capitolo dieci
La casa di Affinity era silenziosa quando John B la lasciò davanti al portone d'ingresso. La ragazza salutò rapidamente l'amico, prima di girare la maniglia più piano che poteva. I cardini scricchiolarono e la McCormick si fermò immediatamente, nell'intento di non svegliare suo padre. L'abitazione era ancora al buio, l'unica luce presente era quella del sole che filtrava dalle finestre. Daniel, suo padre, stava ancora dormendo beatamente con la faccia spiaccicata sul tavolo della cucina. Affinity tirò fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni e controllò l'orario. Erano le sei e un quarto della mattina, e ciò le ricordò che suo padre doveva essere a lavoro entro le sette.
Quando era piccola, una delle cose che preferiva in assoluto era preparare la colazione a suo padre. Si svegliava sempre presto, la mattina, e dato che sua madre era mattiniera come lei, provava spesso a insegnarle la ricetta della colazione preferita del marito, che fortunatamente non voleva nulla di stravagante. Preferiva le cose semplici, dato che era un uomo semplice da tutta la vita.
"Mettiamoci il pane, perchè tuo padre può sembrare duro dall'esterno, ma chi lo conosce davvero sa che in realtà è un pezzo di pane, morbido e amorevole. Poi il miele, perchè quando gli sta a cuore qualcuno, resta al suo fianco finchè il mondo glielo permette. La cannella, perchè ha un qualcosa di speciale, l'energia che emana, insomma. E infine lo zucchero, perchè è l'uomo più dolce che esista."
Le parole della madre le risuonarono in testa. Le ripeteva ogni volta che loro due cucinavano qualcosa insieme. E forse erano le metafore più zuccherose e nauseanti che esistessero, ma per l'Affinity di otto anni era tutto il contrario. Per quella bambina, era amore. Durante quegli anni credeva davvero che il matrimonio dei suoi genitori fosse perfetto, ma sua madre l'aveva ingannata esattamente come aveva fatto con suo padre. "Nessuno sa mai cosa succede dietro le quinte, una volta che viene chiuso il sipario".
Preparavano i french toast assieme tutti i finesettimana, anche se quello succedeva prima che il matrimonio dei genitori di Affinity si deteriorasse lentamente fino a distruggersi. Prima, quando i McCormick erano davvero una bella famiglia felice. Erano i ricordi più felici che aveva assieme a sua madre e a una parte di lei quei momenti mancavano, e molto. Ma non appena venne sfiorata dal più piccolo briciolo di nostalgia, la castana sentì il suo stomaco stringersi. Come poteva venirle in mente una qualsiasi cosa positiva che riguardasse quella donna? Come poteva tradire suo padre in quel modo? Non era mai venuta a conoscenza del vero motivo per cui l'amore tra i suoi genitori era svanito. Nessuno dei due le aveva mai detto cos'aveva portato a quel divorzio improvviso, a quella separazione del tutto inaspettata, ma Affinity sapeva che era ancora troppo presto per chiedere a suo padre di parlargliene... soprattutto, non quando era finalmente riuscito a ritrovare la felicità dopo averla persa per anni.
La McCormick si riscosse dai suoi pensieri, cercando di ignorare tutti i ricordi che le affolavano la mente per concentrarsi su ciò che doveva fare. Raggiunse la dispensa e si mise in punta di piedi per arrivare allo scaffale più alto, da dove voleva prendere il pane. Lo afferrò e lo posò sul bancone, ne prese due fette e le mise nel tostapane. Poi andò a cercare i condimenti, che trovò non appena la macchinetta emise il suono familiare, "ding". Prese un piatto pulito e sopra vi posò il più dolcemente possibile le due fette di pane tostato, che per poco non fece cadere per quanto scottavano. Poi decorò il tutto e sorrise alla vista del risultato. Infine, tirò una forchetta fuori dal cassetto e la mise sul piatto, che posò sul tavolo davanti al padre.
Il tintinnio delle stoviglie che sbattevano tra loro gli fece aprire gli occhi. L'adulto sbadigliò mentre trascinava le mani per strofinarsele sulle palpebre.
"Fin?" Chiese, intontito.
"Muoviti e mangia." Disse lei con un sorriso. "Devi farti anche una doccia dopo."
Il McCormick abbassò lo sguardo sul piatto e vide la colazione preparatagli dalla figlia. Poi alzò gli occhi su di lei, e Affinity si accorse che erano pieni di lacrime. "Te lo ricordi ancora?"
La giovane lo abbracciò da dietro, posando la testa sulla sua spalla. "Come avrei potuto dimenticarmene?"
L'adulto le posò una mano sul braccio e le diede una rapida carezza. "Direi che certe cose non cambiano mai."
"Su, non vuoi e non puoi arrivare in ritardo il tuo primo giorno." Disse Affinity, rialzandosi.
Allora il padre si gettò sulla colazione, praticamente divorandola e realizzando che si era quasi scordato del sapore che aveva, prima di correre in bagno a farsi una doccia. La castana si sedette sul divano e chiuse gli occhi, desiderosa di farsi qualche altra ora di sonno. Dopo un paio di minuti, Daniel McCormick uscì dalla sua stanza lavato e vestito con l'unforme da lavoro.
Indicò la targhetta con il suo nome, sorridendo. "Dev'essere questo il lavoro buono, insomma, mi hanno persino dato la targhetta."
Affinity rotolò giù dal divano e andò ad aggiustargli il colletto della camicia. "Stai crescendo così in fretta."
L'adulto si finse offeso. "Ehi, è la mia battuta quella."
Lei lo avvolse in un leggero abbraccio. "Rendimi fiera."
L'altro si raddrizzò e fece il saluto militare. "Sissignora."
Dopodichè raggiunse la porta e uscì, richiudendosela alle spalle, prima di scendere lungo il loro vialetto.
Affinity allungò le braccia verso il soffitto con uno sbadiglio. Era esausta dopo la bravata dell'altra sera e dopo il "viaggetto" di quella mattina con John B. Si trascinò nella sua stanza, dove praticamente cadde sul letto. Da lì notò il quadernetto che teneva posato sul comodino e lo afferrò, aprendolo alla pagina su cui aveva scritto più di recente. Sotto la prima casella, ne disegnò un'altra, al cui fianco trascrisse: "vivi come se non avessi niente da perdere". Rimase a fissarla per qualche secondo, prima di sottolinearla tre volte.
Quella frase, o meglio quella regola, l'aveva davvero colpita. Affinity, infatti, voleva davvero riuscire a vivere in quel modo. Del resto, quella era la sua vita. Tuttavia, c'era ancora quel costante senso di responsabilità che sentiva verso suo padre. Se lui avesse saputo cosa le passava per la testa forse gli sarebbe venuto un colpo, ma ciò non le impediva di continuare a rimuginarci su. Fece un profondo sospiro, poi chiuse il quadernetto e lo tirò sul comodino. E infine, si lasciò affondare tra le lenzuola. Forse fu il fatto che suo padre avesse trovato un lavoro a permetterle di rilassarsi, o forse fu perchè finalmente i Pogue iniziavano ad apprezzarla un po' di più, fatto sta che Affinity fece ciò che non le riusciva da giorni. Chiuse gli occhi, e cadde in un sonno profondo.
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Il suono di una mano che sbatteva al portone fece svegliare Affinity. Aveva la faccia sepolta sotto al cuscino a causa del raggio di sole che filtrava dalla finestra e le cadeva dritto sugli occhi. Si tirò su dal letto e raggiunse l'ingresso, dove cercò quasi a tentoni la maniglia prima di trovarla e aprire la porta principale.
"Ti sei appena svegliata? Sai che è l'una e mezzo di pomeriggio, vero?" Chiese Kiara ridacchiando.
L'amica si sistemò i capelli, togliendoseli dal viso. "Dio, è davvero tardi." Si abbandonò contro lo stipite della porta. "È dalla settimana scorsa che non dormivo così tanto."
"Ah, giusto." Disse Kie mentre entrava. "Sei sempre stata la regina dei nottambuli."
"Non che ne vada fiera." Sbuffò Affinity, andandosi a sedere tra i cuscini del divano. "Come mai sei venuta qui?"
La riccia si sedette al suo fianco. "Beh, noi due non ci siamo fatte una chiacchierata come si deve da quando ti sei trasferita nel Cut... sai, solo io e te."
Un sorriso comparve sul volto della McCormick. "Già, direi che hai ragione. Non ci siamo aggiornate quasi per nulla." Poggiò la schiena contro il bracciolo del divano. "Che ti è successo ultimamente?"
L'altra alzò le spalle. "Non saprei, non molto. I miei genitori mi stanno facendo impazzire."
"Come mai?"
"Non gli piace particolarmente che io esca sempre con i ragazzi, i Pogue."
"Mm, non capisco proprio perchè." Borbottò Affinity, sarcastica.
"Effettivamente, ti influenzano piuttosto in fretta." Rise Kie. "Tranne che per il loro costante desiderio di mettersi nei guai o per le loro personalità nevrotiche. Apparte quello, è rimasto tutto più o meno uguale."
"È un bene, Kie, e sono sicura che le tensioni tra te e i tuoi se ne andranno presto."
"Posso solo sperarci. Comunque, non capisco perchè ci stiamo concentrando su di me quando quella in crisi sei tu. Come va, Fin? Tu e tuo padre state bene? E non provare neanche a fingere che tutto questo non sia importante per te."
"A dir la verità stiamo bene, meglio che bene. Non passavo così tanto tempo sola con lui da secoli. E poi, non penso che potrò mai ringraziare tuo padre abbastanza per averlo assunto."
"Non è un problema!" Sorrise Kiara. "Comunque, lui mi ha detto che l'avrebbe messo a lavorare nelle cucine. Ho deciso che non avrei chiesto nient'altro ma devo ammettere di essere curiosa su cosa ti racconterà stasera al suo ritorno."
"Uh, già. Abbiamo fatto una sessione di lezioni di cucina alle tre, stanotte." Disse Affinity. "Quindi, se si fa licenziare, giuro che non lo faccio rientrare in questa casa."
"Sono sicura che andrà tutto bene." Rispose l'amica. "Comunque, come ti sembra l'essere una Pogue?"
La McCormick premette le labbra tra loro. "Non sono una Pogue. Non c'entro molto con te e i ragazzi."
"Non essere così dura con te stessa. Quegli imbecilli sono testardi come muli e solitamente non amano le persone nuove. Devi dargli soltanto un altro po' di tempo."
Le ragazze furono interrotte dalla vibrazione del cellulare di Kie, che lo afferrò immediatamente e lesse chi la stava chiamando. "JB." Accostò il telefono all'orecchio. "Hey, che succede?"
"Dove sei?"
"Da Fin, perchè?"
"Emergenza Pogue, dobbiamo vederci subito. Arrivo tra due minuti e andiamo allo Chateau."
Kiara corrugò la fronte mentre chiudeva la chiamata.
"Tutto bene?" Chiese Affinity.
"Non lo so, ma sembrava piuttosto scosso." Rispose la riccia. "Ci viene a prendere per andare allo Chateau."
"Correzione, ti viene a prendere. Non vorrà che venga anch'io."
"Non puoi saperlo."
Il suono del furgoncino di John B che accostava nel vialetto interruppe la loro conversazione. Le due ragazze raggiunsero il portone e lo spalancarono.
"Kie, andiamo!" Urlò JJ indicando lo sportello del furgone.
Lei rimase a guardare l'amica, esitando.
"Kie, non fa niente, vai." Insistè Affinity.
La riccia allora le sorrise con dolcezza e quasi corse giù per le scalette.
"Fin, tu vieni o cosa?" Gridò John B.
La castana sollevò un sopracciglio. "Fai sul serio?"
"Guarda che cambio idea se non ti muovi!"
"Va bene, va bene, arrivo!"
Affinity richiuse il portone alle sue spalle prima di correre al minivan e sedersi di fianco a Pope, che chiuse lo sportello in un batter d'occhio.
"Cosa sta succedendo?" Indagò Kiara.
"Vi spieghiamo quando arriviamo allo Chateau."
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"Okay, allora, in pratica stavamo fuori proprio come stiamo adesso..." Spiegò JJ mentre si appoggiava ad una delle pareti dello Chateau. "...e all'improvviso sentiamo 'Bam! Bam!'. Faceva letteralmente cadere la vernice scrostata dai muri." Si passò le mani tra i capelli e da essi scivolarono via pezzetti di vernice, che caddero per terra.
"Quella è forfora." Borbottò Kiara, disgustata.
"Guarda quanta ce n'è, è vernice!"
Pope si passò una mano sul viso, in ansia. "Quindi, avete visto i tizi che ci hanno sparato, giusto? Avete visto com'erano di aspetto?"
"Già, qualsiasi cosa che possiamo portare alla polizia?" Aggiunse Affinity.
Lo sguardo di JJ si illuminò. "Burley."
Il moro non capiva se lo stesse prendendo in giro. "Burley?" Ripetè.
"Non sei molto d'aiuto." Disse Kiara.
"Credo sia uno di quelli che lavorano al garage di mio padre." Spiegò il biondo. "Sai dove ha fatto nascondere i carichi per i trafficanti di droga."
Affinity avrebbe voluto saperne di più sul padre del Maybank, ma capì subito che quello non era il momento adatto per fare domande del genere.
"Posso dirvelo con assoluta certezza che quegli uomini... quegli assassini." Si fermò con aria drammatica per fare un tiro dalla sigaretta. "Sono spacciatori di maijuana."
"Come quelli dei narcos?" Chiese Pope. "Come quelli di Pablo Escobar."
"Ragazzi, non è tutto un film di kingpin sapete." Disse Kiara con tono piuttosto scocciato.
L'Heyward si tolse il cappello, frustrato. "Non ne hai idea, vero?"
"Non è che facevo foto mentali tutto il tempo, amico! Ero stato costretto." Ribattè JJ. "Ma posso dirti dal modo in cui hanno fatto urlare Lana che quelli sono 'hombres' davvero seri."
"Ma perchè qualcuno dovrebbe volere questa bussola?" Chiese Affinity, dato che in fondo era quello il problema trainante della situazione.
"Già, senza offesa, John B, ma io quella non la pagherei più di cinque dollari." Intervenne Pope.
"Lo studio." Disse il Routledge. "Lo studio di mio padre." Si alzò e iniziò a camminare per l'abitazione con i quattro amici al seguito. "Teneva sempre quella stanza chiusa a chiave perchè aveva paura che i 'concorrenti' gli rubassero le sue ricerche sulla Royal Merchant. Ridevamo di lui, credendo che non ce l'avrebbe mai fatta. Ma da quando se n'è andato... ho lasciato tutto com'era, più o meno."
"Per quando tornerà." Finì Kiara.
John B infilò la chiave nella toppa e girò la maniglia, aprendo il portone e rivelando una stanzetta pittoresca con libri e fogli sparpargliati tra la scrivania e il pavimento, circondati a loro volta da librerie imponenti che avevano al loro interno i volumi ordinati con cura da sinistra a destra.
Pope spalancò la bocca. "Ho dormito qui almeno seicento volte e non avevo mai visto questa stanza."
Il Routledge prese una tavoletta di sughero con delle foto attaccate sopra. "Questo è il primo proprietario, qui." Disse, indicando una foto in bianco e nero di un uomo che teneva una bussola tra le mani. "Robert Q. Routledge."
"Ecco la nostra bussola della fortuna, qua vicino." JJ indicò la figura nella foto.
"In realtà, uhm, è stato sparato poco dopo averla comprata. La bussola invece è passata ad Henry, rimasto ucciso in un incidente durante il raccolto. Dopo la sua morte, è stata data a Stephen, che ce l'aveva quando è morto, in Vietnam."
"Fammi indovinare, è morto da eroe, giusto?" Chiese JJ.
"Veramente, è stato ucciso da un furgone delle banane una volta tornato in America."
I quattro si scambiarono sguardi preoccupati.
"E infine, la bussola è passata a mio padre." Il dito del castano cadde sulla foto di un uomo dai capelli lunghi e scuri, con la barba incolta e gli occhiali rotondi posati sul naso. Un bambino gli sedeva sulla gamba, e Affinity capì che si trattava di John B.
"Mm, sembra una maledizione ricorrente, JB." Borbottò il Maybank.
"Hai una bussola della morte." Constatò Fin. "Quindi, in pratica siamo tutti fregati?"
Il Routledge intanto smanettava con il terribile oggetto. "Sentite, mio padre parlava sempre di questo scompartimento qui dentro. I soldati lo usavano per nasconderci messaggi segreti." La bussola si aprì, rivelando una scritta incisa su di essa. Gli occhi del castano si illuminarono. "Questo non c'era prima e questa... questa è la grafia di mio padre."
Pope ruotò gli occhi. "Come fai a saperlo?"
John B si girò e lo mostrò al gruppo. "Perchè fa queste strane R, vedi?"
Kie inarcò le sopracciglia. "C'è scritto Redfield. Okay, cos'è Redfield?"
"Oltre che il cognome più diffuso negli Stati Uniti." Borbottò il moro.
"Forse è un indizio?" Provò il castano. "Per sapere dove si nasconde lui."
Pope non era convinto. "Un indizio? Andiamo, questo-" Incrociò lo sguardo del Routledge e si accorse di quant'era disperato e determinato a trovare suo padre. "Se lo fosse, potrebbe essere un anagramma." Suggerì allora, cercando di non dire nulla che potesse ferire ulteriormente l'amico.
"Sì!" Esclamò John B, emozionato. "Ci serve una matita e un foglio." Disse cercando per la stanza prima di trovare un pezzo di carta e una matita.
Poi i cinque si chinarono sul foglio e iniziarono a sparare qualsiasi parola potesse assomigliare a quella scritta, ma nessuna sembrava avere senso. Fu allora che Affinity sentì delle gomme slittare sulla ghaia nelle vicinanze. Si avvicinò alla finestra, i battiti del cuore che acceleravano. Lo sguardo le cadde su un camion mai visto prima, al contrario dei due uomini che riconobbe non appena uscirono. Erano quelli che avevano provato a ucciderli nel canale.
"Ragazzi." Disse nervosamente. "Sono qui."
SPAZIO AUTRICE
ok lo so sono una vergogna avevo detto di aggiornare una volta a settimana e sono passati tipo venti giorni:(
scusate davvero giuro che proverò a essere più costante ma con l'inizio della scuola è tutto più difficile, quindi perdonatemi.
questo capitolo è stato un po' noioso e forse lo saranno un po' anche i prossimi due, ma la storia diventerà sempre più appassionante e tranquilli che è lunga quindi vi godrete per bene la storia di Fin e Jb.
un bacione, ci si vede (spero) tra una settimana<33
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