32. (𝕱𝖆𝖜𝖓)

Passò la ciotola fumante a Yulia, seduta poco lontano da lei. La ragazza la prese con uno scatto felino, accennò un veloce "grazie, Fawn!" e non aspettò che tutti quanti fossero serviti, per soffiarci sopra e infilarci la forchetta da viaggio dentro. Incredibile come una creaturina così piccola potesse avere tanto appetito. Nilde, le gambe unite tra loro e i gomiti stretti, invece, reggeva la propria razione sulle ginocchia e la cingeva con le mani, muovendole appena per non ustionarsi. Guardava davanti a sé, l'ombra di qualcosa a impensierirle gli occhi.

Fawn la ignorò. Capiva quanto la ragazza non fosse d'accordo con lei, ma non poteva perdersi dietro ai sensi di colpa. Nessuno le garantiva che dentro alla residenza del conte non si nascondesse davvero Proteo, nonostante la sua amica le avesse ribadito più volte che, secondo lei, quell'attacco era poco più che una questione burocratica, una disputa che cavalieri e signore di Dunham avrebbero risolto tra loro. Forse neanche avrebbero messo mano alle spade, inutile accanirsi tanto per volerli seguire!

Il punto non è soltanto non lasciarsi sfuggire Proteo, ma fare qualcosa di più utile che starmene qui ad aspettare, mentre quell'idiota si prende la gloria.

Preparò una ciotola per Lily, che la afferrò senza tante cerimonie. Non la ringraziò, ma scorse l'accenno di un sorriso, minuscolo. Erano trascorsi ormai sei lunghi giorni, in cui la bionda aveva dimostrato di essersi abituata a lei. Come un gatto diffidente, l'aveva osservata da lontano prima di decretarla meritevole di dignità, ma finalmente si erano accettate a vicenda. Ogni tanto si parlavano.

Riempì la stoviglia di Ciara con altri due pezzi di carne arrostita, staccandoli dalla piccola carcassa che avevano lasciato ad abbrustolire sopra il falò, e gliela passò. Il suo, di sorriso, fu caldo e largo. Provava ancora un certo disagio, per la modalità con cui la donna aveva scelto di accoglierla: si sentiva guardata con pietà, come se Ciara fosse riuscita a scavarle dentro e vedere tutto ciò che portava con sé. Forse lei stessa aveva aspettato a lungo, prima di avere qualcuno a cui sentirsi simile. Fawn non voleva sentirsi simile a nessuno, né credere che tutto quel dolore meritasse davvero una carezza esterna. Era meglio lasciarlo lì, a marcire dove meritava di stare: dove nessuno l'avrebbe potuto vedere. Ciara non sapeva la verità, poteva solo immaginarla e vederla come una vittima. Appena avesse avuto modo di scorgere tutto, se ne sarebbe andata anche lei.

Non era ancora il suo turno, doveva prima preparare i piatti per le quattro guardie della scorta. Abbozzò qualche occhiata e si assicurò che fossero ancora distanti da loro, ne vedeva le schiene: erano stati chiamati a interloquire col comandante, insieme a tutti gli altri uomini. La vigilia di un papabile scontro prevedeva sempre incontri di quel tipo: un gruppo di alti e possenti esemplari, stagliati nella notte e rivelati solo dalla luce intermittente del fuoco acceso, più in là. Potevano anche voltarsi all'improvviso, ma non avrebbero capito cosa stesse architettando. Li aveva studiati, avevano il cervello grande quanto una nocciolina. Nonostante fossero soldati pressoché inutili, il cui unico compito consisteva nel proteggere le curatrici, persino loro avevano diritto di presiedere alla riunione finale. Sbuffò.

Quel lurido, pomposo, stramaledetto...

La cena, sì.

Si calmò, respirò, diede la schiena a Ciara e Yulia e tirò fuori dalla tasca interna del mantello la boccetta in cui aveva riversato l'esperimento del pomeriggio. Non aveva chiesto aiuto a nessuna, ma Yulia l'aveva scoperta mentre sfogliava con una certa foga il proprio compendio personale. Vinta dalla vergogna, era stata costretta a mostrarglielo e spiegarle perché non contenesse parole dotate di senso. La ragazza non si era dimostrata cattiva, nel saperlo, ma come era ovvio aveva strillato la cosa ai quattro venti ed entro pochi minuti erano tutte accorse lì, a decretare che l'avrebbero aiutata a imparare a leggere e a scrivere.

«Quindi non hai mai letto neanche un romanzo d'amore? E come hai vissuto, fino a oggi? Oh, cara mia, non sai cosa ti sei persa. Vedrai, purtroppo qui con me ho pochi volumi, ma a Varkos... ricordami che devo prestarteli tutti!»

«Che c'è di tanto interessante, in una storia d'amore?»

Risate a non finire.

«Tu dovevi sposarti, no? Non ti sei mai chiesta cosa succede, beh, dopo?»

L'aveva presa per una deficiente?

«So benissimo cosa accade, anche perché è successo ben prima».

La bocca di Yulia aveva formato a quel punto una grossa o, e non si era trattenuta dallo strillare ancora più forte: «Ma tu devi dirci tutto! Dal primo all'ultimo dettaglio!»

Neanche morta. Oltre al fatto che non richiamava alla memoria certe immagini da troppo tempo... Provavano a fare capolino, ogni tanto, ma le scacciava tutte. Senza esitazione. Faceva già abbastanza male.

La sua amica, però, non aveva dato peso a quel silenzio e aveva insistito: «Tu dovrai raccontarmi com'è, e io ti presterò i miei libri! Dentro ci sono tante cose che non sai nemmeno tu, ne sono sicura. Persino Ciara ha iniziato a divorarli, da quando glieli ho fatti scoprire».

Ciara si era intromessa per confermare che, in effetti, quei piccoli volumi sconci aprivano le porte a infinite conoscenze. La curiosità di Fawn si era anche alzata un pochino. In fondo lei e Dylam avevano consumato, certo, ma non si poteva dire che fosse diventata un'esperta.

Ma con chi dovrei provare, ormai? Sono tutte stupidaggini senza futuro.

Aveva fatto sì che la conversazione virasse altrove, rivelando cosa aveva in mente di preparare: una tisana rilassante che l'aiutasse a dormire. Niente di strano... Solo Nilde l'aveva osservata con un fare dubbioso, come se avesse capito che mentiva. Le aveva parlato, poco dopo, e Fawn non aveva potuto fare altro che confermarle il proprio piano. Credeva l'avrebbe capita, ma Nilde si era limitata a farle le solite raccomandazioni piene d'ansia e a consigliarle di lasciar stare, prima di andarsene da Devon.

Era stata Fawn, con la partecipazione di tutte, a convincerla ad andare dal comandante, quando aveva mandato a chiamare una di loro la prima volta. Era ovvio che volesse aiuto per togliere i punti, ma il fatto era che la presenza di Nilde era stata richiesta ancora, nei giorni successivi... 

Fawn le aveva domandato il motivo: la ferita aveva bisogno di essere esaminata, in vista della visita al conte. Gli dava ancora qualche fastidio, così aveva detto.

Non aveva potuto fare a meno di chiedersi perché quel taglio continuasse ad arrecargli problemi. Che avesse sbagliato qualcosa, nel curarlo? Che si fosse persa dei passaggi. La lesione poteva essersi riaperta, ma da lontano lui sembrava sano. Aveva scacciato via dalla testa l'immagine di Devon barcollante, la notte nella taverna. Era ridicolo. Quell'emerito stronzo l'aveva trattata come una palla al piede, e lei aveva ancora il coraggio di preoccuparsi per lui.

Forse Nilde è davvero riuscita a fare colpo, e se la stanno vivendo di nascosto.

Provava una punta di fastidio: in fondo, la sua amica avrebbe anche potuto confidarsi. Nilde ormai sapeva un sacco di cose sul suo conto, mentre lei pochissime. Dalle esigue conoscenze che aveva circa le amicizie femminili, immaginava che non dovessero esserci segreti di quel tipo. Ma Nilde non aveva fatto altro che dimostrarsi vaga, darle risposte incerte e sfuggire alla questione.

L'unica cosa che faceva era propinarle la ramanzina del non tentare la fuga, del farsi furba, del rimanere al proprio posto...

Una marea di cazzate.

Stappò con decisione la boccetta e versò il contenuto sul cibo delle quattro guardie, abbondando con uno dei piatti. Doveva ricordarsi la posizione, per capire a chi di loro sarebbe toccato. Se ne fregò di essere vista da Nilde, ne poteva sentire lo sguardo accusatore perforarle la schiena. Azzardò un'occhiata laterale: le altre tre mangiavano, senza fare caso a lei.

Preparò l'ultimo piatto per sé e si sedette sul piccolo tronco di fianco a Nilde. Fece finta di nulla e iniziò a mangiare.

«Fawn, hai davvero intenzione di procedere col tuo piano? Sii ragionevole, ti prego», un sussurro concitato.

Era tentata di non rispondere, ma mugugnò senza nemmeno voltarsi: «Apprezzo la tua preoccupazione, ma farò a modo mio».

«Potresti essere scoperta, non credo che il comandante ne sarebbe tanto contento. Finiresti solo per metterti nei guai».

Abbozzò una pernacchia: «Perché l'idiota dovrebbe scoprirlo?»

Nilde non rispose, ma notò con la coda dell'occhio che le mani si muovevano con fare nervoso sulla ciotola. La carne era ancora lì, integra, non l'aveva neanche toccata. Era troppo in pena per lei, e senza ragione.

Fawn aggiunse: «E comunque non ho paura di lui, sta' tranquilla. Abbaia tanto, ma non morde».

«Forse non di lui, ma la tensione dentro alla compagnia è già abbastanza alta...», un altro sussurro appena mormorato.

Avrebbe dovuto pensare in termini generali, farsi carico dell'umore e dell'ordine dell'intera spedizione? Sì, forse, indubbiamente il comandante avrebbe avuto l'ennesimo "problema".

La sua autorità sarebbe stata minata per l'ennesima volta... ma in fondo aveva già deciso che rimanersene buona e zitta non faceva per lei. Al diavolo tutti. Si diede ragione, più volte, mangiò in fretta e non guardò più Nilde, cercando di infilarsi nei discorsi divertiti delle altre ragazze e di ignorare quella presenza piena di biasimo che la fissava.

*

Era calata l'oscurità e gli unici suoni che accompagnavano il sonno erano quelli della foresta: le cicale, l'ululato di qualche gufo, il fruscio del vento che si scontrava contro i rami e le foglie degli alberi. Infilò il naso fuori dalla tenda comune, rimanendo sdraiata a pancia in giù. Un'occhiatina fugace, per accertarsi che il sonnifero avesse avuto effetto: l'unico soldato di guardia era a pochi metri da lei, seduto sull'erba e appoggiato a un grosso tronco nodoso. Ottimo.

Sgusciò fuori con lentezza, per cercare di non fare il minimo rumore, diretta verso la tenda degli altri tre cavalieri. La trovò e si apprestò a mettere in moto il piano. Scostò il lembo di stoffa con una presa sicura, al rallentatore, e infilò giusto la testa all'interno. Il russare sconnesso le confermò che anche loro non erano in procinto di svegliarsi. Osò emettere una minuscola fiammella levitante, che spostò con lo sguardo per permetterle di perlustrare l'ambiente ai suoi piedi. Meglio non entrare nemmeno e limitarsi a prendere ciò che le poteva essere utile dall'uomo più prossimo all'ingresso. Il fuocherello si mosse, vibrando nell'aria, e rivelandole la presenza della borsa dell'uomo sistemata contro il suo fianco più esterno.

Allungò un braccio, ma non bastava. I sensi all'erta, spostò del tutto la tela d'ingresso per infilare nello spazio prima una gamba, poi l'altra. Si mosse in punta di piedi, appoggiò i polpastrelli di una mano a terra e si sporse con l'altro braccio a tastare l'interno della sacca. Trovò subito ciò che cercava: una forma rotondeggiante e rigida.

Nel cercare di aprire la sacca, il piede rimasto all'indietro urtò contro la figura del soldato. Trasalì. Ebbe un tuffo al petto e spense la fiamma nell'immediato, rimanendo immobile, l'intero apparato muscolare in tensione. Lui grugnì qualcosa, per poi rigirarsi dall'altro lato e tornare a dormire. Fawn finì l'operazione, sperando che il martellare fortissimo del proprio cuore non fosse tanto alto da poter essere udito. Afferrò l'elmo del cavaliere, era fatta. Un piccolo balzo veloce all'indietro e uscì dalla tenda, si sistemò l'oggetto tra le braccia e scappò via.

Sarebbe bastato, come elemento per non farla scoprire? Forse, bastava sistemare bene i capelli, coprirsi per intero col mantello scuro e non parlare. Non serviva rimanere in incognito per l'intera durata dell'incontro: una volta trovatasi tra loro, Devon non avrebbe potuto certo rispedirla indietro... Doveva solo far sì che non si accorgessero di lei, mentre percorreva il tragitto dall'accampamento alla reggia del conte.

Da quella piazzola nel bosco in cui lei e le altre donne sarebbero dovute rimanere, in attesa che gli uomini facessero ciò che serviva. Ferme, a girarsi i pollici.

Mancava solo il cavallo e sarebbe partita alla volta della loro destinazione, quella notte stessa. Poteva nascondersi da qualche parte e riapparire tra le loro fila una volta che la compagnia l'avesse raggiunta.

Corse verso il punto in cui avevano legato gli animali, appena discostato rispetto alla zona delle tende e coperto da una piccola schiera di farnie. L'esaltazione di essere riuscita con tanta facilità nell'impresa quasi non la fece scoppiare a ridere, durante il breve tratto.

Non aveva più acceso alcuna luce, le guardie della compagnia erano sicuramente lì, da qualche parte. Grazie alle divinità di quella terra, però, erano soliti dormirsene discostati rispetto al gruppo delle donne. Che problema potevano mai dare cinque fanciulle, d'altronde. Le sentinelle le stavano dando le spalle, con tutta probabilità. Non doveva farsi sentire o vedere, e tutto sarebbe andato per il meglio. La luce brillante della luna, alta nel cielo, bastava a permetterle di scorgere dove metteva i piedi.

Era una falena, un animale notturno dal passo felpato, niente a che fare con quei dementi dal fare tanto pesante e chiassoso. Che sciocchi, cadere vittima di un banale calmante! Non c'era neanche bisogno di usare i poteri, con esseri così inferiori.

Ecco i destrieri. Avrebbe riconosciuto il manto fulvo di Adel ovunque: la stazza più esigua rispetto a quella degli altri cavalli, era lì ad aspettarla. Non si preoccupò nemmeno di come porsi rispetto a lei, l'avrebbe sicuramente riaccolta a zoccoli aperti. Rallentò, si fermò e poggiò una mano su un grosso tronco ricoperto di muschio, voltò il capo a destra e a sinistra per assicurarsi di non avere nessuno alle calcagna e si immerse nel piccolo antro boschivo.

Adel era la terza in linea d'aria, le briglie legate a un ramo sporgente. Si mosse con cautela, per non spaventare le altre bestie, giunse a lei e finalmente le posò le dita sul lungo muso vellutato. Non si risparmiò una generosa dose d'affetto sopito e qualche sussurro gentile. Una serie di ssh rassicuranti per convincere la giumenta a non scaldarsi e farle scoprire: «Ora noi due ci allontaniamo da questa mandria di rimbambiti. Ti sono mancata, vero?». Adel rispose con un piccolo nitrito. Fawn si diresse verso l'estremità della briglia, intenzionata a sciogliere il nodo attorno al tronco e liberarla.

«Hai davvero deciso di portare avanti questa buffonata, incredibile».

Gelò sul posto. Non si girò, rimase col volto puntato verso il fusto. Quella voce, alle sue spalle. Non poteva essere.

Dimmi che non è quel lurido farabutto. Non stavolta, non di nuovo.

Il suono di un fruscio lievissimo, come se qualcuno avesse fatto un passo nella sua direzione senza quasi toccare terra. Era per quello, che non lo sentiva mai arrivare?

Dannazione! Dannazione! Dannazione!

Doveva pensare, e alla svelta. Provare per l'ennesima volta a usare il fuoco? Ridicolo, non avrebbe funzionato. Quell'unico attimo in cui lui aveva perso l'immunità ancora non se lo spiegava, troppo rischioso tentare. Lasciò la fune di Adel e abbassò la mano destra verso l'elsa della spada di suo padre, salda al fianco. Quell'idiota le aveva concesso di tenersela. Beh, fatti suoi.

Tu lo sai che non servirà a niente, vero?

Zitta! Possiamo farcela!

Ma per combinare che cosa? Ormai l'aveva vista, per la miseria. Si sarebbe tramutato in un piano di fuga, quindi.

Non lo so, non importa! Non può averla sempre vinta, questo stramaledetto, borioso, supponente...

Un altro fruscio. Avvertì la presenza di Adel che si spostava, allontanandosi di poco da lei. Le briglie si alzarono e le sfiorarono il braccio, come se qualcuno le avesse tirate verso di sé. Si stava avvicinando.

Strinse la prima mano intorno all'impugnatura della spada e la sfilò pian piano, poi portò anche la seconda ad afferrarne l'elsa. Condusse l'arma in posizione di attacco con un solo gesto fluido, facendo perno sui talloni per voltarsi di scatto.

Si ritrovò davanti a Devon che la fissava senza battere ciglio, dritto, le braccia penzoloni e un sopracciglio appena inarcato da un lato. «Ma fai sul serio?»

No, non gli avrebbe concesso di prendersi gioco di lei anche in quel frangente. Ritardava un momento del genere da fin troppo, dal primo attimo in cui lui aveva deciso di darle ordini. Da quando l'aveva legata, aveva mentito per interessi personali di cui ancora non si spiegava un accidente, finto di essere dalla sua parte solo per raggirarla e ricordarle il suo posto... Col cavolo, che sarebbe finita così.

Accennò un passo in avanti con la spada puntata, a simulare un piccolo colpo di punta per indurlo ad armarsi. Lui non si spostò nemmeno, come se non considerasse neppure l'idea.

Questo stronzo mi trova così ridicola? D'accordo, se ne rimanga disarmato, allora!

Alzò la spada e si lanciò contro di lui con un'imbroccata, provando a metterci la forza necessaria, ma senza esagerare. Come previsto, lui si scostò, abbassando la testa tanto da evitare il colpo e allontanarsi di un paio di passi. Fawn riuscì a rimanere in equilibrio.

Lui le rivolse un'espressione sconcertata, il viso che finalmente aveva un barlume emozionale addosso.

Hai capito, alla buon'ora.

No, non si sarebbe tirata indietro e non era uno scherzo, che si levasse quella dannata noncuranza dalla faccia. Devon spostò appena gli occhi in basso, prima di chinarsi con uno scatto rapido e afferrare un bastone storto da terra.

Quindi non era nemmeno degna di un'arma vera, ottimo. Quella sua dannata spada continuava a rimanersene lì, nella fodera, come se lei fosse stata solo una stupida ragazzina da addestrare. Che crepasse, allora.

Strizzò la fronte al massimo, corrugando le sopracciglia, nella volontà di guardare solo lui e concentrarsi. Le fiamme iniziavano a ribollirle nel cranio, ma sarebbe stato solo un dispendio di energia inutile. A che serviva dare fuoco all'intero bosco, in presenza di quella sua fottuta immunità.

Emise un piccolo ringhio spontaneo e si lanciò ancora contro di lui, stavolta portando la lama con entrambe le mani sopra la spalla destra. Calò su Devon con un diagonale dritto, senza più risparmiare nessun barlume di potenza. Lui parò il taglio con il bastone, prendendolo di sghimbescio. Fawn trasalì e si bloccò, capendo che la lama aveva colpito il legno conficcandocisi dentro, invece di tagliarlo.

Stava per rubargliela di mano, lo capì dal movimento del tronco di lui.

No, no, no, no.

Impresse ogni briciolo di forza che aveva nel mantenere l'elsa salda, si torse tutta mentre Devon accompagnava l'azione con una rotazione del polso. Ma non gliel'avrebbe lasciato fare, a costo di rompersi le ossa del braccio.

Cercò di tirare via la spada, per indurla a staccarsi dal legno, ma non c'era verso, non da quella posizione terribile. Poteva resistere, però, non era poi così debole, non doveva cedere...

Emise un piccolo strillo quando lui mollò la presa all'improvviso, il contraccolpo che la portò all'indietro, facendole perdere per un attimo l'equilibrio. Nel tentativo di mantenersi in piedi, non riuscì a scansare la mano di lui che la afferrò per un polso, bloccandoglielo a mezz'aria e arrestando la sua caduta all'indietro.

Rimase in quella posizione indegna, con Devon che le impediva di fare qualsiasi cosa fermandole il braccio armato, il volto di lui a un centimetro dal proprio. Era in bilico sulla punta dei piedi, con il corpo del comandante che premeva da davanti e lei che non riusciva a ritrovare un punto di appoggio. Se non altro, era riuscita a farlo incazzare, a giudicare dai lampi di sdegno che gli attraversavano gli occhi. Erano tanto vicini da credere che avrebbe potuto essere lui, a incenerirla. Due pozzi quasi neri in cui, all'improvviso, baluginava qualche fiamma scomposta.

«La tua idea di combattimento è spaccarti le mani per ripicca?» le sibilò addosso.

Rieccolo, il fiotto di rabbia. In condizioni normali sarebbe già morto, incenerito fino al midollo. Tentennò coi piedi all'indietro, per ritrovare una stabilità.

«Non», si divincolò dalla presa. «Sono», si agitò come un verme impazzito. «Affari tuoi!», quasi urlò, nel tentativo di sottrarsi a quella stretta. Portò l'altra mano a graffiare quella di Devon, pur di togliergliela da lì. Lui continuava a tenerla, impassibile, la presa un po' più violenta per cercare di fermarla.

Si azzuffarono, e Fawn si sentì come un maledetto gatto infuriato, incapace di liberarsi, mentre lui con un gesto stizzito portò la seconda mano a rubarle dalle dita l'arma.

Strinse le falangi quanto più possibile, le sentiva scivolare col sudore di cui ormai erano ricoperte. Se doveva finire così, che fosse almeno sofferta. Che non avesse tempo di dormire, quel maledetto bastardo! Che si portasse dietro almeno un inutile graffio!

Devon riuscì a sfilargliela di mano e se la nascose dietro alla schiena, a impedirle di riprendersela come fosse una stupida bambina e lui il suo stupidissimo genitore.

«Vedi di piantarla, hai dato già abbastanza spettacolo».

Ma come osava. Lui non aveva nessun diritto e nessunissimo permesso di dirle cosa fare o non fare. Se voleva lo spettacolo, l'avrebbe avuto. Si lanciò con uno scatto laterale verso Adel, sparata contro le funi che tenevano l'animale ancora legato al tronco. Iniziò a sbrogliarle con gesti inconsulti e veloci, in un disperato tentativo di fuggirsene così.

Percepì dei sospiri pesanti e delle imprecazioni a bassa voce, prima di ritrovarsi tirata all'indietro. Devon si frappose tra lei e il suo obiettivo, di nuovo. Provò ad allungarsi con un braccio per superarlo e riprendere l'azione, ma lui glielo afferrò. Ancora una volta. Si divincolò, ma lui la tenne salda.

Iniziava a essere davvero stufa, tutti quei tentativi non erano nient'altro che rabbiose dimostrazioni senza successo. Non riuscì a evitare di strillare: «Quello che faccio non ti riguarda! Voglio andarmene!»

«Si dà il caso che il cavallo non sia tuo».

Benissimo, allora.

«Me ne andrò a piedi. Lasciami».

Non la lasciava, lo sguardo sempre più cupo e l'aria sempre più torbida.

«Ti ho detto di lasciarmi!»

«Per andare dove? Ciò che cerchi è nella nostra stessa direzione, che ti piaccia o no».

«Dove mi è impedito di mettere piede, quindi non vedo alcuna differenza!»

Un attimo di silenzio. Continuava a non mollarla, e ormai Fawn aveva smesso di tirare. Si limitava a osservarlo, l'espressione sempre più inviperita da un crescendo di impotenza. Devon pareva riflettere, come se dentro alle sue iridi stessero trascorrendo in un momento solo milioni di sciami vorticanti. Ebbe un attimo di spavento: quegli occhi la puntavano in maniera fissa, salda, più ancorati della mano che non voleva saperne di mollarla.

«Cosa non hai capito, della situazione in corso? Hai visto cosa è successo al tuo amico, o no? È questo che cerchi? Ragiona, per una diavolo di volta».

Era assurdo.

«Cosa dovrei fare, restarmene a guardare?» sputò lei.

«Avere meno istinti suicidi sarebbe un inizio».

Respirò con pesantezza, tentò un altro strattone col braccio. Niente.

«Voglio venire in battaglia».

«Non se ne parla».

«Non sono inutile come credi!»

«Ho visto, poco fa. L'unica cosa che ti concede di cavartela sono i tuoi poteri. È questo che vuoi, morire nel tentativo di usarli fino allo sfinimento?»

Ma perché stava lì, a farsi persuadere da quell'uomo assurdo a fare una cosa di cui a lui non sarebbe dovuto fregare un accidente.

«Non sono cretina come pensi, so regolarmi».

«Hai dimostrato di essere abbastanza folle, invece». Aveva allentato di poco la presa.

«Questo non è un tuo problema».

«A quanto pare non è nemmeno tuo». La ristrinse.

«Alla mia vita ci penso io!»

«La tua vita non è una cosa a cui sembri tenere molto». Il tono di voce si era alzato.

Ma che cazzo.

Non riuscì a evitare di salire di volume anche lei: «Ma a chi importa, si può sapere? Tutto questo è ridicolo!»

«Importa a me!»

Aveva urlato.

Devon aveva urlato e la guardava con un'espressione indecifrabile, che fece crollare in quell'esatto istante ogni istinto rabbioso. Il petto che si alzava e abbassava, nel buio, le iridi luminose e impregnate di un tormento strano, che fino a quel momento non gli aveva mai scorto addosso. Lui riprese, dopo aver chiuso per qualche secondo gli occhi ed esalato un profondo respiro: «Importa a me. Se non te ne frega niente di te stessa, fallo per la mia sanità mentale».

Era finita in un sogno senza senso, non c'era altra spiegazione logica. Si ricordò di avere il polso stretto nella sua mano, quando avvertì che la presa si addolciva. Le dita del comandante si fecero più morbide, riuscì a percepire un leggero solletico di polpastrelli che si mossero con gesti impercettibili, a voler mimare una carezza accennata, titubante. Come se non avessero il coraggio di toccarla davvero.

Fawn alzò lo sguardo su di lui: l'oscurità che da sempre gli aveva visto in viso sembrava essersi rischiarata, come se qualcuno si fosse ricordato di accendere un lumino. Brillava di un sentimento inusuale, una fantasia che lei non avrebbe mai avuto l'ardire di disegnare. Devon tornò a parlarle, la voce ormai bassa e appena udibile: «Ti prego. Te lo sto chiedendo come favore».

Una pressione lieve contro le ossa del polso, lo scorrere lento del pollice verso il palmo, le altre dita di lui che con incredibile delicatezza si affacciarono tra le sue. L'aria si fece elettrica e qualcosa le si mosse in fondo al ventre, sopita da millenni di silenzio. La spingeva ad avvicinarsi, in qualche modo, a chiudere gli occhi e godersi quel contatto quanto più poteva.

No.

Smise quasi di respirare, mentre un blocco improvviso si impossessò della gola e del torace. Tolse la propria mano da quella di Devon con uno scatto.

«Se non volete che venga in battaglia, non verrò. Mi spiace per questa sceneggiata, buonanotte» sussurrò.

Si allontanò da lui, il più in fretta possibile.














🦌🤎⚔️🔥

Credevate!


E invece ;)

Cerbiattini, godetevi il post-dramma, fate play, ascoltate la canzone e ci rivediamo presto.

Stavolta non ho niente da dire, temo riceverò già parecchi insulti xD


In ogni caso, un'annunciazione: ho stilato una scaletta precisissssima e posso confermarvi che il primo libro si sta avvicinando alla fine, la quale è prevista per il capitolo nientepopodimenoche... 45.

Cosa ci sarà dopo? Ma niente, il libro 2, che verrà comunque mantenuto all'interno dello stesso file xD.

Quindi a chi avesse piacere di continuare, di fatto non cambierà una cippa <3.

Ps: per lamentele a me o alla protagonista in seguito a codesto capitolo... munirsi di commenti, messaggi privati, piccioni viaggiatori, emails. Non mandatemi macumbe, solo, vi prego, la mia vita è già sfortunata di suo xD.

Vivibì. Vi giuro che delle gioie arrivano <3.

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