ventotto (II)
Give me love, Ed Sheeran
Stasera fa freddo, ma il cielo è terso. Riesco persino ad intravedere qualche stella mentre mi porto la sigaretta alle labbra e la accendo.
Sto camminando da un po', non so esattamente da quanto. Non sono neanche pienamente sicura di dove stia andando, eppure non riesco a fermarmi. Sento la pelle secca dalle lacrime quando tendo le labbra per aspirare, ma non m'importa. Non m'importa più, non stasera. Ho solo bisogno di svuotare la mente, di accantonare i pensieri, le parole di mia madre e quelle di Eve che non ho il coraggio neanche di aprire.
Getto la sigaretta a terra: non ricordo di averlo mai fatto. A queste cose sono sempre stata attenta, ci ho sempre tenuto sin da quando ero una bambina. Ero incasinata, forse non quanto lo sono adesso, ma alle piccole cose che avrebbero potuto fare una differenza ho sempre prestato particolare attenzione, e anche se mi sono resa conto che per fare la differenza ci vuole ben altro, continuo ad essere attaccata alle vecchie abitudini.
Riconosco la zona di Bath in cui sono ora da un locale che frequentavo con Froy. Ci sono stata qualche volta anche con Eve, prima di conoscere lui. Il pensiero di Froy però ha finito per intaccarlo, e ogni parete aveva troppa benzina sopra per poterci ritornare; io sarei stata il fuoco se mi fossi anche soltanto appoggiata.
Non so per quale assurdo motivo, ma mi muovo in direzione del locale. L' Angel's Hell rappresenta perfettamente l'ossimoro contenuto all'interno del suo nome. Le luci azzurre e rosse mi si riflettono negli occhi quando sono ormai vicina; fuori c'è qualcuno che fuma e qualcuno appartato, mentre io vado dritta verso l'ingresso. Sento la musica sempre più vicina rimbombarmi nella testa, ma non riesco a vedere altre alternative per me; non stasera. Respiro profondamente tenendo una mano salda intorno alla tracolla della borsa quando sono ormai sulla soglia. C'è un ragazzo che controlla i documenti.
«Carina» dice osservandomi, ma non sono sicura sia sincero e non m'importa neanche. So di non essere abbastanza scoperta quanto almeno la maggior parte delle ragazze che ci sono all'interno, che al posto del trucco sul volto ho ormai lacrime secche.
Non gli rispondo, gli passo il documento e lui lo guarda velocemente, poi risposta lo sguardo su di me e sorride sollevando un angolo della bocca. Non riesco a fare a meno di paragonare questo sorriso a quello di Harry, e mi rendo conto che non ha niente a che vedere con il suo. Anche se le labbra assumono la stessa curva, quello del ragazzo davanti a me esprime esattamente il contrario rispetto al sorriso di Harry.
«Divertiti, piccola» ammicca, e se fosse stata un'altra serata, totalmente diversa da questa e da tutti i motivi che mi hanno spinta qui, gli risponderei. Ma stasera no, non lo faccio. Mi riprendo semplicemente il documento e lo sorpasso, entrando nel locale.
La musica diventa sempre più forte, fino a che non sono dentro. Mi fermo: in un istante sono tornata a quattro anni fa, ad una me quindicenne che crede di dover seguire gli altri per essere accettata. Mi vedo al bancone con Nina, poi mi vedo incrociare lo sguardo di Froy per la prima volta e sentirmi sicura, perché lui tra la folla aveva trovato me. Mi vedo lasciarmi prendere per mano, poi eravamo di nuovo qua e le sue mani erano ovunque, però a me stava bene. Credevo che fosse la cosa giusta, che a sedici anni quello era l'obiettivo massimo che avrei potuto raggiungere. Quei sedici anni in cui mi illudevo di avere tutto quando in realtà non avevo niente, neanche me stessa. A Froy però non do colpe che non gli appartengono, perché io probabilmente non gli ho mai permesso di provare a capirmi, a scavarmi dentro. Gli ho mostrato così tanti volti diversi che credeva di non riconoscermi più, invece non mi ha mai neanche conosciuta per davvero.
Mi vedo con Eve, quando l'ho trascinata più volte in questo locale perché ero sicura che fosse la cosa giusta, di aver superato ogni cosa e che tornare mi avrebbe dato quella conferma di cui avevo bisogno, ma ogni volta ho soltanto finito per essere investita da ricordi che avrei soltanto voluto dimenticare e che invece sono ancora impressi sulla mia pelle anche oggi. Mi vedo non ascoltarla, poi vedo lei assecondarmi preoccupata, starmi vicina e infine tentare di permettermi di costruire altri ricordi; con lei, tra queste pareti su cui non posso appoggiarmi.
Svuoto la mente allontanando il pensiero di Froy e l'immagine di Eve che mi guarda per l'ultima volta prima di uscire dalla mia vita.
Vado verso il bar con una mano ancora intorno alla tracolla; mi faccio spazio tra la gente e il più delle volte mi ritrovo a sfiorare pelli umide, consumate da momenti e da qualcosa che forse non ricorderanno neanche.
Mi tolgo la giacca e sento le occhiate addosso, sui miei jeans scambiati e sulla semplice maglia nera a maniche corte che lascia molto spazio ad ogni tipo di immaginazione. Chiedo un drink al barman che c'è dietro il bancone circolare e lui non mi guarda neanche; fa scivolare direttamente il bicchiere di plastica rigida verso di me.
Il sapore dell'alcol sulla lingua me la fa pizzicare, ma svuoto il bicchiere nel giro di pochi minuti. Sfilo il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni perché lo sento vibrare da tempo, ma la mia intenzione è semplicemente quella di spegnerlo senza neanche capire di cosa o chi si tratti. Per stasera ho chiuso, non voglio saperne niente.
Dopo la mia seconda ordinazione allo stesso barman un ragazzo si siede al mio fianco, anche se non me ne accorgo subito. Davanti mi è passato più volte un altro barman, ma sono così schifosamente abitudinaria che ho preferito aspettare e chiedere a quello iniziale, come se instaurassi un rapporto di fiducia in seduta stante con la persona a cui dovrò affidarmi.
Mi sono sempre fidata velocemente, a volte troppo velocemente, e per questo ho finito con lo smettere radicalmente di farlo. Sono diventata diffidente, una scheggia di vetro che se la sfiori ti fai soltanto male.
Prima credevo che bastasse un volto qualsiasi per lasciarmi andare, una parola di conforto anche se non l'avevo chiesta. Solo che fidandomi di tutti quei volti ho finito col tradire il mio. Mi sono frammentata da sola, perché ho permesso io a tutti quelli a cui mi sono lasciata andare di farlo, di non dare un giusto valore a tutta quella fiducia che dispensavo.
Ho la percezione di sentire gli occhi del ragazzo seduto al mio fianco su di me, ma probabilmente è solo l'alcol che me lo fa immaginare. Il secondo bicchiere scivola nelle mie mani e lo svuoto tutto in una volta; la mente è ancora troppo piena, i pensieri continuano ad accavallarsi.
«Accetteresti se ti offrissi il prossimo?» sento, avendo la conferma che non mi stavo immaginando niente.
Non lo guardo neanche. «Non ti prometto niente.»
Sento la sua risata sopra la musica, e anche adesso non riesco a fare a meno di paragonare il suo approccio a Harry. Lui non me l'avrebbe chiesto, forse non avrebbe neanche parlato. Gli sarebbe bastato semplicemente farmi arrivare uno shot che non avevo chiesto, poi mi avrebbe guardata incrociando il mio sguardo prima di alzarsi e andare via, lasciandomi incantata e disillusa, come ogni singola volta.
Il ragazzo ordina lo stesso per me e per lui, e pochi istanti dopo c'è uno shot tra le mie dita, accanto al bicchiere vuoto. Lo sollevo portandolo alle labbra e lo bevo velocemente; chiudo gli occhi quando deglutisco, ma mi convinco che questo è l'unico modo.
«Allora, me lo dici il tuo nome?» mi domanda lo stesso ragazzo, ma io continuo a non guardarlo.
«Perché? Tanto tra due ore non lo ricorderai più.»
«Però ti ho offerto un drink» conviene, avvicinandosi di più con lo sgabello.
Sorrido e scuoto la testa. «Non ti ho chiesto io di farlo.»
Mi volto a guardarlo perché la curiosità inizia a prendere il sopravvento, e perché mi sta semplificando le cose. È più grande: è la prima cosa che noto di lui. Non di molto, ma forse ha anche un paio d'anni in più di Harry. Ha i toni più chiari, anche se non riesco a definire molto i suoi lineamenti. È bello, ma Harry lo è di più. Torno a guardare davanti a me.
«Mi piaci» replica, e non so perché lo dica. Non so cosa possa trovare in me in questo momento che ogni altra ragazza di questo locale non possa dargli.
«Dai, vieni a ballare» continua, io bevo un altro shot e poi lo guardo. Sul suo volto c'è un sorrisetto che non riesco a comprendere, ad interpretare.
«Non devi toccarmi, neanche con un dito» gli dico, ma non so fino a che punto possa aver compreso a pieno la mia condizione. Tuttavia lui annuisce e solleva le braccia in segno di resa, con quel sorriso ancora sul volto.
Scendo dallo sgabello con la tracolla della borsa ancora intorno al mio corpo, così prendo la lettera di Eve dal suo interno e la metto nella tasca dei jeans insieme al cellulare, poi chiedo al barman se può tenermela dietro al bancone.
«Certo, ma non dimenticare di averla qui» mi ricorda; annuisco e lo ringrazio, poi mi volto di nuovo verso il ragazzo di cui non conosco neanche il nome. Va bene così.
Più ci avviciniamo al centro del locale più mi riesce impossibile anche accennare ad un minimo movimento. Sento la testa girare a tratti e le tempie mi pulsano, ma allo stesso tempo mi sento così leggera nonostante tutta la pesantezza da sembrare a un passo da terra, come se lievitassi.
Troviamo un angolo più libero e inizio a muovermi senza neanche aspettare che lui sia di fronte a me; è come se fossi da sola ed è quello che volevo. Chiudo gli occhi e il resto scompare: c'è solo la musica in sottofondo, insieme a me che la seguo anche se è una canzone che non mi è mai piaciuta. I jeans iniziano a comprimermi, e la maglia mi aderisce sempre di più al petto, sulla pancia e sulla schiena. I capelli mi ricadono liberi sulle spalle e riesco a sentirli inumidirmi il collo alla radice e sulla fronte.
Le gambe sono sul punto di cedere, tuttavia continuano a muoversi; anche le braccia mi fanno male, ma continuo a tenderle verso l'alto e a muoverle come se non accusassi nulla fisicamente. Riprendo pieno possesso dei miei movimenti e del mio corpo quando percepisco una mano sulla parte bassa della schiena, insieme ad un alto corpo premuto contro il mio. Mi allontano velocemente, ma il ragazzo davanti a me mi afferra entrambi i polsi.
«Ti avevo detto di non toccarmi» dico, credendo di essere più cosciente di quanto lo sia in realtà. Penso inevitabilmente a Harry: mi ha sempre sfiorata con la mente e lo ha fatto così tante volte che riuscivo a sentire e ad immaginare le sue dita delicate sulla mia pelle come se stesse realmente tracciando i limiti e i confini sul mio corpo.
Il ragazzo inizialmente sorride, poi smette. «Non credevo fossi seria.»
Non gli rispondo: mi lascia i polsi e si rende conto osservandomi che la mia unica condizione era reale.
«Gesù, che cazzo ci sei venuta a fare qua?» grida, poi ride e mi guarda come se fossi di carta; come se potesse piegarmi e modellarmi a suo piacere con un unico movimento. «Hai letto l'insegna a metà? Questo non è il paradiso, piccola.»
Mi riprende per il polso e non faccio in tempo a scansarmi, così sono premuta nuovamente contro di lui. Tenta di sfiorarmi, toccarmi incidendomi la pelle con le sue dita violentemente. Mi dimeno tra le sue braccia e lui riprende a sorridere credendo che in questo modo io possa cedere.
«Lasciami, cazzo» vorrei gridarlo, ma la voce sembra depositarsi sulla mia gola impedendomi di farlo. Non sono neanche sicura che sia riuscito a sentirmi sulla musica.
Gli colpisco il petto e questa volta è lui a cedere. Alla fine succede sempre, ci sono abituata. Le persone prima o poi si stancano di me, di quello che hanno tra le mani quando si rendono conto di quanto in realtà valga.
«Sei pazza» è l'ultima cosa che dice guardandomi negli occhi prima che io corra via. Sono dall'altra parte del locale quando mi ricordo della borsa, così sono costretta a tornare indietro. Ho la gola secca e gli occhi spalancati, il petto che mi brucia.
Il barman mi guarda interrogativo, quasi preoccupato, ma gli faccio segno di non chiedermi niente e lui capisce. Mi restituisce la borsa e mi allontano, solo che non riesco più a trovare l'uscita. Intorno a me le pareti sono tutte uguali, e sembrano inghiottirmi senza lasciarmi neanche un istante per poter prendere fiato.
Continuo a guardarmi intorno con la fronte madida di sudore e i capelli attaccati al collo e alle spalle, alla schiena. Corro ancora, non mi importa più di quello che potrebbe pensare chi mi vede; le persone a cui vado incontro e quelle che separo mentre mi faccio strada per poter risalire verso la superficie di questo inferno. Eppure le parole di quel ragazzo si ripetono nella mia mente come un mantra.
Sei pazza. Ho pensato così tante volte di esserlo che sono arrivata anche a crederci. Forse è vero, forse quella sbagliata sono io e non quello che mi sta intorno. Forse non lo sono le persone che se ne sono andate, perché sono stata io a spingerle via.
Una volta lo chiesi anche a Nina, quando quello che avevo dentro era diventato qualcosa che non riuscivo più a sostenere. Pianse quando glielo chiesi, e tra le lacrime mi rispose che non lo ero, che non dovevo crederlo. Solo che qualche mese dopo si è rimangiata tutto.
Non so in quale modo, ma riesco a raggiungere i bagni. Non sono affollati come credevo e non so se esserne sollevata o meno, perché ho bisogno di qualcuno che mi indichi una via d'uscita, e che sia quella giusta. Ho il respiro ancora pesante e provo a concentrarmi sul mio riflesso nello specchio e sul marmo freddo dei lavandini per non ricadere nell'ennesimo attacco di panico.
Mi sfioro le tasche posteriori dei jeans per prendere il cellulare, ma ciò che trovo è solo la lettera di Eve. La busta è piegata e la carta è un po' rovinata, e odio averla ridotto in questo modo. Ci passo le dita sopra e, nonostante la voglia irrefrenabile di leggerla, so che non riuscirei a sostenerla. Non qui, non stanotte, non da sola.
Chiudo gli occhi e la stringo tra le mani ancora una volta prima di riporla nella borsa. Sposto di nuovo lo sguardo sul mio riflesso e mi chiedo come abbia fatto a ridurmi così ancora una volta. Non faccio altro che perdermi, e ne sono stanca. Non ho nessuna strada sicura, non ho una casa, non ho niente. Una lacrima mi solca il viso nello stesso momento in cui un singhiozzo mi graffia la gola. Non riesco più a fermarmi, il respiro mi manca e il cuore sta cedendo.
Poi decido di aggrapparmi. Prendo il cellulare e mi strofino il viso con la mano libera, perché avevo promesso a me stessa che non sarebbe più accaduto, che l'ennesima volta sarebbe stata diversa. E decido di aggrapparmi alla persona a cui mi sono inconsciamente aggrappata per tutta la sera.
«Mia, che succede?» risponde, la voce assonnata e il tono insicuro, preoccupato. Sa che non mi sarei rivolta a lui se non ne avessi avuto davvero bisogno.
«Harry» riesco solamente a pronunciare, con il cuore un po' più leggero dopo aver ascoltato la sua voce.
«Mia parlami, ti prego» riprende quando non dico altro. «Stai bene?»
«Non lo so» dico sinceramente, scrollando le spalle e con la voce che trema, perché scossa dall'ennesimo singhiozzo.
Lo sento sospirare; ascolto ogni cosa. «Dimmi dove sei.»
Riesco a dargli qualche indicazione sul locale e su dove si trovi nonostante ci siano ancora tracce di alcol nel mio corpo che mi limitano più di quanto vorrei. Sento anche la testa pesante e avverto un leggero senso di nausea, e anche se vorrei solo piegarmi e rigettare questa serata su questo pavimento umido mi costringo a resistere.
«Resta lì, io sto arrivando. Resta lì, Mia» è quasi un'implorazione, e mi domando come si aspetti di trovarmi quando sarà qui.
«Va bene» sussurro, annuendo anche se non può vedermi.
«Aspettami» dice prima di chiudere la chiamata, e lo fa talmente intensamente che la mia mente viaggia veloce, arrivando a credere che non si riferisca soltanto a stanotte.
Il mio riflesso è ancora di fronte a me: i contorni sono sempre gli stessi ma più ammaccati, più spigolosi di quanto avrei voluto che fossero. Ho i capelli gonfi e il sudore ormai si sta asciugando sulla mia pelle, evaporando insieme all'acol e lasciando spazio soltanto ad un enorme macigno nella mia testa. Sento l'umidità di questi bagni sulle braccia, e quando sono scossa da un brivido indosso la giacca e apro il rubinetto; faccio scorrere l'acqua sui miei polsi e sulle dita, poi ne porto un po' sul volto. Il cambiamento non è neanche minimamente percepibile, ed io non avrei mai voluto che Harry potesse vedermi in questo modo. Senza un apparente motivo altre lacrime cadono sul mio viso e mi chiedo quante ne abbia ancora per questa notte.
È quando entrano delle ragazze che mi ricompongo, nonostante mi renda conto all'istante che hanno già raggiunto l'apice per potermi anche soltanto guardare, figuriamoci vedere. Tuttavia sospiro più volte, perché devo uscire da qui. I loro gridolini e le risate rimbombano nella mia testa, non posso più ascoltarle.
La musica da qui la sento ovattata, e mi fermo un istante a guardare per l'ultima volta il mio riflesso prima di passarmi le mani sul volto per l'ennesima volta e uscire dai bagni.
Cerco di non farmi investire da quelle stesse sensazioni che mi hanno spinta a cercare una via d'uscita, così cammino accanto alle pareti per evitare contatti con la gente che continua a muoversi senza prestare attenzione a nient'altro intorno a loro.
Tra la folla ritrovo il ragazzo di prima, che adesso ha le mani intorno alla vita di una ragazza che ha probabilmente ceduto troppo presto alla sua volontà, ma almeno lei riuscirà a scansare il modo in cui lui usa le parole e fruire solo del suo corpo.
Non so in quale modo, ma sono fuori. All'ingresso c'è lo stesso ragazzo che mi ha fatta entrare; sta parlando con alcuni ragazzi ma mi vede comunque quando esco. A parte loro non c'è più nessuno fuori, sono tutti dentro. Mi fa un cenno col capo e accenna un mezzo sorriso a cui non rispondo; mi sposto di poco sulla destra e mi lascio cadere sul marciapiede, sedendomi con le gambe piegate contro il petto e la testa tra le mani.
Chiudo gli occhi e sospiro, poi sento dei passi e dei sassi scricchiolare.
«Mia» dice, e sollevo la testa all'istante. «Temevo che neanche stavolta mi avresti dato ascolto.»
Scoppio in un pianto disperato e mi alzo. «Harry.»
Mi viene velocemente incontro e mi avvolge tra le braccia, poi mi prende il volto tra le mani. «Dio, stai bene? Qualcuno...?»
Mi rendo conto della direzione in cui i suoi pensieri stiano vagando, dalla sua espressione preoccupata al suo tono, così tento di rassicurarlo bloccandolo e scuotendo la testa.
«No, no. Nessuno.»
Solo che Harry non mi crede, perché sa che c'è qualcos'altro. «Ma tu stai bene?»
Scrollo le spalle. «Non lo so più.»
Lo guardo e i suoi occhi sono così chiari e luminosi da ricordarmi il mare calmo e in equilibrio in una sera d'estate. Vorrei essere al mare adesso.
«Harry, secondo te sono pazza?» gli chiedo, perché non riesco più a tenermi niente dentro. Non ho più spazio.
Lui mi guarda interrogativo, poi scuote subito la testa e mi accarezza il volto. «Dio, Mia, no. Non crederlo mai.»
Mi tiene la testa contro il suo petto e un'ultima lacrima mi attraversa il viso. «Mi dispiace così tanto.»
«Per cosa?»
«Tutto. Che tu mi veda sempre in questo modo. Per essere quella che sono, per non riuscire a mettere mai insieme i pezzi nel modo in cui dovrebbero stare.» Mi sposto leggermente e alzo il volto per guardarlo; parlo velocemente e mi sento così vulnerabile che non riesco più a farne a meno. «Mi dispiace averti allontanato e aver spinto te a fare lo stesso, ma la paura mi paralizzava. Volevo solo provare a disinnamorarmi.»
Harry sorride piano, le sue dita mi accarezzano le guance e la mandibola, fino ad arrivare al collo. «Mi troverai sempre dietro l'angolo, Mia, ovunque tu sia. Ricordatelo sempre.»
A/N
Buonasera! Come al solito mi scuso per l'attesa, ma tra una cosa e l'altra ho impiegato tantissimo tempo per riuscire a scrivere/terminare questo capitolo [sono anche in sessione, abbiate pietà di me].
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ma vorrei tanto sapere cosa ne pensate, e come secondo voi finirà Utopia sotto tutti i punti di vista.
Anche se un po' in ritardo, vi auguro un buon anno. Che possa rendervi felici.
A presto,
Chiara 🥀
[— 2!]
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top