Capitolo 13

Posato ad un albero, la testa gettata all’indietro e gocce di sudore freddo che gli imperlavano la fronte corrucciata a causa della stanchezza.

Lì, stava Crystal; quell’esile e potente creatura che si stagliava in quella notte d’autunno. Il fratello Tom, inginocchiato davanti a lui preoccupato e teso, lo osservava con occhi vacui, le mani incrociate sopra le gambe.

Avevano fatto pochi chilometri e Crystal era crollato a terra, quasi esanime, una sferzata di vento gelido che aveva soffiato sul collo del biondo, avvertendolo.
Una cosa del tutto inaspettata.

«Hai bisogno di riposo…Quante volte devo ripeterlo?» chiese Tom, lasciando trasparire tutta la sua ansia finora trattenuta.

«Purtroppo non sono come te. Tu che puoi dormire a tuo piacimento non potrai mai capire la sofferenza di esseri imperfetti come noi.» sibilò il vampiro, riaprendo gli occhi diventati due fiamme di zaffiro tagliente. Scoprì di vedere solo nebbia attorno a lui.

Tom chinò leggermente lo sguardo, guardandolo con la coda dell’occhio; in quei momenti si sentiva sopraffatto dal potere che la personalità di Crystal esercitava su di lui. Bastavano quegli occhi, e tutta la sua sicurezza vacillava.

Abbassò il frontino del berretto, coprendosi gli occhi nervosamente
«Starò io di guardia, recupera le energie».

«Come vuole, signorino» rispose Crystal, la radura circostante che si riempì di echi sibilanti. Il vampiro odiava essere in balia di altri, anche del suo gemello.

Tanto meno bramava dormire, comportava troppa sofferenza, sia fisica che mentale eppure, solo così, riusciva a recuperare parte delle energie che gli sarebbero servite a proseguire quell’estenuante missione affidatagli.

Salvo che non si cibasse di qualche innocente.
Ma non era il caso. O meglio, non voleva.
Unicamente per preservarne meglio il profumo. Quel profumo…

Sospirò, un’ondata d’aria fredda che lo avvolse, trafiggendolo come solo mille lame sapevano fare. Poi, per un breve istante, percepì del liquido caldo colargli dalla fronte gelata. Emise una risata vuota e cupa.

Sangue che macchiava i suoi lineamenti perfettamente scolpiti nel marmo, mentre la morte correva ad accoglierlo. Impedendogli di percepire un’ombra che si era posata sopra di lui, sul ramo più basso della quercia.

Il corvo era giunto senza emettere alcun suono, le ali raccolte ai fianchi. Alla luce dell’alba, il corpo fittizio di Sivade sembrava vibrare incessantemente, lasciando trapelare la rabbia repressa. Guardando Crystal come se niente fosse, ripensava al discorso che avevano fatto lui e Ixal. Forse la maga aveva ragione: stava ingannando sé stesso, cercando una spiegazione razionale a tutto ciò che il vampiro gli stava portando lentamente ad affrontare.

Scosse il capo, ed una piuma gli si staccò dal corpo: Sivade ne guardò il percorso in ogni dettaglio, cercando di trovare un senso a quello che gli stava succedendo. La vide cadere sul palmo aperto del giovane addormentato e gli venne istintivo spostare altrove lo sguardo.

La sincerità non era mai stata il suo punto di forza, eppure con Crystal era difficile mentire a lungo. Quella consapevolezza lo irritava più di qualsiasi altra cosa, impedendogli di ragionare lucidamente. Era scappato da quella donna, per impedirsi di perdere il controllo, ma il ribollio dei sentimenti non sembrava ridursi nemmeno lì.

Con gli artigli, raschiò leggermente la corteccia sotto le zampe e nascose la testa sotto l’ala destra, come per addormentarsi. Doveva cercare di dominarsi.

Trattenendo un tremito, guardò per un attimo l’altra figura presente in quel luogo, pregandola con la mente che non peggiorasse tutto, gli occhi del biondo fissi nei suoi:

«Ti ho visto, arpia» disse a quel punto Tom, lo sguardo furente «purtroppo per me, ti posso sentire, maghetto ».
Incrociò le braccia al petto, un ghigno sadico sulle labbra.
Non lo temeva per i suoi poteri, tanto meno se incontrollabili com’erano.
Lo detestava per un semplice fatto. La sua presenza aveva fatto sì che Crystal si concentrasse unicamente su di lui, come ordinatogli.

Ma aveva capito che il legame fra quei due andava a potenziarsi di giorno in giorno, facendo affiorare in lui un senso di solitudine mai provato.

Con lui c’era sempre stato suo fratello ed ora qualcosa stava cambiando.

«Sei la brutta copia di Mago Merlino!» esclamò, non resistendo all’impulso di sfogare tutta la sua frustrazione crescente.

Il corvo gonfiò le piume, la testa che uscì di scatto, gli occhi neri come pietre d’onice: « Cretino. » gracchiò, la voce soffocata dal potere che premeva di uscire. Chiuse gli occhi, deglutendo leggermente, il becco serrato. Sapeva di dover controllarsi, o avrebbe combinato uno dei suoi soliti disastri.

Magari avesse avuto i poteri di Merlino.
Forse sarebbe stato una persona migliore. Forse, sarebbe stata.

«Uuh!» esclamò allora Tom, la voce femminea, portando le mani in alto simulando terrore allo stato puro «Non mangiarmi, ti prego!!» urlò poi, il tono di voce improvvisamente velenoso, gli occhi duri e colmi di rabbia.

Di fatto suo fratello si stava riducendo ad un essere effimero e debole solo a causa di quello sgorbio sopra alle loro teste, che ora lo stava guardando con impazienza.

«Che diavolo sei venuto a spiare, essere gracchiante?» chiese, tornando a posare i suoi occhi su Crystal non riuscendo a non sospirare.

Non aveva voluto cibarsi del suo sangue.
Non gli aveva dato alcuna motivazione, si era solamente limitato a concludere quella snervante discussione con un “Non capiresti mai”.

Spezzando quel suo rimescolio di pensieri, il corvo tornò al suo aspetto umano, seduto con le gambe a penzoloni: « La vostra regina vi ha spiegato perché ce l’ha tanto con me?» chiese con falsa apatia, gli occhi privi di lucentezza.

Il cielo sopra di loro sembrava richiamarne il colore: le nuvole avevano coperto ogni centimetro di oscurità, avvolgendo in un cupo manto ogni centimetro di cielo. Lontano, brillavano in successione sempre più rapida alcuni lampi, come a preannuncia della tempesta. Impazienti di abbattersi al suolo.

Tom si sistemò i pantaloni, le mani affondate nelle enormi tasche dei jeans blue chiaro, gli occhi persi in un vuoto lontano: «Molto probabilmente solo Crystal né è a conoscenza…» disse perplesso, ricordando chiaramente la scena a cui aveva dovuto assistere pazientemente «Credo gliel’abbia sussurrato all’orecchio, quella volta» sbottò, evidentemente scocciato.

Scendendo dall’albero con un movimento fluido, Sivade si avvicinò al vampiro, chinandosi per scrutarne il viso: « Mi dispiace che vi abbia coinvolto.» disse solamente, gli occhi ridotti a due fessure.

Tom alzò gli occhi, osservando la minacciosa vegetazione attorno a loro:
i rami, migliaia di mani che sembravano prolungarsi verso di loro, come a volerli rapire; lo scricchiolio delle foglie secche a terra, che ricordavano l’agguato di una qualche spia nelle vicinanze; l’umidità, l’unica in grado di penetragli nelle ossa come una lama rendendo tutto molto più reale del necessario.

« Di certo la Regina non può perdere tempo. Usare il suo braccio destro le faciliterà il compito di molto» spiegò, sedendosi accanto al gemello, le gambe incrociate. Ciò non parve toccare minimamente il mago, che rimaneva concentrato a fissare i lineamenti perfetti di Crystal.

La tempesta ormai si radunava come un uragano sopra di loro: al centro v’era solo lo spiazzo dove stavano, più buio di ogni altro punto nel cielo. L’elettricità crescente sembrava passare sul terreno come ombra di serpenti invisibili, pronta a sfogare la sua furia repressa. Per quanto Sivade cercasse di non pensare a ciò che gli era stato detto, nulla riusciva a reprimere i suoi veri sentimenti. Ed ora questi cercavano di fuggire da lui, riversandosi sulla natura.

Guardando Crystal, il giovane mago cercava in tutti i modi di cancellare i suoi pensieri. Si sentiva assoluto come il nulla e leggero quanto il nulla. La rabbia l’aveva svuotato d’ogni volontà, rendendolo completamente in balia della natura.

Tom passò un braccio attorno alle spalle del fratello, osservando come l’energia si raccogliesse attorno a lui. Un’aura nera che lo avvolgeva completamente, rendendo il suo viso rigido e severo.

«Il risveglio è la parte peggiore» disse Tom, facendo sdraiare Crystal, il viso posato sulle sue gambe «è doloroso anche per me».

Sospirò affranto, accarezzando i capelli del gemello, gli occhi attenti ad osservare ogni minimo movimento del mago che non sembrava essere presente.
Con la testa, perlomeno.
Tuttavia, non appena Crystal iniziò a gemere spasmodicamente, lo sguardo di Sivade divenne guardingo. Con un passo si allontanò dai due gemelli: « Forse devo andarmene?» chiese con tono distaccato, le mani dietro la schiena.

Tom socchiuse gli occhi, ordinando a sé stesso di mantenere la calma.

Ciò che stava per fare non era certo una novità, ma comportava sempre troppo dolore. Digrignò i denti mentre si portava una mano dietro la schiena per prendere il necessario
«Credo sia proprio il caso, a meno che tu, al suo risveglio, non voglia essere dissanguato» rispose gelido, toccando un paletto d’argento regalatogli dal fratello stesso.

Lo strinse con forza prima di osservare le incisioni che, tempo addietro, avevano realizzato assieme:
“Pulvis et umbra sumus” c’era scritto, la calligrafia elegante di Crystal che spiccava più di tutto il resto.

Il ragazzo dai capelli corvini lesse quella frase con attenzione, ridendo amaramente. Compì altri tre passi, andando dall’altra parte della radura in cui si trovavano. Si posò ad un altro rovere, le mani posate alla dura corteccia: « Se me ne vado vi colpirà…» disse solo, chiudendo gli occhi definitivamente «ma posso rallentare il mio battito, potrebbe aiutarvi?»

«Non cambia niente, è troppo sensibile» rispose Tom, all’istante.

Disse questo non perché volesse cacciarlo, anche se era ciò che, in definitiva, voleva, ma perché sapeva benissimo il grado di pericolosità che Crystal poteva raggiungere. Impazziva, letteralmente e il giovane mago non l’aveva mai visto in quello stato, per sua immensa fortuna.

Questi, incrociò appena le gambe: « Mi so difendere…Più o meno. » ammise, un sorrisetto nervoso sul volto corrucciato.

Tom scoppiò a ridere. Doveva essere una risata isterica, ma non fu altro che uno sghignazzo trattenuto; una smorfia appena accennata.

«Peggio per te» disse mentre un urlo straziato dilaniava il corpo del vampiro che si contorse dolorosamente, fino a far schioccare le ossa dell’intera colonna vertebrale.

Quel suono fece rabbrividire Sivade da capo a piedi, le mani che andarono a portarsi davanti al petto: decisamente, non sarebbe riuscito a difendersi. Anche se non per paura. Solo, non sopportava di veder soffrire la gente.

Un istante dopo si sedette a terra a gambe incrociate, unendo le dita di entrambe le mani. Davanti a lui comparve una pergamena e con essa una penna, che iniziò a scrivere alcune parole. Si trattenne dal ridere, rendendosi conto di non essere assolutamente consapevole di ciò che stava facendo.

« Al signorino che mi prosciugherà, non lascio niente, a Tom lascio le mie mutande, a Valar lascio il mio corpo, a Goito il mio armadio, a San mio fratello e tanti auguri, a Helmino il mio lettino…» soffocò a stento le risa, consapevole della sua pateticità. Chiuse gli occhi, per poi riaprirli su Crystal: «Potrei lasciargli la mia scorta segreta di mentine…» rifletté, mortalmente serio.

Tom alzò un sopracciglio, osservandolo con la coda dell’occhio, le labbra piegate in un ghigno divertito: «Bravo, bravo scrivi il testamento…» concluse poi, ritornando a fissare il corpo lacero di Crystal, gli occhi che esprimevano tutta la sua preoccupazione.

«Perdonami…» sussurrò.
E lo trafisse al petto, svegliandolo di soprassalto.
Un fulmine che si abbatteva al suolo, accanto a Sivade.

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