Cαριƚσʅσ 23
Il mattino seguente Jisoo era entrata al lavoro molto presto, quasi un'ora prima del previsto.
Quella notte era stata tumultuosa, si era girata e rigirata nel letto con un sonno leggero e nervoso e all'alba aveva sbarrato gli occhi ben prima che la sveglia suonasse.
Entrando nell'ufficio, gettó un'occhiata verso la scrivania della sua temuta collega, sperando con tutta sé stessa che rimanesse vuota, almeno per un'ora... o magari per tutta la giornata!
Raggiunse la sua postazione e sistemò il cappotto sullo schienale della sedia, sbadigliando. Dopo quella notte quasi insonne aveva decisamente bisogno di un caffè.
Non fece in tempo ad abbassare la mano che aveva portato alla bocca per coprire lo sbadiglio, che notò qualcosa d'insolito poggiato a terra, ai piedi della scrivania.
Sembrava un pacco di medie dimensioni, dalla forma rettangolare, confezionato con una carta marrone, di quelle da imballaggi.
Si abbassò incuriosita e lo afferrò.
Appena sollevato, si rese conto di un piccolo post it giallo incollato sulla superficie.
"Con la speranza che un giorno, guardandolo, lei riesca a vedere altro...-HJ-"
Jisoo sgranò gli occhi e rilesse quelle parole più e più volte.
Non poteva essere.
Si stava sicuramente sbagliando.
Afferrò freneticamente un lembo di quella carta e lo strappò sull'angolo destro, rimanendo senza fiato.
Decise allora di strappare anche l'incarto rimanente, mentre il cuore pompava veloce.
La figura di donna osservata la sera precedente era di fronte a lei, tra le sue mani e non più esposta al museo d'arte moderna.
Non fece in tempo a riordinare i pensieri, che sentì il suono inconfondibile dei tacchi in avvicinamento.
Si affrettò a incartare nuovamente il dipinto e a nasconderlo come meglio poteva sotto la sua scrivania.
Velocemente si posizionò poi sulla sua sedia girevole e tentò di simulare una finta tranquillità, mentre dentro di sé stava dimenticando come respirare normalmente.
Seohyung entrò nella stanza con il suo solito modo imperioso, lanciandole un'occhiata sorpresa.
«'Giorno. Caduta dal letto stamattina?», le chiese provocatoria.
"E tu dalla scopa brutta strega?", pensò Jisoo di rimando, guardandola torva mentre si sfilava il cappotto grigio dalle spalle.
«Mi sono alzata prima del solito.
Il mattino ha l'oro in bocca, come si suol dire», riuscì a rispondere.
Seohyung si limitò a lanciarle un sorrisino di scherno per poi chiederle:
«Come è stata la mostra?»
Jisoo perse per un attimo la sua disinvoltura e urtò la mano inavvertitamente contro il portamatite, facendolo quasi cadere.
Lo recuperò al volo e tentò di rispondere:
«Bene. Molto interessante. Bellissime opere», disse, mentre con la gamba cercava di coprire al meglio l'incarto appoggiato a terra.
"Ne ho giusto una tra i piedi che varrà migliaia di won", pensò tra sé nervosa.
«Immagino. Beh io sono contenta invece di aver passato la serata a lavorare. È stata estremamente produttiva. Ho potuto terminare il report dei dati da presentare... di mostre ce ne saranno altre, è una questione di priorità», rispose l'altra accendendo il computer.
Jisoo abbozzò un sorriso sghembo, ormai abituata alle frecciatine gratuite della donna.
Quella volta non aveva voglia di prestare troppa attenzione alle provocazioni di Seohyung, la sua mente divagava pensando a ben altro:
a come poter risolvere quella strana situazione con il capo della PharmaJ.
Non riusciva a capacitarsi del motivo di quel gesto. Sicuramente lui era uno degli uomini più ricchi e influenti della città e disfarsi di un quadro di un grande artista non era altro che una bazzecola per lui, ma perché proprio a lei?
Ad una semplice neo dipendente, una sconosciuta che ancora non aveva nemmeno uno scopo dentro quell'azienda.
Da lui non avrebbe dovuto accettare nemmeno un caffè, figuriamoci un'opera d'arte!
Come sempre il senso di colpa e il rimorso delle sue azioni si fecero spazio nel suo animo: non avrebbe dovuto accettare l'invito della sera precedente, non era stato appropriato e forse lo aveva spinto inconsciamente a fare quel gesto di gentilezza che in realtà era assolutamente sbagliato.
Doveva parlare con Haein, mettere in chiaro le cose, tornare ad un semplice e distaccato "Buongiorno o buonasera".
Continuava a pensare alla frase che le aveva scritto sul bigliettino: quel quadro l'aveva ipnotizzata e turbata allo stesso tempo. Era riuscito a scatenare in lei emozioni vivide, che a detta dì Haein erano espressione di ciò che la turbava in quel momento della sua vita.
Le augurava un giorno di poterci vedere altro. Chissà cosa suscitava in lui invece...
«Jisoo? Hai sentito quello che ti ho detto?»
La voce saccente di Seohyung la destò dai quei pensieri.
«No. Mi scusi, ero distratta»
«Penso che questi fogli da protocollare e archiviare ti faranno tornare l'attenzione. Almeno spero», disse l'altra, avvicinandosi a lei con un plico in mano per poi sbatterglielo sopra la scrivania.
"Devo solo sopravvivere un'altra giornata", pensò Jisoo afflitta.
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Il sole era ormai sceso da tempo e Jisoo era rimasta finalmente sola in quell'ufficio, rischiarato solo dalla luce della lampada sopra la sua scrivania e dallo schermo del pc.
Seohyung se ne era andata circa un'ora prima, salutandola con un'aria alquanto soddisfatta di averla sobbarcata di lavoro.
Il quadro era ancora lì, ai suoi piedi, fermo e immobile, come in attesa anche esso di una sua decisione.
Cosa fare?
Accettare quel regalo spropositato per cortesia, oppure rifiutarlo da maleducata in modo da ridefinire le distanze?
Jisoo si sentiva così confusa da desiderare il consiglio di qualcuno.
Già, ma di chi? Visto che di quella strana situazione non aveva potuto parlare ad anima viva, se non a grandi linee a Jimin, la persona che arrivava puntualmente alle conclusioni più sbagliate.
No, doveva risolvere i suoi "problemi" da sola e subito.
Aveva terminato il noioso lavoro assegnatole dalla sua supervisor ed era finalmente pronta per chiudere il pc e tornare a casa.
Si domandò se Haein fosse ancora nel suo ufficio: se fosse riuscita a intercettarlo gli avrebbe potuto restituire l'opera quella sera stessa.
Spense il computer, infilò il cappotto e afferrò il quadro, per poi uscire dalla stanza guardinga.
Aveva paura che qualcuno potesse notarla mentre bussava alla porta del capo.
Per fortuna il corridoio era deserto e i pochi colleghi rimasti erano ancora chiusi nei loro uffici.
Raggiunse la porta del CEO e lo sentì parlare al telefono con il suo solito tono tranquillo e autoritario.
Poteva poggiare l'incarto lì, fuori dall'ufficio, ma se qualcuno lo avesse visto e portato via?
Era un oggetto dal valore inestimabile e non poteva lasciarlo incustodito.
Così decise di entrare nell'ufficio, posare a terra il pacco e fuggire via, senza aggiungere una parola.
Non aveva alcuna voglia di sperticarsi in discorsi e spiegazioni inutili, quel gesto valeva più di mille parole e il messaggio sarebbe arrivato chiaro e lampante.
Fece un profondo respiro, bussò delicatamente alla porta e attese di udire un "avanti" che non tardò ad arrivare.
Afferrò la maniglia e aprì la porta: Haein era seduto alla scrivania, con la cornetta del telefono in mano e, vedendola, la guardò sorpreso.
Jisoo si piegò per salutarlo e, in silenzio, depositò il dipinto a ridosso del muro per poi fare un passo indietro e richiudersi la porta alle spalle.
Si sistemò la borsetta sulla spalla e a grandi passi attraversò il corridoio per raggiungere il prima possibile l'ascensore.
Già si stava sentendo in imbarazzo, chiedendosi come avrebbe potuto guardare in faccia il suo capo il giorno seguente, e quello dopo ancora.
Voleva solo fuggire via di lì e tornare a casa.
Chiamò l'ascensore e, proprio in quel momento, sentì una voce provenire dal corridoio:
«Dottoressa Kim!»
Jung Haein era uscito dal suo ufficio e la stava raggiungendo.
Jisoo pregó con tutta la forza che aveva che quello stramaledetto ascensore arrivasse il prima possibile, continuando a pigiare incessantemente il pulsante di chiamata.
Si sentiva in gabbia: da una parte l'impossibilità di fuggire e dall'altra un pericolo in avvicinamento.
In una manciata di secondi l'ascensore arrivò al suo piano e lei ci si gettò dentro, mentre il suono dei passi di Haein si faceva sempre più in prossimità.
Jisoo fece giusto in tempo a schiacciare il tasto che l'avrebbe condotta al piano terra e vedere le porte dell'ascensore chiudersi, quando una gamba si frappose tra di loro, costringendole a riaprirsi.
Sgranò gli occhi, ritrovandosi faccia a faccia con il CEO della PharmaJ che la guardava affannato.
«Per fortuna sono riuscito a raggiungerla. Stava scappando per caso?», le chiese, mentre l'ascensore si era chiuso alle sua spalle e aveva iniziato la sua lenta discesa.
Jisoo non aveva calcolato quella situazione e così si ritrovò a balbettare:
«No, vado di fretta perché ho un impegno e sono in ritardo», mentì.
«Deduco che il dipinto non le sia piaciuto», fece lui provocatorio.
Lei sbarrò gli occhi e disse: «Certo che mi è piaciuto, come il resto delle opere. Ma non posso accettarlo... »
«E perché no?», le chiese, mettendola alle strette.
Sembrava sinceramente confuso, come se non arrivasse ad immaginare le motivazioni di quel rifiuto.
«Io non posso...», ma il discorso si troncò di netto a causa del sussulto della cabina, che con un sobbalzo si fermò all'improvviso.
«Che è stato?», chiese Jisoo allarmata.
D'un tratto la luce che illuminava l'interno dell'ascensore si fece più fioca, lasciandoli in penombra.
«Deve essere saltata la corrente», rispose Haein, guardandosi attorno.
«Come saltata? E quindi? Quando riparte?», continuò Jisoo, assalita dall'ansia.
Non le erano mai piaciuti gli spazi piccoli e chiusi e aveva sempre temuto di poter incappare in una situazione come quella.
«Stia calma. Vedrà che si ripristinerà tutto a breve», tentò di rassicurarla lui, appoggiandosi alla parete della cabina.
Era calmo e imperscrutabile, per niente agitato.
«Mi manca l'aria», fece di rimando Jisoo, sventolandosi il viso con la mano.
Il cuore aveva iniziato a pomparle più velocemente, la gola si era serrata come se avesse difficoltà a far passare aria. Stava per avere un attacco di panico ne era certa.
«Si levi la giacca e cerchi di tranquillizzarsi, tra due minuti saremo fuori di qui», disse Haein.
«Non c'è nemmeno un temporale! E se fosse un blackout generale?», chiese Jisoo isterica.
«Non possiamo saperlo. Tutto quello che possiamo fare in questo momento è aspettare, non c'è altra soluzione»
«E per quanto? Oddio, è troppo stretto qui», esclamò Jisoo, portandosi una mano alla gola.
Haein scattò verso di lei e la prese per le spalle. Puntò i suoi occhi neri in quelli di Jisoo e con tono fermo le disse:
«Faccia respiri profondi. Inspiri ed espiri», la spronò, imitando quello che doveva essere training autogeno.
Jisoo obbedì, guardandolo spaventata, dal momento che il suo corpo sembrava non voler più rispondere ai comandi. Cominciò ad ispirare aria dalle narici e a ributtarla fuori con la bocca, aggrappandosi alle braccia del suo capo che continuava a starle davanti preoccupato.
Lentamente percepì che il martellare del cuore si era fatto meno incessante e i polmoni riuscivano di nuovo a far circolare ossigeno in modo regolare.
«Ok. Adesso si sieda», le disse Haein con un filo di voce, accompagnandola in basso, sul fondo della cabina.
Jisoo scese con la schiena adesa alla parete e si sistemò nel tentativo di tranquillizzarsi. La distanza che li separava era talmente poca che poteva sentire chiaramente il suo profumo: un misto di menta e dopobarba, forte e mascolino.
«Va meglio?», le chiese il CEO in ginocchio di fronte a lei.
Lei annuì serrando gli occhi, mentre il corpo era ancora scosso da brividi.
Lo sentì sistemarsi a terra accanto a lei. Percepì un movimento e capì che si era sfilato la giacca nera di dosso, rimanendo in camicia.
Seguirono attimi di silenzio in cui la cabina rimase immobile, sospesa a mezz'aria, e Jisoo perse definitivamente la cognizione del tempo.
«Beh dopotutto è stata una mossa giusta quella di non accettare il quadro», commentò d'improvviso Haein.
Jisoo aprì un occhio, mantenendo l'altro chiuso e lo puntò su di lui:
«In che senso?», domandò.
«Se se ne fosse andata via e io non l'avessi raggiunta, ora sarebbe sola in questo ascensore, con attacco di panico annesso», spiegò sicuro.
«Quindi dovrei ringraziarla?», chiese, continuando a sbirciarlo con un solo occhio.
«Mi basta avere una spiegazione sul perché mi abbia riportato il quadro, sarà la mia ricompensa», insistette lui.
"Non cede ", pensò Jisoo, sentendosi alle strette.
«È un quadro da milioni di won, appartiene alla sua famiglia e non vedo perché dovrei averlo io... », cercò di spiegare come se fosse un'ovvietà.
«Perché è un regalo. E i regali vanno accettati», rispose lui sardonico.
«Mi creda, è meglio così», tirò corto lei.
In quel momento udirono un cigolio metallico e sentirono la cabina oscillare, senza tuttavia riprendere il suo normale percorso.
«Che è stato?», chiese Jisoo allarmata, spalancando gli occhi.
«Forse un tentativo di rimessa in moto», rispose Haein, guardandosi attorno.
«Abbiamo spinto il tasto di allarme? Nessuno sa che siamo rinchiusi qua dentro!», chiese Jisoo stizzita mentre il panico si stava impossessando di nuovo di lei.
«Ecco fatto», disse Haein tranquillo, spingendo il pulsante con la classica campanella gialla.
«Perché non succede niente?», chiese Jisoo preoccupata.
«Pensava che bastasse premere un tasto per far materializzare qualcuno che ci venga a liberare?
Mai rimasta chiusa in un ascensore?», fece ironico lui.
Jisoo scrollò la testa.
«Nemmeno volontariamente?», continuò il dottor Jung, questa volta con uno strano sorrisetto sulle labbra.
«Come avrà notato non mi piacciono i luoghi stretti e chiusi»
«Io ho trascorso ore piacevoli negli ascensori», disse serenamente lui.
«Quindi ci vorranno ore prima che ci liberino?», chiese Jisoo con la voce tremante.
«Stia tranquilla ci libereranno prima. Ero io a decidere quando riattivare la cabina in quei casi... », rispose lui con un sorriso sghembo.
Jisoo intuì cosa volesse dire con quella frase e preferì sorvolare, guardando da un'altra parte.
«Allora, possiamo stare in silenzio e aspettare, oppure... », fece d'un tratto Haein.
"Oh mio Dio e se cercasse di saltarmi addosso? Se avessi avuto ancora il quadro avrei potuto almeno spaccarglielo in testa!"
«... oppure semplicemente fare conversazione»
«Riguardo a cosa?»
«Noi? Le farà bene parlare, l'aiuterà a distrarsi. Intanto continui con il training autogeno»
Jisoo si rimise a ispirare e espirare, sperando che la cabina tornasse a muoversi da un momento all'altro, liberandola finalmente da quella trappola.
«Inizio io. Vediamo... fa sport?», chiese lui.
Jisoo scrollò la testa con forza.
«Io tennis, golf e nuoto.
Musica preferita?»
«Ascolto di tutto», rispose Jisoo, sentendosi in uno strano interrogatorio.
«Io amo il Jazz. L'ho potuto apprezzare durante un viaggio di lavoro in America e da allora me ne sono appassionato»
Calò un attimo di silenzio.
Jisoo teneva gli occhi chiusi per non pensare, per evitare di soppesare il tempo che stava trascorrendo inesorabile e lento in quella cabina.
«Mmm, vediamo, altre domande...ha animali domestici?», fece Haein.
Il pensiero saettò a Yeontan, ai suoi movimenti buffi e teneri, al suo soffice pelo e alle zampine. Lo aveva amato come un pezzo fondamentale di Taehyung e quel cucciolo l'aveva ricambiata senza esitazione.
Le mancava tremendamente anche lui.
«Avevo un Pomerania a Daegu», si limitò a rispondere.
«È venuto a mancare, o è rimasto lì?»
«Era il cane del mio ex», disse secca.
Lui incassò la risposta, rimanendo per un attimo in silenzio.
Jisoo sperava con tutta sé stessa che la conversazione terminasse in quel momento, ma si sbagliava.
«Stavate insieme da tanto?»
«Due anni»
«E la storia è finita nel momento in cui ha deciso di trasferirsi?», continuò curioso.
"Che intuito" , pensò lei sarcastica per poi rispondere: «Sì, esattamente»
«Già. Il problema delle relazioni è proprio questo. È così difficile viaggiare sulla stessa lunghezza d'onda, vedere le cose dalla medesima prospettiva»
Jisoo sentì qualcosa dentro accartocciarsi, come risvegliata da quella considerazione: lei e Taehyung avevano smesso di capirsi, di comprendere le esigenze dell'uno e dell'altra, guardando in due direzioni opposte, probabilmente inconciliabili.
«È difficile, ma non impossibile. Probabilmente ci vuole qualcosa in più... forse più amore...o più coraggio», commentò lei mesta.
«Io non ho ancora trovato la persona che riesca a completarmi e arricchirmi.
Tutte prima o poi cercano di impormi la vita che desiderano loro, non quella che voglio io»
Jisoo si mise ad ascoltarlo attentamente: quel discorso così intimo suscitava in qualche modo la sua curiosità. Così appoggiò la testa alla parete della cabina, rivolgendo il viso verso il suo capo.
«Ho imparato a bastarmi e a sentirmi soddisfatto dei miei successi, nonostante non abbia nessuno con cui condividerli. Il lavoro è il mio mondo, ma nessuna donna sembra riuscire a capirlo fino in fondo»
«Il lavoro non può essere tutto però», fece Jisoo.
«No. Ma so che se rinunciassi ai miei obbiettivi non sarei io. Sarei una persona insoddisfatta, e questo impatterebbe anche sulla vita di coppia. Io voglio qualcuno che mi sostenga e mi capisca, qualcuno con i miei stessi obbiettivi.
Ma forse pretendo troppo...»
«Vorrebbe essere completo.
Ma lo si è mai veramente?
A me sembra sempre mancare un pezzo: o la carriera, o la vita privata», disse Jisoo senza remore.
«E a giudicare dagli orari che fa e da quanto tempo passa qua dentro, direi che sta rinunciando alla seconda, sbaglio?», chiese Haein, guardandola fisso negli occhi.
In quel momento la cabina diede uno strattone e tornò a muoversi verso il basso.
«Ci siamo! È ripartita!», esclamò Haein, alzandosi in piedi.
Jisoo venne assalita da un moto di sollievo e si alzò in piedi.
In pochi secondi la cabina raggiunse la sua destinazione finale, il piano terra con l'immensa hall, e il tempo sembrò scorrere nuovamente con il suo solito ritmo.
Si era sistemata di fronte alle porte, mentre Hein sostava alle sue spalle.
Pian piano si aprirono e Jisoo le varcò sentendosi di nuovo libera.
Lui fece lo stesso.
«Penso che sia il caso che prenda le scale stavolta.
Buona serata Dottoressa Kim», disse Haein, affondando le mani nelle tasche del completo.
«Mi chiami pure Jisoo»
Dopo quella conversazione così intima le pareva assurdo congedarsi dandosi ancora del "lei".
«Allora ciao Jisoo, a domani», la salutò puntandole gli occhi addosso.
«A domani, Haein», rispose lei, prima di incamminarsi con passo incerto verso la hall.
Si sentiva frastornata: quel disguido l'aveva in qualche modo turbata, dal momento che aveva dovuto mostrarsi fragile di fronte al suo capo.
Le parole della loro conversazione continuavano a rimbombarle nelle orecchie, costringendola a chiedersi se avesse parlato troppo di lei, varcando la normale distanza tra superiore e sottoposta.
Forse, dopotutto, accettare quel quadro come regalo sarebbe stato meno compromettente.
Scusate il ritardo❤️ se avete voglia fatemi sapere cosa pensate del capitolo🫶🏻
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