e con la veste sozza e bagnata. Si era attardata per svagarsi con le ninfee: le aveva librate per aria e lasciate ricadere dolcemente sull'acqua, con gran divertimento delle rane, che si erano viste volare verso l'alto parti di casa.

Non le importava che i domestici vedessero ciò di cui era capace, ormai, non aveva più alcuna voglia di nascondersi: in quel castello nessuno l'avrebbe più lasciata sola neanche per un secondo, in ogni caso. L'avrebbero tenuta d'occhio fino al giorno della sua morte, sorvegliandola dall'alba al tramonto e persino durante la notte. Erano stati installati soldati a presidiare sia la porta della sua camera che il passaggio sottostante la finestra. La situazione era così da un anno e sarebbe continuata, ipoteticamente, per sempre.

O almeno, fino a che suo padre non le avesse trovato un marito congeniale, cui passare il compito di controllarla: non che non avesse già tentato più volte, senza trovare alcun tipo di riscontro positivo da parte sua. Sapeva quanto suo padre la adorasse, quanto in fondo fosse preoccupato per lei, quanto l'ultimo partito che le aveva proposto fosse una scelta di cui qualsiasi ragazza sarebbe stata più che contenta. Sir Devon non era solo un uomo valoroso e onesto, aveva anche notato che molte dame lanciavano occhiate sognanti al suo passaggio.

«Io non ti capisco proprio: cosa potresti volere, di più? Se l'avesse proposto a me, non avrei esitato un secondo».

Sua sorella minore era tra quelle dame e ricordava come non si fosse trattenuta dall'esprimerle il suo disappunto, tra sospiri e risolini.

Di sicuro il comandante aveva una bella presenza: lei aveva anche soppesato l'ipotesi, aveva avuto un debole barlume in cui riporre la speranza di guarire da quel male d'amore che la tormentava, insieme a delle illusioni impossibili. Non aveva mai raccontato a nessuno di lui, nemmeno a Myridia. Forse l'avrebbe capita, ma non se l'era sentita.

Forse era ancora troppo presto o forse il momento di rassegnarsi non sarebbe mai arrivato, ma aveva di nuovo optato per il rifiuto, con decisione. Avrebbe dovuto persino essere grata a suo padre, per il fatto di aver assecondato ancora le sue voglie e non averla costretta al matrimonio con la forza. Nonostante ciò, non riusciva a non pensare incessantemente alla fuga.

L'aveva già provata, la fuga, e avrebbe conservato quel ricordo in eterno, come l'unico e ultimo sprazzo di libertà che sarebbe mai riuscita a ottenere. Invece di sentirsene gratificata e accarezzarne la memoria, non riusciva a darsi veramente pace. Di giorno tentava di distrarsi, seppur con poco successo: si muoveva tra un'attività noiosa e l'altra, che fosse lo studio, le visite delle sue dame di compagnia, la biblioteca con le storie di mondi lontani che le permettevano di evadere. Ma la notte, quella no, non riusciva mai a raggirarla: da un anno tutto quello che le capitava di sognare, piacevole o spiacevole che fosse, faceva capo non a una fantasia distante, ma alla realtà, quella che aveva avuto il tempo di assaporare per un solo istante prima di perderla per sempre.

Tra l'inerzia di una giornata qualsiasi e quel piccolo, insolente fastidio a perseguitarla dal risveglio, la principessa Idalia aveva dimenticato che in quei giorni era previsto il ritorno a palazzo proprio della compagnia di sir Devon.

Se ne rammentò quando un'ancella venne ad annunciarle che i cavalieri erano alle porte della città, in anticipo sull'arrivo previsto: acconsentì a farsi cambiare d'abito per scendere nel salone d'onore ad accogliere il loro comandante, insieme a suo padre e a Myridia. Loro due rappresentavano sia la gioia che la tristezza di quel Re, che non aveva ancora ottenuto un erede maschio.

Sentì un lieve formicolio all'altezza del ventre, mentre l'ultimo dei tanti nastri le venivano annodati sulla schiena. Che il bustino fosse troppo stretto o che lei fosse più interessata del dovuto ad avere notizie su Agonos, non importava davvero. Cacciò via ogni pensiero e lo gettò nel pozzo di malumore consegnatole dai suoi sogni notturni, prima di permettere che le infilassero le scarpe.

Scese con calma verso l'imponente sala. La accolse uno spazio bianco e alto, dalle cui finestre laterali, in cristallo, cadevano verso il basso gli ultimi raggi di luce della giornata: disegnavano sul pavimento due fasci paralleli, a incorniciare il lungo tappeto in velluto rosso che dall'ingresso portava a suo padre, già seduto sul suo scranno in attesa del loro ospite.

Si accomodò con garbo nella posizione a lei dedicata, alla sinistra del Re, lisciò appena il tessuto della gonna, con un cenno leggero, e alzò la testa con grazia dinanzi a sé.

Vide Devon di sfuggita, una figura alta e imponente dai toni scuri, prima che i suoi occhi notassero una chiazza ramata che si muoveva a fianco del cavaliere. Perse il controllo della postura, per un momento appena: riequilibrò subito il peso sui piedi, mentre spostava lo sguardo altrove, e cercò di calmare il respiro che le si era fatto veloce, mentre in un lampo il suo raziocinio ricordò che si trovava a palazzo. Il formicolio allo stomaco divenne fitta, il vestito d'un tratto troppo stretto, soffocante. Dentro quell'atrio enorme sembrava essere svanita l'aria.

Lui è qui.

Per Idalia fu complicato non piangere, gridare o persino emettere qualsiasi suono: si limitò a portare una mano davanti alla bocca, senza riuscire in qualsiasi altro modo a camuffare la tempesta di sentimenti che la colpirono come un secchio ricolmo d'acqua. Continuò a ripetersi di esalare un respiro dopo l'altro, piano, temendo che quell'arsura incredibile stesse diventando realtà, colorandole la pelle di un rossore esplicito e colpevole.

Lui era lì, le camminava incontro dopo essere venuto a trovarla quasi ogni notte: era lì in carne e ossa, con gli stessi occhi verdi che durante quei lunghi mesi aveva cercato di scolpire nella memoria, per la paura di perderli. Lui, arrivato e fermatosi davanti a loro, li rivolse verso di lei: rilucevano di bagliori tremolanti, inumiditi da un velo liquido.

Idalia non riuscì a mandargli alcun segnale mentale, la testa le rimase offuscata dal dubbio di ritrovarsi in una fantasia. Rimase a guardarlo per un tempo indefinito, prima di accorgersi che qualcuno stava ricercando la sua attenzione.

«Figlia... Figlia! Idalia! Per l'amor del cielo!»

«...Padre?»

Il Re, seduto sul trono alla sua destra, sospirò rumorosamente: «Ti ho chiesto, Idalia: conosci forse questi due soggetti?»

Solo allora Idalia fece caso a Fawn, in piedi di fianco a Lyam: ma certo, Fawn. Era ovvio, avrebbe scommesso qualsiasi cosa sul fatto che lui non l'avrebbe lasciata. In quel momento notò che la ragazza la guardava con un fare strano: che provasse ostilità verso di lei? O si trattava di tristezza?

«Sì, padre, io ho avuto modo di conoscerli.»

«Fawn, voglio solo che tu sappia che mi dispiace. Mi dispiace davvero, non posso nemmeno immaginare come ti sei sentita. Avrei voluto avere più tempo per starti vicina, se solo fossi stata più forte te lo avrei detto. Mi dispiace davvero, ho pregato per te da quel giorno...»

Fawn non rispose: distolse lo sguardo per posarlo davanti a sé, in un punto imprecisato sul terreno.

*

Idalia sentì a malapena quanto sir Devon raccontava al Re, mentre lo informava della situazione circa i Disertori nella regione di Agonos. Lei ricordava bene il disastro di un anno prima, il giorno in cui li avevano annientati, dopo averli colti di sorpresa nel loro rifugio. L'esercito di cavalieri aveva raggiunto in ritardo i traditori e li avevano sconfitti per la maggior parte, ma non del tutto, creandone una frammentazione.

Dopo quella vittoria temporanea suo padre aveva rispedito la cavalleria alla caccia dei superstiti e del loro capo, certo che avrebbero trovato il modo di rimettersi in piedi: il loro comandante veniva a dare rapporto di quel lungo inseguimento. Per tutti i mesi a venire avevano cercato, trovato e battuto molte delle piccole legioni nate quel giorno. Erano riusciti con difficoltà a svelare la loro rete di alleanze, che si era scoperta essere più ampia di quanto avessero sospettato.

«Non siamo ancora venuti a capo della posizione esatta di Proteo, sire... ma abbiamo informazioni attendibili che ci indicano di dirigerci a nord-ovest, è probabile che potenti possidenti della zona stiano coprendo il suo nucleo di uomini ». 

Sir Devon spiegò al sovrano di avere una serie di teorie circa la collocazione di quel nascondiglio, un paio di opzioni che era fiducioso di sbrogliare una volta tornati in missione.

Spiegò poi di aver trovato quei due ragazzi, che il Re poteva osservare lì con loro, durante un attacco notturno a un piccolo gruppo di Disertori: avevano deciso di condurli sin là per consegnarli alla giustizia e alla clemenza di Sua Maestà; avevano già confessato di essere reduci dal gruppo di rivoltosi estintosi tempo addietro. Aggiunse di non avere notizie su di loro se non i nomi, e che si trattava di Misteri, capaci l'una di controllare il fuoco e l'altro dotato di velocità sovrumana. Affermò di non averli trovati pericolosi né degni di nota: quasi suggerì al Re di non prestare loro troppa attenzione e lasciarli andare.

A Idalia parve di notare un impercettibile movimento sulla fronte di Fawn, che si corrugò nel sentire le ultime parole del cavaliere. Nonostante le intenzioni, suo padre non diede l'esito sperato.

«E così, sostieni che non abbiano nulla di importante da dichiarare o che valga la mia preoccupazione: sai quanto mi fidi di te, Devon, ma devo dissentire. Voglio che tu sia sincero, so bene quanto simili creature riescano a essere tutt'altro che innocue, e non posso nemmeno ignorare il fatto che abbiano agito consapevolmente alle spalle della corona».

Idalia fu presa da un improvviso timore: suo padre non avrebbe mai potuto... In fondo lo stesso gesto, da lei compiuto, era ormai trapelato ai più.

Con che coraggio avrebbe potuto condannare due ribelli, reduci da un gruppo che ormai viveva per la maggioranza sottoterra, senza che sua figlia, loro complice, avesse mai subito alcun tipo di conseguenza?

Un po' si era pentita di aver dato a suo padre dei simili problemi con cui sbrigarsela, conscia della posizione delicata in cui la sua autorità riversava. Eppure, in quel momento, non poté fare a meno di sperare che quell'atto sconsiderato sarebbe stato utile a evitare qualsiasi punizione per Lyam e Fawn.

«Padre, io li ho conosciuti, come da voi sottolineato. Posso confermare che non ho mai ravvisato, nell'animo di questi giovani, nulla che non sia affine e consono a quello che avete sempre desiderato per il Regno. Sono certa che la loro mancanza di riguardo per la vostra posizione sia stata solo uno sbaglio, una leggerezza: saprete che dalla disperazione può nascere il seme della ribellione. Soprattutto quando questo non venga coltivato e accompagnato a dovere da chi avrebbe il compito di guidarlo».

Lo esalò in un colpo solo, decisa e sfrontata. Non osava alzare lo sguardo, ma prese coraggio e lo fece: vide suo padre che la fissava attonito, preso alla sprovvista da quell'avventata presa di posizione pubblica che aveva scelto di dimostrargli. Dopo l'avventura di un anno prima, troppo affranta e perseguitata dal senso di colpa verso di lui, non aveva più osato ribattere o dire una sola parola. Aveva pregato che potesse perdonarla e aveva vissuto lacerata, tra i suoi desideri e ciò che sapeva essere giusto per la propria famiglia. Ma ora, messa di fronte a quella situazione, il suo cuore aveva parlato per lei.

«Prenderò atto di questa tua dichiarazione, Idalia. Ne terrò conto...» le rispose suo padre, turbato.

Si rivolse ancora al comandante: «Devon, puoi garantirmi che questi due Misteri, infine, non abbiano mai arrecato danni nella tua compagnia? Potresti giurare di averli visti collaborare, sin dal principio, e dimostrarsi umilmente devoti alla corona? Un potere come il loro, potenzialmente letale... Se mosso dal risentimento, non potrebbe essere tollerato». Volse lo sguardo e lo puntò verso Fawn, nel dire quelle ultime parole. Lei, di tutta risposta, lo alzò verso il Re e lo fissò risoluta, quasi volesse proporgli una sfida.

Tu e quel maledetto orgoglio.

«Fawn, ti prego, dammi retta. Voglio che riusciate ad uscire vivi da...»

«Posso garantirlo, Vostra Maestà. Avete la mia parola, non hanno causato alcun tipo di problema. Come vi ho detto, non sono stati un pericolo per i miei cavalieri e non li ritengo un pericolo per la popolazione di questa regione».

Devon rispose al Re con quel suo tono impassibile, freddo e deciso. Idalia, seppur stupita, camuffò quella sensazione e si chiese cosa stesse succedendo. Sir Devon era noto per essere da sempre un uomo di onestà e lealtà indissolubili: suo padre gli avrebbe affidato la sua stessa vita, se costretto.

Che Fawn sia davvero stata in grado di comportarsi bene? Forse è cresciuta, maturata.

Notò in quel momento l'espressione sul viso della sua vecchia amica e compagna: guardava il comandante dal basso verso l'alto, con gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta, come se non riuscisse a credere a quanto quell'uomo avesse appena affermato. Dopo un attimo si ricompose e volse lo sguardo dritto dinanzi a sé, più calmo.

«Molto bene, puoi ritirarti. Devo discuterne con i miei consiglieri, la mia decisione è rimandata a un altro momento. Ora tu e i tuoi uomini siete liberi di rifocillarvi, ho fatto preparare delle stanze e un banchetto. Quanto ai ribelli, per ora verranno sistemati negli alloggi della servitù: manderò delle guardie a sorvegliare».

Il Re congedò così i nuovi venuti.

Idalia lo vide portarsi le mani alle tempie e sospirare, mentre sua sorella Myridia gli si avvicinava con garbo, e fu presa da tenerezza: suo padre le apparve, tutto a un tratto, un uomo incredibilmente stanco.


🦌🤎⚔️🔥

Lei non era tra i pov previsti, ma mi é uscita naturale;)

Vi piace la nostra principessa? Come vi é sembrata?

Vorreste più pov differenti o preferite osservare dalla testolina di Fawn?

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