ᴊᴜꜱᴛ ʙᴏᴜɢʜᴛ ɪᴛ.
𝐒𝐄𝐑𝐈𝐄𝐒:
𝐈 𝐠𝐨𝐭 𝐢𝐭 𝐟𝐫𝐨𝐦 𝐦𝐲 𝐬𝐮𝐠𝐚𝐫 𝐝𝐚𝐝𝐝𝐲
🥀
ʙᴏɴ ᴀᴘᴘéᴛɪᴛ, ʙᴀʙʏ...
I riquadri azzurri, tipici delle attività di Instagram, ebbero un rimbalzo verticale da far invidia alle quote azionarie di Elon Musk; il profilo di Park Jimin sembrava impossessato da un assiduo imprenditore di Bitcoint. Quelle maledettissime strisce cerulee, che evidenziavano i minuti e le ore di collegamento al social alle quattro e quaranta cinque di mattina, continuavano a salire per colpa sua.
Erano passate esattamente cinque ore dall'uscita da donne indipendenti di Jun e Moon, eppure a Jimin sembrava un'eternità. A detta sua, spiegare quale fosse la differenza tra still e yet durante i pre-esami di inglese a Jeon Jungkook gli era sembrato più breve del previsto. E per fare in modo che il moro vestito da emo lo capisse ci mise un mese.
Nonostante la mastodontica e abissale differenza che vi era tra le due cose, a Jimin pesavano di più quelle misere cinque ore, che un mese di inglese.
Tornando alle onde quadrate di Instagram, Jimin non se la stava vivendo benissimo quella situazione, anzi, all'inizio credeva che l'aver accettato di rimanere a casa Min per tutta la notte con i suoi amici fosse stata una buona idea per distrarsi. Ma ciò che accadde dopo, con gli svolazzanti delle gonne luminescenti delle due ragazze sull'uscio della porta, fu un escalation di panico.
Yoongi si era addormentato sul divano — coperta a quadri sulla schiena compresa — sfiorate le due di notte. Credeva che restando lì, a fissare la porta del suo appartamento come un depravato mentale, servisse a far cambiare idea a Jun con la forza del pensiero tra fratelli. Ma il povero Yoongi, che ora sonnecchiava sul cuscino imbrattato di saliva e molliche di cibo, si rassegnò dopo il quinto rutto di Jungkook alle due di notte.
Gli unici a essere ancora animati e spensierati erano Taehyung e Jungkook; entrambi decisero di collegare la play e spaccarsi le retine giocando a GTA V dalle origini e Jimin, stufo di vedere le tette deformi delle puttane che Taehyung si caricava sul sedile della Annis Elegis per farsi cavalcare per cento dollari, staccò il cellulare dal power bank, sottile quanto un cracker, per guardarsi Instagram.
I gemiti registrati delle tipe nel videogioco non furono sufficienti a bloccare il moro dal premere quel fastidioso cerchio rosaceo intorno all'icona di MooLight (account di Moon).
L'aprì e ciò che vide non gli piacque per niente: una serie di tag sconosciti presenziavano sulle sue Instagram stories ricondivise; gente che riprendeva la sua dolce luna in mezzo alla calca mentre ballava schiena contro schiena con Jun.
Le luci stroboscopiche resero l'immagine poco chiara e per niente nitida, scorse a malapena la pelle candida di Moon solamente dal riflesso dello strato di sudore appicciato sopra. Passò alla seconda storia e la vide attacca a due drink diversi con un paio di cannucce trasparenti: il flash della fotocamera risaltava il trucco glitterato e leggermente sbavato per la cappa di calore, ma rimaneva ugualmente bellissima.
Fin troppo seducente grazie al rossetto sbaffato intorno alle cannucce, succhiava l'alcol in modo provocante mentre lo sguardo era puntato alla fotocamera e sorrideva maliziosa.
Lo stesso sguardo che usava quando scendeva sotto le lenzuola per fare una sorpresa al suo cazzo.
Chissà se in quel frangente, Moon, stava pensando a lui mentre folgorava l'obbiettivo con lo sguardo. L'unica al mondo che riusciva a renderlo un incapace e... Molle.
In pratica, quel video, sembrava l'inizio di un porno.
«Dannazione» si coprì gli occhi sibilando, nessuno dei suoi amici gli prestò attenzione e a Jimin neanche interessò.
Mandò giù un fastidioso groppo di saliva per la gola secca e provò ad allentarsi il colletto della maglia con un dito. Era infastidito e dannatamente eccitato
Scorse l'utente del tag e, estraneo alla sua memoria, provò a intercettare il profilo ma storse il naso quando lo vide privato. Dall'icona sembrava un ragazzo e l'umore del moro scese ancora più giù.
Tornò sul profilo di Moon e beccò la storia seguente: sembrava fin troppo allegra e poco attenta a dove ballare; vide le braccia della castana che mano a mano salivano in alto al picco della canzone. Senza volere alzò il volume e fu troppo forte per passare inosservato.
Imprecò, abbassò il suono dal fianco del telefono mentre Taehyung gli lanciò un'occhiata ammiccante dalla spalla. Al fianco, Jungkook, picchiava cittadini in 2D a caso dove nel frattempo, il riccio, scherniva Jimin come se sapesse già quale storia Instagram lui stesse guardando.
Lo mandò a fanculo col labiale e tornò a guardare il video, fermandosi nell'esatto momento in cui un altro tag utente, diverso dal precedente, riprese un ragazzo alto e una maglietta sudata addosso, vicino alle ragazze.
Lo vide avvicinarsi al collo di Moon per sussurrarle qualcosa all'orecchio, dopodiché lei annuì e sorrise maliziosa, con un flûte pieno di vino bianco fra le labbra. La storia finì e scorse le ultime due: il ragazzo ora era senza maglietta, nel petto vi erano segni di dita con della vernice fluorescente ovunque, dagli addominali definiti al basso ventre. Due frecce indicavano l'inizio dell'elastico dei boxer mentre una scritta, sotto l'ombelico, richiamò l'attenzione di un sacco di donne lussuriose.
"Buon appetito".
Arrivò la secchiata d'acqua gelida con l'ultima storia: una foto.
"Buon appetito", Moon, Jun e altre persone erano ammassate fra loro e le labbra, così come il corpo e le mani della mora, erano avvinghiate contro i muscoli del tizio mezzo nudo mentre ridevano. Con il braccio del nudista ancorato al suo fianco e le labbra di Moon sulla sua guancia, impegnata di più a mordere che a baciare.
Questo é un fottuto scherzo —
«Jungkook e che cazzo! É la quarta volta che sfasci la macchina per fartelo succhiare, ce la fai a fare retromarcia Cristo Santo e tirare sotto quella troia oppure hai bisogno di un disegnino?!» scaraventò il joystick sul tappeto e indicò la tizia, «Mettila sotto! O metterò sotto te con la mia auto»
No, decisamente, Taehyung in questo momento non gli serviva.
Avrebbe solamente alimentato la sua voglia di fare un bagno di sangue, irrompendo in quella discoteca del cazzo con la sua auto per girare il pneumatico sulla faccia di Buon appetito. Accantonò quella scena appetibile per innervosirsi come non mai con Moon.
Perché sapeva che era lei a farlo apposta, era lei a provocarlo ed era sempre lei a dirigere quel fottuto gioco. Come lo sapeva? La foto dell'ammasso di gruppo ne era la prova, messa da lei stessa dopo aver menzionato ogni presente e, con sfacciata sorpresa, il tag arrivò persino a lui.
Se ne accorse poco dopo; ignorò le maree di notifiche che aumentavano ogni giorno sull'icona del cuore e andò direttamente nei direct. Vide la chat di Moon illuminata e capì che, in segreto, l'aveva taggato per richiamare la sua attenzione e ci era riuscita. Dopo la foto vi era un nuovo messaggio da parte di lei.
MoonLight:
*Ti ha menzionato nella storia*
*Foto inviata*
"Le mutandine sono al loro posto, fai sogni tranquilli e mangia qualcosina."
"Buon appetito, daddy :)"
Un calore intenso risalì dal ventre fino al cervello, chiuse gli occhi e respirò lentamente, cercò di convincere il suo cervello a non fare pazzie: si ripeté fra sé di non aver appena visto l'ultima foto di Moon con gli slip in pizzo trasparente addosso e la gonna semi alzata da un lato per fare lo scatto. Erano state tirate su, fin sopra i fianchi, apposta per scoprire un accenno della sua intimità e giusto i lati lisci del monte di Venere, coperti dal vedo non vedo del tessuto.
Così spregiudicata da infischiarsene totalmente del pudore o della sicurezza riguardante la sua privacy, perché Moon sapeva che Jimin era talmente possessivo e geloso del suo corpo che mai e poi mai avrebbe fatto l'idiota.
Non salvò quella foto: se l'avesse fatto sarebbe dovuto andare a bagno e segarsi come un animale.
Perciò cercò di dimenticarsi di come fosse andata vestita in quel club, di come si era strusciata sul suo cazzo con lo scopo di punirlo, del ricatto per farsi perdonare, di "Buon appetito" nudo e appiccicato al suo collo immacolato, impreziosito dai brillanti del top scollato.
Cercò di togliersi dalla testa le sue labbra strette alle cannucce dei drink e di non fare la cazzata di andare a guardare ogni foto del profilo della piccola ragazza in rosa, maledicendosi venti minuti dopo per averlo fatto davvero.
Era fuori di senno, sconnesso e pendolante dalle labbra rosee pubblicate su Instagram alle veci dell'alba, bramava con gli occhi il suo corpo coperto da succinti abiti indossati durante le vacanze estive e ai tempi del liceo; erano scollati, particolari e colorati. Sul suo corpo divenivano tessuti aggraziati e perle dell'oceano, non stracci volgari.
Il suo collo collassò all'indietro, trovando il divano alla sua fine — avendo appena l'ambito con gli occhi l'ultimo post della ragazza —, dopodiché guardò quel che restava dei suoi amici spiaggiati sulla penisola del divano; Jungkook aveva abbandonato la nave, si era addormentato con la bocca schiusa e il mento all'insù e al suo fianco, Taehyung, faceva selfie imbarazzanti con le narici del più piccolo.
Da quanto... Quanto tempo hanno smesso di giocare questi due?, pensò Jimin, scoccando un'occhiata al povero televisore in stand by.
Poi un rumore arrivò chiaro alle sue orecchie dopo un beep di accesso riuscito e risatine irritanti dal perimetro dello zerbino. Sentì un tonfo e brontolii doloranti, seguito da uno Shh soffiato da dalle labbra fin troppo familiari.
Ancora un altro bicchiere e Jun avrebbe raggiunto la camera da letto strisciando, mentre dietro di lei, Moon reggeva a malapena gli stivali sulle mani per non far rumore e, nonostante non avesse più i trampoli sotto i piedi, continuava a dondolare alticcia. Peggio di un funambolo con gravi malattie degenerative.
Le due, pregne di fumo, alcol sui vestiti e macchie fluorescenti sulle tette, ridacchiarono imbarazzate alla vista dei ragazzi addormentati sul divano. Ma si resero conto poi che erano esenti dal sonno solamente due persone su quattro: Jimin e Taehyung; il primo scoccò un'occhiata di fuoco a Moon mentre il secondo fece l'occhiolino alla bionda, alla vista di un broncio brillo e imbarazzato.
Per limitare i danni e senza svegliare nonna Min appisolata sul divano, rimasero tutti quanti zitti, senza indugiare troppo sullo stato fin troppo caotico e disastroso delle giovani. Gli sguardi bastarono a canzonarle per bene, specialmente le occhiate acidule di Jimin.
Fecero un piccolo inchino con il capo e fuggirono entrambe, inciampando e ridendo, in paranoia che il maggiore dei Min potesse svegliarsi.
Taehyung ridacchiò, scuotendo la testa: «Matte. Quelle due sono matte» disse. Jimin tacque, riaprì la chat di Instagram con Moon e scrisse l'ultimo messaggio prima di dare una paccata d'addio al suo compagno. «É tornata, me ne torno a casa»
«Te l'ha fatta proprio pagare» mormorò il riccio, stendendosi al posto del CEO per stirarsi stanco. Jimin strinse gli occhi, si toccò i pantaloni per assicurarsi di avere tutto con sé — portafoglio e chiavi —, non sapendo se replicare o meno dopo che Taehyung pronunciò quella frase.
Erano le cinque e mezza del mattino, lei era tornata a casa — da lui, e questo gli bastava. Perciò si alzò per afferrare le scarpe vicino alla porta ed era meno angosciato e preoccupato di prima, vedendola tornare sana e salva. Guardò la porta della camera di Jun e, prima di andarsene, sospirò stanco.
Il portone si chiuse e il giorno arrivò.
Arrivata la sua luna, anche il languirono si fece vivo.
ParkJimin:
"Preparati per l'appuntamento, so già cosa mangiarmi per primo e sarai tu, ragazzina."
ᴄᴇᴏ, ᴍɪɢʜᴛ ᴛᴀᴋᴇ ᴍᴇ ᴏɴ ᴛʀɪᴘꜱ.
Con l'arrivo del ciclo, Moon si fece carico di ogni sofferenza afflitta dalla natura, cullandosi fra buste di schifezze, occhiali da vista che usava solamente in casa per studiare e l'università.
Erano state due settimane d'inferno e sembrava che Park Jimin, dall'alto del suo trentesimo piano d'ufficio (o quel che era), si fosse divertito a fargliela pagare con il karma, lanciandole contro ogni tipo di sfiga. Dall'acne ormonale sul mento, ai professori malati e incapaci di lavorare in smart working perdendo del tempo prezioso con carenze tecnologiche, passando poi a un brutto raffreddore dopo aver preso freddo in discoteca e, concludendo in bellezza, all'ansia per un ciclo che non arrivava.
L'unica cosa che era sempre stata precisa e sicura nella vita era il suo flusso sanguigno, tolto quello qualsiasi altro elemento poteva considerarsi fuori asse. O al limite della normalità.
Ma quando si svegliò un lunedì mattina con fin troppa calma e pazienza, mentre la home del cellulare segnava l'arrivo della "tempesta" di sangue e crampi, si ritrovò a imitare Isabella Swan nel bagno di casa sua fissando un pacchettino di assorbenti riposti nel beauty case, mentre il dentifricio le colava dalla bocca.
Okay, é mattina, arrivavano sempre alla mattina, niente panico, significa che il ciclo mi arriverà dopo pranzo — disse con fin troppo ottimismo.
Ma ciò non accadde: arrivarono le nove di sera e l'unica cosa che si era fatta viva in quel lasso di tempo fu una crisi nervosa. Riguardò nell'app e quel fottuto giorno segnato in rosso continuava a metterle agitazione e il sistema era così fiscale che mandò un messaggino il giorno dopo, ricordandole: "Non dimenticarti di segnare l'arrivo delle mestruazioni. Stai provando a cercare un figlio?"
Fu abbastanza inutile dichiarare che ogni libro e quaderno presente davanti a lei, dopo quel messaggio, finì scaraventato a terra in meno di un secondo, seguiti da una quarantina di insulti inviati a Jimin su Kakao Talk. Quando questi arrivarono il quasi CEO stava prendendo parte a una riunione con i vari capi reparto dell'azienda e una ventina di persone, in attesa di un parere di ribattuta sul commercio online, lo trovarono immobile in fondo alla stanza con il cellulare in mano.
La bocca si schiuse davanti alla lettura "Che sia dannato tu e il tuo pisello", susseguito da: "Fanculo! Fanculo! Fanculo! E fanculo cazzo! Se sarà maschio gli insegnerò ad asciugarsi il cazzo visto che del padre non si può fare affidamento. E gli farò comprare dei preservativi della sua taglia senza fare il megalomane del cazzo, perché anche se hai la Seoul Tower in mezzo alle gambe bisogna rimanere umili, senza aspirare alla Burj Khalifa per fare il figo con le donne. Coglione!"
Per fortuna di entrambi e dell'entourage lavorativa di Jimin — l'unica ad aver assistito allo shock inspiegato nel bel mezzo della riunione — il ciclo arrivò con una settimana di ritardo. Moon si era comprata almeno quattro test di gravidanza arrivata al quinto giorno di ritardo, tenendo all'oscuro amici e famiglia per il suo bene psicofisico.
Tutti quanti furono negativi, ma risalì all'ultima volta che aveva fatto sesso prima di allora e il calcolo di una possibile gravidanza era comunque possibile, per questo non riuscì a starsene totalmente tranquilla fino alla fine della settimana. Sino al lunedì dopo.
Alle otto in punto di mattina il ciclo fece la sua comparsa, scrisse un messaggio a Jimin — colui che aveva ignorato per tutti quei giorni nonostante le sue mille chiamate suscitate dal messaggio sulla Seoul Tower — e gli spiegò finalmente il motivo della sua assenza. Jimin la chiamò subito dopo alterato, dicendole che era stata un'irresponsabile a non averlo avvisato immediatamente della situazione.
Ma il nervoso durò qualche minuto dopo che sentì la voce della giovane farsi più calma e meno stressata. Percepì all'inizio, addirittura, un accenno di rottura vocale quando parlava, come se fosse incline al pianto. Ovviamente non pianse, o meglio non davanti a lui, e Jimin cercò di rincuorala nonostante la distanza, la stessa che ancora vigeva dopo la serata del club.
Moon era stata fin troppo chiara con la sua punizione; stava durando da una settimana e mezzo, anche per colpa del ritardo mestruale. I suoi non erano dei capricci stilati a caso, Moon voleva vederci chiaro con Jimin, dandogli mentalmente un'ultima chance per svegliarsi e farsi avanti seriamente.
Quest'ultimo finì per passare intere giornate a lavoro e in palestra per non pensare a Moon e al modo in cui iniziava drammaticamente a mancarle, fallendo in lunghissimi letarghi solitari sotto le coperte del proprio letto, girandosi fra le mani uno dei tanti ferma capelli rosa della ragazzina lasciati nella sua auto.
Si era insinuata nella sua testa e forse fin dentro il cuore.
Doveva prendere una posizione o almeno incominciare, perciò mandò all'aria la punizione di Moon quando finì per passare l'ennesimo buco libero dal lavoro da solo, costatando quanto Moon fosse diventata importante e presente in poco tempo.
Vivere la solitudine come stava facendo ora, dopo aver conosciuto quella ragazzina in rosa, era soffocante e Jimin, figlio del lusso e di un padre tanto importante quanto assente, non era più abituato a ciò.
La solitudine era un'amica di vecchia data con la quale passeggiare bagnati sotto la pioggia di un grigio inverno, ecco che cos'era per Jimin, l'unica a essere stata presente nella sua vita. Ma camminando fra i bagliori grigi delle sue scarpe per ventotto anni, sui vestiti che indossava e il cielo altrettanto plumbeo, riuscì ugualmente a scorgere, nel riflesso di una pozza, del sottile rosa.
Gocce tenue, ma ugualmente vive, che mano a mano si depositavano sopra la sua giacca macchiandolo, piangendo dall'alto fino a cadere sul petto.
E da una goccia, quel sottile rosa, era sbocciato in un enorme fuoco d'artificio, caldo e ricolmo di fuoco.
Si alzò svestito dal letto e si fece una lunga doccia per svegliarsi: ormai aveva deciso e si sarebbe fatto carico di ogni azione, negativa e positiva, che avrebbe scaturito il suo gesto per farsi perdonare da Moon. Intrappolò le labbra fra i denti consapevole che stava facendo il passo più lungo della gamba ma, d'altronde, era stanco di aspettare il suo permesso.
Perciò, dopo una settimana di studio, ciclo e seghe mentali, davanti al campus universitario di Seoul un rombo grave e imponente lacerò in due un intero lenzuolo di stanchezza giovanile, perpetuato sulle
facce dei presenti nel cortile d'entrata.
Fu impossibile non guardare verso quella parte, alla ricerca del fulcro di quel rombo: tutti quanti sbarrarono gli occhi quando videro un bolide a quattro ruote parcheggiare, come se niente fosse, vicino al marciapiede a un passo dalla fermata dell'autobus.
Con l'iPad posato sopra le cosce, intenta a riordinare gli appunti di quella mattinata, Moon si grattò distrattamente la tempia con la penna digitale mentre la schiena, rigorosamente dritta dopo anni di danza classica, si era incurvata leggermente verso il basso per ripassare.
Distratta, assorta e con i capelli raccolti sul capo come le modelle delle locandine immobiliari, non prestò minimamente attenzione a quello che stava accadendo intorno a sé.
Quella mattina aveva spiccicato appena qualche parola con Minhee e gli altri ragazzi del suo corso, ignorando volutamente Lee per non peggiorarsi ulteriormente la giornata: Jun aveva la febbre, era sola, Jimin le mancava e tutto faceva schifo.
Corrucciò le sopracciglia dopo un virtuoso fracasso di ultima generazione; alzò anch'ella lo sguardo verso l'origine e non riuscì a tenere chiusa la bocca dinanzi a una folgore violacea metallizzata. L'effetto richiamava vari toni del nero e del viola puro, entrambi estesi su tutta la superficie meccanica che rivestiva un'automobile da circa trecentocinquantamila dollari americani.
Si chiese chi fosse quel fenomeno che aveva appena parcheggiato una Lamborghini Aventador personalizzata sulla banchina dell'autobus, bassa e sportiva quanto un gatto randagio e con le casse a tutto volume, ma ritirò immediatamente quella domanda non appena il cellulare vibrò per una notifica di Kakao Talk.
Jimin:
"Non vorrai farmi prendere una multa facendomi aspettare qui per un'eternità."
Il cellulare per poco non cascò sui gradoni sui quali si era appoggiata per godersi la sua pausa pranzo. Guardò i finestrini completamente scuri dell'automobile e forse, per il riflesso o per immaginazione, le apparse di scorgere ugualmente un ghigno travestito da sagoma misteriosa.
Impossibile.
Jimin:
"Cosa aspetti a salire? Ti porto a fare un vero giro ragazzina"
Park Jimin era un idiota. L'idiota più grande al mondo, ma sapeva come sorprenderti alla perfezione; era un emerito deficiente che, a quanto pare, quel giorno aveva deciso di sbattersene di qualsiasi tipo di giornalista a caccia di scandali, stessa cosa per gli amici di Moon e Jun, se fossero stati nei paraggi.
Doveva seriamente alzarsi e salire su quella macchina, davanti ai suoi compagni, in tutta tranquillità e con una macchia di salsa di soia sul maglione?
Pensò in breve, perché il clacson del bolide prese vita dal volante e fece schizzare in alto anche i piccioni appollaiati sulle fontane guarnite di ninfee.
Moon soppresse un urlo e si apprestò a muoversi in tutta velocità verso la saetta violacea: gli studenti, con assurda teatralità da dramma giapponesi, aprirono un varco spaiato per vedere chi fosse il fortunato e quando videro Koo Moon, una delle più belle ragazze dell'intera università vestita in modo normale e intenta a nascondersi il viso con la borsa, per poco non cascarono a terra.
Lee rimase a guardare l'intera scena da una delle colonne del plesso, occupata a spaccarsi i denti al fianco di Minhee con la bocca piena di kimchi preso alla mensa. Ficcò la lingua contro la parete interna della guancia ingoiando e osservando, quasi controvoglia, il culo perfettamente fasciato di Moon entrare dentro la Lamborghini, domandandosi come cazzo fosse possibile una cosa del genere.
Arrivò a pensare che Moon avesse una relazione con uno di quei ricconi cinquantenni — uno sugar daddy — per permettersi un passaggio del genere, perché nella loro cerchia di amici in comune nessuno aveva un reddito tale da permettersi ancora una macchina, figuriamoci una Lamborghini Aventador con un design limited edition.
Una fottuta Lamborghini viola metallizzata.
Moon ebbe quasi paura quando arrivò il momento in cui dovette allungare un braccio per aprire lo sportello gigante dell'auto, sospirò sconsolata e afferrò la maniglia con i fischi sgraziati alle sue spalle: indirizzati sia alla carrozzeria del veicolo e alla sua — di carrozzeria.
Fischi e flash di video non passarono inosservati al futuro CEO, impalato sul sedile con gli occhi assottigliati come lame e premuti sul vetro a larga scala del parabrezza; l'attenzione che voleva attirare su di sé era quella di Moon, quel branco di ragazzini vergini che puzzavano ancora di liceo dovevano tenersi alla larga o avrebbe aperto lo scarico dell'auto sulla loro faccia.
Aspettò pazientemente che la ragazza si sedesse comoda sul sedile basso e con la cintura allacciata sul petto per attivare la modalità sportiva, calandosi un paio di occhiali da sole sugli occhi per liquidare le domande cinguettate degli studenti sull'auto e sgommare in prima, con uno stacco minimo di settanta chilometri orari, in mezzo le arterie di Seoul.
«Fanno sempre così?» se ne uscì nervoso, senza degnare la nuova ospite con un semplice ciao o staccare lo sguardo dalla strada.
Moon scorse la mandibola del moro farsi più sottile e tirata sulla pelle e finì col mordersi le labbra, imprecando fra sé, trovandolo sexy.
«Come?»
«Ho detto: fanno sempre così?» ripeté scrocchiandosi il collo, «I coglioni che fischiavano» Moon incrociò le braccia sul seno e ghignò sottecchi: erano giorni che non cadeva nella malizia, occupata tra studio e solitudine. Fece finta di pensarci per fargli corrodere ancora un po' lo stomaco.
«Ahhh! Stai parlando dei ragazzi... Giusto qualche volta» Jimin storse il naso: «Sembra che la cosa non ti dispiaccia» la castana lo fulminò con gli occhi.
«Sei grande abbastanza per razionalizzare una situazione senza farti soggiogare dalla gelosia, futuro CEO. Sappiamo che il mondo é bello perché é vario, quindi il discorso non varrà per tutti, ma ti assicuro che quando schiamazzi del genere vengono fatti senza essere stati assolutamente richiesti, né voluti, non gratificano nessuno. Anzi, creano profonda umiliazione perché non sono un pezzo di carne di prima scelta. Non lo sono per nessuno» si sporse verso di lui, a qualche centimetro di distanza dal suo orecchio, «Neanche per te»
Sopra le labbra di Jimin si creò un mezzo sorriso e fu contento di sentire lei e la sua voce, più inviperita che mai. Allungò una mano sopra la coscia posta vicino al suo corpo e accarezzò delicatamente il tessuto del denim strappato sulle ginocchia.
Moon studiò sia lui e la mano con estrema attenzione: tutto quel dinamismo fin troppo futuristico per il suo orientamento l'aveva destabilizzata.
Sembrava docile e Moon non lo era per niente, benché meno amava sembrarlo.
Si rese conto solo al semaforo — nell'incrocio della sua vecchia università — che aveva il culo appoggiato sopra una Lamborghini.
«Sei incredibile» decretò guardando ogni angolo dell'interno con sarcasmo, perdendosi nella lettura del marchio automobilistico ricamato in carbonio sul cruscotto del passeggero, «E questa da dove esce?»
L'uomo appoggiò il gomito sul finestrino, grattandosi le labbra con il dorso orizzontale dell'indice, un tick usuale per mascherare il suo divertimento. «Dal mio garage»
Moon sorrise: «Pensavo che nel garage del Pentagono ci fosse posto solamente per la tua bambina» esordì riferendosi alla Telsa Model.
Jimin fece spallucce e al verde acido del semaforo approfittò della strada principale a sei corsie per fare una partenza con gravi ripercussioni di inquinamento acustico.
Moon sobbalzò sul sedile e vide la lancetta del contatore segnare immediatamente i centotrenta con fin troppa facilità, salva nella sua ignoranza nel sapere, in realtà, a quanto quella bestia meccanica potesse arrivare. Ma Jimin non era così spudorato — neanche uno sconsiderato — perciò si lasciò andare con assoluta descrizione e per lui fu uno sforzo immane non sfiorare i duecento.
«A casa ho la bambina, mentre la regina ha un secondo garage privato tutto suo e neanche Taehyung sa dove si trova e mai lo dovrà sapere. Dice che un giorno scoprirà il posto e mi ruberà le chiavi per guidarla» espirò al ricordo di quando gliela mostrò la prima volta.
«Mio Dio speriamo di no, sennò mezza Seoul cadrà appezzi» apostrofò Moon con i brividi sulle braccia, «E se sapesse che la stai usando ora? Ti verrebbe a cercare»
Jimin si fece scappare una risata. «Uso questa macchina solamente per le occasioni speciali, o quando devo sfogarmi e surclasso rettilinei infiniti. Taehyung é fin troppo egocentrico per dedicare del tempo a qualcun altro che non sia il suo cane o la sua faccia, perciò tranquilla. Il Sole continuerà a sorgere e la notte a calare almeno per il momento»
«Mmh» mormorò Moon, «Hai per caso detto: occasioni speciali?» lo guardò furba, «É un complimento implicito?»
Le labbra carnose di Jimin finirono stritolate dalle corone di denti per smorzare la sua evidente frustrazione sessuale, celata per un quarto dagli occhiali da Sole. «Può darsi. A volte, essere impliciti, rende più trasparenti dell'esplicitare e fa si che le cose siano meno prevedibili»
«Come questa sorpresa? Imprevedibile, quanto una Lamborghini piazzata davanti alla mia Università, oppure la tua presenza dopo settimane?»
«Volevo rompere le regole e ho pensato che se tu non avessi fatto il primo passo verso di me l'avrei fatto io. Ma a modo mio»
«Oh beh, l'ho notato»
«E io ho notato che la sorpresa non ti é dispiaciuta così tanto»
Moon si pizzicò il collo scoperto con l'indice e finì per contemplare — o chissà, studiare — Jimin da sotto i ciuffi di capelli scivolati dalla crocchia poco stabile.
Un look insolito per lei, adottato solamente per quella mattina, con il solo pensiero che nessuno avrebbe prestato troppa attenzione ai suoi silenzi. Ovviamente nell'unico giorno della sua vita in cui decideva di uscire struccata e in jeans non poteva che capitargli un figo di livello master in Lamborghini ad aspettarla nella pausa pranzo.
Certo.
«Non me l'aspettavo, tutto qui» disse, tornando alla realtà e scossa dai cavalli della macchina.
«Ti dovevo un appuntamento, ricordi?» le sussurrò ridacchiando. «Come potrei scordarmi del tuo bidone per un torneo fallato» gracchiò inflessibile e Jimin scosse la testa imbarazzato, cosciente che avesse ragione.
«Ecco perché sono qui: per cercare di eliminare dai tuoi ricordi ogni mio errore»
La castana provò a sopprimere un sorriso e si allungò verso il moro per sfiorargli l'orecchio con le labbra. «Pensi di farcela?» soffiò sopra la pelle ambrata dell'uomo ed egli, costretto dalla prudenza alla guida, si limitò a singhiozzare silenziosamente col pomo d'Adamo. Guardò i cartelli stradali e prese l'uscita per Cheongdam-don a Gangnam, dove le strade sembravano ricoperte dalla luce del Sole riflesse dalle insegne dorate delle boutique di alta moda.
«Di solito riesco in tutto quello che faccio, Moon» la Lamborghini iniziò a decelerare in mezzo all'eccesso di Seoul. «Ah sì? Tutto tutto?» restò al gioco lei.
Il braccio dell'uomo fece un'ultima rotazione liscia e priva di rumore, il rombo dello scarico in carbonio copriva anche lo sterzo esercitato sull'asfalto e fece sì che Jimin si drizzasse in maniera perfetta in uno dei parcheggi privati davanti a Dior.
Spense il rumore e finalmente poté contemplare la ragazzina che lo aveva fatto impazzire per quasi due settimane, con dell'indifferenza e il ciclo in ritardo.
«In tutto» bisbigliò, si tolse la cintura, gli occhiali e si tirò i capelli sulla fronte. «Non mi merito neanche un bacio?»
«Meritatelo» rispose, «Dovresti riuscirci facilmente visto che sei bravo in tutto, no?» lo provocò.
Jimin smise di stringersi i capelli fra le mani bloccandosi immediatamente; ruotò appena il capo verso il basso e assottigliò paurosamente gli occhi come quelli di un leopardo affamato. Allungò una mano mellifluamente per corteggiare quella di Moon, nascosta ancora sulle cosce. La raggiunse sotto l'occhio vigile della castana e la strinse, fece incastrare le dita e si portò il dorso della piccola mano diafana sulle labbra.
Uno, due, tre... Moon perse il conto dei baci che vennero depositati su di essa e fra gli schiocchi timidi e teneri della labbra succose del moro, si mischiarono anche dei piccoli gemiti di risa e solletico scappati da lei.
Jimin ridacchiò altrettanto sulla sua mano e il gelo avvolto intorno al cuore di Moon si sciolse immediatamente, i capelli del moro sfiorarono appena la sua pelle e lei si avvicinò al suo petto, scavalcando col busto lo scheletro centrale dell'auto, per aggrapparsi con le braccia dietro al collo.
Jimin l'afferrò subito per la vita e i baci iniziarono a viaggiare dall'inizio del polso esile fino al collo di Moon. Al contatto delle labbra contro la sua mandibola, Moon chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal suo calore e dal profumo intenso che trasudava dall'incavo delle clavicole, scoperte dal bordino di una camicia nera sbottonata.
La strinse a sé più forte e, senza farle male, tornò a guardarla dall'alto, perdendosi oltre le ciglia nere e pulite prive di mascara. La pelle liscia e perfetta e le labbra già rosee di suo. Era dannatamente bella anche senza un filo di trucco.
Si chinò lentamente verso colei che attendeva in attesa le sue labbra a occhi chiusi, le appoggiò sopra e respirò, finalmente, come se fosse la prima volta volta in vita sua.
Come il primo respiro di un neonato messo al mondo, era bruciante e l'ossigeno inondava i polmoni fino a farli scoppiare. Lasciò la vita della ragazza solamente per portare le mani sotto al mento, ai lati del viso, per schiuderle i petali color sangue e sprofondarvici con la lingua in un lungo e passionale bacio. Bacio che divenne multiplo e multiforme, accompagnato dal desiderio e della perdizione del peccato, coscienti di volersi nell'ombra e nell'oscurità, alle spalle della famiglia e dall'affetto degli amici.
Moon si sentì davvero a casa in quel momento, pensò addirittura che in quelle settimane fosse stata reclusa in una caverna o in un altro posto qualsiasi. Percepì la sicurezza e il candore che le avvolgeva il corpo come una soffice coperta di flanella, alle veci di un focolare schioppettate. E il camino divampò sommerso dalle fiamme quando i vetri divennero presto appannati, con le mani di entrambi prostrate a toccarsi e a solleticarsi in mezzo ai corpi.
Le lingue si mescolarono al fronte dei fiati caldi e mozzati ed ebbero tregua solamente al cedevole morso di Moon sul labbro inferiore del moro, invogliandolo a continuare, con i pozzi neri incastrati al posto degli occhi, oltre la deriva dell'inferno.
Jimin si limitò, con dispiacere, a sondarle il collo con morsi e punte di lingua, staccandosi dopo qualche bacio a stampo per fermarsi.
«Sì», Moon strofinò la guancia contro il suo petto, coccolata dalla mano di Jimin che spariva tra i suoi capelli ormai sciolti, «Sei veramente bravo in tutto, anche se sei un vecchiaccio» gorgogliò come un gattino. Un miagolio che gettò Jimin dritto nei meandri dell'inferno.
«Ho i miei segreti» sussurrò reclinando all'indietro il capo per riprendere aria con una dolorosa erezione in mezzo alle gambe, ululante solamente di sporche attenzioni. Moon gli lanciò un'occhiata dal basso e scosse la testa divertita: «Anche il motivo per il quale mi hai portata a Cheongdam deve rimanere un segreto?»
«"Niente castelli o portate di caviale servite da chef stellati, niente di tutto ciò. Una giornata senza nessuno fra i piedi, da soli e insieme. Ci stai?"» Jimin scimmiottò inquietantemente la stessa frase che pronunciò nel bagno di casa Min per incastrarlo a dovere. Moon spalancò gli occhi e le guance si gonfiarono per la voglia di ridere, «Santo Cielo, te lo sei imparato a memoria?»
In riposata, il futuro CEO, distolse lo sguardo per non dargliela vinta — però ci aveva preso in pieno.
«Vuoi uscire con me, sì o no?»
«Jimin...» lo guardò per capire se facesse sul serio, «Sbaglio o l'ultima volta che ci siamo visti avevo esplicitamente richiesto che fossi io a farmi viva perché, appunto, dovevo in qualche modo punirti?»
«Si...?» le rispose per farla arrivare al dunque.
«Bene. Non solo sbaragli una folla di universitari con una Lamborghini ma mi porti a Cheongdam — cazzo! Cheongdam! Vedi un vip per strada con la stessa frequenza dei cani che pisciano per marcare il territorio nei pali a Yeouido Park!» sbottò nel panico.
Eliminò, anzi trucidò in un nano secondo e senza pietà, ogni possibilità di fare sesso su una quattro ruote dai vetri oscurati in quel momento, tant'è che Jimin non ebbe più problemi di alza bandiera sotto la stoffa. Le facce di Jungkook ubriaco non servirono più ad aiutarlo, perché ci pensò il temperamento di Moon, reduce da bipolarismo post ciclo.
L'uomo arrivò a massaggiarsi le tempie con le dita della mano destra, con la speranza che i decibel della ragazza in rosa calassero nell'immediato. Ma ciò non accadde.
«Moon, dov'é il problema se ho trasgredito quella fottuta regola sulla tua supremazia!? Il femminismo non perirà di certo perché un uomo ha deciso di organizzare un appuntamento a sorpresa per primo!» domandò con il cervello in tilt.
«Fanculo il femminismo! Non è quello il problema!» ribatté con le labbra ancora gonfie dai baci, premute in una linea fin troppo orizzontale e agghiacciante.
L'uomo allungò una mano sul volante fermo e ruotò l'osso del collo verso di lei, tendendo muscoli, tendini e mascella in un quadro illegalmente porno.
«Non riesco a capirti, Moon» decretò, senza mascherare la sua palese confusione.
Alla vista di quegli occhi ardenti come il carbone, Moon tacque e cercò con tutta se stessa di rigettare il suo orgoglio negli abissi.
«Volevo che il nostro primo appuntamento fosse deciso da me perché almeno avrei avuto il tempo di prepararmi. Cioè guardarmi...» si indicò il viso e il vestiario, «Sono in jeans e indosso un maglione di mio fratello, questa qui che vedi sulla manica é una macchia di soia» continuò, «Dormo male da tre giorni e sono completamente struccata. Se devo scopare voglio farlo da figa, sembro vestita col pigiama»
Fu difficile per Jimin prendere sul serio quelle parole o la faccia rabbuiata di Moon, ricoperto da un enorme broncio circondanti dalla lana del maglione di due taglie più grande. Largo abbastanza da caderle sulle clavicole perfette in uno scollo a barca, dandole un'aria fin troppo fine per quel mondo che girava al contrario.
Neanche si rendeva conto di come quei jeans, da lei tanto disprezzati, aderivano sui fianchi in una seconda pelle e stretti fino alla caviglie in modo da snellirle gli arti.
Il leggero pallore sul viso spiccava fra le linee giunoniche dei grattacieli, accogliendo i rimasugli di Sole per rapirli con gli occhi e tenerli tutti per sé.
Moon non si rendeva conto di ciò che era anche senza la sua armatura.
«Ti fidi di me?» domandò Jimin rompendo il silenzio e Moon, stupita e meno ansiosa di prima, esitò appena. Certo, voglio fidarmi — strinse un pugno sulla coscia tutelandosi.
La vide tentennare, perciò allungò una mano lungo il suo viso e col pollice strofinò con grazia la guancia pallida. «Ti ho appena detto che sono bravo in tutto quello che faccio, perciò abbi fiducia in me»
Moon deglutì, «Cosa... Cosa vuoi che faccia?»
«Voglio che smetti di pensare a queste stronzate Moon perché sei bellissima. Talmente bella che avrei voluto portarti direttamente a casa mia per farti vedere come i tuoi vestiti ti rendano meno eccitante di sempre» esordì ironico, «Ma come ti scrissi due settimane fa... Ho fame, molta fame e sono solito a gustarmi i pasti con estrema calma. Non voglio che pensi che sia un coglione qualunque dal grilletto facile, che ti porta a cena e ti scopa nel divano di casa sua senza gusto. No, per te ho altre cose in mente per questa giornata» staccò la mano per strofinare il pollice sul labbro inferiore, sogghignando, «Ora scendi dall'auto ragazzina e fammi fare il mio lavoro»
Permettimi di fare il degno Sugar Daddy.
ᴛᴀᴋᴇ ᴀ ʟᴏᴏᴋ ᴀᴛ ᴍʏ ɢɪʀʟꜰʀɪᴇɴᴅ
ꜱʜᴇ'ꜱ ᴛʜᴇ ᴏɴʟʏ ᴏɴᴇ ɪ ɢᴏᴛ
Superati i complessi di Moon e il viale dell'atelier di Christian Dior, Jimin scese dalla sua auto con un parcheggiatore riposto nell'intervallo di due plessi colossali, creati per la famosissima concorrenza miliardaria tra Prada, Gucci, Dior e Burberry.
Louis Vuitton preferiva giocarsela a qualche isolato più a Ovest con Cartier, scelta più sofisticata e meno popolana per aver meno traffico di turisti mediocri che sceglievano le insegne dei brand concorrenti per fare foto e sbaragliare con soddisfazione la povertà media su Facebook. Come se fosse normale — a detta di Moon — fare inflazioni sulle ciabattine di spugna e pelose di Chanel per mezzo migliaio di dollari.
Ma a persone come Park Jimin, che sguazzavano nei soldi e senza mostrarlo con così tanto vanto — escludendo la Lamborghini e le sue macchine — poco importava. Non era colpa sua: era un bambino nato nell'oro e nell'indifferenza patriarcale, si era goduto i suoi anni da figlio di papà fino a diventare un colosso sforna soldi e pagandosi, in questo modo tutto, tutto ciò che era in suo possesso per tagliare definitivamente i ponti economici con suo padre.
Fino a camminare come un modello per tutta Cheongdam mano nella mano con Koo Moon.
Appena lo vide scendere dall'auto ebbe la possibilità di vederlo vestito da cima a fondo: aveva un quasi total black da giorno estremamente elegante, i primi bottoni aperti della camicia e le spalle fasciate dalla giacca lenta, mossa appena sotto il venticello di Seoul.
Movimenti impercettibili che vennero colti immediatamente da Moon dopo che i capelli tirati su, a scoprigli la fronte, tendevano a ricadergli in avanti per il vento laterale sopra la montatura degli occhiali. Fu una scena troppo forte e destabilizzante per permettere al cervello di Moon di concentrarsi sui suoi complessi o dal fatto che tutti stavano guardando il suo uomo come un pezzo di manzo incatenato ed esposto in macelleria.
Se ne rese conto quando vide una donna di mezza età che rischiò di far scappare quel topo ragno del suo cane, legato al guinzaglio, dopo aver sbattuto il grugno rifatto su un palo della luce. Sfortunatamente per la ragazzina in rosa, il naso limato come il corno di un rinoceronte della donna non prese la tipica forma a spirale di una capra falconiera, bensì, la cinquantenne, ricevette dal moro un sorriso imbarazzato e un'occhiata confusa sotto gli occhiali a specchio.
Certo, sorridile pure così sbanda con la macchina e deraglia sul fiume come un treno.
L'educazione fece guadagnare all'uomo un potentissimo gomito sulle costole e un paio di imprecazioni da parte di Moon, ma non ne uscì dolorante, solamente divertito. L'avvicinò a sé con un abbraccio e le circondò la vita, mentre col capo si mosse a destra e sinistra per sussurrarle all'orecchio quanto fosse stupida.
E tanto tenera quando era gelosa.
L'occhiataccia che rischiò di scapparle dagli occhi era così potenzialmente letale che persino i due uomini della sicurezza — alti almeno un metro e ottantacinque e larghi come due roulotte — avrebbero potuto rimanerci secchi.
Ma ciò non accadde; non ebbe il tempo di corrucciare le sopracciglia e scagliare su di lui la sua ira perché Jimin si fermò davanti a una vetrina bianca e oro, con del rosa antico imbiancato sopra la facciata del negozio a tre piani, per scambiarsi un paio di saluti con i due uomini della sicurezza.
I due lo riconobbero immediatamente e si chinarono rispettosamente dinanzi ai due, divennero docili come dei gattini. Ma Moon non prestò attenzione e cosa si dissero fra loro perché, con la punta del naso all'insù, la bocca schiusa e gli occhi brillanti, vide l'elegante insegna in nero di Valentino.
«Come... » — abbassò lo sguardo e ritrovò Jimin impegnato nelle chiacchiere, come se fosse realmente ignaro di averla portata nel negozio del suo stilista preferito.
Quando finì di interloquire la guardò per indicarle l'entrata; la prese per mano e le porte di vetro antifurto si aprirono col sistema automatico.
Era nettamente più grosso della Gallery Luxury Woman nel centro di Seoul, l'unico negozio in cui riuscì a entrare per accompagnare Lee nell'acquistare una cintura della stagione passata e scontata a metà prezzo. Da quel giorno in poi la vide mangiare solo insalata e noci tutti i giorni a pranzo per evitare di spendere un patrimonio.
L'interno era mastodontico e interamente illuminato in ogni angolo, ma Moon non riuscì neanche a scorgere i capi del primo piano in mezzo ai clienti perché Jimin entrò lì dentro come se fosse casa sua, permettendosi di arrivare nel fondo per accedere all'ascensore.
«Jimin dove stiamo andando? E perché c'è un ascensore!?» esordì a bassa voce, innervosita per le occhiatacce delle megere di ogni età che lanciarono al suo abbigliamento.
Ricambiò l'ostilità con un sorriso finto, sapiente di essere protetta dalla popolarità del figo che la stava trainando come un cane.
«Perché stiamo andando all'ultimo piano» spiegò pigiando il tasto. Lei lo guardò confusa: «Ma... Il negozio non é nel primo piano? Sopra ci sono gli uffici» A Jimin scappò una risata e si curvò sulle labbra per baciarle e succhiarle. Moon gemette e pigiò le mani sul suo petto.
Si staccò lentamente a occhi chiusi. «Quello é il piano aperto al pubblico. Mentre l'ultimo...» l'ascensore si fermò e le porte si aprirono. Moon per poco non ebbe un mancamento.
«L'ultimo é dedicato ai clienti di fiducia»
Si ritrovò catapultata in un connubio di stelle, stoffe in pizzo e raso, scarpe brillanti e un'eleganza mai assistita prima d'ora. Le donne in tailleur, emancipate dalla power suit, salutarono calorosamente Jimin in modo fin troppo esaustivo. Più che cliente di fiducia, constatò Moon, pareva il migliore amico bad boy da scopare nei camerini.
Sorvolò sui complimenti e sugli atteggiamenti di quelle donne bellissime e più grandi di lei per guardarsi attorno, osservando i completi creati e indossati da star internazionali: l'abito lungo in paillettes dorato indossato da Carey Mulligan agli Oscar si trovava a pochi metri da lei, coperto in una teca di vetro come un trofeo di cui andarne fieri.
Smise di rispondere alle chiacchiere formali e drizzò le spalle larghe. «So che Moon stravede per Valentino, perciò fate in modo di compiacerla. Qualsiasi cose lei voglia» affermò facendosi serio, quasi irriconoscibile dal lato sottomesso che usava con Moon.
Si sistemò i bordi della camicia intorno al collo e sui polsini, Moon spalancò la bocca e faticò a realizzare: «Tu — L'avevo già programmato?!» sibilò agitata e senza farsi sentire dalle commesse.
Il moro le lanciò un ghigno vittorioso. Annuì fermo e, una volta costato che tutte le commesse si fossero messe al lavoro nel magazzino, si azzardò ad avvicinarsi con una distanza misera per sfiorarle il lobo con i denti e senza direttamente toccarla.
«Ti ho detto che per oggi ti avrei accontenta e sarei stato al gioco: un degno sugar daddy farebbe molto di più ma non voglio strafare» la vide coperta dai brividi e se ne compiacque, «Ora vai, ti stanno aspettando» si riferì alle ragazze con il camerino pronto e pulito per lei.
Jimin si sedette comodo sul divano di pelle e, senza togliere gli occhi dalla figura di Moon, chiese un caffè lungo e amaro.
Una commessa abbassò lo sguardo davanti al potere che trasmise e andò via, dopo aver enunciato:
Sì signor Park.
ʙʟᴀᴄᴋ ᴏʀ ᴘɪɴᴋ?
La consapevolezza sembrò finalmente scivolarle addosso, simile a una cascata d'acqua gelida impegnata a bagnarle i capelli dalla cute, fino a rinfrescarle le punte dei piedi, strette e coperte da una scarpa argento brillante, col tacco vertiginoso.
Non erano alte quanto i suoi stivali rosa indossati al What a F**k!?, né scomode come quelle nere di Min Jun, però erano delle Valentino e talmente belle che pensò di sceglierle come scarpe per il suo funerale.
Un comunicato generale sarebbe bastato per stipulare le sue volontà con la sua famiglia: giuro su Dio che se non avrò queste scarpe indosso nella mia tomba tornerò nel mondo dei vivi a tormentarvi, appuntò mentalmente una volta finito di allacciarsi il cinturino sulla caviglia.
Si alzò per specchiarsi nell'arco trasparente di quella camera rettangolare fin troppo grande per essere un normale camerino di una boutique. Mentre si aggiustò la coda alta e resa impeccabile, con un paio di forcine, si guardò un'altra volta intorno; era più che sicura che quella fosse una stanza di prova e progettazione, dove modelle e celebrità passavano ore a elaborare outfit memorabili.
Vi erano almeno tre manichini di stoffa attaccati alla parete, sopra i quali ergevano decine di spilli sulla carta modello in elaborazione. Poco più a destra, invece, due stand pieni di grucce e vestiti protetti dalle buste occupavano quasi tutto lo spazio in backstage che lo specchio riusciva a fornire col suo riflesso.
Una delle commesse, vestita interamente di Valentino dalla prima cucitura del completo alla spilla sulla giacca, la fece tornare alla realtà, da chiedendole se quell'abito fosse di suo gradimento.
Era semplice e corto: un mini abito in paillettes leggere e asimmetrico con un colore appartenente alla famiglia del nero — nero avorio, per essere precisi —, risaltava la lunga gamba resa più lattea a causa delle luci del camerino, come una modella indossatrice.
Consapevole, bensì, di essere l'esatto opposto di una indossatrice con il suo metro e sessanta ma la sua magrezza e la finezza, che tanto la distingueva quest'ultima, sembravano sollevarla di altri venti centimetri sopra la crosta terrestre. E mai come quel giorno fu contenta della sua altezza, potendosi vantare di avere la giusta statura, anche con tacchi altissimi, per poter raggiungere le labbra del suo futuro CEO. In qualunque situazione.
Dondolò. Fece ciondolare le scarpe nella sua magnificenza e si fece guardare dalla commessa che nel mentre l'aspettava con una sacca vuota per vestiti in mano. «Come le sembra? Scende alla perfezione» chiese, giusto per forzata cortesia.
Si lisciò la gonna e guardò la ragazza dallo specchio: «Le scarpe» disse con gli occhi rapiti, «Sono meravigliose»
Notò i corti capelli biondi della commessa, fissati con un nastrino di cuoio elasticizzato, creare una paglietta ogni volta che abbassava la testa per studiarla e pensare. Una paglietta a forma di pianta ananas e questo la faceva sorridere, così da sciogliere la tensione che tanto albergava sulla pancia per colpa di quell'appuntamento improvviso e degli sguardi che le lanciavano quelle snob delle commesse.
«Sono della nuova collezione, hanno prodotto appena qualche pezzo perciò sono a edizione limitata. Non le teniamo in negozio perché alcuni clienti, quelli più fidati, sanno già cosa comprare e sarebbero disposti a pagare di più» esordì in una lenta pacatezza mentre infilava il ferro della gruccia sullo stend vicino allo specchio, senza mostrare la sfaccettatura di un sorriso,«É la politica del negozio sulle multinazionali della casa di alta moda. Cercano di adattarsi, non come le inflazioni esercitate dal governo reale negli Emirati Arabi, certo, ma va per la maggior andare incontro a chi è disposto a pagare da capogiro. Non so se mi sono spiegata»
Moon la guardò sottecchi e rimase allibita dalla semplicità con cui parlottò del ciclo di denaro che vi erano nei piani alti di tutte le case di alta moda. Non che fosse una sprovveduta, erano cose che già sapeva e studiato da cima a fondo per sua privata ossessione. Ma alcuni erano segreti da conservare dentro quelle mura, a seguito di silenzi professionali, perciò si chiese perché gliene avesse parlato con una tale superficialità.
Voleva farla arrestare?
Ciò la portò a socchiudere appena gli occhi e finse di non saperne un accidente. «Oh, davvero? Mi stavo chiedendo perché non le avessi mai viste in nessuna vetrina fino a ora» falsa, sforzati di più, «Ma rimango leggermente dubbiosa sul vestito» portò l'attenzione al dettaglio dell'abito, cambiando argomento come se quell'informazione agghiacciante non la toccasse minimante.
La commessa allungò il collo, dunque, mostrando una serie di tendini tipici di chi si nutriva con un cubetto di formaggio al giorno per non svenire dalla fame. Accentuato dalla mano destra che approdava, di nascosto, sulla bocca dello stomaco come riflesso alle fitte della fame.
«Non le piace?» la smorfia sul naso la tradì ma Moon finse di non averla vista.
Come riportato prima, il vestito era bello, ma non era quello giusto per lei. Talmente semplice che non la valorizzava e spegneva appena quella lucentezza colorata che portava sempre appresso. Aveva bisogno di qualcosa di più.
«É bello, non lo metto in dubbio. Ma sento che non fa per me» dichiarò in modo educato, «Posso provarne un altro?»
«In realtà, il signor Park ha chiesto di farglielo vedere e indossare, pensava che le sarebbe piaciuto» la guardò da sotto gli occhiali e Moon, finalmente, si girò per guardarla direttamente in viso.
Incastrò le braccia al petto e posò il peso su un fianco: «Lui... Ha fatto recapitare questo vestito, per me?» domandò scettica, ripensando al passato e all'unico indumento che Jimin aveva comprato per lei — delle Victoria Secrets — e fra tutti i colori possibili, il moro, non era ricaduto nella banalità del nero. Anzi, la conquistò con un ricamo floreale in pizzo bordeaux e quasi trasparente in ambo i lati.
Jimin, per quel poco che l'aveva conosciuto, era uno che sapeva osare — almeno con Moon — e amava fare l'eccentrico per conquistarla. Non si sarebbe mai sprecato a farle recapitare un tubino asimmetrico in avorio nero, si sarebbe giocato almeno una scusa ai vertici del sessuale per immaginare di scoparla dentro la sua Lamborghini.
La commessa annuì ferma e insistette: «Era uno dei primi sulla lista» Al che, Moon, guardò un secondo il vestito dallo specchio e sforzò il cervello per trovare una connessione tra le parole di quella commessa, con pochissima voglia di vivere, e il vestito di Jimin.
La bionda guardò l'orologio sul polso e storse la bocca per esordire una manciata di parole. «Ci é rimasto poco tempo, non vorrebbe far attendere il signor Park—»
«Il nome della collezione?»
La bocca della bionda si asciugò e si zittì senza aver capito. Moon la fissava in maniera intensa, quasi pericolosa, ma questo non poteva enunciarlo con chiarezza perché la fronte della più giovane non aveva neanche una ruga d'espressione sulla fronte.
«Come ha detto?» balbettò.
«La collezione» ripeté fredda, «É un capo che fa parte della sezione élite, o mi sbaglio? Visto che si trovava nell'ultimo piano,» calcò per bene quell'informazione e si girò per l'ultima volta verso di lei, «dovrà far parte di qualche importante collezione. Ma non mi sembra di ricordare il modello»
Ad accigliarsi fu l'altra. I capelli ad ananas non sembravano più così tanto simpatici agli occhi di Moon e la commessa fece un passo in avanti per incuterle timore col suo metro e settantatré. Ma Moon aveva un carattere ferreo e pungente, se il suo sguardo non sarebbe bastato per rimetterla al suo posto allora avrebbe usato le maniere forti, tagliandole i plateau con una sega circolare e nascondendo così il suo cadavere nella buca dell'orto di suo nonno a Gyeongsang-nam.
Ma aveva ancora una possibilità — stilò Moon da sola — perché il primo posto del giudizio spettava solo a Lee.
«É molto difficile ricordarsi tutti i capi del marchio» si pulì la voce. Ma Moon continuò imperterrita a voler sapere di più: «Ho una buona memoria, tendenzialmente ricordo quasi tutto ciò che vedo o piace, e quando questo avviene cerco di saperne sempre di più. Ma questo abito... Come si chiama lei, mi scusi?»
«Kim Nari» sibilò fra i denti. Moon sogghignò appena. «Bene, Kim Nari, continuo a non ricordarmi della sua esistenza. Quindi, potrebbe dirmi il nome della collezione?»
Nari si morsicò le labbra e si finse sicura: «Haute Couture Fall/Winter, del 2021» esordì, pensando di averla avuta vinta dopo che l'espressione di Moon vacillò.
«Ne é sicura?»
«É il mio lavoro, signorina. Vengo pagata per servire la giusta clientela e per stare al passo con l'evoluzione della casa di moda, quindi sono sicura al cento per cento di quello che le sto dicendo»
Ci fu del silenzio dopo quella frase, Moon si ritrovò a chiedere gli occhi imprecando mentalmente. «Bene» espirò, tenendosi in mente ogni dettaglio di quella Nari.
«Bene...» ripeté ancora una volta, «O meglio, non così tanto bene per la mia memoria, sa? Solitamente Vogue Runway é molto fiscale con le collections di Valentino e il sito stesso della casa di alta moda ha sempre prestato molta attenzione, a ogni singolo scatto, nel mostrare tutti i capi della collezione. Assurdo, stiamo parlando di una linea importante, la Haute Couture Fall/Winter, e nel 2021 scelse un posto unico come le Gagiandre di Venezia per la location di colture. Come può essermi sfuggito un tale capo?»
Nari sbiancò e vide ogni pilastro della sua sicurezza, come il paio di anni di esperienza lavorativa consumati nella grande firma, crollare dinanzi allo sguardo calcolatore e alle parole gelide, vestiti da un sarcasmo acuminato, di una ragazzina. Una sciocca ragazzina che puzzava ancora di libri e mensa universitaria, la stessa che varcò la soglia del negozio, mano nella mano, con Park Jimin e una macchia di unto sulla manica.
«Forse qualcun altro saprà rispondere alla mia domanda, potrei anche parlare con il suo capo»
Una ragazzina che, purtroppo per le sue aspettative fondate su sabbia sbriciolante, sapeva il fatto suo nel campo della moda. Fin troppo.
«Non c'è bisogno!» mi se le mani avanti impallidita. «Ah? E perché no?» la mise al muro Moon, facendo tacere Nari per l'improvvisa domanda.
Pensava di poterla ingannare così facilmente solamente perché non era una come Park Jimin?
«Già, proprio come immaginavo» continuò Moon ma senza alcun divertimento in corpo, «Mi aspettavo proprio del silenzio»
«Io—»
«Lei, cosa?» la interruppe gelida, «Cosa pensava di fare? O di ottenere, ingannandomi con un vestito che sicuramente appartiene a uno scarto tessile?! Poteva giocarsi meglio le sue carte senza tradirsi mettendo in mezzo il gusto di Jimin, se non voleva far indossare uno dei vostri pregiati vestiti a una ragazzina»
«Ha frainteso» cercò di rimediare ma dalla sua bocca uscirono solo balbettii, «Le mie intenzioni erano limpide»
La porta del camerino venne spalancata con poca grazia dove una testa mora — la responsabile delle commesse — si prese la briga di interrompere il chiacchiericcio. La coda che reggeva i lunghi capelli lisci in modo ordinato venne sbalzata dietro le spalle, mentre lei, con gli occhi ancora spiaccicati sull'iPad aziendale, non si rese conto di quello che stava accadendo.
«Nari se hai finito di sistemare la signorina dovresti andare al primo piano—» alzò gli occhi distratta e l'ultima parola della frase finì a mezz'aria. L'occhio cadde sul vestito nero di Moon, seguito poi dalla sua collega: se prima era sbiancata, ora sembrava un cadavere.
Fulminò la sua collega e si appigliò con tutta se stessa, e nel suo contratto da preposto ancora fresco, per non cacciarla seduta stante con l'orma del suo tacco tatuato sul culo.
«Cosa diavolo stai facendo?!» sentì un capogiro e chiuse la porta del camerino per evitare che uno dei suoi migliori e illustri clienti — il figlio del Dio della Solter — la sentisse sbranare una di loro. «E questo?!» indicò il vestito con orrore, «Cosa ci fa uno scarto pre-consumer indosso alla cliente, razza di id—»
«Gliel'ho chiesto io»
Per quanto Moon desiderasse vedere quella biondina con un cappio al collo dopo quello che aveva fatto, pensò che l'aria lì dentro stava diventando soffocante e la giornata fin troppo breve per passarla in mezzo alla bolgia e lacrime. Distolse un secondo lo sguardo dal volto livido di rabbia del preposto e storse il naso davanti agli occhioni umiliati e angosciati di Nari.
Moon l'aveva già capito, non credeva che fosse addirittura un vestito scartato dall'atelier, ma un qualcosa di simile sì; rimaneva un Valentino a tutti gli effetti ma il sangue nero le era venuto lo stesso per l'evidente discriminazione nei suoi confronti o peggio.
Perché Moon aveva altre ipotesi in mente sul comportamento meschino della biondina, ma questo l'avrebbe risolto una volta fuori dal camerino.
Tagliò corto quel bisticcio: «L'ho visto sullo stand e volevo provarlo, ma effettivamente non fa per me. É semplice. Alla stessa stregua del banale» allungò un braccio verso gli altri vestiti, lasciò che il suo lato da diva scappasse fuori, «Se cortesemente é possibile vorrei provare un capo della Valentino Rendez Vous, 2022»
La più anziana di raddrizzò sulla schiena e spalancò le labbra: «Certo!» rispose dopo qualche momento di panico, si leccò le labbra e ordinò, con lo sguardo infuocato, a Nari di andarle a prendere ogni singolo capo di quella collezione.
«Ovviamente la Pink PP Collection, scartate gli scuri, non voglio nulla di nero addosso. Almeno per oggi» scandì ogni frase, fingendosi ancora più arrogante di quanto lo fossero stati con lei.
Entrambe si inchinarono velocemente e si divisero; Nari scappò verso il magazzino mentre il preposto restò con lei in suo aiuto.
«Mi dispiace, signorina. Se la mia collega l'ha importunata me lo dica subito e non esiterò un secondo a cacciarla. So benissimo che non l'ha chiesto lei questo vestito, non poteva essere qua dentro e...»
«Non si preoccupi» espirò Moon con gli occhi lividi, «Non dirò nulla a Park Jimin»
Per ora.
Hello!
Sto crepando: QUESTO CAPITOLO DOVEVA ESSERE IL TOP, invece ho dovuto dividerlo ed é solo di passaggio o sarebbe arrivato a 20k parole... sono un clown.
Facciamo un rapido riassunto di quello che é successo oggi:
- Ovviamente Jimin e Moon hanno tante cose in sospeso e ne vedremo delle belle, vi faccio un elenco? Chissà!: Chi é Buon appetito? Cosa avrà in mente Jimin per il loro appuntamento? Nari? Si metteranno finalmente in insieme sti stronzetti?
Tante domande, tanti perché... e ci sono cose che ho volutamente tralasciato per riprenderle nel prossimo. Sarà tosto, un trash assurdo e cliché infiniti ma sti cazzi, amo il trash banale 💋, non ci spaventa.
- La Lamborghini viola ragazz*... non ci sono altri commenti per descrivere ciò e che cosa faranno li dentro. Aiut
- E Moon? Adorabile senza la sua armatura rosa, trucco e malizia, ma é stata presa in contropiede... vedrete come si riprenderà immediatamente con il nuovo abito di Valentino.
Vi do un indizio sul modello: a indossarlo é stata una Star di Euphoria 👀
Detto questo, alla prossima e fatemi sapere se vi è piaciuto il capitolo!
❤️💜❤️
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