1 - il prigioniero, un angelo caduto

Carnivale alzò piano la testa. Il buco dentro il quale l'avevano rinchiuso puzzava terribilmente di fuliggine e muffa. Non aveva abbastanza spazio nemmeno per stendere le ali, che rimanevano ai suoi fianchi ferme, appiattite, congelate. L'unica luce che filtrava nella stanzetta era data dalla minuscola grata posta sul soffitto. La stessa da cui, qualche buona anima, gli faceva arrivare del cibo. In teoria sarebbe dovuto morire di stenti, eppure un demone appariva di tanto in tanto, buttandogli fra gli artigli dei pezzi di pane raffermo o una bottiglia d'acqua tiepida.

Si era costretto a ingurgitare quella robaccia, nonostante l'orgoglio gli stesse gridando di morire con onore. Aveva perso e doveva accettarlo, così avrebbe fatto un vero guerriero. Allora perché continuava ad aggrapparsi alla pietà di qualche estraneo di cui mai aveva visto il volto? O udito la voce. Si ritrovò a ringhiare, nervoso.

E dire che era finito in quelle indecenti condizioni per colpa di una stupida mocciosa! Se ci pensava gli prudevano le mani e gli veniva voglia di spaccare la graziosa testolina della piccola contro uno dei mattoni della cella. Non si fidava degli umani, mai l'aveva fatto, però si era lasciato abbindolare da quello sguardo sereno e dalla proposta allettante che gli aveva sventolato sotto il muso. Era bastata una debolezza, una piccola crepa nella sua armatura impenetrabile, e lui era inevitabilmente caduto.

«Ti prometto la gloria. La fama che tanto desideri. Canteranno delle tue gesta in tutto l'Inferno e ogni demone ti desidererà. Il tuo corpo, il tuo sangue, il tuo cuore. Non sarai più solo né abbandonato o dimenticato. Ovviamente, prima devi dimostrare di essere all'altezza delle mie aspettative. Ma non sarà certo un problema per te. Giusto, Carnivale?»
Quel tono odioso, lo stesso di chi sa di essere superiore, e quella risata cristallina, sguainata, torturavano le sue notti insonni molto più dei ratti che riuscivano a passare dalle crepe.

Sospirò. Credeva di aver toccato il fondo quando era precipitato dal Paradiso, ma doveva ricredersi. Al tempo aveva promesso a se stesso che non avrebbe lasciato mai più che gli accadesse una cosa del genere, che calpestassero il suo spirito, la sua tenacia, allora perché era successo ancora? Era convinto di aver preso ogni precauzione possibile stavolta. Cosa l'aveva portato a quelle miserabili condizioni?

Dei suoni lo ridestarono da quei pensieri. Passi. Deglutì. Aveva sete. Si approcciò al buco sul soffitto, mettendosi in ginocchio, sconfitto. Doveva ammettere che sperava che lo sconosciuto sarebbe passato a dargli un po' di cibo. Stava morendo di fame e, stando ai segni che aveva inciso sul muro con fango e feci, non gli faceva visita da almeno due settimane. Patetico. Era l'unica parola che gli veniva in mente per descrivere se stesso.

«Carnivale?»

Sobbalzò. Era la prima volta che il demone gli parlava. Di solito si limitava a spingere contro la grata delle provviste, recuperare le bottiglie vuote e poi andarsene di fretta e furia. Cos'era cambiato?

«Sei ancora vivo?»

Carnivale aprì la bocca, le zanne gli facevano terribilmente male. Lasciò andare un grugnito, provò a vocalizzare una frase, però non gli riuscì benissimo. Ci rinunciò presto. Trovò la forza solamente per emettere un piccolo mugolio, per fargli capire che sì, dopotutto era vivo.

«Ottimo!» esclamò l'altro.

“Ottimo? Nulla di quello che mi è accaduto è vagamente buono, altro che ottimo!” aggrottò le sopracciglia.

Era chiuso lì da almeno un paio di mesi, durante i quali non aveva interagito con nessuno, tuttavia non credeva che la sua capacità di linguaggio sarebbe regredita a tal punto. Si morse forte il labbro inferiore, sentendosi davvero inutile.

«Stai lontano dalla grata, ok?»

“Facile a dirsi!” pensò, accucciandosi contro uno dei muri. Non sapeva cosa diavolo avesse in mente il suo benefattore, ma non poteva contraddirlo, no? Aveva maledettamente bisogno di quel cibo. Doveva sopravvivere. Vivere e scappare da quella prigione, così da poter tornare da quella mocciosa. E decapitarla, liberarsi di quella piaga una volta per tutte.

Un colpo secco lo prese alla sprovvista. Poi una nube di polvere gli arrivò in testa e chiuse gli occhi, portandosi i palmi davanti al viso per coprirsi il più possibile. Tossì, non riuscì a farne a meno, e altri botti seguirono il primo. Pareva quasi che lo sconosciuto stesse cercando di rompere la grata. Ma no, era impossibile, giusto?

Era stata fatta con il metallo più resistente di tutto il girone dell'Ira e, come se non bastasse, era perfino stata incantata con una potente magia di protezione. Lui stesso aveva provato più volte a forzarla, ma tra quelle precauzioni e il santo collare che gli avevano messo alla gola non era riuscito a piegarla nemmeno di un millimetro.

“È impensabile che ci riesca un plebe-” Carnivale non fece in tempo neanche a finire quel pensiero. Un suono metallico rimbombò tra le quattro pareti e parte della grata gli cadde malamente sul grembo. Tolse piano le dita dal viso, aprì gli occhi, sconvolto. Si ritrovò una mano davanti al muso.

«Vieni!» lo invitò il demone.

Non se lo fece dire due volte.

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