Capitolo 1 - Un po' di colore in queste grigie vite

Sveglia alle sei e trentasette.
Un'agonia, ma oggi si può far finta di nulla. È un giorno speciale e non si rovinerà per così poco. Mi alzo in pochi attimi di secondo e con tanta rapidità mi reco in bagno. Mi trucco con fretta e furia e mi vesto. Ho deciso di mettermi un giubbino di denim, abbinato ai jeans di sotto. Sotto ho un reggiseno rosso rubino, dello stesso colore delle mutande, e una maglietta bianca con la scritta "fancy" in nero. Mi metto con cura quello stupido velo che dieci minuti dopo si sarebbe ritrovato, stropicciato, dentro il mio zaino, e vado in cucina. Ad aspettarmi c'è mio padre e mia madre.
- Buon giorno, Habibi. - Mi dice mio padre.
- Ciao papà, ciao mamma. - Gli dico io, rivolgendomi anche a mia madre che non mi aveva ancora vista, dato che stava smanettando ai fornelli per farmi qualcosa di buono da mangiare. Si gira e mi sorride. Il suo sorriso è il più bello, naturale e vero che io abbia mai visto.
- Buongiorno amore. - Mi dice lei.
Mi siedo a tavola e vengo accolta da un invitante tazza di fragole e panna e un pancake con sopra della Nutella. Non siamo in America, bensì in Italia, ma ogni tanto sognare fa bene.
- Oggi è grande giornata, no tesoro? Spero con tutto nome Allah che vada tutto a meglio. Pregherò per te, habibi. -
- Grazie, papi. - Gli dico io con la bocca piena e impastata.

[...]

Dopo aver gustato fino all'ultimo boccone di quella squisitezza, mi alzo e vado a prendere lo zaino in camera. Dopo di ciò mi metto le scarpe e saluto i miei genitori. Apro la porta di casa e, con tanta voglia e felicità, esco. Appena uscita di casa mi tolgo quello stupido velo dai colori spenti e noiosi, tocco il campanello portafortuna appeso sulla porta di casa e mi dirigo con il passo di un bambino, veloce e saltellante, verso la fermata. Non sto più nella pelle. Mentre aspetto l'autobus penso a come saranno i miei compagni, e soprattutto i miei professori. Devo impegnarmi al massimo. Ho preparato tante tavole e fatto tanti disegni. Non vedo l'ora che arrivi sto pullman e raggiunga questa destinazione che sembra così lontana.

[...]

Ovviamente con un ritardo clamoroso, arriva il bus. Sono le sette e ventuno e, salvo imprevisti, dovremmo arrivare per le sette e cinquanta circa, anche se avrei voluto arrivare prima in modo da poter iniziare a fare amicizia con qualcuno, ma... sto bus del cavolo è più lento di me.

[...]

Alla fine, la sfiga ha iniziato a farsi sentire, e siamo arrivati alle otto e uno. Scendo subito dal catorcio e corro seguendo le indicazioni che mia madre mi aveva spiegato qualche giorno fa. Non mi sono dimenticata nemmeno una via. Ma non c'è tempo da perdere. Sono in ritardo ed è la prima giornata.

[...]

Dopo aver imboccato tutte quelle vie infinite, alle otto e tredici arrivo a scuola. Nonostante sia in ritardo, mi fermo un attimo davanti al cancello della scuola, e penso a tutte le cose che avverranno oltre questo cancello negli anni a venire: amicizie, amori, pianti, soddisfazioni...
Ok. Adesso devo davvero mettermi a correre.

[...]

Appena entrata nell'edificio c'è una piccola cattedra, in cui sono sedute due bidelle.
- Salve, sono Leila Al-Saydy, la nuova alunna. Sapreste dirmi per caso dove si trova la seconda artistico? -
- Certo, ti ci accompagno io.- Mi dice una delle due, quella più tozza e apparentemente gentile.
Si alza con un po' di fatica per la sua ciccia di troppo e dopo avermi sorriso con tenerezza, inizia a camminare con passo veloce.
Dopo aver attraversato un lungo corridoio senza aver detto nemmeno una minima parola alla bidella, raggiungo la mia classe.
- Eccola qua. -
- Grazie mille signora, le devo un favore.-
- Per Dio!! Non mi chiamare signora per favore!! Mi fai sentire vecchia!! Chiamami per nome, sono Priscilla. -
- Va bene, grazie mille Priscilla. -
- Se hai bisogno chiedi di me e ti aiuterò appena posso, intesi? -
Annuisco e la saluto, per poi vederla allontanarsi con un po' di affanno e questa volta con lentezza.
Prima di bussare decido di osservare con attenzione la porta della mia nuova classe. È di un verde pastello e con scritto in un cartellino "II ARTISTICO", scritto in caratteri cubitali con un pennarello nero. Guardo poi la maniglia, nera, illuminata dalla luce del corridoio che fa vedere le impronte delle mani di qualcuno. Esito un attimo, ma poi, dopo un bel respiro, decido di bussare e dopo aver sentito un "avanti" collettivo, apro la porta usando quella maniglia nera e sporca. Mi giro a destra, e poi a sinistra. Vedo una lavagna nera, poi una donna di una trentina d'anni seduta sulla cattedra a spiegare, e poi tanti banchi, con tante persone, almeno 20. Tanti bisbiglii e occhiatacce. La professoressa si gira verso di me e dopo avermi inquadrata si alza e si avvicina a me.
- Ragazzi, lei è la vostra nuova compagna, Leila. Presentati pure!! - Mi dice lei.
Io però non ho paura. Sono determinata e avevo già un bel discorso in mente.

[...]

Dopo aver finito di presentarmi, la prof mi stringe la mano. Nel frattempo mi sono già fatta un idea della classe, composta da gossip girls, ragazze otaku e pochi ragazzi morti di figa. Tutti vestiti di nero o colori scuri, tranne una persona. Una ragazza. Strana rispetto agli altri. Sicuramente più originale e diversa. Da un po' di colore a tutte quelle tristi e noiose pareti. Ha dei capelli diversi dagli altri: rosa come le chewing gum. Quasi quasi me li faccio anche io così.
Quella testa rosa spicca tra tutte le altre, nonostante sia in fondo alla classe, nell'ultimo banco a sinistra. Affianco a lei c'è un banco libero.
- Vai pure ad accomodarti lì, in fondo a sinistra. - Mi dice la prof.
Eseguo gli ordini e mentre mi avvicino al mio nuovo letto, tutti mi guardano come fossi un aliena. Mi siedo, giro la testa di novanta gradi, e guardate un po', la ragazza rosa è la mia compagna di dormite, o alcune volte di banco.
Mi guarda, mi sorride e porgendomi la mano dice:
- Piacere, sono Anna Montanari. -

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