◈ Brain in panic | J.Jk pt.3















"Consiglio la lettura con la canzone in copertina una volta che arrivate in fondo al capitolo"







«È così bella la vista da qui, non trovi?»

Soo, con le lacrime agli occhi, continuò a stare zitta. Era incredula e la sua mente assente. Si girò verso quella voce familiare e ridivide gli stessi occhi castani di pochi giorni fa, le iridi rimanevano ambrate da un caldo cioccolato sciolto dalle luci del Sole.

Jungkook si avvicinò definitivamente alla ringhiera e ci appoggiòle braccia coperte dalla felpa. La scritta dei Dead Decline scintillava appena sotto le corde dell'indumento. «Non pensavo che qualcuno oltre a me conoscesse questo posto» finalmente aprì bocca e Soo ritornò a guardare davanti a sé con uno scatto. Quella semplicità le schiaffeggiò violentemente il viso.

«Che cosa vuoi? Non capisco che cosa ci faccia tu qui»

«Beh...un giretto no? Ha smesso di piovere ed è uscito il sole, poi avevi dimenticato il cappello-»

Strinse i bordi della ringhiera con le unghie e tremò.«Non ho dimenticato un cazzo. Ascolta io non so che cosa vuoi, non so perché sei venuto qui e non so nemmeno come fai ad avere il mio fottuto numero visto che so a malapena il tuo nome»

«Jungkook» la interruppe. Le porse la mano senza togliere il sorriso sghembo dalla sua faccia troppo larga.

Cazzate, era perfetta.

«Bene, Jungkook, puoi tornartene a casa e lascarmi stare?»
«Ti ho detto che non sarei riuscito a rispettare la mia fede quindi non posso andare via», a tale risposta Soo aprì la bocca sconvolta. Il metallaro coglione aveva voglia di scherzare con i lupi ma nonostante tutto ciò si sforzò di non guardarlo.

«Ma hai un libro nascosto nelle mutande per tutte le cazzate che stai sparando dalla bocca?»
«In realtà no. Però se vuoi posso rispondere alle tue domande precedenti così non pensi più che sia uno stalker psicopatico serial kille» le disse.

«Tu sei un idiota, non sei abbastanza intelligente per fare lo stalker» rispose.

«Acida. Comunque Hope mi ha dato il tuo numero pochi giorni fa e visto che tu ignoravi i messaggi di tua madre e lei ha chiamato tuo cugino per avvertirlo  però lui ha avuto un'urgenza-»

«Visto che sei così tanto amico di Hope non ti ha mai accennato al fatto che io odio le persone logorroiche?» disse con un finto sorriso irritante. Muoviti a scappare idiota.

«-E ha mandato me a cercarti perché sapeva che passi le ore qui da sola, fine della storia»

Una volta finito il suo racconto/monologo Soo si portò le ciocche di capelli davanti al viso e l'aria completò il tutto. Hoseok non avrebbe mai rinunciato a lei per una stupida urgenza di primo pomeriggio la domenica.

Con un sorriso amaro si sentì un'altra volta colpevole del male verso il cugino e sentire quell'assurda scusa per non vederla le fece solo più male.

«Così hai deciso di mandarmi un merdoso messaggio e se non ti avessi risposto?» abbassò le spalle, «Cosa avresti fatto? Raccolto i pezzi avresti fatto un pacchetto regalo per Hoseok?» no, non dirmelo nemmeno perché la pietà è l'ultima cosa che voglio, pensò.

Non si accorse che Jungkook si era girato di cento ottanta gradi in direzione del parco. La vistosa pelle brillava a contatto col Sole e questo avvenne maggiormente per la posizione del suo capo. Si teneva in equilibrio sulla sbarra con il trapezio e imitò la posa di un santo abbandonato.

Il pomo d'Amado spingeva e contro l'esterno, si alzò per la bocca impastata e disse: «Ti avrei presa»

Sbarrò gli occhi fissandolo, «Cosa hai detto?»

Le labbra sottili del moro si incurvarono verso l'alto, non aprì mai gli occhi e respirò lentamente.

«Mi credi troppo idiota. Ero dietro di te, se non mi avessi risposto ti avrei presa», poi Jungkook aprì gli occhi e inclinò il viso al punto giusto per guardarla.

«Ora se hai finito di contemplare il cielo possiamo anche andare» disse.
Per poco Soo non si strozzò. «Che cosa?»
«Avanti andiamo, dopotutto ora sono il tuo responsabile» disse e Jungkook sogghignò.

Ma manco morta, pensò Soo mentre scese dalla sbarra dondolante. Si pulì i pantaloni e finì col guardare la grossa e atletica stazza di quel testa di cazzo. Nemmeno la conosceva e poteva essere serialmente un serial killer.

Pensò di non seguirlo però poi cambiò idea quando si rese conto che tutto quello che aveva pensato o fatto meno di cinque minuti fa non aveva più senso.

Quel "ti avrei presa" attanagliava la sua mente e si sentì solamente in colpa pensando che se si fosse gettata oltre la ringhiera avrebbe contribuito a comparire negli incubi notturni di una persona, perché lei sapeva che quel salto sarebbe stato troppo veloce per essere salvata da due forti braccia.

Ed io che provo pena anche per te ad un passo dalla morte, che tu sia dannato Jungkook.

Quando si trovò davanti alla macchina del moro esitò, pensò che forse aspettare il treno per la metro era l'idea più allentante del momento. Ma Jungkook si appoggiò alla sua Hyundai vecchio modello con un gomito e la guardò dall'altra parte.

«Non mordo mica» disse. «Tre isolati e sarai a casa sana e salva» entrò aspettando che lei facesse la stessa cosa. Dopo aver sbuffato Soo entrò a sua volta, non chiese il permesso per abbassare il parasole con lo specchio incorporato e si interrogò.

Le occhiaie prorompenti sopra la sua pelle le fecero accapponare dai brividi. Questi erano ancora rossi e distrutti dal pianto precedente ma la cosa che più le diede tormento fu la sua mente vuota; un canale non sintonizzato.

Avrebbe veramente fatto quello che stava per fare?

La riposta non se la diede, si concentrò solamente sul volume della radio al minimo dei decibel e sul rumore delle ruote appena gonfiate della Hyundai.
Le mani grosse e venose di Jungkook catturarono la sua attenzione vedendole danzare sopra il volante.

«Tu non guidi?»
Si risvegliò dopo quella domanda inaspettata, strinse le labbra e guardò davanti a sé. «Ho la patente ma non guido»
Jungkook cercò di capire meglio. «Non guidi perché non hai la macchin-»

«Non guido e basta»

Il precedente pomo d'Adamo prorompente saltò su e giù. Jungkook si grattò il capo amareggiato e capì che per quel pomeriggio non avrebbe avuto nessun tipo di riscontro pacifico con la cugina del suo migliore amico.

«Okay. Va bene» disse e si concentrò solo sulla guida. Non negò a sé stesso di esserci rimasto un po' male ma era comprensibile il suo comportamento astioso; sono un estraneo.

Ma Soo -anche se provava a concentrarsi sul traffico delle vie secondarie non poté che definirsi ancora una stronza di livello master. Forse le dava più noia che l'aveva salvata da un tentato suicidio oppure...il suo giudizio su quello che aveva visto.

Riconobbe la sua via, molto probabilmente Hoseok l'aveva informato a dovere. Ma giusto per educazione gli indicò ugualmente il numero civico del suo palazzo.

«Puoi lasciarmi anche qui» mormorò. Jungkook mise la freccia e accostò sotto la schiera di case a villetta.
«Certo, come vuoi» disse.

Quell'accondiscendenza provò un senso d'orticaria sulle braccia di Soo. Non sapeva cosa dirgli; doveva fare qualcosa? Scusarsi? Parlarci?

Ficcargli la lingua in gola?

All'ultima opzione decise di slacciarsi la cintura sospirando, doveva punire se stessa per questi pensieri. Era da quando aveva scoperto della sclerosi multipla che non toccava un cazzo quindi certi pensieri fuori luogo erano, forse, legittimati.

«Allora...scendo» lo fissò.
Jungkook fissò le sue pozze nere incastonate sotto le sopracciglia e sorrise quasi innamorato di quel colore. «Suppongo di sì, in una macchina oltre a guidare si sale e si scende»
«Ma dai» affermò sarcastica e lui riprese a ridere dimenticandosi di quel dolore al petto.

«A mai più Jungkook» esordì sventolandogli una mano ghignando. Si girò senza vederlo in viso ma già si immaginava un fastidioso sorriso da deficiente. Però sentì la macchina muoversi e il finestrino abbassarsi, si mosse in concomitanza a lei e prima di riprendere il suo viaggio verso casa la guardò ancora.

«Sarei riuscito a prenderti. Anche se fossi stato all'inizio delle scale, non ti avrei mai permesso di lasciarti andare» e come arrivò sparì in origine. Nel mistero come un angelo custode.

E Soo rimase lì con le braccia lungo ai fianchi, gli occhi sempre rossi e spaccati, i vestiti di quella mattina e si accorse di aver lasciato in macchina il cappello orripilante di Hoseok.

Rimase lì, con il suo cuore più vivo che mai.



Sentì i fornelli accesi e le pentole bollire dal piano superiore eppure continuò a ruotare gli occhi sul calendario del suo inferno per nulla toccata dall'appetito. Dopo otto ore di flebo era tornata a casa e sua madre decise di alleggerire la pesante aria con le sue specialità speziate, ma Soo e suo padre anon vevano intenzione di passare sopra i dispiaceri con del cibo piccante.

«E questa è fatta. Meno tre mesi ad un altro fottuto day hospital» disse. Lanciò il telefono contro il cuscino e si sdraiò alla ricerca di una comodità.
«Sono stata mezza giornata con il culo attaccato al letto eppure mi sento di aver scalato l'Everest..» e appena la spossatezza si inoltrava regnando da padrona i suoi occhi perdevano ancora più vita.

Ripensò a quei tre giorni antecedenti al suo ricovero regolare; a come Hoseok si era fatto vivo con un messaggio su KakaoTalk e una stupidissima emoji di una scimmia. Eppure fra bestemmie e accidenti di ritrovò a piangere da sola in quella triste stanza d'ospedale e a ringraziarlo perché nei momenti peggiori -ma pur sempre importanti- ti accorgevi di chi c'è davvero e chi no.

Nonostante l'immensa paura di Hoseok nell'affrontare la cugina le aveva reso la sua presenza in qualche modo.

Stupido ma sincero.

Il cuscino sotto il capo variopinto di nero e mogano vibrò e questo portò Soo a ruotare il capo verso l'apparecchio. Mugugnò svogliata e lo accese.

Sconosciuto:
[Affacciati]

«Ma che cazzo significa..» sbottò. Rivide il messaggio precedente in quella chat estranea e mezza vuota.

Soo:
[Ma ti sembra il modo di approcciarti alla gente? Non ti avevo nemmeno riconosciuto]

Idiota con il manuale nelle mutande:
[Ora che mi hai riconosciuto, costatato che non sono un boomer che si sega sulle quattordicenni, puoi affacciarti?]

Soo:
[Sei una piattola]

Idiota con il manuale nelle mutande:
[       :))     ]

Spense il display e presa dalla curiosità si inoltrò verso la finestra dai caldi colori, dalla quale una luce bianca e vanitosa frugava fra la stanza. Si appoggiò al ripiano interno e scostò la tenda.

«Non ci credo..» disse. Vide Jungkook fuori dalla Hyundai appoggiato su di essa, non appena la vide sghignazzò e sventolò il cappellino di Hoseok come una bandiera.

Che cazzo ci faceva Jungkook all'ora di pranzo davanti a casa sua con quel cappellino? Con quella patetica scusa poteva auto invitarsi anche nel palazzo presidenziale coreano.

Sollevò il cellulare e scrisse: «Di preciso quali sono i tuoi problemi?»

Il telefono nel jeans stretti del moro vibrò. Lo prese e rise. Con la lingua si bagnò il labbro inferiore ormai secco e riprese a guardarla.

Idiota con il manuale nelle mutande:
[Hai due minuti di tempo per scendere e prendere il cappello]

Soo:
[Altrimenti?]

Idiota con il manuale nelle mutande:
[Altrimenti mi vedrai ogni giorno davanti a casa tua e non riavrai mai il cappello. :)]

«La faccina mettitela pure nel culo» esordì dalla finestra in tono labiale e quello spilungone la capì perfettamente.

Però Jungkook aveva voglia di osare quindi per farle capire che non scherzava si staccò dallo sportello e girò intorno alla macchina come una breve giostra, ci entrò e accese il motore. Ma non partì.

Soo si morse il labbro intuendo le azioni del metallaro e pensò di tirare la tenda e rimettersi a dormire come un opossum schiacciato in autostrada. E fu quando tirò per metà il tessuto, quando sentì l'odore di piccante del cibo di sua madre e il rumore dell'accendino degli anni 80' di suo padre che decise di osare anche lei.

Soo:
[Idiota dal grilletto facile. Hai da fare oggi pomeriggio?]


Aprì lo sportello della Hyundai con ancora le mille domande di sua madre dentro le orecchie. Ma quindi non mangi con noi? Avevo preparato tutte le spezie, obbiettò guardando la figlia scapestrata già vicino alla porta.

Esco, faccio un giro e torno questa sera, poi fece un piccolo sorriso sotto il naso a campana che non passò inosservato ad entrambi i genitori. Forse per quel piccolo cenno di spensieratezza avrebbero chiuso un occhio e lasciata libera.

«Mi sarei aspettato una denuncia per stalking o infrazione di proprietà privata ma non un appuntamento» disse Jungkook quando lei entrò.
«Ma taci, avevo solo bisogno di uscire e staccare la testa per qualche ora. Avrei chiesto anche al netturbino che passa alle quattro» ribadì. Appoggiò i piedi sul cruscotto e biascicò. «Non ti dispiace vero?»

Jungkook lasciò perdere sospirando. «Cambierebbe qualcosa se ti dicessi di sì?»
«Mhhh, no. Non credo»

E Jungkook si ritrovò a sospirare sconsolato per la sporcizia dei piedi di Soo per tutto il tempo. Quando parcheggiò glieli buttò a terra ma lei li fece tornare al loro posto.

«Soo piantala. Forza scendi che siamo arrivati»
Si guardò intorno e vide un enorme parco alberato e ricco di vegetazione agli inizi della primavera in anticipo. «Non mi chiami più ragazza delle foto?» domandò, «Mi piaceva di più sai? Mi rendeva più unica e non anonima come Soo»

«A me piace il tuo nome»

Soo scoppiò a ridere si ricordò di non far cascare il panino farcito e fritto raccattato in un fast food sulla strada. «Oddio ti prego, il mio nome? Seriamente? Viene letteralmente usato in coreano come mezzo o abilità, che enorme paradosso» gli fece notare.
Lui alzò le spalle sereno camminandole al fianco. «Hai dimenticato che viene usato anche per indicare le possibilità»

A tale risposta Soo smise di ridere non aspettandoselo. «Mi piace ancora meno»
Jungkook sorrise, «A me piace ancora di più»

«Perché lo fai» mormorò sedendosi sull'erba senza aspettarlo. «Perché fai tutto questo per una stronza come me?»

Dietro di lei Jungkook inserì le mani dentro la felpa. Sembrava che più provava ad avvicinarsi e conquistare un livello nuovo quest'ultima cacciava fuori gli artigli per scappare. Attaccava, graffiava e basta, Soo non riusciva a uccidere definitivamente una persona perché avrebbe prima ucciso se stessa.

«Un essere umano di nazionalità coreana, bello e che tu ci creda o no sono un gran ballerino, non può parlarti?-»
«Non ti ho chiesto di farti un identikit. Provi pietà per me perché l'ultima volta mi ha voltato le spalle anche l'unica persona che mi stava accanto?» ripensò alle parole di Hoseok senza accorgersene e la fame sparì ancora.

Io non voglio nessuna pietà.

Gli occhi del moro si attaccarono al verde, all'arancio e al giallo del parco. Mille fiori e mille anime camminanti vi erano fra i sentieri e lui viveva di questo.

«Per te provo tutto fuorché pietà Soo Ming-Fang. Ma se vuoi continuare a pensarlo fallo. Io rimango del mio pensiero» chissà se forse era riuscito a scalfire quel finto muro di Berlino.

Soo giocherellò con la zip della giacca e decise di giocarsi l'ultima carta per inquadrare meglio Jungkook. Se si sarebbe alzato, stanco e affranto oppure avrebbe deciso di rimanere lì ugualmente con lei, dimostrandole che provava realmente tante cose tranne che la pietà.

«Non mi conosci neanche» ribatté. Jungkook sollevò le spalle, «Allora raccontami, così rivaluterò la mia risposta e riuscirò a convincerti del contrario»

Smettila, smettila Jungkook perché questi non sono giochi da fare. Soo pensò tutto questo dopo che ebbe ricevuto una risposta forte come uno schiaffo di un figlio. Un figlio devoto e ubbiende che non toccherebbe mai il proprio albero genitrice...ma Jeon Jungkook non era un figlio. Non era un bambino. E forse nemmeno così idiota.

«Ho scoperto di soffrire di sclerosi multipla un anno e mezzo fa. Avevo sintomi banali come mal di testa o intorpidimento degli arti ma erano cose normale, ero una ballerina»

Correva, correva nonostante le lamentele dei passanti che si scansavano per farla passare. Roteava intorno ai petali dei sakura e con lei l'energia della vita.

«Ma fu un inizio simile a quello di Stephen Hawking. La sai la storia?» disse, lui ruotò il capo per guardala e prima di annuire appoggiò il meno sulla spalla.
«Più o meno, mi ricordo di Oxford-» mormorò sforzandosi di ricordare.

«Cadde davanti a tutti nei pressi del suo mondo e a me successe la medesima cosa»

Corri, più veloce. Si rammentò da sola di smettere di dormire al pomeriggio prima delle lezioni perché ogni volta arrivava in ritardo alle prove. Vide Hoseok davanti all'entrata con le braccia conserte e con una faccia di chi provava a restare serio nonostante la cosa lo divertisse tantissimo.

Quante volte ti ho detto che non devi correre così?

Non abbastanza da permetterle di sentire le caviglie bloccarsi e tremare. Non abbastanza da non sentire la testa vorticare mentre gli arti nuotavano nelle loro acque. Non abbastanza da evitare di sbattere il capo contro il cemento sotto le urla di quei passanti originariamente infastiditi e il sangue zampillare dalla tempia.

Non abbastanza per non sentire il mondo crollare sotto i piedi Hoseok.

Nessuna cosa fu abbastanza per prevedere il mio futuro.

Soo fissò i fiori davanti a sé bloccata per colpa di quel ricordo allucinante. Si toccò con l'indice e il medio la tempia ricucita da pochi punti di sutura, non sanguinava più ma a farlo era il suo cuore. Non batteva un ciglio e provocava il silenzio di una cicala nelle lontane campagne di periferie del paese.

«Nessuno dei miei amici venne a trovarmi quel giorno in ospedale, tranne i miei genitori e Hoseok, perché davano per scontato che fosse solo una cosa passeggera. Che ero sbadata e non sapevo correre come tutti gli altri...Ma sai una cosa Jungkook? Avevano ragione: io non correvo come gli altri» dopo l'amarezza riuscì a sorridere con quel panino calorico fra le mani. «Nessuno era come me»

E mai lo saranno, sussurrò Jungkook come un sibilo. Lui alzò gli occhi su di lei e Soo fece la medesima azione, un incarico infinito di vibrazioni estranee veleggiarono sui loro corpi martoriati da storie spezzate.

«Sono costretta a fare una vita fra ospedali e tremori giornalieri. Potrei avere incontinenza notturna o un giorno potrei svegliarmi cieca fino al mattino dopo, oppure qualcuno lassù dirà al mio corpo di non camminare più» disse. «Nello stanzino accanto alla mia camera c'è una sedia a rotelle. L'ospedale ha indorato la pillola motivandola come; "il tuo corpo trema come una foglia a volte, potresti farti male". Ma in realtà io so che se la mia condizione si aggravasse ancora con il passare degli anni e il mio corpo non reagisse più a questi attacchi rimarrei invalida»

Jungkook ascoltò ogni parola proveniente da quell'orrendo mondo suggellato e disturbato, quasi un cancro che si attaccava e succhiava la vita e ogni brivido provato nella vita passata. Soo aveva paura; dietro a quel finto muro di Berlino c'era una fiore talmente fragile da strapparsi dal terreno madre con un alito di vento.

Quindi ora lei chiedeva a lui un senso, sapeva tutto e poteva alzarsi dalla sedia e sparire per sempre.

«Non hai nulla da dire?» lo provocò. «Puoi alzarti e andare via»

«Oppure potrei stare qui con te fino al tramonto e guardarti mangiare quel panino grosso quanto la tua testa» le si avvicinò con il busto e appoggiò una mano al terreno come sostegno. «Non chiedermi di compatirti Soo, odio la pietà ma se vuoi mandarmi via dimmelo chiaramente e ti riporterò a casa, smetterò di infastidirti»

Soo si morsicò le labbra con gli incisivi colpita. Per non dire affondata.

Dimmelo chiaramente e uscirò dalla tua vita.

Deglutì e mormorò fra i tremori di un pianto nascosto.

«Cosa vuoi da una fallita come me?»
«Vedo tante cose in te che mi fanno sorridere Soo»
«Allora dimmene una e allora potrai restare»
«Il tuo sorriso» disse.
«Cosa? Che cos'ha il mio sorriso di tanto speciale?»

«Perché quando guardo il tuo sorriso nelle foto della palestra mi ricordi mia madre. Siete identiche. E non c'è donna più bella di lei»

Soo non si ricordò nemmeno quanto ci mise a finire quel panino grasso e fritto ma quando fece il giro di tutto il parco come due bambini, il sole toccò gli alberi e si ritrovò con la stagnola fra le mani.

Jungkook, forse, valeva veramente la pena di essere ascoltato e frequentato. E quando lei si trovava a fissare il vuoto per colpa dei tremori improvvisi lui non ci pensava due volte a tirare fuori qualche perla dal sua manuale nascosto dentro le mutande.

Soo si chiedeva come poteva esistere una persona bella e eterea come quel ragazzo e al contempo avere un cuore così grande. Perché quel cuore lo sentì bene anche la quarta volta che uscirono insieme a rintanarsi in uno dei loro millesimi parchi.

Sotto l'ombra di un salice si godevano l'ebrezza calda della mezza stagione; lui con la musica dei Foo Fighters alle orecchie e Soo con un libro appoggiato sul petto. Quando un petalo le cadde in testa con delicatezza arricciò il naso divertita e chiuse il libro per qualche minuto, poi girò il capo alla sua destra e vide Jungkook con gli occhi chiusi.

Il suo respiro era così leggero..

Ammirò le labbra sottili e schiuse, le ciglia nere e ricurve nascoste fra le ciocche scure, fino al piccolo neo sotto il labbro inferiore. Si girò su un fianco e tentennò.

Ma sorprese ugualmente sé stessa quando appoggiò il capo sopra il suo petto, all'altezza del cuore, e sentì il battito danzare più veloce al ritmò delle farfalle.

«Batte così forte...»
«Eh per fortuna, mica sono morto»
«Cretino»

Alzò la testa per levarsi ma Jungkook fu più veloce, le mise un braccio dietro le spalle e la strinse più vicino a sé. Le sue labbra sfiorarono la tempia cicatrizzata e ci sussurrò sopra respirando il suo profumo.

«Non muoverti, ti prego. Mi piace sentirti così vicina»

Soo strabuzzò gli occhi e non poté fare a meno di arrossire brutalmente con il viso nascosto sopra quel corpo forte e tonico. Non si mosse più e accantonò il libro sull'erba per posizionare un braccio vicino al suo collo mandando al diavolo ogni regola imposta dalla società sul contatto fisico. Ma Jungkook e Soo vivevano oltre gli schemi; si abbracciavano senza un perché ma il lato meraviglioso dell'inaspettato era proprio questo.

Correvano entrambi come nessuno aveva mai fatto prima.

«Quindi sei interessato a me perché assomiglio a tua madre?» domandò di getto agitata. Sentì Jungkook aprire gli occhi e ridere come un idiota. «Detto così sembra un fottuto incesto Soo»
«Che colpa ne ho io se non sai spiegarti! Non hai approfondito e volevo assicurarmi che non avessi quei kink strani e psicopatici»

Il moro si stropicciò gli occhi senza mai smettere di ridere. Sguainò risate a bocca aperta, forti e rumorose da infastidire l'unica coppia di anziani presente nei dintorni sotto quell'ora insolita per passeggiare.

«Okay che sono strano ma non fino a questi livelli, è agghiacciante» si spiegò. «Quando dico che avete lo stesso sorriso sono sincero. Sono entrato al centro di danza quasi un anno fa perché Hoseok mi aveva convinto dopo tre birre e una scommessa. Ballavo da quando avevo quattro anni ma poi ho...ho smesso perché non credevo più a niente» i capelli rimasero intrecciati fra le lunghe dita del moro.

Parlava e guardava in alto senza mai smettere. Si domandò se toccasse a lui rendere partecipare Soo della sua vita ma per farlo non poteva guardarla negli occhi.

«Le cose non succedono mai per caso»

Mormorarono insieme.

«Dopo quella scommessa misi piede lì dentro e mi sembrò vuoto e grigio come posto. Hoseok diceva che prima di quel bianco quella sala pullulava di colori e imprecava ogni volta che i petali dei sakura entravano dalla porta sporcando il pavimento appena lavato»

Soo rise e si passò la manica della felpa sugli occhi per asciugarsi le lacrime. Gli occhi rossi ma ridenti guardavano il cielo insieme a Jungkook. Perché capiva ogni frase avendola vissuta appieno in ciò che è già stato.

E quel colore, quei sakura sbarazzini, che provocavano quel dolce fastidio...non poteva che essere lei.

Lui continuò a raccontare come un vecchio cantastorie. «E quando pensai di andarmene da quella scatola grigia qualcosa catturò la mia attenzione. Un millesimo di secondo. Tanto breve quanto lungo per vederti appesa sul muro con quel sorriso e la tua maglietta rosa, felice, entusiasta, innamorata della vita sopra a quel palco»

Tanto breve quanto lungo da farmi cambiare idea e ritrovare quel colore in mezzo a quel grigio.

«Ho ricominciato a ballare e da allora non mi perdo una lezione. Le gare non mi interessano, mi basta staccare la testa per tre ore alla settimana» riuscì ad abbassare lo sguardo e vide Soo piangere in silenzio. «Quindi...mi stai dicendo che è solo grazie a me -ad una sconosciuta che hai visto in una foto- se hai ricominciato a vivere? Questa l'hai tirata fuori dal manuale?» disse non credendogli.

«Quando tocchi il fondo ti appigli a qualsiasi cosa Soo. Io smisi di ballare cinque anni fa. Ai sintomi più gravi della malattia di mia madre»

Soo alzò la testa strofinando la tempia sul petto per guardarlo allibita, rimase senza parole non aspettandosi questa rivelazione. Eppure non lo trovò amareggiato, al contrario la fissava come se fosse la cosa più bella del mondo.

«Lei è...» tremò. Lui scosse la testa e negò. «È viva, soffre di distrofia muscolare e ora è quasi del tutto invalida. Odio la pietà perché so che cosa si prova a riceverla»

Le piccole braccia di Soo naufragarono fino a circondargli il collo come una collana di perle. Premette la fronte contro il suo collo e scoppiò a piangere davanti a lui per la prima volta. Niente lacrime trattenute o picchi d'orgoglio per quell'attimo. Ma solo battiti sincronizzati e scambi di abbracci.

Con la voce spaccata e soffocata dagli indumenti del moro sussurrò mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace e mi dispiace. Le dispiaceva di non essere forte da non superare nemmeno un quarto del casino che aveva in testa.

Era così stanca di combattere e sanguinare per quel finto muro di Berlino che le provocava solo emorragie. Perché quel fiore sensibile che nascondeva aveva la forza di vivere e lottare, non sarebbe stato spazzato via dal vento se solo con l'avesse curato con la stessa forza di quel muro.

«Ti prego non piangere. Lei sta bene ora e sorride, se lei sorride io sorrido. Se tu sorridi io sorrido»

Alzò la punta calda del naso inesistente allineandosi dal basso. Gli massaggiò i capelli neri, rasati ai lati, sfiorò i piercing sulle orecchie e lo avvicinò con cura contro di sé.

«Odio il tuo stupido manuale»
«Tu odi il mio stupido manuale tanto quanto io odio il tuo sorriso, Soo Ming-Fang»

Finalmente lui rivide quel sorriso e lei i suoi bellissimi occhi marroni. Poi lui senza più aspettare le afferrò le guance per rubarle le sue labbra sotto quel salice piangente. Rubò quel bacio senza mai staccarsi dal quella morbidezza nelle fattezze di donna. Soo finalmente si sentì bene, dopo tanto tempo...si sentì bene.

Le farfalle volarono dopo aver squarciato la dura crisalide e raggiunsero il Sole nel blu del cielo, perché quello fu un bacio sentito, voluto e cercato. Le mani di entrambi sfiorarono le pelli ai lati dei loro occhi scuri e inebriati dei loro sapori unici si sentirono come due parallele, le quali dopo anni luce di viaggi e buchi neri si toccarono planando su sé stesse fino a collidere e sparire fra le stelle.

Ora soli, senza più nessun occhio critico nei meandri di quel salice si scambiarono il loro primo ricordo. E Jungkook la strinse più vicino al suo corpo sfiorandole con passione la schiena e la vita come se avesse paura che quel bene potesse scomparire all'improvviso.

Fra le loro lingue gemelle e calde e i cuori scalpitanti si sentirono bene.


«Okay ho cambiato idea, andiamo a mangiare fuori?» chiese con voce acuta. «Sei una caga sotto Soo, sarà solo una stupida cena con mia madre. Abbiamo persino ordinato del cibo d'asporto non capisco che problemi ti fai»

Soo, coperta da con giacchetta di pelle oversize e una gonna corta, fece schioccare la lingua fulminandolo dal sedile passeggero. «Infatti tu sei cosi tanto uomo no? Così coraggioso che quando mi ficcavi la lingua in gola davanti a casa ti si sono atrofizzate le palle non appena hai visto rincasare mio padre»

«Quello è un altro discorso!»

Soo sogghignò, «Cazzate»
«Prima dovrei presentarmi a tuo padre e non scoparmi la figlia sul cofano davanti a lui!» insistette arrampicandosi sugli specchi.
«Ci stavamo solamente baciando Jungkook! Non appena sei sbiancato mio padre è scoppiato a ridere ed è entrato in casa come se nulla fosse»

Al solo ricordo di quell'uomo austero, con un sigaro cubano in mezzo ai baffetti grigi e un ghigno simile a quello della figlia, Jungkook rabbrividì come una sega. Si frequentavano da più di tre settimane e per fatalità del destino -o meglio, per colpa dei loro baci troppo lunghi- arrivarono a casa Ming-Fang con mezz'ora di ritardo e furono beccati in pieno dal padre.

Inutile dire che quando il padre lo comunicò alla moglie quest'ultima si appiattì contro la finestra del primo piano a spirali.

«Andiamo Hae, lasciali stare»
«Shhh! Ahh, mia figlia si è trovata un modello!»

Un modello cagasotto mamma, pensò al presente con la testa appoggiata sul finestrino. Jungkook la vide sorridere fra i suoi pensieri e le appoggiò una mano sopra alla sua coscia nuda, Soo rabbrividì.

«Prenderai freddo»
«Non iniziare, a meno che casa tua non sia costruita su un ghiacciaio non hai scusanti per obbiettare il mio abbigliamento» esordì ammiccando, accavallò le gambe scoprendo la pelle. A quella vista Jungkook provò a non schiantarsi contro la corsia opposta o a non creare omicidi sopra le strisce pedonali.

Lo faceva apposta.

«Quanto vorrei che fosse costruita su un ghiacciaio»

Dopodiché nessuno parlò più, Soo strinse solamente la grande mano del moro e la trascinò sopra il suo grembo. Le braccia avevano preso a tremarle e Jungkook una volta le disse che per non affrontare da sola le sue paure doveva prendergli la mano e stringerla.

Più forte era il dolore e più lui l'avrebbe stretta e sussurrato quanto fosse bella con le sue crepe. E quando questo accadeva i suoi sguardi si incrociavano ogni volta senza spiegarsi. Perché non sempre c'era bisogno di dare un senso a quello che non si capiva.

Il bello dell'indecifrabilità era proprio quello.

La sottile quiete e i tormenti negli stomaci.

E quando Jungkook parcheggiò davanti ad una casa piccola ma accogliente, a pochi isolati da quella di Soo, una certa ansia fece da padrona.

«Se vuoi rimando la cena, non mi piace vederti stare male per i tuoi problemi figuriamoci per queste cazzate. Andiamo a mangiare fuori» disse Jungkook sospirando. Soo spalancò gli occhi e negò con la testa. «Non dire cagate Jungkook, non puoi bidonare tua madre così. Sono semplicemente in ansia ma è nomale» aprì lo sportello per uscire dalla Hyundai, «Forza scendi prima che cambi idea e faccia la maleducata» sorrise ammiccando.

«Ti dona l'aura da cattiva ragazza» sussurrò abbassando la voce e superarla per aprire la porta, ma prima allungò una mano e schiaffeggiò il culo stretto dalla gonna di Soo. Questa saltò non aspettandoselo. Vide le spalle del titano tremare dalle risate e lo riempì di pugni su quella schiena ampia e muscolosa.

«Fallo ancora e ti stacco il cazzo»
«Vuoi tagliarmelo ancora prima di provarlo?»

Ma Soo non fece in tempo a rispondere a quella faccia da culo perché la porta si aprì e l'idiota si fiondò dentro al riparo. La mora si lisciò i capelli sospirando e fra i borbottii si levò le scarpe da sola. Afferrando poi delle ciabatte sempre da sola.

Fanculo e strozzati con il cinese.

Da uno stipite spuntò la vistosa chioma di Jungkook con il suo naso arricciato, non appena la vide le disse: «lascia pure la borsa e il cappotto lì, dopo porto tutto in camera via»

«Va bene» borbottò avvicinandosi timorosa. Si affacciò e vide già tutte le buste del cibo d'asporto sul tavolo. In caso di ritirata sarebbe stato impossibile andarsene visto che il fattorino era stato più che in orario.

«Mamma lei è Soo, Soo lei è-»

«La donna che continua a sopportarti»

Jia si sporse oltre la cucina che divideva il salotto con il grande tavolo da pranzo e salutò con un enorme sorriso i due giovani. E quel sorriso splendente folgorò il dolce cuore di Soo.

«Non state lì impalati e mettetevi a sedere, io vi raggiungo appena finisco di dare il cibo a Rio» esordì la donna di mezza età con le piccole rughette intorno agli occhi color cioccolato. «S-Si» balbettò la nuova arrivata e nel mentre trascinò la sedia sul pavimento sussurrò a Jungkook. «Rio? Chi è?»

Il moro scrollò le spalle, troppo occupato a spartire il cibo fra i piatti.

«È il gatto secolare di mia madre. Avrà centocinquanta anni quel gattaccio ed è più agile di me, ancora non è schiattato» mormorò. Odiava i peli che quel gatto spelacchiato lasciava sul divano.
«Guarda che ti sento!» urlò Jia dall'altra sala.
«Che culo..» rispose retorico.

E Soo, fra quelle risate soffocate, si appuntò dell'immensa passione che Jungkook aveva per i gatti pelosi. Oh si, si sarebbe vendicata a dovere.

«Ora che anche Rio è sistemato non ci resta che mangiare, ho una fame..» Jia si presentò in stanza con una grossa sedia a rotelle metallizzata. Si spostava con le braccia ma lo sforzo e il dolore che aveva sugli avambracci era ben visibile a occhio nudo.

«Perché non mi chiami e chiedi aiuto invece di fare di testa tua?», Jungkook si alzò irritato e spinse la carrozzina verso l'angolo del tavolo privo di sedia. A quella scena Soo deglutì.
«Sei esagerato Jungkook, non morirò facendo due metri di strada da sola» gli dissi ammonendolo guardandolo dal basso. Ma il figlio pensava solamente ad inserire il freno e finire di apparecchiare per lei.

Jia fece finta di nulla e sorrise ancora una volta a Soo. «Kookie mi aveva detto che eri molto bella ma non pensavo così tanto! Complimenti» disse con premura facendole un inchino con il capo.
«Ah-h si..cioè no, aspetta. Kookie?» domandò tappandosi la bocca per non scoppiare a ridere.

«Si Soo! Jungkook non ti ha mai detto che nella sua famiglia si fa chiamare Kookie?» domandò cercando di non ridere.
«N-No, scusami ma non riesco a non ridere» e scoppiò a quel nomignolo piccolo e bambinesco per un metallaro che si portava un pacco di durex nel fondo della radio dentro la Hyundai.
«Cazzo! C'era un motivo se non gliel'ho detto, non credi mamma?!» alzò la voce imbarazzato tornando nel mondo dei vivi.

«Dai Kookie, vieni a mangiare» sibilò come un serpente Soo indicando il posto accanto a lei.

Forse Jungkook avrebbe fatto meglio a fare retro front e mangiare in un posto sperduto a Daegu.

Ma fra risate e prese in giro passò tutto liscio come l'olio. Ci fu una punta dolce e amara quando Jia tirò fuori dal suo book fotografico, ricoperto dalla polvere, tutte le foto di Jungkook dall'età di tre anni in su. Notando che non ci fosse nessuna foto della nascita del suo quasi ragazzo domandò ingenuamente se ci fossero immagini imbarazzanti di lui appena nato. Fortunatamente per lei, Jungkook si era dileguato minuti prima in bagno per evitare quella tortura infernale.

Jia a quella domanda non staccò mai gli occhi da quel bimbo con la maglietta rossa di spiderman e un pantaloncino blu. Accarezzò il bordo ingiallito dal tempo.

«Non ci sono foto di Jungkook prima dei tre anni perché è stato adottato» disse.
«Oh, mi dispiace...io», tentennò con l'affanno. «Non so mai quando tenere la bocca chiusa»

Smise di respirare scoprendo un'altra grossa voragine del ragazzo per il quale cominciava a provare molto di più che semplice affetto e attrazione sessuale. Finiva con il mancargli ogni volta che la riportava a casa o ad ogni bacio interrotto dal mondo esterno.

L'amava, o almeno doveva ancora impararlo a fare.

«Non raccontarlo come se fosse un'angoscia per me, Jungkook è una benedizione», Jia glielo disse tranquillamente, suo figlio ne avrebbe parlato con il tempo ma vedeva in Soo un porto sicuro. Parlargliene avrebbe fatto bene ad entrambi.

«Io e suo padre sapevamo già della mia malattia e la mia alta trasmissibilità verso dei figli, quindi abbiamo deciso di non rischiare. La...distrofia muscolare non è facile, è un incubo, e non avrei mai voluto far provare a mio figlio quello che ho passato io nella mia vita»

Senza rimorsi allungò una mano verso quel bambino e capì. Nemmeno lei avrebbe voluto il suo male per suo figlio ed era sicura che sua madre pensava la stessa cosa. Comprendeva che quel fiato sul collo che le provocava sua madre era solo terrore, soffriva e dentro la sua camera si sarebbe data colpe su colpe per la sclerosi multipla.

Colpe di cui nessuno aveva in realtà, ma l'uomo era solamente obbligato a portare la malformazione di una vita fino alla propria morte.

«Non mi pento di nulla»
«Ha fatto quello che riteneva giusto, Jungkook è un uomo meraviglioso e io la ringrazio per averlo abbracciato al mondo. Dandogli una speranza e amore» la confortò sfiorandole una spalla. «Senza di lei ora non sarebbe ciò che è diventato»

Senza quella donna Jungkook non avrebbe visto il sole oltre le mura di un anonimo orfanotrofio sud coreano. Non avrebbe capito cos'è il rispetto per il prossimo o come toccare una donna e vedere in lei i difetti più belli. Forse l'avrebbe imparato lo stesso...

O forse no.

«Mentirei se ti dicessi che non è stato difficile per lui. Ha uno strano modo di affrontare il suo passato, bisogna prendere con le pinze quello che dice ma-»

Non riuscirono più a parlare dell'argomento, si zittirono appena sentirono i passi del titano farsi più vicini e blaterare di quanto fosse fastidiosa e umiliante quella raccolta di vecchie foto. E Jia, con gli occhi rossi, scoppiò a ridere e Soo la seguì liberatoria. Entrambi i sorrisi si allinearono e per Jungkook quel momento fu come raggiungere un Nirvana emblematico.

«Voi due insieme siete pericolose» disse aspramente finendo per afferrare la mano del suo raggio di sole e condurla fra le sue braccia.

«Vieni di sopra con me?» le sussurrò sfiorandole i capelli con le dita. Le guance diventarono rosse e si sentì come una quindicenne davanti alle sue prime volte.
«Non hai appena detto che sono pericolosa?»
La strinse maggiormente. «Motivo in più per tenerti d'occhio»

Certo, pensò beffardamente Soo, tenermi d'occhio con la faccia spalmata sul cuscino e il tuo cazzo in mezzo alle cosce.

Allora annuì e Jungkook si sporse oltre la spalla della più piccola e guardò Jia. «Appena hai bisogno di qualcosa chiamami, non fare la stupida orgogliosa». La donna dal caschetto corto ruotò gli al cielo facendo finta di non ascoltarlo, afferrò il telecomando e accese la tv. «Jungkook, sta zitto e vai in camera» lo zittì sotto lo sguardo divertito di Soo.

«Guarda che sono serio» ringhiò.

«Anche io sono seria, alla tua età non sprecavo il sabato sera per parlare con mia madre» Jungkook venne freddato e dopo l'esplicita allusione di Jia finse un conato di vomito. Che schifo, non voglio sapere nulla, borbottò incamminandosi con la ragazza al suo fianco.

«Tua madre è una sagoma, i miei non mi permetterebbero mai di portare un ragazzo in camera. Sono i tipici coreani» a quella notizia Jungkook storse il naso.
«Mia madre è fin troppo esplicita»
«Secondo me esageri» disse. «Meglio lei di mia madre che si affaccia alla finestra non credi?»
Jungkook sospirò e gli venne in mente un terribile ricordo all'alba dei suoi sedici anni.

«Preferisco essere fissato dalla finestra. Avevo sedici anni quando entrò in camera mia con i panni puliti trovandomi davanti al computer a guardarmi la top ten dei link porno» confessò. «Sai che cosa mi ha detto? Di non stare curvo con la schiena perché sennò mi sarebbe venuta la gobba-»

Piegata dalle risate, Soo, si appoggiò alla porta della camera del moro. «Asp-Aspetta, vuoi dirmi che ti ha trovato con-con le mani nelle mutande e-» un grugnito soffocato, come quello di un maiale, fuoriuscì dal suo naso. «Stai zitta. Non infierire, sono stato segnato a vita per questa cosa»

«Così impari a segarti sui porno, marmocchio»

Jungkook le aprì la camera con un ghigno malizioso, «È gelosia la tua?» mentre lei camminò ispezionando quella grossa stanza con un enorme letto matrimoniale bianco e blue nel centro.
«Oh no, io ho fatto di peggio» disse con tranquillità.
Le fissò la silhouette longilinea e si intrappolò un labbro fra i denti. «Non avevo dubbi»

Fissava i numerosi poster musicali dai soliti colori scuri; neri, grigi e rossi. Era veramente una bella stanza e nonostante la casa di dimensioni modeste si percepiva ugualmente un certo benessere economico.

«È molto bella, mi aspettavo più catene e teschi davanti alle porte da parte tua. Questa normalità stona con il tuo essere» enunciò sedendosi ai piedi del letto. Lui incrociò le braccia e inarcò un sopracciglio. «Ho ventiquattro anni razza di nana rompi palle, non quattordici»
«Io ne ho ventuno e se ho voglia di attaccare i teschi davanti alla mia camera lo faccio. Punto» mormorò offesa.

Si buttò all'indietro e cadde come una stella cadente. I capelli si sparsero per tutto il copriletto e chiuse gli occhi sfinita.

«Ti gira la testa?». Grugnì piano in segno d'assenso. «Mi succede sempre quando mi agito in tarda giornata, non ho un fisico forte» disse amara.

Bastava vedere le sue gambe magre e sottili come canne di bambù per avvilirsi maggiormente. Ripensò a quando venne ricoverata per le prime cecità e le gambe gonfie, con l'unica soluzione di tante fiale di cortisone e passava dall'ingrossarsi a dimagrire come il tempo variabile di un'isola.

Ora con le nuove cure si sentiva stabilizzata ma il contesto e la sua lotta contro la depressione giocava a freccette con le fame. Ma poi guardava negli occhi il suo titano ballerino e spariva tutto quel macello fatto di spine e burroni.

Strisciò i piedi scalzi sul pavimento e si calò vicino a lei per stringerla, la fece alzare la testa e l'accoccolò sul suo collo, con la mano le afferrò il fianco per agganciarle la bianca gamba dietro la sua schiena e la gonna si alzò appena. Non ci fece caso e guardò solo lei ignorando quella carnale tentazione.

Soo si morsicchiò la guancia dal dentro e si torturò le mani indecisa.

«È tutto apposto? Sto...correndo troppo?» domandò preoccupato. «Eh? No! Assolutamente, mi piace quando mi tocchi, lo sai. Stavo solo pensando a una cosa» tentennò. Lui socchiuse gli occhi dubbioso.
«Hai voglia di parlarne?»

Fece un rigido sorriso, dovrei chiedetelo io questo.

«So che ci frequentiamo da un mese ma perché non mi hai detto nulla di te?» ci girò attorno. «In che senso? Ti avevo già detto del problema di mia madre» mormorò schiudendo gli occhi.
«Non mi riferivo a quello»
«Allora a cosa?»
«Jungkook...», abbassò lo sguardo. «Niente lascia stare»

Stufo si agganciò alle sue guance con entrambe le mani a mezza luna. Da bambino quando non riusciva ad affrontare un problema si immergeva la faccia fra le mani per paralizzassi. Serviva a calmare il battito accelerato per l'ansia come una scarica di adrenalina spicciola.

«Dillo e basta» insistette preoccupato.
Soo per farlo poteva solo sprofondare in mezzo al materasso e alla pelle abbronzata dell'uomo e staccare la spina.

«Perché non mi hai raccontato nulla di quando eri bambino?»

Restò in silenzio e smise di massaggiarle la schiena, un ronzio si frappose fra i suoi pensieri scoordinati e bui. Aveva capito che Jia le aveva detto tutto quanto e Jungkook se lo sentiva, per questo decise di scappare in bagno e sciacquarsi i polsi con l'acqua gelida. La pressione tornò poco dopo aver visto se stesso debole, fragile e sgonfio allo specchio.

«Cosa vuoi sapere?» asserì assente.
«Niente, non voglio sapere nulla Jungkook» lo tranquillizzò.
«I tuoi occhi dicono l'esatto contrario» fece un lungo respiro e guardò il soffitto fatto di finte stelle. «Ma lo capisco, la curiosità c'è»
«Curiosità? Jungkook c'è differenza fra una vera e reale preoccupazione per una cosa così difficile, non scambiare le mie emozioni per una curiosità superficiale. Quando tua madre me l'ha detto ho avuto un groppo al cuore»

Riprese a girarsi sul fianco e la guardò leggero. «Quella che sento è per caso della pietà, Min-Fang?» La faccia di Soo si bloccò scioccata. Realizzò. Vide della sottile ironia e la voglia di scherzare, alleggerire quella pesante aria con i tasselli dei loro vecchi momenti.

«Pietà? Non conosco il significato di questa parola» strisciò un dito sopra il petto scolpito, giocò con le pieghe del tessuto ed esse richiamavano il mare in tempesta dei libri d'avventura.

Le stoppò la mano spingendola verso di sé intrappolandola in un bacio dal dolce sapore caldo e viziato. Ancora e ancora, per quella sera le parole non erano state ammesse e per Soo Min-Fang e per Jeon Jungkook andava bene così. Perché lui non aveva fretta e lei aveva voglia solo di lui, di vivere quel frammento -nuovo di tanti altri- il più allungo possibile.

Cosa fai, masticò verso il cielo quando Soo si staccò da quel bacio fatale per posarle sul suo collo come uno spirito libero. Donna vissuta, diversa dalle altre sempre alla ricerca di uno stile principesco e lei, se voleva fare sesso o strapparsi la maglietta e girare nuda per il mondo, l'avrebbe fatto in segno della sua totale libertà, non per assaggiare l'appendice di un principe.

Morse la pelle e leccò le lunghe clavicole sopra al petto. «Per questa sera facciamo parlare il silenzio» disse boccheggiando alla ricerca di aria, con un filo di saliva incorniciato sui boccioli rosa. «Esistiamo solo io e te; due emeriti imbecilli problematici con la voglia di giocare a tris sui propri polsi, si ride...»

«Si piange»
«Si bacia»

Stai capendo.

Risero e Soo salì sopra al grembo tassellato di muscoli e si chinò con i capelli spaccati a metà dei lati del collo. Colorano giù e ricordarono le liane bagnate dell'Amazonia sopra al suo Rio, continuò a ridere mentre il suo bacino si incollò come le vittime statue di Medusa. Trovò mille terminologie antiche per assaporare quel momento.

L'altro si piegò alzandosi e fu un faccia a faccia documentato dagli affanni e lingue sghembe.
«Ci sentirà», parlò quando Jungkook si inoltrò sotto la felpa ormai semi alzata. Ma sembrò non sentirla dalla troppa foga, alla ricerca del suo fiore e il corpo morbido e piccolo di Soo venne intriso di sentieri.

«Non lo farà»
«Come fai ad esserne così sicuro?» domandò imbarazzata.
«A quest'ora alza il volume della televisione al massimo per guardarsi le repliche di Kleun Cheewit fino a tarda notte. Sa che ci sei tu, quindi diventerà sorda» dichiarò facendola atterrare sul materasso e creare un ponte coi bicipiti. A quelle vene prorompenti Soo deglutì. «Che caso strano, anche mia madre quella guarda serie» smorzò.

Mmh, mormorò in risposta. Si sollevò da quel campo di fiori e tolse la felpa divenuta troppo appiccicosa sul suo corpo. Fu un invito a Soo; guardami, fai quello che vuoi.

E vide quella persona lontana dai suoi punkjogger, dal catene anni 90', senza il cappello da pescatore e l'aura da cattivo ragazzo intorno a sé. La sua pelle color ambra risaltava maggiormente i visibilissimi muscoli tonici e sviluppati del titano e si leccò involontariamente le labbra quando osservò il trapezio del collo, così in tensione e forte come un toro.

«È da quando ti ho vista farti i cazzi tuoi in palestra che desideravo fotterti» sogghignò.
Lei si tolse i capelli dal collo. «Credi che non abbia mai visto il tuo cazzo premere sui pantaloni la prima volta che ci siamo baciati?» ridacchiò levandosi i suoi vestiti. «Al contrario, si gonfiava perché era consapevole che lo guardavi» tirò fuori una delle sue stronzate.

Trovavano il modo di ridere anche nelle occasioni più assurde e paradossali.

E quando Soo sentì freddo -bramando le soffici lenzuola del corredo blu e bianco- si inoltrò piccola sotto le coperte non facendosi mancare il coraggio di toccare quello che stava diventando suo. Jungkook la lasciò fare, era uno spirito libero e a lui questo lo faceva impazzire.

Soffocò altre risate quando rimasero le ciocche ebano incagliate ai bottoni dei jeans sotto la cinta. Pantaloni di merda, disse. Questi pantaloni costano più della mia macchina, non osare offenderli, esordì roco e volubile sotto le carezze degli angeli.
Lo prese in bocca accogliendolo con del calore, aveva paura perché era da troppo tempo che non faceva sesso. Più lo ripeteva e più le difficoltà l'attanagliavano ma i mugolii multipli e strozzati del moro schiarirono ogni ombra.

Graffiò i fianchi stretti del moro con le unghie e si aggrappò senza mai lasciarlo. Stanchi di aspettare ancora, stanchi dei problemi e del passato si aggrovigliarono fra le federe con ponderose spinte. Scivolò dentro la carne bianca e pura con il capezzolo destro fra i denti. Lo tirava. Senza smettere di ondeggiare sui fianchi ignorando lo stridio ruvido del contraccettivo.

E lei, Soo, aveva gli occhi spaccati contro il cielo bianco panna della stanza. L'unico bianco che avrebbe permesso di far vivere nei suoi ricordi e alle sue iridi nere. L'unico bianco capace di renderla giustizia e allontanarla dall'ospizio mentale, prendeva il volo fino a ritrovarsi sopra il mare blu -il letto aggrovigliato- e farsi riempire di acqua dolce dall'oceano divino.

Si aggrappava alla realtà con le unghie, scorticando le spalle possenti e tornite dell'uomo che non l'avrebbe mai abbandonata.

«Sono un casino» lo pregò, «Ma non lasciarmi cadere»

Ancora non sapeva che sopra al cornicione con le sue ginocchia in bilico c'era Jungkook ad aspettarla sotto di lei e non dall'alto. Non l'avrebbe trascinata e appesa al suo destino, ma l'avrebbe presa e accolta come un frutto di un pesco.

E prima di esalare i loro ultimi respiri con le bocche aperte, appicciate dal sudore e l'odore del sesso fra i capelli, lui le baciò la schiena arcuata e felina. Raggiunse la guancia appoggiata al cuscino della donna prossima all'orgasmo e attaccò la sua completando la forma della mela di Platone. Si beò dei gemiti provocati dalle spinte più vigorose e furenti e quando Jungkook venne dietro di lei -con le mani grosse e venose strette fra i lunghi capelli color ebano di Soo- non si sentì vuoto e perso come ad ogni scopata occasionale.

Si sentiva vivo e ne voleva ancora, lei uguale a lui come due animali della stessa specie. Trascinata dal suo orgasmo si gustò le pulsazioni che scendevano nel mezzo delle sue gambe, si girò come un gatto e lo vide bello come non mai.

Con le ginocchia puntate sul materasso, i capelli umidi, gli occhi schiusi e più neri del solito, la pelle oro e una mano intorno al suo sesso per darsi un controllo.

«Non voglio che ti controlli con me. Io non lo farei mai ma forse non ci riuscirei» tremante, sudata e vogliosa imitò la sua postura. «Sei così bello Jungkook. Bello, bello, bello..» finirono in un mugugno d'amore, toccò quelle labbra maschili e dentro la sua testa recitò ogni canzone dei Cigarette After Sex.

Reggiti, disse lui, perché non ti lascio cadere.

Nei meandri della notte soffocata dalla tenue luce della bajour a pochi centimetri dalla tempia di Soo, quest'ultima si alzò con l'arido in gola. Acqua, assolutamente doveva bere dell'acqua e sfortunatamente il bambinone troppo cresciuto, il quale allacciava la sua vita con estrema possessione, non era munito di borracce nella stanza.

Alzarsi e scendere le scale per lei fu facile; Jungkook aveva il sonno pensate quanto quello di orso in letargo. Ma data l'ora medio-tarda gli avrebbe dato un altro po' di tempo per sonnecchiare prima di doverlo buttare giù dal letto e riportarla a casa. Se avrebbe opposto resistenza si sarebbe giocata la carta di suo padre.

Pensò di essere sola nel salotto a mezzanotte eppure non fu così. Jia guardava le stelle oltre la modesta finestra, mentre in sottofondo c'era solo un tenue ronzio del telegiornale notturno. Aveva l'aria di chi pensava e viaggiava fra i boschi più verdi del pianeta, però poi si fermava e sentiva solo l'aria sotto i piedi sospesi dal ferro della sedia a rotelle.

Entrambi si accorsero l'una dell'altra a tempo debito e Jia le sussurrò se stesse bene mentre coccolava Rio sul ventre. Annuì e chiese timidamente dell'acqua.

«Jungkook si dimentica sempre di bere. Che figlio scemo, arriverà alla soglia dei trent'anni con le note sull'iPhone a ricordargli di respirare» si lagnò giocosamente. «Ora che ci penso l'ho visto mangiarsi chili di dolci senza bere per ore. Ma come diavolo fa..» borbottò dandole ragione.

«Perché non ti siedi un po' qui con me? A quest'ora dovrebbe dormire come un sasso, ti consiglio di svegliarlo fra mezz'ora» sospirò nascondendo un sorriso, «È come un bambino»
«Un bambino gigante» disse assecondandola e accettò l'invito accanto ad una piccola sedia irremovibile e quello era il posto di Jungkook accanto a sua madre.

Fin da bambino le prendeva la mano e guardavano insieme le stelle alle ore più assurde nei momenti più soli. I viaggi del signor Jeon da Seoul a Tokyo aumentarono anno dopo anno e portò ad un divorzio di pace e secondo Jungkook, quello strano amore fra i due genitori nonostante i tormenti, le liti, la gelosia e i pianti silenti mentre Jia lavava i pianti, non era mai terminato.

E sperava, sopra a quella sedia ora troppo bassa per le sue gambe da uomo, che quell'amore sarebbe ritornato più forte di prima. Con le mani di entrambi i genitori ad afferrare le sue in una piccola altalena come il giorno in cui uscì dall'orfanotrofio.

Jia, nel mentre coccolò l'ispido pelo di Rio, avvertì le medesime fitte alle abbraccia con la differenza che mano a mano quel dolore si prolungava a lungo andare. Dalle spalle, alle dita delle mani. E quel mancamento Soo lo vide, si accorse del groppo di saliva che racchiudeva dentro la gola ogni tot di minuti e riconobbe le occhiaie sotto gli occhi color nocciola.

«Sei forte» glielo disse informale senza pensare, la voce si incrinò e spostò il viso verso la luna per nascondere il lucido negli occhi. «Più di quanto io non riesca ad essere»

«Lo sei anche tu». Il gatto si scrollò e scese dal grembo.
Sorrise amara. «Credo che sia tutta una finzione. Prima di conoscere Jungkook stavo pagando a modo mio gli errori che ho commesso in passato, ma se un giorno lui non dovesse esserci più finirei per pagare definitivamente quella tassa»

Jia l'ascoltava e a Soo le sembrò di parlare indirettamente con sua madre. Non le diceva per compiacere se stessa o le sue paure "andrà tutto bene" come faceva ogni volta. Lei aveva negli occhi l'ombra di chi soffriva e teneva fra le mani una clessidra troppo corta e contorta.

«Sai..» gracchiò pronta, «Quando ho scoperto della mia malattia volevo farla finita subito, rammentavo a me stessa "perché diavolo dovrei morire come un'invalida che non riuscirà nemmeno a farsi un bidet da sola" però poi-»

Succede per caso, quando non la cerchi lei -la motivazione- troverà te.

«Poi un giorno quando iniziai la terapia mi fermai un secondo a guardare quello che avevo davanti a me. Come un vecchio cinema anni 50' con le le pellicole incollate una dietro l'altra, e quello che vidi fu una bambina che correva spensierata e saltava fra le margherite di Namyangju fino alla me donna che promuoveva la sua nuova laurea in scienze politiche. Solo allora mi sono resa conto che cercavo qualcosa che già avevo»

Soo smise di guardare in alto nel cielo e respirò con la bocca schiusa.

«E ce l'hai anche tu Soo» disse.
Si raccolse le gambe al petto. «Cosa mi rende così cieca Jia? Cosa rende avari i miei occhi e il mio cervello malato per non vedere quello che c'è davanti a me?» domandò acre.
«A volte chi è malato tende a fare questo comune errore Soo, aspettiamo di tornare a vivere mentre lo stiamo già facendo, siamo qui, non siamo morti»

Viviamola così, la vita, con la nostra arte; l'arte di essere fragili. Perché la fragilità permette di percepire l'infinito e la vulnerabilità è l'arma più potente che Dio, Allah, Buddha o la stessa scienza potesse costruire.

Non fermò le lacrime, si sentì piccola di fronte a così tanta saggezza. Una reazione naturale alla quale non poteva sottrarsi; non c'erano scuse, solo verità.

Con la mano nuda si pulì il viso e aprì sempre di più il suo cuore. Dillo come ti senti. «Arrivo ad odiarmi perché penso "chi ci può più prendere sul serio con i nostri tremori, l'incontinenza degradante, i vuoti di memoria e le nostre fottute sedie a rotelle." Cazzo! Chi ci può più prendere sul serio quando siamo così distanti e lontane da ciò che eravamo. Perché lo schiaffo in faccia arriva, la percezione cambia; la nostra e quella degli altri» crollò e sperò con tutta sé stessa di non svegliare il suo ragazzo al piano superiore.

Ma Jungkook era già sveglio, stava solo rannicchiato contro il muro all'inizio delle scale con le ciocche attaccate agli occhi colmi di lacrime. Non l'avrebbe mai interrotta nell'unico momento della sua vita dove si stava finalmente aprendo con qualcuno. Solo sua madre poteva parlarle e capirla, lui l'avrebbe appoggiata da lì come uno spiffero custode.

Mosse la sedia a rotelle e Jia si avvicinò per abbracciarla come una figlia. Immaginò di avere Jungkook così giovane e malato a piangere sul suo grembo.

Le disse di aprire gli occhi perché era troppo bella per piangere.

«Fai capire a chi ti guarda come una malata che oltre a questo c'è altro, fagli capire che non stai soffrendo. E anche se stai soffrendo urla che fra le lacrime stai continuando a lottare, battendoti per stare a contatto con quello che eravamo. Siamo ancora vive, abbiamo delle cose che amiamo profondamente. Abbiamo persone che amiamo con tutte noi stesse»

E quella notte Soo pianse ancora, ma in modo diverso da quando era bambina e altrettanto unico. Piangeva per essersi liberata di quel peso che vedeva come se stessa, uno sbaglio irregolare con orribili mutazioni.

Comprese che ci sarà sempre un meglio e un peggio, ma potevano essere resi tali solo dalla persona che visionava tutto ciò. E non appena percepì le calde braccia del suo nuovo e unico amore intorno a sé, sussurrarle quanto fosse forte e unica come donna, ascoltò le ultime parole di Jia prima di sparire fra il sonno narcotizzante di Jungkook.

«Molte volte cadere è il modo migliore per capire quello che stiamo facendo. Basta cadere avanti»

Basta cadere sempre avanti Soo.




«Dove stiamo andando?»

Soo non smise un secondo di guardare i lati di quel viale estraneo della sua memoria. Non c'era mai stata prima d'ora.

Jungkook non lasciò mai la sua mano per tutto il tragitto, persino nel momento in cui dovette andare dietro alle sue spalle per reggerla e affrontare l'alta scalinata tipica tradizionale giapponese. Seoul era piena di decori che ricordavano il Giappone e a Soo le venne la nostalgia delle vecchie vacanze estive a Osaka, dei Dorayaki divorati ai bordi dei marciapiedi mentre si immaginava di essere una principessa indipendente all'interno del maniero nipponico della città.

«Vuoi rispondermi o no?» insistette e Jungkook, dopo che vide le guance di Soo gonfiarsi, sghignazzò.
«Ma come ancora non hai capito che questo è un rapimento e nasconderò il tuo cadavere sotto le piastrelle del palazzo?»
«Ah sì? Ed io pensavo che mi avessi portata qui per fare sesso» affermò torturandosi il cappellino di Hoseok sul capo.

Passarono quattro mesi da quella sera cullata dalla luna. Nessuno menzionò mai quella conversazione ma Jia sapeva che dentro di lei era stato piantato un seme della coscienza che con il tempo avrebbe imparato ad coltivare e condividere. Iniziando da suo cugino, il quale l'accolse con un forte abbraccio e delle scuse soffocante contro il timpano del suo orecchio. Poi toccò ai suoi genitori e vide che la casa cominciò a riempirsi di nuovi colori.

Jungkook le passò il braccio muscoloso dietro la sua vita soffiandole all'orecchio ammiccando: «È una cosa a cui possiamo rimediare. Ma prima-!», la trascinò con amore fino alla fine di quel tetto aperto.

«Ma prima ho una sorpresa per te»

E Soo, quando arrivò alla fine di quel mondo arioso e ventilato d'aria calda, capì di trovarsi sopra ad un palazzo a forma di rupe; non era molto alto ma aveva un'ottima accessibilità al tetto per guardare Seoul dall'alto. Perché da quel cornicione bianco e rialzato poté vedere le mille case e grattacieli sfiorare il divino.

Portò le mani sulle labbra quando scorse i suoi sakura rigogliosi e vivi, non più morti e appassiti.

«Ma quelli...quelli sono-»
«Sono così rigogliosi che per loro è quasi impossibile l'invisibilità. In mezzo a tanto grigio quella macchia rosa -anche se piccola- si scorgerà sempre», lo disse al vento per indirizzarlo a lei.

Soo si ritrovò con il cuore esplodere nel petto e in quei mesi le era capitato solamente due volte: la prima volta avvenne quando Jungkook le sussurrò di amarla senza alcuna vergogna in mezzo al centro di Seoul. La seconda invece accadde quando si ritrovò nuda, spoglia di malesseri e imbarazzi davanti a Jungkook nella loro prima collezione di gemiti in quella sera della luna.

E questa per Soo fu la terza volta che sentì la vita e il suo spirito folle accarezzarle le braccia.

Senza più parole ma con tante domande non vide il suo bel fidanzato, vestito con i suoi soliti pantaloni metallari che lo rendevano così sexy, eclissarsi dietro la sua schiena sottile. Ma quel gioco durò solo per poco perché poi risorse nella sua figura statuaria baciata dagli ultimi raggi del tramonto.

Tirò fuori il suo cellulare e glielo porse.
«Ora voglio che fai una cosa per me. Quando aprirai il mio display vedrai le note di una canzone, falla partire e posalo a terra»
Quando si ritrovò l'oggetto fra le mani lo guardò confusa. «Cosa? Guarda che se questo è uno dei tuoi soliti scherzi ti mollo un cazzotto e ti lancio di sotto Jeon Jungkook»
Rise solamente. «Sei sexy quando ripeti il mio nome completo, però non è uno scherzo quindi premi e basta»

Non si fidava ancora. «Che titolo strano; non ti piaceva quella robaccia con le catene, le urla che sembrano rutti e sangue sul palco?»
«Certo che sei una stronza! Quei "Rutti" in realtà è arte, mi hai classificato come un cazzo di peccatore che darebbe fuoco a qualche chiesa»
Soo lo prende in giro. «Come se tu non l'avessi mai fatto»

Jungkook le pizzicò un fianco e la fece smettere.

«Fai come ti ho detto»

Sotto i borbottii confusi Soo seguì le istruzioni del moro. La musica non partì subito, ci furono dei respiri e poi...

Jungkook le spostò i capelli e le disse di chiudere gli occhi e fidarsi di lui:

«Ti fidi di me?»

«Andrei dall'altro capo del mondo per te Jungkook»

La melodia partì e le mani venate del moro finirono per accarezzarle le braccia fino ai fianchi. La cullò e sempre sussurrando recitò in inglese le parole di quella canzone ignota.

E fu la prima volta che sentì la meravigliosa voce di Jungkook dilaniarle le pareti del cuore.

«With every waking breath I breathe. I see what life has dealt to me. With every sadness I deny. I feel a chance inside me die..» con ancora gli occhi chiusi Soo si dimenticò di respirare.

Ad ogni respiro del mattino
capisco che grande dono la vita mi abbia dato
ad ogni tristezza che nego
sento una possibilità dentro di me morire.

«Give me a taste of something new. To touch to hold to pull me through. Send me a guiding light that shines. Across this darkened life of mine...» il labbro tremò, gli occhi al di sotto delle palpebre si fecero umidi. Quelle parole le facevano male perché ancora non era riuscita ad accettare al cento per cento sé stessa.

Cosa stai facendo Jungkook?

Dammi un sapore di qualcosa di nuovo
che mi tocchi, mi stringa, che mi metta in sesto.
Mandami una luce guida che splende
attorno a questa mia vita buia.

Jungkook con le sue mani le andò a sfiorare maggiormente i fianchi, le parole che cantava scalfirono definitivamente quel finto muro di Berlino all'interno del cuore di Soo.  Si stava sgretolando del tutto. Sapeva che tutto questo le faceva male ma voleva che lei riprendesse seriamente a vivere, a respirare..

Come aveva fatto lui quando mise i suoi piedi dentro il centro di danza con il pensiero in gola di non voler ballare, ma dopo -come già la storia scrisse al suo inizio- Jungkook trovò la sua fine con un sorriso.

Le toccò i capelli e delicatamente la fece girare sotto quelle note. Balla ti prego, balla..

«Breathe some soul in me. Breathe your gift of love to me. Breathe life to lay 'fore me. Breathe to make me breathe...»

«Jungkook, ti prego» mormorò fra le lacrime e quel lento sgangherato, fuori tempo.

«Vivi. Vivi Soo e basta. Balla, urla, piangi o strappiamoci i vestiti e facciamo l'amore qui se per te è così importante, ma non camminare mai fino a qui» avanzò verso il cornicione e lei ricordò quel giorno. «Con l'intenzione di smettere di respirare per fare un volo incompleto» premette le labbra sulla nuca e toccò i suoi occhi chiusi.

«I fiori di sakura voleranno sempre più in alto ma da morta, da inetta e incompleta, non li raggiungerai mai. Non toccherai mai quello che secondo te è la tua felicità perché solo ora puoi farlo. Apri gli occhi e tocca il tempo, i fiori, l'aria e quello che è con le tue mani vive»

Gli occhi si aprirono.
La canzone continuò.

Il tramonto sicuro si girò per darle spazio, le dedicò le più belle nuvole del ciel sereno e le stelle più luminose. Le dedicò i palazzi aranciati e i fiori più vivi.

Le dedicò i suoi sakura e un ballo lento della finta battigia urbana.

«This life prepares the strangest things. The dreams we dream of what life brings. The highest highs can turn around. To sow love's seeds on stony ground»

Afferrò le mani girò in tondo, navigò per l'Africa e arrivò nelle lontane Americhe. Assaggiò il cibo dell'Europa e dormì sopra il letto della sua madre Asia. E lei girò ancora, riprendendo a muovere le gambe sotto quei respiri che uscivano da ogni dove.

Questa vita ti riserva le cose più strane
i sogni che facciamo di quello che la vita ti porta
le altezze più alte che posso girarti attorno
di seminare i semi dell'amore su un terreno di pietra.

E lei cantava con lui. La vita puttana senza misericordia eppure lei non ha colpe, lei dava e toglieva, lei mostrava e accecava, lei ballava e moriva.

«Mi sono innamorata»
«Ah si? Ovviamente di me, sono un gran figo»
«In realtà no. Vuoi sapere di che cosa mi sono innamorata?»
«Non sono io, perciò non mi interessa..»
«Mi sono innamorata del tuo stupido manuale, ti sei scritto le cose più belle e giorno dopo giorno mi hai resa partecipe di questi pezzi di carta»

Fissò il suo sorriso. Sorrise.

«Sai invece di che cosa mi sono innamorato?»
«Dimmelo cantando, esce tutto più bello dalla tua voce»

E con le braccia larghe al cielo come un aeroplano abbracciò il blu dell'amico Sole ormai tramontato. Al suo fianco, Soo intrecciò una collana di sakura e giurò il suo amore.

Respira per farmi respirare.

«Mi sono innamorato di te.
Del tuo bellissimo cervello in panico»








"Cosa può essere più speciale dell'assenza di confini? Non dovrebbero esserci confini agli sforzi umani. Noi siamo tutti diversi, per quanto brutta possa sembrarci la vita, c'è sempre qualcosa che uno può fare e con successo. Perché finché c'è vita... c'è speranza!"


-Stephen Hawking









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Terza e ultima parte.

Soo Min-Fang:






Ci sono tante cose che vorrei dire ma come al solito mi vengono tre parole.

Mai scritto un capitolo così lungo, mai e mi dispiace di essere stata pesante.

-La scena smut c'è stata ma non sono entrata nel dettaglio perché volevo renderla più significativa. La vera smut la potrete vedere nelle mie altre storie (tipo Nookie o Mixed Love lol)

-La storia di Soo e quella di Jungkook. Mi sono innamorata di loro, Jungkook ha sofferto tantissimo ma ha avuto una grande madre come esempio e senza di lei chissà se sarebbe mai uscito felice da quel grigio orfanotrofio.

-Il padre c'è! I Jeon sono divorziati per varie problematiche ma c'è ancora del tenero👀

-Jungkook spiega la storia delle foto. Ha visto Soo così bella, viva e simile a sua madre da farlo innamorare all'istante e si è innamorato della vecchia Soo e di quella nuova.

-La conversazione sta Jia e Soo: niente è stato scritto a caso! Attenzione, ho visto un sacco di storie a tema e ogni trama raccontava una sensibilità straziante. Sono cose che vanno assimilate con il tempo ed è molto soggettiva. Jia era più grande di Soo quando ha manifestato i primi sintomi però la sua è una malattia degenerativa e Jungkook (tutti quanti lo sanno).

-Vado a piangere non mi viene altro in mente ciauuuu

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