Capitolo 13
JIMIN'S POV:
Presi appuntamento con Rose a un bar vicino casa mia. Non la vedevo da quella sera alla Galleon, quando Taehyung mi aveva messo di guardia alla reception. In realtà, non mi aspettavo di incontrarla di nuovo. Avevo perso il conto delle volte in cui una conoscenza occasionale mi aveva detto le parole fatidiche: "Dovremmo uscire insieme una volta o l'altra". Ovviamente, "una volta o l'altra" era un altro modo di dire "per ipotesi". Era come dire: "Non ho intenzione di riorganizzare la mia vita e trovare il tempo di fare amicizia con te, ma se per ipotesi facessi questo sforzo, certamente ci divertiremmo". Quindi, quando Rose si era presa il mio numero di telefono, l'ultima cosa che mi aspettavo era che mi chiamasse.
Sorseggiava il caffè e mi osservava da sopra l'orlo della tazza. Con quei capelli neri e il ciuffo, mi scoprii un po' invidioso del suo look da cattiva nata. Io mi impegnavo parecchio per apparire uno da cui tenersi alla larga, ma Rose sembrava in un certo senso il mio opposto. Madre natura le aveva donato due occhi maliziosi che incutevano paura e una smorfia che faceva pensare avesse appena finito di bisbigliare calunnie sul tuo conto. Eppure, indossava colori vivaci e abiti che sembravano urlare al mondo dolcezza e innocenza.
E poi c'ero io. Avevo passato buona parte dell'infanzia a sentirmi dire che sembravo un principino. Mi crescevano per essere un principe moderno. Un enigma elegante, fatto apposta per intrappolare una donna o uomo ricco. Mi ero opposto sin dall'inizio, ma i fantasmi di ciò che ci si aspettava da me non erano mai troppo lontani dai miei pensieri.
Ogni mattina, facevo del mio meglio per nascondere quel ricordo con il trucco e un'aria indifferente perfezionata nel tempo. Non volevo sembrare un principino. Non volevo essere una principe. Volevo essere me, ma nemmeno io sapevo più chi fossi.
«Mi sorprende che tu sia venuto», disse Rose.
"Ieri notte sono venuto credo cinque volte, poi ho perso il conto". Una vocina oscena nella mia mente continuava a collegare qualsiasi cosa alla notte prima con Yoongi. Peggio di un ragazzino delle medie che ha appena scoperto il potere dei doppi sensi e non resiste all'impulso di usarli a ripetizione. Mi costrinsi a un sorriso goffo e a pensare alle partite di baseball in bianco e nero per assopire il calore crescente nel mio stomaco. Quell'uomo era stato come una scossa elettrica; sin da quando mi aveva messo le mani addosso, aveva acceso qualcosa che non riuscivo più a spegnere.
«Eh, già». Mormorai. Mi schiarii la voce. «Sembravi una figa, quindi».
Si strinse nelle spalle. «Non lo sono affatto. A essere sincera, volevo confessare. Ho litigato di brutto con i miei amici e di recente ho un bisogno disperato di contatto umano. Anche aspettare qualche giorno prima di chiamarti è stato come strapparsi un dente. Non volevo fare la figura della maniaca o di quella disperata».
«Troppo tardi. Ho la pelle d'oca».
Rise. «Scusa. È che mi sembravi uno con cui potessi andare d'accordo. È sempre strano cercare di farsi degli amici da adulti. In pratica, è come invitare qualcuno a uscire».
«Se avessi saputo che era un appuntamento, avrei messo in mostra il décolleté».
Mi guardò con un sorrisetto dispettoso e slacciò un bottone della camicia. «Ero già pronta a adattarmi».
«Allora, hai detto che hai litigato con i tuoi amici?». Volevo cambiare discorso, perché per un attimo mi era venuto il dubbio che ci stesse provando con me. Non avevo nulla contro le ragazze, ma non facevano per me e non volevo darle l'idea sbagliata.
Abbassò gli occhi. «Sì. Ho fatto una stupidaggine. C'è stato un equivoco e il tizio in questione si è incazzato parecchio. E poi ho peggiorato le cose, cercando di vendicarmi perché mi aveva messa in imbarazzo. In pratica, adesso tutti i miei amici mi odiano».
«Hai provato a scusarti?».
Alzò lo sguardo, in cui scintillava una determinazione ferrea. «Non sono il tipo che chiede scusa. Tendo a raddoppiare la dose, anche quando ho torto». Rise e quell'intensità feroce scomparve di nuovo. «Scusa. È proprio così che si fanno scappare i potenziali nuovi amici. Forse è un bene se vedi subito la vera me, magagne comprese. Giusto?».
◦•●◉✿✿◉●•◦
Dopo il caffè con Rose, andai al lavoro. Dovevo ammetterlo, non era stato sgradevole fare una normale chiacchierata con una ragazza. La mia migliore amica era all'estero da mesi ormai ed era la mia unica fonte di melodrammi femminili. Ovviamente, avevo sempre finto di odiare le volte in cui si sfogava di tutte le sue tragedie, ma penso che in fondo ne avessi bisogno.
Verso la fine, Rose mi aveva fatto domande sulla mia vita sentimentale; strano a dirsi, ero in vena di raccontare. Senza scendere nei dettagli, le avevo detto che l'uomo per cui avevo una cotta in quel momento mi aveva colto alla sprovvista e che i sentimenti che provavo per lui erano stranamente terapeutici. In realtà, parlare con Rose mi aveva aiutato a fare un po' d'ordine rispetto a ciò che provavo per Yoongi e alle speranze che coltivavo per la nostra relazione. Incredibile. Forse, il rituale delle chiacchiere con ragazze aveva uno scopo pratico, dopotutto.
Persino in ufficio, la mia mente continuava a tornare su Yoongi. Al punto che mi resi conto di essermi dimenticato della stupida festicciola di compleanno di Taehyung, prevista per quella sera. Naturalmente Taehyung me lo ricordò non appena arrivai al lavoro e lo stesso fece nonna Jeon, che purtroppo aveva deciso di ciondolare alla Galleon finché non fosse stata soddisfatta dei preparativi. Arrivò persino a posizionare vicino alla mia scrivania la poltrona a rotelle di uno stagista e a piazzarcisi in pianta stabile, portando con sé le riviste di maglia e sparpagliandole sulla mia tastiera, anche se sapevo per certo che non lavorava ai ferri.
«Non è che potresti non starmi così appiccicato? Odori di ospizio». Non era vero, ma l'unico modo per rendere tollerabile quella donna era farla stare in campana insultandola per prima. Non l'avrebbe mai ammesso, ma quegli scambi di battute le piacevano. Forse mi ci divertivo un pochino anch'io.
«Magari perché ci vivo, stronzetto», sbottò.
«C'è una cosa che si chiama doccia», esclamò Taehyung. Era uscito dal suo ufficio nel bel mezzo del battibecco e si era appoggiato alla mia scrivania.
«Conosco le docce meglio di quanto tu conosca i pettini. Guarda che capelli assurdi. È come se fossi venuto al lavoro con la testa fuori dal finestrino. Peccato che tu non abbia dato il cinque a un cartello con i denti».
Trattenni una risata. A volte era crudele, soprattutto se si trattava di Taehyung. Sembrava fosse in atto un'eterna guerra di insulti tra loro e peggiorava sempre più.
Taehyung sogghignò. In effetti aveva i capelli sparati da tutte le parti, ma con quella faccia non importava. Mi piaceva comunque vedere Grammy dargli il tormento. «Ti ho accompagnato io. Perché cazzo pensi che abbia tenuto la testa fuori dal finestrino? Docce. Dovresti provarle».
Lei cercò di nascondere il sorriso che minacciava di disegnarlesi sulle labbra. «Se saltare una doccia serve a farti mettere fuori quella testa idiota per tutto il tragitto, dirò che chiudano l'acqua nella mia stanza».
«Hai insistito tu per essere accompagnata. Mi ero offerto di pagarti l'Uber».
«Non voglio il tuo sporco denaro, pisellino a matita».
Alzò le mani, frustrato. «Cazzo, te l'ho detto mille volte. Fanno le matite di ogni forma e misura. Non è un insulto efficace. C'era un tizio che veniva a fare il corso preparatorio per i test nazionali alle superiori; si portava dietro una matita da scena alta un metro e mezzo e spessa trenta centimetri».
«Per caso il tuo culo è invidioso? Perché stai sparando talmente tante stronzate dalla bocca, che comincerà a chiedersi se vuoi dargli il benservito».
Taehyung cercò di resistere, ma gli scappò una risatina. «Stronza di merda», mormorò, poi se ne tornò di gran carriera in ufficio.
Dialogavano sempre così. Si lanciavano insulti reciproci finché uno dei due non vinceva ufficiosamente. Di solito Grammy, per pura cocciutaggine e perché si rifiutava di alzare bandiera bianca.
«È un bravo ragazzo».
«Gliel'hai mai detto?», domandai.
Fece un verso inarticolato. «Pensi che possa dire una cosa del genere all'uomo che si crede un dono del cielo? Cazzo, no. Forse sul letto di morte. Forse».
«Mi pareva avessi detto che non hai intenzione di morire».
«Esatto».
Sorrisi. «Mi sembra giusto».
«Allora, quand'è che sputi il rospo? Ti sento l'odore di uccello addosso. Ti hanno scopato e non vuoi dirmelo».
«Ti prego, dimmi che è solo un modo di dire». Alzai l'ascella e annusai, ma sentivo solo il vago profumo del mio deodorante.
«Sai come si dice: quando una cagna impara che odore ha un uccello, poi lo sente a un chilometro di distanza, persino al di là di un fiume».
Feci una smorfia. «Cosa? No. Non lo dice proprio nessuno, Grammy. Mi sa che hai mischiato tre detti veri in una stronzata originale».
«So che hai scopato perché lo so. Un giorno, quando sarai invecchiato bene come me e con la stessa dignità, capirai che i giovani non sono furtivi come credono. Voi cacchette avete i sentimenti scritti in faccia e io vi leggo come libri aperti».
«Se lo sai già, perché devo sputare il rospo?»
«Senti un po', merdina. Adesso mi racconti cos'è successo, quanto ci è voluto, quant'era grosso e le cose sconce che ti ha sussurrato all'orecchio. O me lo dici di tua volontà o ti costringo con la tortura psicologica».
«Cioè, comportandoti come sempre? E sarebbe una minaccia?»
«Non sai nemmeno lontanamente di cosa sono davvero capace, Jimin. Mi bastano sei parole per far piangere un uomo Alpha che se la crede fino al midollo».
«Meno male che non sono un uomo Alpha che se la crede fino al midollo, allora».
Grammy inarcò un sopracciglio a quella sfida.
Alla fine, riuscii a resisterle per due minuti soltanto, prima di spifferare tutto.
◦•●◉✿✿◉●•◦
Yoongi quella sera mi raggiunse alla Galleon per la festa a sorpresa di Taehyung. Tutti gli invitati dovevano radunarsi al trentaseiesimo piano, dove alla fine avevamo convinto Jungkook a invitare Taehyung "in segreto" per una sveltina tra marito e marito.
Si erano accodati anche i suoi soci, Geum-jae e Dong-sun. Geum-jae sembrava il prototipo del rivenditore di auto usate: affabile, mascolino e grondante fascino. Aveva un naso affilato, occhi nocciola penetranti e sembrava un accolito di Taehyung quanto alla moda casual.
Dong-sun era come mi raffiguravo una statua che all'improvviso si trasformasse in una creatura senziente di propria spontanea volontà. Sembrava capace di schiacciare a canestro solo alzandosi in punta di piedi e la sua faccia mi ricordava vagamente quella di Arnold Schwarzenegger da giovane.
Geum-jae mi strinse la mano e rivolse un'occhiata incuriosita a Yoongi. «Quindi è sempre stato questo il tuo tipo? Non mi meraviglia che non abbia mai funzionato con le ragazze e i ragazzi che ti presentavo».
«E che tipo sarei, esattamente?», gli chiesi.
Sussultò al mio tono, poi rise e mi ammonì con il dito. «Buona questa. È forte, Yoongi. Inquietante, ma con una punta di sensualità. Sì, capisco perché ti piaccia».
«Tu sembri il tipo da strillare come una femminuccia se ti pugnalano». Mi accostai un po' a lui. «Vuoi dimostrarmi che mi sbaglio?».
Tremò da capo a piedi e agitò le mani in un gesto di diniego, ridendo nervosamente, gli occhi che saltavano da Yoongi a me. «Gesù. L'hai preso come cane da guardia o come fidanzato? Non riesco a decidermi».
«Jimin ha un basso livello di tolleranza per le cazzate. Quindi forse è meglio se non apri bocca vicino a lui».
Intervenne Dong-sun. «Sapete, una volta avevo questo strano tic con la lattuga. Se la vedevo e soprattutto se sentivo scrocchiare le foglie, arricciavo le labbra stile Elvis. Non riuscivo a frenarmi. Soprattutto se era del tipo che assomiglia a fogli di carta, era la peggiore. La cosa pazzesca è che adoro la lattuga. Da sempre. Solo che quando la mangiavo mi veniva la faccia del re del rock».
Geum-jae lo fissava con le sopracciglia aggrottate. «La correlazione con ciò di cui stiamo parlando doveva emergere più o meno cinque frasi fa».
«Volevo dire che se ha un problema con le stronzate, può provare il metodo che ho seguito io. Il mio psicoterapeuta aumentava poco per volta l'esposizione alla lattuga. Mi ha persino fatto ascoltare il suono delle foglie nelle cuffie, mentre guardavo la mia bocca allo specchio. Alla fine, mi è passata».
«Ottimo», esclamai. «Quindi mettiamo la voce di Geum-jae negli auricolari, mi siedo in una stanza in silenzio e alla fine non vorrò più colpire qualcosa quando la sento?»
«L'idea di fondo è quella. Sì».
«L'idea di fondo è che sei un idiota», disse Geum-jae.
«Sono grosso, ma non significa che tu non possa ferire i miei sentimenti».
Yoongi nascose un sorriso con la mano. «Sono speciali. Lo so».
Dong-sun e Geum-jae ci ignorarono, perdendosi in un bisticcio su chi fosse il vero stupido.
«Non sono nella posizione di giudicare. Anche i miei amici sono degli idioti». Indicai Grammy, che si stava abbassando i pantaloni della tuta per mostrare a un gruppo di uomini d'affari ben vestiti l'orlo del tanga leopardato.
«Caspita. È una di quelle spogliarelliste che chiami per burla?»
«È la nonna del marito del festeggiato».
Yoongi soffocò una risata. «Capisco».
Grammy si accorse dei nostri sguardi e venne verso di noi.
«Merda. Ci ha beccato».
«È un male?»
«Vedrai».
Grammy abbassò gli occhiali sul naso per guardare Yoongi. Non fece nulla per nascondere il fatto che lo soppesava da capo a piedi e apprezzava ciò che stava vedendo. «Bene, bene, bene. Aveva ragione lui. Hai proprio l'aria di uno con il pisello enorme».
Inorridii. La tortura psicologica di Grammy era stata particolarmente efficace. Non ero riuscito a tenere per me alcun dettaglio, inclusa la grandezza approssimativa del pene. Non so che reazione mi fossi aspettato, però provai un gran sollievo quando Yoongi mi guardò con un sorrisetto sulle labbra. «Considerata la tua grande esperienza in dildo e l'efficacia delle dimensioni variabili, lo considero un complimento. Dopotutto, sono certo che ne hai conosciuti di più grossi».
Non ci provavo nemmeno più a mentire sul calore che mi saliva alle guance quando c'era Yoongi. Stavo arrossendo, punto. «Lei è Grammy», esclamai. «Probabilmente dovrebbe prepararsi ad andare a letto, per non ammazzarsi di fatica. Non è vero?»
«La tua aspettativa di vita sarà molto più breve della mia se cerchi di allontanarmi da questo bel bocconcino d'uomo, chiappette a bolla».
«Chiappette a bolla? Mi prendi in giro?»
«Guardale. Non ho mai visto due cerchi così perfetti. Devi insegnare alle piccolette ad ammosciarsi un po', come quelle di un vero uomo».
«Grammy», dissi sottovoce. «Non lo conosco ancora abbastanza bene, non puoi fare la stramba di fronte a lui. Lo farai scappare».
Yoongi si chinò in avanti e abbassò anche lui la voce. «Ti sento benissimo e non c'è niente che possa farmi scappare, nemmeno le tue chiappette a bolla».
Gli mollai una sberla sul braccio, ma lui si limitò a sorridere.
«Guarda caso, a me piacciono così come sono. E sono certo che mi piacerebbero anche se la gravità cominciasse a prestar loro attenzione».
Grammy annuì. «Te l'ho detto. Agli uomini piace un po' di cedimento. Vogliono sentire il peso del culo in mano. Dagli una chiappa da un chiletto ed eiaculano in tre secondi».
«Grammy!», sbottai. «Per favore, vattene. Non devi preparare gli spogliarellisti per quando arriva Yoongi?».
Sbuffò. «Me ne vado, ma solo perché sei noioso. Tu no, bel manzo», disse e diede un pizzicotto sulla guancia a Yoongi.
«Mi piace», disse lui.
«Bah. Hai pessimi gusti».
«Di sicuro, perché mi piaci anche tu».
«Già. Visto? Sei palesemente un idiota». Non potei evitare di sorridere. Mi guardava con uno scintillio negli occhi che risvegliava un mucchio di stupide reazioni da ragazzino nel mio corpo.
«Wow. È uno spogliarellista quello?».
Scoppiai a ridere quando vidi Taehyung immobile nell'ascensore aperto, con un'espressione sorpresa in faccia. Era nudo come un verme, con solo una porzione generosa di panna montata sui capezzoli e tra le gambe. Sul capezzolo destro c'era persino una ciliegina in mezzo alla panna; quella a sinistra doveva essere caduta, o era stata mangiata.
Al suo ingresso cadde un silenzio sbalordito. Jungkook nascose il volto tra le mani e abbassò la testa, mortificato; sulle labbra di Taehyung si disegnò lentamente un sorriso. «Wow, Jungkook. Mi hai invitato quassù per una maratona di sesso e ti sei portato dietro tutti questi spettatori? Razza di bricconcello».
«Taehyung». Lui aveva un tono di avvertimento. «È una festa a sorpresa. Per il tuo compleanno».
«Oh, lo so. Grammy mi ha lasciato la ricevuta degli spogliarellisti sulla scrivania. E ha fatto mandare a Jimin una e-mail ad alcuni dipendenti: sapevo che stavate macchinando qualcosa, quindi ho ficcanasato in tutti i messaggi in uscita».
Namjoon si fece avanti con una faccia che chissà come sembrava sorpresa e allo stesso tempo non lo era, o forse alternava le due emozioni. «Sapevi di trovarci tutti quassù e sei venuto così?»
«Sorpresa?».
Jungkook lo risospinse nell'ascensore. Taehyung era talmente più grosso del marito che vedere quel ragazzo spingere a forza una montagna di muscoli aveva del comico. Taehyung ci salutò con la mano e sorrise, prima che le porte si richiudessero.
«È più scemo di quanto pensassi», commentò Grammy. «Però la panna montata gli dona. Devo riconoscerglielo».
«Quello era il tuo capo?», mi chiese Yoongi.
«Sfortunatamente».
«Di solito viene al lavoro un po' più vestito, vero?»
«Cos'è, sei geloso?», domandai con un'alzata di sopracciglia.
Non rispose, ma indugiò con gli occhi sulle porte dell'ascensore. Vedendo la sua espressione, sentii un brivido caldo lungo la spina dorsale. Mi sentivo posseduto, ma stranamente era una sensazione piacevole. Gli leggevo in faccia che già mi rivendicava, mi marchiava. Non gli importava che la minaccia fosse infinitesimale e di certo non ne avrebbe fatto una tragedia, ma da quel momento in poi avrebbe tenuto d'occhio Yoongi come un'aquila.
Pochi minuti dopo, il festeggiato tornò in felpa e pantaloni. Sorrideva come un idiota e Jungkook lo tallonava con le guance rosse come pomodori.
«Jungkook». Lo presi per un braccio prima che si mescolasse alla festa. «Hai della panna sulle labbra».
Alzò la mano e pulì lo sbafo bianco sul labbro inferiore. Le guance già scarlatte lo diventarono ancora di più. «Grazie», mormorò e si affrettò a raggiungere Taehyung.
Sia io sia Yoongi fummo distratti dalla parata di uomini mezzi nudi che uscì dall'ascensore pochi minuti dopo. Indossavano solo delle mutande giallo catarifrangente. Dall'altro lato della fila, vidi Rose appoggiata alla balaustra delle scale. Chiaro che aspettava la notassi, perché non appena incrociai il suo sguardo mi fece un piccolissimo cenno con il capo e sparì.
Mi accigliai, sorpreso di vederla alla festa. Forse non avrei dovuto, visto che era venuta a quella di alcune sere prima. Di certo conosceva qualcuno in azienda; mi appuntai mentalmente di chiederle chi, più tardi. Non ero certo che avesse voluto dirmi di raggiungerla dietro le scale, però mi faceva strano presentarla a Yoongi. Forse per gelosia, forse solo per la mia asocialità, non volevo che si incontrassero. Persino senza vederli insieme, la sola idea mi disturbava, come per il presentimento di una reazione chimica infausta.
Dopo che ebbero costretto Taehyung a sopportare le lap dance di una squadra di spogliarellisti unti d'olio, Yoongi e io ci trovammo un angolo tranquillo, lontano dalla maggior parte degli invitati e dai fischi entusiasti di Grammy.
Yoongi bevve un sorso del suo cocktail e mi guardò, con il sopracciglio inarcato e il sospiro che nel linguaggio universale significavano: "Be', è stato interessante".
Annuii. «Ho imparato che è meglio se non cerchi una spiegazione. Praticamente una porzione del mio cervello funge da discarica per tutti i ricordi collegati a Taehyung e Grammy. Non ci penso mai, se posso evitarlo».
«È un buon consiglio. Però sembrano simpatici. Dev'essere piacevole lavorare per uno che non è duro come il marmo».
Allungai una mano per strizzargli il culo. «Dipende. Nei punti giusti, mi sta bene».
Rise.
«Però no, non è male. Solo che non è quello che voglio». Mi si mozzò il respiro. Non avevo raccontato nemmeno a Nayeon che studiavo per laurearmi in economia e commercio, né cosa sognassi davvero. Non sapevo perché, ma tra tutti i miei segreti quello sembrava il più prezioso. Eppure, lo sentivo salirmi in gola, come se l'impulso di rivelarlo a Yoongi stesse esercitando una pressione crescente dentro di me; se mi fossi trattenuto ancora un po', sarei esploso.
«E cosa vuoi?», mi chiese.
«È stupido, ma ricordi quando ti ho detto che secondo i miei genitori non potevano crescere un guru degli affari perché non avevano avuto un figlio maschio come se lo aspettavano?».
Annuì, lentamente; vedevo che cominciava già a capire. Il fatto che intuisse le mie motivazioni me lo faceva piacere ancora di più. Mi sentivo meno stupido o ridicolo a usare una sciocchezza del genere come sprone verso il mio obiettivo.
«Ecco. Mi sa che è tutto legato a quel dito medio metaforico. C'è forse un modo migliore per vendicarmi del modo in cui mi hanno cresciuto che diventare quel figlio da sogno e senza il loro aiuto? Oh, e non dargli mai un centesimo, per quanto possano supplicarmi».
Yoongi annuì con aria di approvazione. «Me l'ero chiesto, come ti saresti comportato. Alcuni figli ne escono talmente manipolati che al tuo posto vorrebbero comunque dare dei soldi ai genitori, se riuscissero a sfondare».
«A me manca qualche rotella, ma non fino a quel punto. Al momento, i miei sono in procinto di far fallire un'impresa di lavaggio auto con l'ultimo prestito mal consigliato. Non credo di essere tanto crudele da farli morire di fame o vederli sotto un ponte, ma la mia clemenza finisce lì. E comunque, sì, probabilmente è solo una fantasia inutile. Volevo diventare un imprenditore tostissimo e a distanza di anni eccomi qui: faccio il segretario per quell'idiota e accumulo piano piano un debito astronomico per finire la specialistica».
«Ho il permesso di offrirti un lavoro?»
«No. Il mio sogno è compiere un'impresa straordinaria e diventare l'homme prodige del mondo finanziario. Non uno che "è arrivato in cima succhiando uccelli"».
«Tecnicamente, non me lo hai succhiato. Non che badi a queste cose, ma vale la pena precisarlo».
Inarcai un sopracciglio. «Aspetto che mi implori».
Rise. «Non ricordo di avertelo chiesto prima di divorarti. Nessuna delle due volte», aggiunse.
«Perché sei troppo gentile e hai sprecato l'occasione di affermare la tua superiorità. Non commetterò lo stesso errore. Pregami e lo faccio. Altrimenti, niente chupa-chupa».
I suoi occhi scintillarono con aria di sfida. «Se riesco a eccitarti abbastanza, sarai tu a pregare me».
«Oh, ne dubito».
«Io no».
«E poi, come faresti a farmi eccitare contro la mia volontà? Sono immune alle abituali tattiche di seduzione. Le due volte che siamo andati a letto insieme, ho scelto io di farmi sedurre. C'è una grossa differenza».
Fece un sorriso da lupo. «Hai commesso un errore. Non so se ne sei al corrente, ma sono competitivo come pochi e mi hai appena sfidato».
«Chissà perché, credo che sopravvivrò».
Si avvicinò di un passo. Rimasi immobile e forse fu un errore, perché così sentivo il calore che emanava dalla sua pelle. La mia mente proiettò flash della nostra notte insieme. Immagini delle mie dita che affondavano nella sua pelle imperlata di sudore. I miei talloni che gli cingevano la vita sottile e muscolosa e scivolavano sul culo sodo. La sensazione del fiato rovente sul collo quando aveva avuto un orgasmo, la sua barbetta appena cresciuta dopo una bella rasatura che mi graffiava il petto quando mi baciava, insaziabile.
Deglutii. Fu uno di quei suoni da cartone animato, con uno schiocco sonoro. Yoongi sembrava avere un vero talento per strapparmeli. Mantenere gli occhi incollati ai suoi richiese uno sforzo considerevole. "Non mostrare alcuna debolezza. Non fargli capire che il suo pene si è già infiltrato nella tua mente. Non deve accorgersi che il tuo culo, muto da una vita, ha trovato da solo un collegamento diretto con il pensiero e in questo preciso momento cerca di hackerare la parte cocciuta del tuo cervello e convincerti a dare a quest'uomo bellissimo proprio quello che vuole".
Appoggiò un pollice sul mio labbro inferiore e lo osservò. Ogni movimento era controllato. Lento. Attento.
«È un labbro», esclamai, sperando di disperdere parte dell'incantesimo in cui mi stava già avvolgendo. «Sembravi confuso», aggiunsi, quando alzò quello sguardo pericolosamente intenso.
«Stavo solo immaginando quanto sarebbe piacevole sul mio uccello».
«Oh. Vedo che hai scelto l'approccio diretto. Posso farlo anch'io?»
«Accomodati».
«Probabilmente mi piacerebbe, ma scordati pure che mi metta in ginocchio e ti faccia un pompino nel bel mezzo della festa per il mio capo. In più sono parecchio testardo e hai appena detto che finirò per implorarti, quindi siamo in stallo».
«Che suggerisci di fare?»
«Mai sentito parlare del riflesso condizionato? In pratica, dimostra che puoi addestrare le persone proprio come gli animali. Associ uno stimolo a un premio o una punizione e lo usi per incoraggiare o scoraggiare un determinato comportamento».
«Interessante, professore».
Lo pungolai sul petto con un dito e sorrisi. «In altre parole, dovresti chiederti: l'ultima volta che sono andato a segno, che ho dovuto fare? Quale tuo comportamento ho premiato?»
«Ho i ricordi un po' annebbiati. Sono caduto di culo. Mi hai trascinato via dal ghiaccio tirandomi per le braccia. Ho fatto centro?»
«Mi hai portato a fare qualcosa di fighissimo e abbastanza romantico».
«Abbastanza? Accidenti. Pensavo che pattinare sul ghiaccio valesse almeno un "parecchio romantico"».
«Di per sé, sì. Ma cadere come un sacco di patate ti ha fatto perdere punti».
Sogghignò. «Cazzo. Se quella era la ricompensa per una performance sotto la media, che ottengo se passo a pieni voti?»
«Il pompino che sembri volere tanto, forse?»
«Andata. Ma dovrai comunque pregarmi. Il tuo capo non è l'unico con l'ego di vetro, sai».
«Chissà perché, dubito che il tuo ego sia anche solo lontanamente fragile. Allora, quando vedrò il gesto romantico? Domani sera?».
Sospirò. «Magari. Domani devo restare al lavoro fino a tardi. Questo fine settimana, promesso».
Lo mascherai bene, ma ero su di giri. Stare con Yoongi mi provocava un sacco di sensazioni che poi mi rimproveravo. Ero eccitato. Felice. Un ragazzino. Sexy. Mi faceva sentire come se non dovessi scappare da tutte le qualità che i miei genitori avevano cercato di impormi a forza, come se finalmente potessi rilassarmi ed essere solo me stesso, per una volta.
Tuttavia, mi chiedevo ancora se ci fosse un inghippo, da qualche parte.
C'è sempre qualche inghippo. Un pacchetto vacanze gratuito se ti presenti alla riunione. Un iPhone gratis se clicchi questo annuncio pubblicitario. Quando sembra troppo bello per essere vero, di solito c'è qualcosa sotto. E Yoongi incarnava il concetto alla perfezione. Era decisamente fuori dalla mia portata, affascinante, gentile e persino spiritoso quando si sforzava un po'. Chissà perché, gli piacevo.
Quindi, dov'era la trappola?
◦•●◉✿✿◉●•◦
Prima di conoscere Yoongi, ero perfettamente scontento di andarmene al lavoro, aiutare Taehyung a evitare le responsabilità e poi vedermela con i compiti e le lezioni virtuali della serata. Era noioso e ripetitivo, ma ci ero abituato.
Sapevo che quella sera non avevamo in programma di vederci e stavo facendo del mio meglio per non comportarmi da tredicenne innamorato che passa il tempo a deprimersi perché non può tenere la mano del suo ragazzo in sala studio.
Assunsi la mia espressione usuale di leggera irritazione e mi preparai a una lunga giornata.
In ufficio c'era più silenzio del normale. Il nostro piano era occupato dai "cervelloni" più eccentrici, che aiutavano Taehyung a trovare modi innovativi per gestire le operazioni sul mercato dei clienti della Galleon. In teoria, dovevano essere un mucchio di geni creativi con un quoziente intellettivo da capogiro. In pratica, assomigliavano più a un mucchio di gente che non comprendeva il concetto di igiene personale e faceva di tutto per non doversene stare seduta sulla sedia. Come se fosse una specie di stigma sociale. Qualunque fosse il motivo, uomini e donne su quel piano si appollaiavano sul bordo delle scrivanie, sulle fioriere, nelle alcove ricavate nel muro o persino sul pavimento, mettendosi a semicerchio come all'asilo nell'ora di lettura.
Erano ridicoli, tutti quanti; tra loro non avevo mai incontrato nessuno che mi piacesse.
Quindi, quando una ragazza che mi sembrava vagamente di conoscere si avvicinò alla mia scrivania con i suoi occhiali dalla montatura superspessa e la faccia da "Sono stata in un college prestigioso, io", badai bene a ignorare lei e i colpetti di tosse discreti con cui cercava di attirare la mia attenzione.
«Jimin!», sbottò infine. «C'è una donna che ti cerca. Posso farla entrare?»
«Chi è?»
«Ha detto che si chiama Rose».
«Oh. Ehm, sì, certo. Falla entrare».
Un minuto dopo la vidi arrivare. Si guardava intorno con interesse, ma appena mi vide si oscurò in viso.
«Che succede?», domandai.
«Devo farti una specie di confessione. E spero che non mi odierai per questo, davvero».
«Non ti prometto niente».
Accennò un sorriso di malavoglia. «Non ti ho incontrato per caso. Sai la sera in cui mi sono nascosta alla reception perché c'era uno che mi dava fastidio? Be', in realtà, lo conosci».
«Era Taehyung?». Già mi martellava forte il cuore al pensiero che quell'idiota tradisse la fiducia di Jungkook. Era la creatura più dolce del mondo e se lui...
«Era Yoongi. All'epoca eravamo fidanzati e si è lasciato scappare senza volerlo che aveva invitato a uscire il ragazzo della porta accanto. Ho sempre avuto un problema di gelosia e... e ho passato il segno. Dovevo conoscerti. Volevo vedere perché gli piacessi più di me. Ho fatto qualche ricerca, scoperto dove potevo trovarti quella sera e sono venuta».
In un angolo della mia mente, sentii il cuore che si accartocciava, come indeciso se continuare a battere o arrendersi subito e farla finita.
Mi accigliai. «Mi stai dicendo che ti ha lasciata per me?»
«No. Sto dicendo che ha cercato di avere la botte piena e la moglie ubriaca. Sei diventato il suo amante, o forse a questo punto l'amante sono io. Chi può dirlo? Sto dicendo che Yoongi non è quello che sembra. Non ti devi fidare di lui e posso dimostrartelo».
Mi girava un po' la testa. Mi sentivo confuso, ma più di tutto provavo un impulso crescente di tirare un pugno a Yoongi dritto sul pene. No, se quello che diceva Rose era vero, sarebbe stato troppo poco. Avrei svuotato una lattina, l'avrei riempita di latte - perché non c'è niente di più fastidioso che trovarsi a bere qualcosa che non ti aspetti - l'avrei indotto con l'inganno a bere e poi gli avrei tirato un pugno dritto sul pene.
D'altra parte, conoscevo Rose da pochi giorni. Non avevo un vero motivo per fidarmi di lei più che di Yoongi - ma dovevo ammettere che anche lui lo conoscevo poco, se escludevamo il fatto che aveva una piccola lentiggine alla base dell'uccello smisurato e che soffriva il solletico sotto la chiappa destra.
«Puoi dimostrarmelo?», chiesi. La mia voce era innaturale. Stavo cercando di evitare che le emozioni intaccassero le mie parole.
«Esce con qualcun altro. Stasera. Scommetto che non vi potete vedere, giusto?».
Dilatai le narici. «Esatto. Ma questo non prova nulla. Ha detto che erano cose di lavoro».
«E che mi dici del fatto che ha continuato a vedermi fino adesso? Prova qualcosa, questo?».
Feci un respiro profondo e lo rilasciai piano piano. Non riuscivo a raccapezzarmi abbastanza in fretta e il mio istinto naturale di fidarmi di Yoongi più di ogni altro continuava a mettersi in mezzo. «Questo lo dici tu. Non è una prova. E poi, dovrei credere che sei rimasta con lui pur sapendo che usciva con me? Dovrei bermi una cosa del genere?». Odiai quello che lessi nella mia voce: stavo cercando disperatamente di dimostrare che si sbagliava - mi stavo aggrappando all'idea che Yoongi fosse l'uomo che credevo io e non il mostro che lei dipingeva.
«Non ho mai detto di essere forte e nemmeno furba. Quindi, puoi credere ciò che vuoi, ma pensavo di doverti la verità. E se decidi che vuoi vederla con i tuoi occhi, stasera lo troverai al Cochina La'Fleur con la sua nuova fiamma. Prenotazione per due alle sette e mezzo, terrazza coperta privata sul retro».
«Adesso te ne puoi andare», dissi, a denti stretti.
Mi rivolse un'occhiata compassionevole. «Anch'io mi sono incazzata quando l'ho scoperto. Per quello che vale, mi dispiace di averti mentito».
Appena uscì, chiamai Taehyung con l'interfono. Letteralmente cinque secondi dopo, uscì dal suo ufficio con gli occhi fuori dalle orbite.
«Hai chiamato?», domandò, con un sorriso da folle.
Quasi un anno prima mi aveva dato facoltà di usare l'interfono e ricordavo ancora quanto la prospettiva lo esaltasse. Probabilmente pensava che l'avrei chiamato di continuo, per scambiarci barzellette o qualsiasi altra ridicolaggine gli passasse per la testa. Mi ero incaponito a non usarlo; aspettavo che, come succedeva inevitabilmente ogni pochi minuti, uscisse a fare un giro senza meta per l'edificio.
«Ce l'hai ancora l'attrezzatura da spia?»
«Non solo ce l'ho. Dall'ultima volta, mi sono aggiornato».
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