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Così il progetto è davvero passato ad Ambra, la sua scrivania è piena di carta appallottolata di disegni che ho bocciato. Non capisce ciò che voglio, cosa ho in testa.
Sbuffo, mi alzo dalla sedia e afferro una sigaretta dal pacchetto.
"Facciamo una pausa, vado a fumare una sigaretta." Le dico e senza nemmeno aspettare la sua risposta sparisco.
Esco nel cortile, accendo e aspiro forte.
"Renà ." Urlo nel vederlo, finge di non sentirmi e cambia strada così gli corro incontro.
"Oh Rena, fermate n'attimo." Urlo nuovamente e lo raggiungo. "Nun voglio fa niente, solo dirti che se Γ¨ con te che vuole stare Morena la rispetto. Ma trattala bene o te giuro che te gonfio."
Renato mi fissa e ride.
"Guarda che se c'Γ¨ qualcuno che doveva trattarla bene quello eri tu." Poggia la sua mano sulla mia spalla.
"T'ha parlato de me?" Chiedo incredulo.
Annuisce. "Io e lei non stiamo assieme, hai frainteso tutto mi sa." Abbassa la testa e ride. "Io sono gay." Fa spallucce.
Così mi sento stupido e piccolo, arrossisco. Porto la sigaretta alla bocca e tiro forte.
"Lauro, Morena non se la passa bene, io e lei siamo diventati molto amici da quando Γ¨ arrivata qui e sta cercando il suo equilibrio, le sto stando vicino quanto piΓΉ possibile ma tu devi starle lontano."
"Che c'ha? Perché è così cupa? à pe colpa mia?" Chiedo calando il viso.
"Eh no, di certe cose non sono io a doverti parlare. Ora scusami, ma ho terminato la pausa." Mi dice e se ne va.
Che c'hai Morè? Perché il tuo bel viso non è più luminoso? T'ho spenta io?
La scorgo da lontano, si appresta alla macchina e sale.
Faccio 'na cosa stupida, una a caso, una delle tante cose stupide che faccio sempre ormai. Prendo la mia macchina e la seguo.
Ho bisogno de capì che c'ha, come posso aiutarla ma non me lo dirà mai se glielo chiedo.
Mi tengo abbastanza distante da non farmi vedere, arriva sul corso principale e parcheggia l'auto. Un po' piΓΉ distante parcheggio anche io.
Scende e raggiunge il palazzo che si trova di fronte, bussa ad un portone di legno antico, uno di quei grossi che si trovano ancora nelle cittΓ storiche. Non appena sparisce dietro al portone mi avvicino e leggo la targa, Γ¨ un ginecologo.
Aspetto una mezz'ora e finalmente Morena riappare, ha una cartellina tra le mani, gli occhi di lacrime che si appresta a coprire con gli occhiali da sole, fa per raggiungere l'auto.
"Γ qualcosa di grave?" Le chiedo impaziente e preoccupato.
"Oddio." Morena balza e si mette a respirare a fatica. "Ma che sei scemo? Mi Γ¨ preso un colpo." Mi colpisce il petto.
"Scusame Morè, ma volevo sapere, volevo capire che c'hai. T'ho vista uscire da lì con gli occhi de lacrime." Dico spaurito, quasi non riesco a respirare. "Che c'hai? Ho bisogno de sapè se stai bene, sono spaventato, perché piangevi?" Continuo a raffica come una mitragliatrice, Morena sembra piena di me e della situazione così sbuffa e apre la cartellina.
"So incinta, Lauro." Mi schiaffa un'ecografia davanti agli occhi, non si capisce niente, ma quel geroglifico dice che c'ha un bambino nella pancia.
"Incinta? E de chi?" Chiedo tremante.
"Do spirito santo." Fa per entrare in macchina.
"Aspè Morè, è mio? à nostro? Un figlio mio e tuo?"
"Non Γ¨ figlio proprio a nessuno." Sentenzia dura.
"PerchΓ© piangevi?" Le chiedo spaventato.
"PerchΓ© ho preso appuntamento per l'aborto." Dice calando la testa, quasi come se si stesse vergognando.
"Aborto? Che dici? No." Urlo e afferro per le spalle. "Edoardo 'o sa?"
"Non lo sa nessuno e nessuno lo deve sapere, manco tu dovevi saperlo se non facevi la testa de cazzo come sempre." Si scosta.
"Hai chiesto parere a me? Γ figlio pure mio, no?" Sentenzio tirando su con il naso.
"So io che devo portare avanti la gravidanza, io che devo partorirlo, io che devo vivere ogni giorno in funzione sua mentre te sei padre solo sulle carte, perchΓ© figuriamoci se te metti a fare il padre, manco il fidanzato volevi fa." Entra in macchina e io resto zitto e frastornato, la vedo sgommare via.
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