ventinove

Between, Courrier

L'appartamento di Harry è caldo e sento avvolgermi completamente non appena vi entro, quasi come se fossero le sue braccia a stringermi per infondermi un po' di calore.

In macchina mi sono addormentata, ma lui non mi ha svegliata neanche quando siamo arrivati. Ha tentato di prendermi tra le braccia ed è stato solo a quel punto che mi sono svegliata. Il suo gesto e il modo in cui mi ha guardata per tutto il tempo — per quanto possa sembrare dannatamente contraddittorio — mi hanno spezzato il cuore e poi risanato le ferite: è questo quello che mi fa Harry ogni volta. Riequilibra i pezzi, li riassembla e li mette in fila per permettere poi a me di rimetterli insieme.

«Ti preparo un tè» dice sfilandosi il cappotto e lasciandolo ricadere sul divano. «Puoi fare una doccia, se vuoi.»

Annuisco. Credo di aver quasi completamente smaltito l'alcol, ma ho bisogno di lavare via dalla mia pelle le mani di quel ragazzo e tutto ciò da cui mi sono lasciata contaminare tornando in quel locale.

Appoggio anch'io la borsa e la giacca sul divano, poi con un ultimo sguardo di rassicurazione da parte sua vado verso il bagno. Chiudo la porta alle mie spalle e provo ad evitare lo specchio in ogni modo, ma finisco miserabilmente per cedere. Le occhiaie sono marcate e i capelli alla radice si appiattiscono, finendo poi per gonfiarsi fino alle punte. Ho le labbra screpolate e le sento secche quando ci passo la lingua sopra per inumidirle, ma questo non cambia molto le cose.

Do le spalle allo specchio e inizio a spogliarmi; sfilo prima gli stivaletti e poi i jeans, fino alla maglia umida e all'intimo. Entro nella piccola doccia e il getto d'acqua istantaneo sulla pelle mi suscita dei brividi lungo tutto il corpo. Lavo anche i capelli, voglio disfarmi di ogni possibile e minima traccia.

Mentre continuo a sfregare sulla pelle attimi della serata iniziano a susseguirsi nella mia mente rimbalzando davanti ai miei occhi, partendo da quando ero a casa a discutere con mia madre. Ricordarlo mi  provoca una fitta al centro del petto, perché mi rendo conto che probabilmente non ho più niente. E non parlo dell'avere materiale, di qualcosa che puoi toccare e tenerti stretto per la paura costante di perderlo. Parlo delle speranze, della possibilità che un giorno avremmo potuto tornare ad essere quelli che eravamo anche se era solo una bugia, una menzogna e nient'altro.

La porta del bagno che viene aperta mi fa sussultare, ma mi calmo non appena sento la voce di Harry.

«Scusa, non ti volevo spaventare» dice, e io mi copro con le braccia e con le mani nonostante lui non possa comunque vedermi. «Ti ho portato dei vestiti. Ho pensato che potessero servirti.»

«Grazie» mormoro da dietro la parete della doccia in cui mi sono nascosta. Lui non risponde, ma capisco quando va via e richiude la porta.

Sospiro e i ricordi arrivano al punto esatto della serata in cui ho detto a Harry di essere innamorata di lui. Senza troppi giri di parole, senza neanche pensarci e senza neanche saperlo. L'ho detto e basta, e non sono sicura di come lui l'abbia presa o di cosa abbia pensato, di una sua possibile reazione futura. Non so se eviterà l'argomento e farà finta che io non abbia mai pronunciato quelle parole, e non so cosa vorrei io.

Chiudo gli occhi e mi strofino il volto con le mani, poi mi concedo ancora qualche istante di apparente pace prima di uscire dalla doccia e recuperare un asciugamano. Me lo avvolgo intorno al corpo, e mentre tento di districare i capelli con le dita il mio sguardo cade sui vestiti che mi ha portato Harry. Sto sorridendo, ma una voglia irrefrenabile di riprendere a piangere preme da dentro, perché una — grossa — parte di me sa di non meritare minimamente Harry. Le sue attenzioni, le sue cure e i suoi sguardi attenti, le sue parole.

Districo i capelli con le dita prima di asciugarli velocemente, senza prestare troppa attenzione al modo in cui mi ricadono poi sulle spalle e la schiena. Lascio le punte umide, ma non li raccolgo.

La maglia con il logo sbiadito di una band classica è accompagnata da una felpa grigia, però per adesso non la indosso. I pantaloni di tuta mi stanno larghi e un po' lunghi, ma quando mi guardo allo specchio non riesco a vedere qualcosa che non vorrei vedere. Nei suoi abiti mi piaccio, mi sento protetta. E sanno tanto di lui.

Esco dal bagno con i piedi nudi e la felpa tra le mani; raggiungo la sala e vedo Harry seduto al bancone con due tazze fumanti davanti a lui insieme al suo taccuino. Ha la testa china su questo e una mano tra i capelli, l'altra regge la biro che veloce scorre sulla pagina. Mi chiedo cosa stia scrivendo come ogni volta e poi resto a guardarlo, perché mi era mancato così tanto che non riesco neanche a spiegarlo.

Si accorge di me e solleva piano la testa dal taccuino, poi lo chiude distrattamente e lascia andare anche la biro. Mi sorride debolmente ma con una dolcezza a cui non sono mai stata troppo abituata. «Vieni, sennò si fredda.»

Mi avvicino e mi siedo accanto a lui, che fa scorrere gli occhi sul mio corpo coperto dai suoi vestiti mentre mi allungo a prendere la tazza. Sorride di più. «Non ti stanno male.»

Ricambio il suo sorriso. «Mi sarebbe bastata qualsiasi cosa pur di togliere i miei.»

Harry si rabbuia e non lo nasconde, esita mentre solleva una mano per portarla verso il mio volto perché teme che anche con un semplice sfioramento io possa rompermi, ma gli faccio capire che va bene. Gli vado incontro con la mia mano e lui passa le sue dita tra i miei capelli sciolti, ravvivando qualche ciocca dietro l'orecchio. Mi erano mancate anche le sue mani, il suo tocco delicato e sicuro.

«Harry, io...» inizio, ma lui porta giù la mano e mi interrompe scuotendo la testa.

«Non dobbiamo parlarne adesso, Mia» dice. «Per quanto voglia sapere cosa sia successo per averti spinta ad andare in quel locale e a finire per chiamarmi, hai solo bisogno di riposare. Devi trovare un po' di pace. A me basta saperti qua, e che tu ti senta al sicuro dal resto.»

Pace. Quando riesco a sentirmi anche solo un minimo così, è perché sono con lui o perché so che c'è. Indipendentemente da tutto, questo dipende da lui, e non so se sia una cosa buona o meno. Ho sempre pensato che non sarei mai arrivata a dipendere da qualcuno in questo modo, ma forse da sola non ce la faccio. Non ancora.

Finisco di bere il tè sotto il suo sguardo, ma non mi sento in imbarazzo. Un po' spoglia, forse, ma semplicemente perché con lui mi sono messa a nudo sin dal primo momento. Non mi ha dato scelta, e io non gliel'ho più negato. Quando sono con lui ogni mia certezza si frantuma; sotto il suo sguardo ogni insicurezza cade al suolo miserabilmente.

Harry prende entrambe le nostre tazze e le ripone nel lavandino, lascia il taccuino con la biro sul bancone e si rivolge direttamente a me.

«Vieni» dice, io annuisco piano e lo seguo nella sua camera da letto. Inizialmente non ero sicura ne avesse una; pensavo dormisse nella sala.

La prima cosa che vedo è una stampa della Notte Stellata e istintivamente mi avvicino a questa sorridendo.

Harry se ne accorge. «Ti piace?»

Sorrido di più e scuoto la testa. Dire che mi piace minimizzerebbe troppo, sarebbe un eufemismo. «È il mio dipinto preferito. Sogno di andare a vederlo a New York da tutta la vita.»

Mi volto a guardare Harry quando non mi risponde; mi guarda semplicemente anche lui e sorride. Quel sorriso dolce e sincero, che non ha bisogno neanche di un istante per rimettermi insieme. «Che c'è?»

«Niente. Riesco ad immaginarti guardarlo.»

Ricambio ancora il suo sorriso e poi torno a guardare la stampa. «Ne ho anch'io una, sulla parete accanto alla scrivania. Non è grande quanto questa, ma è una delle cose a cui tengo di più. Van Gogh avrebbe potuto dipingere qualsiasi cosa, io avrei finito per amarla comunque.»

«Sì, probabilmente anch'io» replica Harry, e se dipendesse soltanto da me resterei a parlare con lui di Van Gogh e dell'arte in generale per tutta la notte.

Il letto è proprio sotto la stampa, posto orizzontalmente contro la parete. Le lenzuola grigie contrastano con i colori del dipinto e con il bianco del muro. È disfatto, e i miei pensieri corrono al momento in cui al momento in cui ha ricevuto la mia chiamata. Sento il cuore stringersi piano, ma non mi lascio sopraffare.

«E tu?» chiedo istintivamente a Harry, intuendo che lascerà la sua camera a me per stanotte.

«Starò in sala, non preoccuparti. Per qualsiasi cosa non esitare a chiamarmi» dice, e dal modo in cui mi guarda è sincero. Se c'è qualcosa che ho imparato a conoscere di lui sin dall'inizio, è che Harry non dice mai niente senza intenderlo davvero.

«Va bene» accondiscendo con un sospiro. Lui sta per andare via quando si ferma e recupera qualcosa dalla tasca posteriore dei pantaloni.

«Ho trovato questa in macchina, deve esserti scivolata.» È la lettera di Eve, che mi porge e che afferro con entrambe le mani. Non mi sarei mai perdonata di averla persa senza neanche averla letta.

Harry mi sorride consapevole, ma non mi chiede niente. Si avvicina e mi accarezza piano i capelli, mi lascia un bacio tra di essi. «Sono di là, per qualsiasi cosa.»

Mi guarda un'ultima volta prima di andare via. Non chiude la porta alle sue spalle quando esce, e non lo faccio neanche io. Non ne ho bisogno.

Mi siedo sul letto con la lettera tra le mani, e con quel poco coraggio che mi resta la apro. È sgualcita e mi dispiace, ma non sono mai stata brava a tenere in ordine le cose e anche Eve lo sa. Vedo le parole susseguirsi l'una l'altra; respiro profondamente prima di iniziare a leggerla.

Mia piccola Mia,
non so dove tu sia adesso, dove abbia deciso di leggere queste parole, ma mi piace immaginarti nel nostro posto. Ti immagino lì perché voglio che tu le legga in un posto in cui ti senti a casa, in cui sei consapevole di avere quella sicurezza del trovare sempre una rete sotto di te. Non importa dove la leggerai, ma voglio che tu ti senta in questo modo: sicura, protetta, ovunque tu sia. Ti immagino con una sigaretta tra le dita quasi consumata perché hai finito col prenderti più tempo di quanto volessi soltanto per aprire la lettera. Ma non ti biasimo, perché anche io al tuo posto avrei probabilmente fatto lo stesso, se le situazioni fossero state invertite.
Di addii ne abbiamo detti tanti - troppi - entrambe, e ci eravamo giurate che tra di noi non ce ne sarebbero stati, che in qualche modo avremmo sempre trovato la strada per tornare dall'altra. Io oggi non voglio dirti addio, ma ti chiedo scusa se romperò quel giuramento, quella promessa che ci unisce.
Ricordi quando mi hai detto che hai sempre combattuto il mondo da sola? Io ti ho risposto che da quel momento a combatterlo con te ci sarei stata io, e continua ad essere così. Non vorrei mai tenerti lontana, non vorrei mai chiuderti fuori e sollevare quelle mura che spesso mi circondano anche con te, innalzarle anche tra me e te.
Tu sostieni di non essere forte, di poter crollare con una semplice folata di vento come un castello di sabbia. Io ti assicuro che lo sei. Sei forte Mia, e lo sei anche quando crolli e ti disperdi in tutti i tuoi granelli, perché poi riesci sempre a raccoglierli tutti, uno dopo l'altro. E l'hai sempre fatto da sola.
Continueranno ad esserci dei momenti in cui ti ritroverai faccia a faccia con le tue paure, le tue insicurezze e i tuoi silenzi, ma tu dovrai dimostrarti per quella che sei: la mia guerriera. Quella che è sempre pronta a lasciare la sua battaglia per correre in prima linea a combattere quelle degli altri.
Hai quella sicurezza che sia sempre stata io tra le due a tenere insieme entrambe, ma non è così. Ti sei salvata più volte di quante credi che io sappia, ma mi è sempre bastato guardarti per vedere quanto ti porti dentro e quanto permetti agli altri di vedere. E ti ringrazio, perché a me hai sempre riservato quella percentuale che mi faceva allungare la mano verso di te per afferrarti e riprenderti. Ma io quella mano te l'ho sempre tesa, Mia, in ogni singolo momento; anche quando non eravamo insieme, anche quando non ne avevi bisogno. È sempre stata lì allo stesso modo in cui lo è stata la tua, e per tutto questo io non sono sicura di meritarti.
Mi hai dimostrato un affetto che non avevo mai conosciuto in nessun altro, aprendomi la strada verso l'amicizia più pura a cui potessi aspirare nella vita. Un legame composto da silenzi e da tante parole, da consapevolezze mia scontate.
Non devi mai permettere a nessuno di darti per scontata, Mia, di avere la convinzione di conoscere tutto di te quando in realtà sei talmente tanto da non essere sicura neanche io di conoscerti nella tua interezza. La mia bellissima, dolce e tenace Mia.
Sei sempre stata una certezza, quel punto fisso a cui mi sono sempre rivolta, e che ho sempre trovato ogni volta che mi sono voltata.
Ti auguro di perderti e di saperti ritrovare anche quando io non ci sarò, di vivere nel modo in cui hai sempre silenziosamente voluto e di amare con tutto quello che hai, perché chiunque avrebbe bisogno di almeno un po' del tuo amore, di tutto quello che hai da dare.
Ti auguro di trovare una persona che lo meriti, perché io l'ho conosciuto e so che mi mancherà tanto, che avrò bisogno di te nonostante quello che sto per chiederti. Ma ti auguro anche di riservarne un po' per te, perché ne avrai bisogno nei momenti in cui intorno a te non ci sarà nessun altro.
Ti chiedo di non cercarmi, perché adesso non voglio essere trovata. Ti chiedo del tempo, perché non ne ho mai avuto bisogno nel modo in cui ne ho ora, e spero che tu riuscirai a comprendere la mia decisione.
Tornerò io da te, perché lo sai che alla fine torno sempre.
La mia mano sarà sempre tesa verso di te, pronta ad essere afferrata.
Ti voglio bene, sempre.

Eve, 

la tua persona.

Una lacrima bagna un angolo del foglio in cui non ci sono parole, ma istintivamente lo allontano comunque per la paura di rovinarlo. Rileggo la lettera ancora e ancora, eppure ogni volta è allo stesso tempo come se fosse la prima e come se fosse diversa, come se mi fossi persa dei dettagli imprescindibili per la voglia di andare avanti.

Soppeso ogni singola parola e sento il cuore riempirsi e svuotarsi completamente all'infinito. Mi sento vuota, ma piena per queste parole. So che per Eve è stato doloroso scriverle tanto quanto lo è per me leggerle.

Piango fino a quasi singhiozzare, lasciandomi andare nel modo in cui non mi sono permessa di lasciarmi andare con lei quando mi ha detto indirettamente che si stava già allontanando da me.

Avrei potuto essere tutto quello che avrebbe voluto e di cui avrebbe avuto bisogno, se soltanto me l'avesse chiesto.

Alzo lo sguardo e Harry è accanto alla porta che mi guarda come se volesse prendere un po' del mio dolore e di quello che sento adesso. Lo sapevo già, ma fa male lo stesso.

«Se n'è andata» sussurro, continuando a stringere la lettera tra le dita e portando l'altra mano a coprirmi le labbra. Harry si avvicina velocemente fino a raggiungermi e ad avvolgermi tra le braccia. Non ho letto la lettera nel nostro posto, ma Eve ha comunque avuto ragione: qui, adesso, mi sento protetta e sicura in un modo in cui non mi sentivo da tanto.

«È la mia persona» dico piano contro la sua spalla, come se realizzassi le mie parole solo adesso. «È la mia persona e mi ha lasciata.»

«Tornerà» mi risponde Harry, ma neanche lui ci crede. Non conosce Eve come la conosco io, ma questo lo ha capito comunque. Probabilmente sì, tornerà, ma non accadrà presto. Il resto dovrò combatterlo da sola.

«Se ne vanno tutti, Harry» sibilo stringendo delicatamente la stoffa della maglia bianca di cotone che indossa. Ho completamente la testa poggiata sulla sua spalla; un suo braccio è intorno alla mia vita, fino a finire sui fianchi. «Ti prego, resta.»

Harry mi sente anche se lo sussurro appena; io non alzo lo sguardo per incontrare il suo, ma lui mi risponde comunque.

«Basta che tu me lo chieda» promette, anche se io non ne ho mai volute di promesse. Solo che con lui è diverso, lo è sempre stato. «Io non me ne sono mai andato, Mia.»

A/N

Ho relativamente poco da dire, spero solo che il capitolo non vi abbia deluse!!

Della lettera di Eve cosa ne pensate? Condividete la sua decisione?

Grazie per tutto e buona domenica, spero di riuscire a postare l'ultimo capitolo il prima possibile 🦋

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top