Cαριƚσʅσ 11
Il mio ritorno a casa è stato molto traumatico, era tutto così diverso, diverso da quando me ne sono andata quattro anni fa per andare al college, diverso perché ora c'erano molte meno foto di papà e più di Matthew, non che fossi gelosa, ma non comprendevo il perché di questo cambiamento, perché togliere le foto di papà, perché sostituirlo. Ci sono rimasta male, ma ormai quella non era più casa mia, non la sentivo mia e non volevo intromettermi, ormai era la casa di mamma e Matthew. La settimana che mi separava dalla mia partenza per New York era passata in fretta, ho rivisto qualche mio vecchio amico e fatto moltissime passeggiate. Sull'aereo che mi sta portando verso la mia nuova vita continuo a pensare a Katarina, dalla consegna dei diplomi di laurea non l'ho più sentita, credo mi abbia bloccata su Instagram e Twitter, ma su Whatsapp nemmeno mi risponde. Il suo numero è irraggiungibile e non so come contattarla, vorrei chiarire, vorrei capire il motivo per cui ce l'ha con me, se è davvero per quello che ho fatto allora non credo sia davvero una mia amica, le amiche non giudicano, le amiche ti stanno accanto, avrei voluto che anche lei mi stesse vicina. Di conseguenza non posso non pensare anche a Gabriel, quel ragazzo tanto bello quanto dannato, mi ha allontanata dopo che gli ho confessato i miei sentimenti, dopo aver fatto l'amore come mai prima, dopo essere stata sua.
«Cari passeggeri, è il capitano che vi parla. Vi comunico di allacciare le cinture, stiamo per atterrare a New York.» il mio cuore si riempie di gioia e felicità, finalmente la vita che tanto desideravo sta prendendo forma e ancora non posso crederci. Atterrati all'aeroporto mi blocco di fronte alla sua maestosità, mi volto e mi dirigo verso l'uscita per cercare un taxi che mi porti alla sede del mio nuovo e magnifico lavoro. Salgo sul taxi con una felicità mai avuta prima, assomiglio ad una bambina che ha appena ricevuto il giocattolo che desiderava da sempre, quella felicità, quel sorriso che si ha è una cosa rara ed è bene tenerla stretta per poterla rivivere nei momenti bui.
«Ecco signorina, siamo arrivati.» mi comunica il simpaticissimo tassista.
«La ringrazio moltissimo, ecco a lei.» dico porgendogli il denaro dovutogli «Tenga pure il resto.» Scendo e portando con me le valigie mi affretto a trovare la casa editrice in cui lavorerò e in cui spero di riuscire a pubblicare i libri che ho scritto, chiedo varie indicazioni e infine me la trovo di fronte. Un edificio colmo di vetrate, luminoso e maestoso che aspetta solo me, questa d'ora in poi sarà la mia vita e so già che sarà magnifica. La titolare di questa casa editrice è Judith Castle e, di conseguenza, la sede porta il suo nome. Eccola lì, la "Castle Publishing". Con una quantità enorme di entusiasmo entro e mi fermo al box informazioni posto alla sinistra della porta di entrata.
«Salve, sono Etheleen Costa, sono qui per il lavoro da voi offertomi, mi hanno detto di chiedere di John Katlon.» chiedo gentilmente alla signora di circa quarant'anni che mi si presenta di fronte.
«Salve, glielo chiamo subito, può accomodarsi nella sala d'aspetto e se lo desidera può lasciare a me le sue valigie, potrà ritirarle più tardi.» annuisco e le consegno le valigie. Mi dirigo alla sala d'aspetto e mi siedo su una di quelle comodissime poltrone rosso fuoco, il mio sedere ringrazia dato che i sedili dell'aereo erano un po' scomodi. Nel frattempo il mio cellulare inizia a vibrare come un ossesso, rispondo senza guardare il numero.
«Pronto.»
«Ethel sono Gabriel, dobbiamo parlare. So che sei a New York, sto venendo lì, dimmi dove possiamo vederci.» non posso credere che lui stia veramente venendo fin qui per me, forse ha cambiato idea su di noi, su quello che potremmo essere, il mio cuore si gonfia ancora di più di gioia.
«Va bene, ti mando la via del mio nuovo appartamento, vieni lì.» riaggancio e vedo arrivare verso di me un ragazzo sui ventisette anni, super muscoloso e con un fisico pazzesco, inoltre è anche un bellissimo ragazzo, ha dei lineamenti molto fini, è biondo con gli occhi azzurri, il che non guasta.
«Ciao, tu devi essere Etheleen giusto? Sono John, mi hanno avvisato che eri arrivata, scusa per l'attesa. Allora io sarò il tuo referente, quindi per qualsiasi cosa chiedi pure. Vieni ti mostro il tuo ufficio.» lo seguo, sono emozionatissima, spero di non deludere nessuno. Saliamo in ascensore e andiamo fino al quarto piano, usciamo ed ecco di fronte a noi il mio bellissimo ufficio, sulla porta c'è già affisso il mio nome. È strano vedere il proprio nome sulla porta di un ufficio, ma presto ci farò l'abitudine.
«Eccolo, entra pure e guardati in giro.» entro, mentre John si fa da parte per rispondere al telefono. Nel mezzo della stanza c'è una scrivania bianca, perfettamente bianca su cui vi è posizionato un computer di ultima generazione. Mi siedo alla mia scrivania e mi guardo un po' in giro; noto di fianco alla porta una libreria vuota, anch'essa bianca. Ancora non posso crederci, sono davvero nel mio ufficio e farò il lavoro per cui ho studiato, un lavoro che amerò e cercherò di svolgere al meglio.
«Bene, perdonami, ma era una telefonata di lavoro importante. Allora che ne dici? Ti piace?» mi chiede a braccia incrociate.
«Lo adoro.» affermo con un sorriso talmente ampio che rischio di strapparmi la bocca a metà.
«Perfetto, inizierai domani mattina alle otto, mi raccomando puntuale. Dovrai leggere cinque manoscritti la settimana, se ne troverai qualcuno che ti piacerà me lo invierai e insieme decideremo se andare avanti con la pubblicazione oppure no.» più mi spiega e più amo il mio nuovo lavoro, potrei iniziare anche subito. Terminato il giro dell'azienda e le varie spiegazioni, torno all'ingresso e recupero le mie valigie per andare nel mio appartamento. Dalle fotografie sembrava spettacolare, ma si sa, dal vivo sono totalmente diversi. Chiamo un uber e ci dirigiamo verso la mia nuova casetta, per tutto il tragitto penso a Gabriel e al fatto che sta arrivando a New York solo per vedermi, chissà cosa deve dirmi. Pago l'uber e scendo, il palazzo è molto recente, ma soprattutto è altissimo. Prendo l'ascensore e salgo fino all'ultimo piano dove si trova il mio appartamento. Esco e lo vedo, è il numero quattro, in questo edificio gli appartamenti per ogni piano sono quattro e il mio è quarto del ventesimo piano. Infilo le chiavi nella serratura e apro lentamente la porta; resto a bocca aperta nel vedere l'interno. Di fronte a me c'è il salotto luminosissimo e con ben tre divani nel mezzo, le pareti sono tutte in legno e le finestre si affacciano sulla parte più bella di Nwe York, c'è una vista mozzafiato da qui. Sulla destra la cucina con penisola, tutta interamente di un colore grigio, ma che riesce a dar luce alla stanza; giro tutta casa fin quando entro nella camera da letto con al centro un letto a baldacchino e comodini sospesi, tutto coordinato e dello stesso colore, chi ha arredato questa casa ha un gusto pazzesco. Dopo aver osservato ogni minimo particolare della casa, inizio a disfare le valigie e a sistemare tutti i miei vestiti nell'armadio. Tra qualche giorno dovrebbero arrivare i miei scatoloni che mamma ha spedito, al loro interno c'è tutta la mia vita per cui non vedo l'ora di personalizzare il mio appartamento con le mie cose per renderlo davvero mio. Il mio telefono inizia a vibrare, corro in salotto e lo afferro dal tavolino posizionato di fronte ai divani.
«Pronto.» sono agitata, chissà cosa mi sta per dire Gabriel.
«Sono arrivato dove mi hai detto, e ora?» chiede lui confuso, sul campanello non ho ancora inserito il mio nome, ma lo farà presto il portiere.
«Suona al citofono su cui c'è il cognome Smith.» perché ha voluto vedermi? Ho così paura di quello che vuole dirmi, ma allo stesso tempo non capisco, era stato chiaro, non voleva una relazione o almeno non la voleva con me e ora perché si è presentato qui, a New York. Bussa alla porta, mi precipito ad aprire e me lo ritrovo di fronte, più bello che mai, il suo cappotto grigio fino al ginocchio, una sacca color marroncino in spalla e sul suo viso la sua barba incolta che tanto amo, infine i suoi occhi, i suoi meravigliosi occhi blu, blu come il mare, blu come il cielo.
«Ciao, vieni entra.» lo saluto imbarazzata, ma soprattutto agitata, a testa bassa entra in casa.
«Scusa, scusa per come mi sono comportato, non avrei dovuto dirti quelle cose. Non è vero che per me sei solo divertimento, ho avuto solo paura.»
«Ma paura di cose? Di me? Dei miei sentimenti?»
«Paura di non essere in grado di amarti come ti meriti.» le sue parole mi spiazzano, suonano così dolci, ma allo stesso tempo piene di paura e di tristezza. Vorrei sapere di più su di lui, vorrei che lui si fidasse di me da potersi sfogare.
«Tutti sono in grado di amare, anche tu.» mi avvicino a lui e gli accarezzo il viso dolcemente.
«Non me lo hanno insegnato, ho sempre trattato le ragazze come oggetti, ma tu sei diversa, me ne sono accorto quando ti ho lasciata sola in quel modo sul tetto. Quando sono rimasto solo mi mancava l'aria, volevo solamente averti di nuovo accanto a me e mi maledicevo per averti detto quelle cose.» una lacrima scende sul suo viso, veloce. Lo abbraccio, ho bisogno che ora lui percepisca la mia presenza, che sappia che sono qui, con lui.
«Da piccolo le persone che amavo mi hanno fatto solo del male.» sto soffrendo con lui, vorrei saperne di più, ma ora non mi sembra il caso di chiedere, voglio che sia lui a raccontarmelo. Mi discosto da lui e gli asciugo teneramente le lacrime, voglio che funzioni con lui, perciò sarò qui, sarò qui per aiutarlo e amarlo...se me lo permetterà.
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