Capitolo 16
EPILOGO
JUNGKOOK'S POV:
Un mese dopo...
Avevo rischiato di rovinare tutto con Jungkook quando mi ero convinto che fosse interessato soltanto ai miei soldi. E invece poi mi ritrovai praticamente a strapparmi i capelli perché non mi permetteva di dargli nemmeno un minimo aiuto economico. Credevo che Namjoon fosse cocciuto, ma solo ora capivo il vero significato della parola “cocciutaggine”. Qualche settimana fa Jungkook aveva perso la bakery, e una settimana dopo, mentre stava registrando Bake Off, gli avevano tolto anche l’appartamento. Non mi aveva permesso neppure di prendergli in affitto un monolocale per un paio di mesi, né di pagargli un albergo. Una volta finite le registrazioni, aveva insistito di non voler restare da me nemmeno le sere in cui uscivamo. Si faceva un viaggio in auto di due ore per dormire un’ora nella casa di riposo con la Nonna De’ Pazzi.
Fino a questo punto arrivava la sua testardaggine.
Aveva vinto il primo premio in televisione. Aveva superato l’ultima prova con un ibrido del suo biscotto farcito alla ciliegia sormontato da un mini bignè fritto, di quelli che faceva nel suo locale. Pur avendo vinto diecimila dollari, insistette a voler mettere da parte i soldi per aprire un giorno una bakery fuori città. Così al momento le sue serate si dividevano tra il bingo e una partita a shuffleboard nella casa di riposo. Per risparmiare quanto più possibile, lavorava a tempo pieno come aiuto-pasticcera nel locale di un tizio a downtown. Gli avevo lasciato Gremlin per una settimana, e poi l’avevo riportata da me. La piccolina era amatissima nella casa di riposo, e solo per questo motivo avevo accettato, seppur a malincuore, quella ridicola prova di affidamento condiviso.
Incontrai Namjoon e Seokjin nel parcheggio della famigerata residenza della nonna.
«Pronto?», domandai a Namjoon.
«Per cosa dovrei essere pronto, se stiamo andando a giocare a bingo in una casa di riposo?»
«Dipende da quanto tempo ti serve per prepararti a prendere calci in culo».
Seokjin soffocò una risata.
«Pensi che potremmo metterci anche i nostri genitori? Forse questa nonnina, dal carattere così dolce, potrebbe farli rigare dritto».
Borbottai qualcosa, senza volermi esporre troppo. Mi sentivo sempre un po’ a disagio quando Namjoon se la prendeva coi nostri genitori. Sapevo che avevano un rapporto diverso con lui, e adesso mi sentivo ancora più in imbarazzo. Quando avevano cercato di farmi chiudere con Jungkook, avevo capito quale fosse il loro vero carattere. Da allora non li avevo più rivisti né richiamati: sapevo infatti che prima o poi avrei dovuto accettare una triste verità riguardo a loro due. Avevano mostrato di preferire me a Namjoon solo perché pensavano che io fossi più facile da infinocchiare quando avevano bisogno di soldi. Ai loro occhi ero il pollo di turno.
Era già stato un duro colpo per il mio orgoglio realizzare che in passato alcune donne e uomini mi avevano usato solo per i soldi. Ma ben altra cosa era ammettere di aver volutamente chiuso gli occhi di fronte a due genitori che avevano cercato solo di manipolarmi. Comunque, ci avrei riflettuto più avanti. Non era una questione urgente, avrei rimandato fin quando mi avesse fatto comodo.
All’interno trovammo la sala piena di anziani scalmanati che non vedevano l’ora di vincere il primo premio alla serata bingo. Il vincitore infatti avrebbe avuto il diritto di scegliere, per l’intero fine settimana, cosa guardare sul grande televisore nel soggiorno col divano più bello. Avendo visitato fin troppe volte la struttura, conoscevo molto bene la ferocia con cui questi vecchietti volevano accaparrarsi il controllo del telecomando nel fine settimana. Se avessimo vinto io o Jungkook, avremmo scelto noi il vincitore tra gli ospiti, il che equivaleva a dire che la nonna aveva tre possibilità di vittoria – ingiustizia che nessuno degli altri anziani aveva il coraggio di recriminarle.
La nonna era seduta e Jungkook gli era dietro. Appena ci vide, ci salutò agitando la mano.
Namjoon e Seokjin avanzarono un po’ esitanti. Il nostro gruppetto attirò molti sguardi, ma d’altronde a me e Namjoon capitava sempre quando eravamo in mezzo alla gente. Insieme a Jungkook e Seokjin formavamo un quartetto davvero splendido. La gente, per guardarci, avrebbe dovuto indossare gli occhiali da sole, oppure usare quei cartoncini forati che servono per osservare un’eclissi di sole senza rischiare di danneggiare la retina.
Mentre ci accomodavamo rubai un bacio veloce a Jungkook, e gli diedi un pizzicotto sul sedere. La donna alle nostre spalle trattenne il fiato, così mi voltai e le feci l’occhiolino. All’inizio sembrò scioccata, poi inclinò leggermente la testa all’indietro, ritrovò la grinta della gioventù, e mi guardò ammiccante.
Mi rigirai in tutta fretta, mi sedetti, e fissai dritto davanti a me come un soldato sotto shock. Se qualcuno mi avesse detto che l’appetito sessuale diminuisce con l’età, gli avrei suggerito di trascorrere qualche giorno a settimana in una residenza per anziani. «Sai», sussurrai a Jungkook in un orecchio, chinandomi verso di lui. «Se non fosse per una questione di menopausa, sono sicuro che le case di riposo sarebbero una fabbrica di gravidanze inattese e di triangoli amorosi infuocati. Già, proprio così. Anziani che fanno sesso. Bisogna farsene una ragione».
Mi guardò con un’espressione disgustata. «A volte mi chiedo che cosa ti passi per la testa».
«Che domanda è? Esattamente quello che mi esce dalla bocca».
Scosse la testa, sorridendo. «Perché la cosa non mi meraviglia?»
«Chi è questo bel giovanotto?». La nonna sollevò lo sguardo su Namjoon. Aveva i candidi capelli gonfi e cotonati, una specie di mega cotton-fioc. Gli occhi celesti erano vispi come sempre, e aveva l’aria di essere pronta a mollarti un pugno in faccia senza pensarci due volte se le avessi lanciato un’occhiata di traverso. Quella donna metteva paura, ma era anche una vecchina adorabile, in un certo senso.
«Sono Kim Namjoon. E lui è Seokjin, mio marito».
La nonna li osservò con sguardo severo, poi annuì e sorrise. «Namjoon, tu mi piaci più di tuo fratello. Che è proprio una testa di cazzo».
«Ehi, ma che ho fatto?», domandai.
«Mi hai rubato le pantofole. Lo so che sei stato tu!», esclamò, puntandomi il dito contro.
Alzai le mani. «Andiamoci piano. Il fatto che in passato io abbia rubato qualche cosuccia, non le dà il diritto di andare in giro a incolparmi di quel che le passa per la mente. In verità, penso che cominci a perdere qualche colpo».
«Ora basta», disse scattando in piedi. «Oggi è la volta buona che mi incazzo sul serio e ti faccio il culo a strisce».
Scoppiai a ridere. «Ha visto qualche episodio di Cops in televisione o qualcosa di simile?».
«Prima o poi riuscirete ad andare d’accordo voi due?», chiese Jungkook con voce esausta.
«Se dici a quella vecchia bacucca di smetterla di mettere in giro notizie false su di me, forse», replicai risentito.
«Se quel delinquente che hai per ragazzo mi ruba ancora qualcosa, lo soffoco coi suoi stessi soldi».
«Non ha abbastanza forza nelle braccia!».
«Ma fate sul serio?». Namjoon era in piedi accanto a me, e ci guardava come fossimo due pazzi.
Jungkook si schiarì la gola, mentre la nonna mi fulminò con lo sguardo. «Questi due non vanno troppo d’accordo. Ma se li fai bere un po’, diventano subito amici».
«Bugia vergognosa», borbottò la nonna.
«Come hai fatto a convincere la direzione a farti restare qui?», mi domandò Seokjin mentre si accomodava vicino a Namjoon alla mia destra. Nella sala c’erano sedie di vario tipo, sdraio, poltrone reclinabili e sedie in plastica dall’equilibrio piuttosto precario.
«Penso che avessero troppa paura di dire di no a mia nonna», rispose Jungkook. «Sono sicuro che se restassi ancora per molto, mi farebbero delle storie, ma per il momento è tutto a posto. Dormo sul divano nella sua stanza».
«E russa come una balena», aggiunse la nonna.
Le guance di Jungkook avvamparono. «In realtà, negli ultimi giorni, ho avuto un po’ il naso chiuso».
«Ah. Metterti in bocca il cetriolo di quel criminale non causa difficoltà respiratorie, tesoro».
Seokjin stava bevendo un sorso d’acqua e quasi si strozzò. Sputò, si sporse all’indietro, la sedia dondolò e si inclinò pericolosamente. Namjoon allungò una mano con calma, afferrò la sedia e la rimise dritta come fosse la cosa più normale del mondo.
Scoppiai in una risata scrosciante, e battei il cinque con la nonna. Era pazza, ma quando era in vena sapeva essere davvero divertente, dovevo riconoscerglielo.
In quel momento una giovane donna salì sul palco e salvò Jungkook dal lungo silenzio imbarazzato provocato da una simile uscita. La serata bingo stava per iniziare, e le infermiere cominciarono a distribuire le cartelle per giocare.
«Scusami», dissi a Jungkook, mi alzai e mi diressi verso il palco.
La giovane donna mi rivolse un cenno del capo, confusa.
«Ho bisogno di… ecco, mi permette di… dammi questo cazzo di coso!», ringhiai quando finalmente riuscii a strapparle il microfono di mano. L’ultima parte della frase rimbombò in tutta la sala, e gli ospiti si zittirono. «Glielo restituisco subito, tranquilla. Ho solo un messaggio per il mio uomo».
Jungkook aveva già nascosto il viso tra le mani, ma separò appena le dita per dare una sbirciatina verso di me.
«La prima volta che ci siamo incontrati ho comprato la tua ciliegia e ti ho deflorato. Ci siamo quasi lasciati quando mi hai tirato in faccia una torta di ciliegie, così forte da rischiare di uccidermi. E adesso voglio che la storia si concluda com’è cominciata. Con una ciliegia». Ne tirai fuori una dalla tasca e la lanciai verso di lui. Tutte le volte che avevo immaginato la scena, Jungkook mostrava una certa agilità e una perfetta coordinazione occhio-mano. Il Jungkook reale, invece, risultò essere privo di entrambe.
La ciliegia lo colpì in fronte e poi cadde a terra. Per la sorpresa, Jungkook buttò la testa all’indietro portandosi le mani in faccia.
«Oh, merda», mormorai nel microfono. Poi lo lasciai cadere, e corsi da lui.
Gli ospiti avevano già iniziato a rumoreggiare quando lo raggiunsi. Trovai la ciliegia sul pavimento e la raccolsi. Spostai di lato la poltrona sulla quale stava riposando un’anziana, e feci un po’ di spazio davanti a Jungkook. Tirai su la mano con la ciliegia e mi misi in ginocchio. «Vuoi mangiare la mia ciliegia?»
«Cosa?», domandò.
«Mordila», dissi.
Sembrò preoccupato, forse pensava che fossi impazzito. «È caduta per terra!».
«Solo un pezzettino, ma lentamente, non vorrei ti spaccassi i denti».
Prese la ciliegia dalla mia mano e l’addentò piano, si fermò quando sentì qualcosa. Si tolse la ciliegia dalla bocca, frugò un po’ nella polpa, e alla fine tirò fuori l’anello di fidanzamento che vi avevo nascosto. Avevo fatto un lavoro pulito, più di quanto mi aspettassi, grazie a un po’ di colla commestibile e a un coltello.
Si morse il labbro. «Sì, lo voglio».
«Mangiare la mia ciliegia», lo incalzai. «Scusami, ma ho immaginato tutto per filo e per segno. Dovresti dire la frase completa».
«Voglio mangiare la tua ciliegia».
«E vai!». Presi l’anello e glielo infilai al dito, poi lo baciai.
«È la cosa più stupida che abbia mai visto», disse Namjoon.
«Oh, smettila», disse Seokjin. «È stato dolcissimo».
«Quanto meno ha i soldi». La nonna era riuscita, non so come, a mettere le mani sulla ciliegia quasi spappolata e se la stava mangiando.
«Nonna!». Jungkook fece una faccia indignata, ma il sorriso sulle labbra addolcì il rimprovero.
Si strinse nelle spalle. «È vero. Sposerei pure Quasimodo se ne avesse tanti».
«Ma io non gli ho detto di sì perché è ricco».
«Merda», dissi. «Allora è un no?».
Rise. «È un sì».
«Oh, bene, perché ho pagato Beomgyu per registrare tutto col mio cellulare, e non vorrei avere un video in cui vengo respinto. Beomgyu! Hai registrato tutto?»
«Eh?». Beomgyu sembrò svegliarsi di soprassalto.
«Niente video», mormorai.
«Finiamola con queste stronzate!», gemette la nonna. «Venerdì in TV c’è Miami Vice, e se sarò costretta a vedere Family Feud un’altra fottuta volta, ammazzo qualcuno».
«Nonna, stasera dormi da sola», dissi. «Non ho mai fatto sesso con un fidanzato prima d’ora».
Namjoon sbuffò in segno di disapprovazione. «E noi?»
«Tieni». Tirai fuori una cosa dalla tasca e gliela porsi. Una grossa banana, perfetta come piaceva a lui. «Vedi? Ho pensato anche a te».
Presi in braccio Jungkook, prima che si alzasse da solo dalla sedia.
«Guarda che sono ancora in grado di camminare», ridacchiò.
«Certo, ma così posso dire di averti rapito, e posso usare il più sdolcinato gioco di parole che mi è venuto in mente mentre venivo qui».
Si preparò ad ascoltare l’immancabile battutina.
«Sei la ciliegia più bella che abbia mai rubato».
◦•●◉✿✿◉●•◦
Mi trovavo al centro della stanza dei trofei e stavo ammirando il pezzo forte della mia collezione: la banana ancora intatta che avevo rubato a Namjoon. Avevo parlato della collezione a Jungkook, ma doveva aver pensato che non fosse un posto reale, zeppo di tanti oggetti sgraffignati nel corso degli anni. Dopotutto, ogni uomo deve pur mantenere i propri segreti. La collezione riguardante Jungkook al momento comprendeva alcuni fiori appassiti, la tortiera sulla quale era rimasta più o meno la forma della mia testa, alcune mutandine, e qualche forcina per i capelli. Accanto a questa raccolta, c’erano gli oggetti sottratti alla nonna: due paia di pantofole, alcuni bigodini, un tagliaunghie, e un asso che le avevo rubato dalle mani proprio durante una partita a poker.
Quel giorno era il mio compleanno, e Jungkook era sparito dalla circolazione per organizzare la festa. Così avevo deciso di passare in ufficio per lasciare il tagliaunghie che la sera prima avevo fregato alla nonna – mi aveva accusato di barare, quindi se l’era meritato.
Aprii la porta segreta per rientrare nel mio ufficio, e rimasi di sasso.
Mi ritrovai davanti Jungkook, Dawon, Namjoon, Seokjin e Hoseok con i regali in mano. La stanza era piena di palloncini, festoni e coriandoli.
«Sorpresa!», urlò Seokjin. Si sporse al di là del grosso festone che gli copriva il viso e sbiancò. «Ma che…».
«Non è quel che sembra», dissi.
Mi ignorarono tutti, gli occhi vitrei fissi alle mie spalle. Uno alla volta, entrarono nella stanza segreta.
Namjoon si fermò davanti alla banana, la fronte corrugata. «Lo sapevo…», disse.
«Ma è proprio vero?», chiese Seokjin. «Hai una cazzo di stanza dei trofei per tutta questa roba?».
«Come?», domandò Namjoon. «Voglio proprio che me lo spieghi. Come sei riuscito a fartela costruire a mia insaputa? Durante i lavori di ristrutturazione eravamo qui ogni settimana».
«Quando facevamo il giro del cantiere, ho fatto in modo che avessi una piantina errata dei lavori. L’avevo segnata come stanza della segretaria annessa al mio ufficio. Sono sorpreso che tu non abbia mai notato l’imbroglio».
Scosse la testa.
«Sono capelli finti?», chiese Hoseok dando un colpetto esitante alla parrucca di chissà chi, attaccata alla parete.
«Proprio così».
«Wow. Forte», disse.
«Ehi, perché io non ho una sezione dedicata?», chiese Seokjin, e mi sembrò leggermente offeso.
«Namjoon è un tantino geloso, quindi ti ho sempre considerato una no-steal zone, niente scorribande tra le tue cose. Mi dispiace».
Ci rifletté un attimo. «Capisco. Va bene lo stesso».
«E invece tra le cose di tuo fratello, qualche capatina potevi pure farcela, eh?», chiese Namjoon. «Quelli sono i miei calzini?».
«Allora», mi affrettai a cambiare discorso, avvicinandomi a Jungkook. «Che te ne pare?».
Con gli occhi sbarrati stava esaminando la ristretta sezione che lo riguardava. «Sto per sposare uno psicopatico. Ma mi va bene comunque».
Gli diedi un pizzicotto sul sedere. «Lo sapevo che facevi per me». Lo sollevai in vita e lo misi su un ripiano proprio di fronte alla sua collezione. «Signori e signore», dissi, richiamando l’attenzione di tutti i presenti. «Il gioiello più prezioso della mia collezione».
Jungkook alzò gli occhi al cielo, ma si morse un labbro. «Quanto sei ruffiano».
«Eppure stai per sposarmi». Mi infilai tra le sue gambe e allungai il collo perché mi desse un bacio.
«Per il momento», disse, e mi baciò.
«Allora dimmi che non mi ami, bulletto».
Sorrise.
«Vedi? Non puoi farlo. Mi ami troppo».
«Smettila», rise. «Ci stanno guardando tutti».
«Bene. Ragazzi, guardate il mio fidanzato che mi dichiara il suo infinito ed eterno amore».
Ci fissarono vagamente divertiti.
«Amo Taehyung, anche se è evidente che ha dei problemi».
«Dài. Dillo in modo più carino».
«Ti amo», disse dolcemente. Chinò la testa e posò la fronte sulla mia.
«Anch’io ti amo. Adesso devo solo capire come faccio ad appenderti quassù. Ho paura che i chiodi ti farebbero troppo male. Che ne dici di un paio di manette?».
FINE
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