PROLOGO
Febbraio.
La mia sveglia suona imperterrita e a tutto volume - perché avevo l'insana paura che non mi sarei alzata - alle cinque del mattino, ricordandomi che oggi è un giorno speciale. Esattamente tra due ore inizierà un nuovo ed entusiasmante capitolo della mia vita, e io non sto più nella pelle. È il mio primo giorno di lavoro nel reparto di chirurgia di uno degli ospedali più importanti di New York, il St Andrews Hospital. Se dicessi che sono emozionata, starei solo minimizzando il modo in cui mi sento. L'adrenalina scorre nelle mie vene, tanto che non sono riuscita a dormire fino a un'ora e mezza fa, quando il sonno mi ha completamente assalita e annientata.
Mi sono da poco laureata in Infermieristica, non con poche difficoltà, momenti di crisi, di depressione, di sconforto. La mia vita al college non è stata tutta rose e fiori. Sono una ragazza piuttosto timida e faccio fatica ad integrarmi. Inoltre, non vivevo direttamente nel college, dato che era abbastanza vicino da tornare a casa, quindi mi sono sempre sentita un po' esclusa dal resto del gruppo. Ho avuto solo un'amica nei miei anni di università, Gillian, che era un po' una scansafatiche e la sua priorità non era di certo lo studio, bensì le feste, a cui io sono andata si e no due volte sotto ricatto. Entrambe non ci spronavamo molto a studiare e quindi siamo rimaste bloccate all'università più del dovuto. Mi sono persino arresa ad un certo punto, per poi rendermi conto, dopo un po', che non avrebbe avuto senso mollare tutto e buttare tutti i sacrifici fatti fino a quel momento, anche da parte dei miei genitori che hanno fatto l'impossibile per far studiare me e le mie due sorelle all'università.
Mia madre, Emma, è un'impiegata in un'importante emittente televisiva dove si occupa della regia dei programmi in onda. Mio padre, Noah Williams, lavora, sempre come impiegato, per una delle più importanti testate giornalistiche del paese. Insomma, non siamo una famiglia particolarmente ricca – anche se non ci è mai mancato niente –, per cui per i miei genitori è stata una vera guerra riuscire a pagarmi il college, e io non avrei mai potuto non portarlo a termine solo per un capriccio o momento "no" della mia vita. Soprattutto perché non sono la sola figlia a cui lo hanno dovuto pagare. Siamo in tre. E sì, tutte femmine e con solo pochi anni di distanza l'una dall'altra. Mia sorella Harper, venticinquenne laureata in lingue orientali, e Abbie, ventenne ancora all'università, dove rimarrà per altri interminabili anni prima di prendere la sua laurea in veterinaria. Ah, sì, sono la sorella di mezzo ed è semplicemente... una tortura!
La mia, non è una condizione solo prettamente anagrafica. No, io sono la sorella di mezzo in ogni discussione tra le altre due, sono la sorella che si trova in mezzo anche quando non c'entra niente, sono la sorella di mezzo che si premura di tenere legate le altre due, che altrimenti finirebbero con l'uccidersi a vicenda, probabilmente.
Nonostante questo, io amo la mia famiglia, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. E amo soprattutto una piccola furbetta che tre anni fa ci ha onorato della sua presenza: mia nipote, Sophie, figlia di Harper. Lei è la bestiolina che riempie di gioia la nostra piccola villetta a Staten Island e anche colei che spesso non ci fa dormire la notte, dato che è una specie di donna vissuta a cui piace fare feste nella sua cameretta dei giochi fino a tarda notte. Perché sì, Sophie vive ancora con noi, per il semplice fatto che il suo arrivo non è mai stato programmato e che quando è nata mia sorella non aveva nemmeno ancora un lavoro. I suoi genitori si sono lasciati a qualche mese dalla sua nascita, per giunta, dato che il padre non si può definire nemmeno tale. Ci prova a esserlo, ma diciamo solamente che non è la cosa che gli riesce meglio in assoluto. Ora Harper lavora come interprete di cinese e giapponese, per la Sutton enterprising, la più famosa azienda informatica di New York City. Ed è lì che ho conosciuto l'uomo della mia vita, il futuro padre dei miei figli, il responsabile dei bombardamenti subiti dalle mie ovaie, colui che non mi considera minimamente, se non quando si ricorda che sono la sorella più piccola della sua migliore amica. Ma questa è un'altra delle mie patetiche storie da raccontare e questo non è davvero il momento più opportuno.
Guardo l'ora sul cellulare e mi accorgo di essere in ritardo sul mio programma. Così, per evitare di fare tardi il mio primissimo giorno del mio nuovo super fantastico lavoro, salto fuori dal letto, andando incontro al gelo polare della mia camera. Il clima di New York a febbraio non è di certo uno dei più amichevoli. Amo la mia città, ma se le temperature fossero di qualche grado più alte, non mi lamenterei affatto. Mi faccio una piacevolissima doccia calda, ma troppo breve per godermela a pieno e mi vesto. Mentre mi guardo allo specchio, mi rendo conto di non essere vestita diversamente dal solito, con i miei jeans, il mio maglione rigorosamente nero e le mie fidate e inseparabili Vans. Mia madre pensa che dovrei iniziare a mettere abiti più adeguati alla mia età, da... adulta, diciamo. Soprattutto, nei giorni importanti, quelli che inevitabilmente segnano la prima impressione che gli altri avranno su di te. Ma sono sempre stata convinta che qualsiasi cosa una persona possa fare per fare una perfetta prima impressione, probabilmente la gente troverà sempre qualcosa per cui giudicarti. Non che questa mentalità alla "chi se ne frega del giudizio degli altri" mi abbia mai realmente aiutata nella mia vita. Anzi, l'opinione altrui è stata probabilmente la principale causa dei miei innumerevoli e stupidi problemi adolescenziali. Probabilmente, lo è tuttora. Ma anche questa, è un'altra storia.
Scendo in cucina per fare colazione, ma in realtà sono talmente agitata che non ho nemmeno molta fame. Chi non conosce quella strana sensazione che ti attanaglia lo stomaco e ti fa venire voglia di vomitare fino morire? Bene, si chiama ANSIA. E io e quella bastarda manipolatrice ci conosciamo veramente molto bene.
Appena arrivo in cucina, trovo mia madre già sveglia, che beve il suo caffè. Speravo di non doverla incontrare, perché so già che avrà da ridire sul mio abbigliamento sportivo e io non ho la forza per controbattere alle sue idee. Ma, ahimé, il suo lavoro le impone degli orari estenuanti che la costringono a svegliarsi prima dell'alba e a volte anche a fare tarda notte.
«Amore... Allora sei pronta? Come ti senti? Sei agitata?» Lei, per la cronaca, lo sembra più di me. Il che è tutto dire. Ma Emma Williams è fatta così. È come se fosse un tutt'uno con le sue figlie e sentisse esattamente tutto ciò che noi sentiamo. Le nostre sconfitte, le nostre vittorie. Le vive esattamente con il nostro stesso stato d'animo. Da quando si è separata con papà, questo suo aspetto si è perfino amplificato. E poi, mia madre mi conosce più di chiunque altro e sa perfettamente che in questo momento l'unica cosa che vorrei fare è sotterrarmi o vomitare. Ho un carattere abbastanza difficile e la mia timidezza esagerata non mi ha mai aiutato nelle situazioni come questa. Ogni nuova avventura, per me, diventa un ostacolo insormontabile da superare.
«Si, un po'» Rispondo, abbozzando un sorriso per evitare che si preoccupi troppo e che ricominci con le sue prediche sul farsi coraggio e sul tirare fuori gli attributi, perché nella vita nessuno ti regala mai niente.
Prendo anche io una tazza di caffè e mi preparo una fetta biscottata con la marmellata. Lei si avvicina e comincia ad accarezzarmi la schiena per farmi calmare un po'.
«Stai tremando, Alissa?» Mi domanda, preoccupata.
«Ehm... sì, ma solo perché ho freddo.» Lei, ovviamente, non mi crede e sospira, leggermente esasperata.
«Vedrai che andrà tutto bene, hai lavorato sodo per ottenere questo lavoro e te lo meriti, tesoro.» Queste parole dette da mia madre mi fanno estremamente bene. Ci vogliamo molto bene, ma discutiamo spesso e quando lo facciamo, non ci tratteniamo di certo con le parole. Abbiamo raggiunto il nostro punto di rottura durante il college. Non sopportava il fatto che non avessi dei buoni risultati. Eravamo arrivate al punto di litigare anche più volte durante il giorno, perché secondo lei, io stavo buttando la mia vita e secondo me, lei non mi capiva. Ora, mi rendo conto che tutte le parole che mi ha detto, incluse quelle più brutte, non avevano nessun altro scopo, se non quello di motivarmi ad andare avanti e non arrendermi. Prima ero troppo stupida per capirlo e pensavo che mi ritenesse una fallita non alla sua altezza. Ora, invece, capisco che non si è mai arresa perché credeva fortemente in me.
«Grazie, mamma.» Le sorrido, perché non voglio farle percepire la mia paura. Sono pronta, so di essere una brava infermiera e so che mi merito questo lavoro. Ma il problema, per me, non è mai stato credere in me stessa o nelle mie capacità, bensì dimostrarle agli altri e impedire alla timidezza di sopraffarmi e buttarmi in un angolino buio, nel dimenticatoio.
«Bene, vado.» Mi alzo e le do un bacio sulla guancia per salutarla. Sono quasi le sei e il tragitto è abbastanza lungo. A quest'ora non ci sono traghetti disponibili per raggiungere l'altra sponda della città, quindi devo prendere la mia macchina. E il traffico di New York è famoso più o meno in tutto il Globo.
«Ciao, amore mio, in bocca al lupo!» Mi saluta mamma con il suo solito entusiasmo che la contraddistingue. Le rivolgo il mio migliore sorriso ed esco dalla cucina. Prendo la mia giacca e la mia borsa ed esco di casa, facendo un profondo respiro per darmi coraggio.
Il viaggio fino all'ospedale è abbastanza veloce e senza intoppi e quando mi ritrovo di fronte all'imponente entrata del St. Andrews, un brivido mi colpisce la spina dorsale. Respiro a fondo, prendendomi cinque minuti per ammirarlo. Da fuori potrebbe sembrare uguale a tutti gli altri ospedali, ma per me non è così. È sempre stato il mio più grande e irrealizzabile sogno. È enorme e nuovo e il migliore degli ospedali. È dove ho iniziato il mio volontariato, quando ero ancora al liceo, nel reparto di oncologia pediatrica e che mi ha portato a scegliere di essere ciò che finalmente oggi sono. Un'infermiera. È sempre stato il mio sogno entrare a far parte di tutto questo e oggi, incredibilmente e contro ogni aspettativa, quel sogno è diventato realtà. E io non potrei essere più soddisfatta di me stessa.
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Buonasera! Come state?
Wattpad mi ha fatto il grandissimo regalo di eliminare il mio vecchio account @Sila93, per cui mi sono ritrovata costretta ad aprirne un altro e a pubblicare di nuovo la mia storia per intero. Spero che tutte le persone che la stavano seguendo riescano a ritrovarla e a leggere gli ultimi capitoli finali.
Grazie per tutto il supporto che mi avete dato e continuate a darmi, vi chiedo solo un po' di pazienza per pubblicare di nuovo tutta la storia di "SOMEDAY" e quella di "EVERYDAY". <3
Alissa Williams ♥
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