tredici

This song saved my life, Simple Plan

Lunedì chiamo Alex mentre vado a prendere la metro, gli dico che c'è il ristorante di Darlene sulla stessa strada che ha bisogno di qualcuno che completi un turno. Quando le parole lasciano la mia bocca lui non smette di ringraziarmi e questo mi fa sorridere, perché Alex se lo merita. La rottura con Nina, per quanto voluta prima da lui e trascinata da lei, so che lo ha comunque distrutto. Non sono sicura di quello che sia successo tra loro, non sono mai riuscita ad individuare il punto in cui qualcosa si è spezzato, però so che è successo e che, nonostante tutto, lui ha amato Nina come nessun altro aveva mai fatto.

Questa è la prima volta che esco dopo sabato mattina, dopo essere stata da Darlene. La sera sono rimasta nella mia stanza, la porta chiusa e le gambe piegate al petto sulla sedia davanti alla finestra. Tenevo accese soltanto un paio di candele a illuminare la stanza e nient'altro.

Ho pensato alla possibilità che anche lui non si fosse presentato, che sapeva fossi una causa persa anche prima di averne la conferma. Poi ho pensato a cosa lui abbia creduto quando si è reso conto che non ero lì, quando si è reso conto che ero sincera. Ho immaginato i lineamenti del suo volto, il modo in cui fosse vestito e se avesse con sé il suo taccuino.

Entro nella metro e questa volta mi siedo, perché sono esausta e siamo soltanto all'inizio di un'altra settimana. Tra le mani ho un libro che non riesco neanche ad aprire perché sono in piedi vicino alle porte, a stento entrata nel vagone per quanta gente ci sia dentro. Questo è ciò che odio di più: lo stare in mezzo alla gente per costrizione; le mani di qualcuno che neanche conosci sulla tua pelle perché di spazio non ce n'è, solo che nessuno è pronto a rinunciare per aspettare la corsa successiva. Neanche io lo sono. Preferisco tenermi il libro stretto al petto, i piedi saldi alla gomma spessa e guardare dritto davanti a me.

Quando la metro si ferma le mie gambe si muovono velocemente, sono una delle prime ad uscire e a prendere le scale. Sfilo il cellulare dalla tasca per controllare se sia cambiato qualcosa, ma non succede e allora continuo a camminare fino all'uscita.

Mi passo una mano tra i capelli e vedo Eve, ferma alle porte che mi aspetta. Quando mi vede mi sorride, quando io la raggiungo mi abbraccia rapidamente e io glielo lascio fare, perché non vorrei mai ammetterlo, ma ne ho bisogno. Ne ho bisogno e so che solamente lei potrà salvare questa giornata e il resto della settimana scorsa.

«Possiamo fermarci a mangiare qualcosa prima» propone lei e io annuisco. Il mio turno inizia nel tardo pomeriggio e non ho nessuna lezione da seguire, quindi riempire ogni spazio che ho libero con lei potrà soltanto farmi bene.

Entriamo in una tavola calda dove ci sono soltanto due persone sedute al centro della sala. È piccola, accogliente e mi ripara dal gelo che c'è fuori. Non è la prima volta che ci veniamo, e questo dimostra quanto anche Eve sia legata alle abitudini.

Ci sistemiamo ad un piccolo tavolo per due più dislocato dagli altri, accanto alla vetrata che dà sulla strada trafficata e vissuta. Ma nonostante questo, nonostante la gente che dall'esterno può vederci e può riconoscerci, questo posto mi piace. È come se riuscisse ad estraniarmi da tutto il resto, come se venire qui con Eve mi permettesse di lasciare andare qualsiasi altra cosa che non riguardi noi due.

Non ci restiamo tanto, però sorrido molto e Eve fa lo stesso, e mi rendo conto che anche per lei è lo stesso; anche per lei essere qui adesso significa lasciare andare anche il più puro dei pensieri che riprenderà ad attraversarci la mente appena usciremo.

Eve ha i capelli sciolti che le ricadono sul petto e sulle spalle e gli occhi leggeri, limpidi e vivi, mentre mi guarda e mentre mi parla. Più volte ho sentito il suo sguardo su di me mentre il silenzio riempiva alcuni momenti, mentre io avevo la testa abbassata sul mio piatto e lo sguardo perso. A volte quei pensieri ritornano comunque, a volte non sono abbastanza forte da riuscire a starne lontana almeno in questi momenti, almeno qui, almeno con lei. Però Eve non mi chiede niente, aspetta e basta, resta al suo posto perché sa che ho soltanto bisogno di tempo.

Quando stiamo per andarcene distrattamente ci sfioriamo e lei sussulta. «Hai le mani freddissime, Mia.»

Io sorrido e scrollo le spalle. «Lo sai che non è una novità.»

Io e Eve camminiamo in silenzio, con il braccio di una incrociato a quello dell'altra per riscaldarci e il passo lento, perché non dobbiamo dare conto a nessuno; adesso ci siamo soltanto noi. C'è ancora il sole ed è quasi piacevole stare in mezzo alla gente; a chi si affretta e a chi non ha bisogno di farlo, a chi aspetta e a chi ha smesso, a chi si è arreso e a chi continua a sperare. Alla fine incroci così tante persone in un solo secondo, e puoi provare a vederle, a canalizzarle, ma non riuscirai mai a conoscerle tutte. E forse io non voglio neanche conoscerle tutte, forse non voglio conoscerne nessuna, mi basto io e in questo momento mi basta la consapevolezza di avere Eve con me; ma se ci fosse qualcuno destinato a stravolgere ogni più piccola, singola e impercettibile cosa? Io ho smesso di credere nel destino da tempo, ho smesso di credere in qualcosa e basta da tempo, perché le aspettative portano con sé soltanto un manto di delusione, però a volte ci ricado.

«Oggi parli ancora meno del solito» la voce di Eve poi mi distrae, mi riporta in me e mi riporta con lei, sulla nostra panchina rovinata e consumata dal tempo, accanto al muretto crepato sulla parte destra in alto.

«Non ho tanto da dire» le rispondo anche se entrambe sappiamo che non è vero, e a volte odio il modo in cui mi spoglio con lei, il modo in cui mi lascio leggere senza riserve.

«Hai sempre tanto da dire» mi dice, la voce bassa e rassicurante: è la voce di Eve. Mi volto verso di lei e se ho anche soltanto una certezza, questa è che anche Eve ha tanto da dire. Tanto da dire, da dare, da prendere anche se lei finisce per non prendere mai.

«Mio padre ci è ricaduto, per questo sono stata assente durante queste settimane» le parole lasciano la sua piano, si scusa con lo sguardo e io vorrei dirle che non deve scusarsi di niente.

«E adesso?»

«Adesso sta meglio, dobbiamo soltanto aspettare» il modo in cui lo dice dà speranza a entrambe, e so che Eve si sta tenendo in piedi con tutte le sue forze, che Francis la sorregge ma fino ad un certo punto, il resto lo fa lei. È sempre stato così.

«Andrà bene» le dico e lo penso, voglio che vada in questo modo.

Fa una piccola pausa, poi mi sorride di più e inclina leggermente la testa, alcune ciocche più chiare dei suoi capelli le finiscono sul volto e lei le sposta. «Vuole conoscerti.»

«Ne sarei felice» le rispondo e per un momento sento davvero di esserlo, perché mi sento parte di un altro pezzo della sua vita.

Restiamo per qualche istante a guardare davanti a noi, in silenzio, con soltanto un vento leggero ad attraversaci i capelli e delle voci in lontananza di chi ha scelto questo posto, in un modo diverso in cui lo abbiamo scelto noi.

Mi prendo qualche istante anch'io, prima di lasciarmi andare. «Le cose a casa non vanno benissimo.»

«Evan come sta?» mi domanda quando capisce che non riesco a parlarne apertamente, che non descriverò nuove immagini, perché lei le conosce già e quelle bastano.

«A volte sembra che anche lui faccia finta di niente, sembra perso in ciò che fa. Trova uno scopo, e si aggrappa a quello.» Io e Evan siamo simili, in parte abbiamo lo stesso cuore ed è questo che ci distrugge, che fa pesare tutto il doppio.

«E il tuo scopo? Non ne hai uno?» so che Eve conosce la risposta, che conosce quella che vorrei poterle dare e anche quella che le do realmente.

«Al momento è finire l'università e continuare a stare al locale. È tutto piatto, Eve, un circolo che si spezza in continuazione ma che non cambia. Le cose restano sempre in questo modo, oppure peggiorano.»

«La vita non ha un cazzo di semplice» dice ma non lo fa con giudizio, non ci sono accuse nella sua voce; almeno, non per me. Eve dovrebbe avercela con la vita e darlo a vedere, invece non lo fa, tiene tutto dentro e va avanti. Allora con la vita io ci sono incazzata anche per lei.

«Quel ragazzo l'hai più visto?»

Una breve risata viene rilasciata dalla mia bocca e scuoto la testa debolmente. «Mi aveva chiesto di uscire, mi avrebbe aspettata sabato fino a quando avrei finito il mio turno.»

Le sto per dire di più, sto per dirle che io sabato al locale non ci sono neanche andata, che forse è stato davvero meglio così. Glielo sto per dire ma poi mi volto verso di lei che mi sta già guardando, e allora non ce n'è bisogno. Una singola lacrima mi cade sul volto anche prima che possa rendermene conto, ma di spazio per le altre non ce n'è.

«Gli avevo anche detto che non ci sarei andata, che non mi avrebbe trovata» continuo e sento un po' del dolore che so di portarmi dentro attraversarmi lentamente, tastare i pezzi che mi restano, vedere se ce la faccio a sopportarlo. È una piccola dose che prendo e che lascio che mi prenda, perché non ho altra scelta.

Eve si avvicina e io mi appoggio a lei, ricado sulla sua spalla e lei mi accoglie, mi passa un braccio intorno alla testa e mi accarezza i capelli.

«Prima o poi ti troverà» Eve dice soltanto, quasi in un sussurro, prima di lasciarmi un bacio tra i capelli e continuando a tenermi tra le braccia.

Quando scendo dalla metro il sole non si vede più, c'è soltanto il buio e ci sono sempre quelle stesse persone che corrono, che si affrettano e che aspettano. Ho entrambe le mani nelle tasche del parka e i capelli sciolti sotto il cappello scuro.
Svolto il solito e monotono angolo a passo veloce, cammino con sicurezza perché è una strada che conosco già, che percorro ogni giorno.

Solo che ogni mia sicurezza vacilla e si spezza quando sto per arrivare sul retro del locale e vedo Harry fuori, con le spalle appoggiate al muro e una sigaretta tra le dita. La luce della strada gli illumina metà del volto, e io resto ferma perché non so che cosa fare. Poi però lui mi vede, volta lo sguardo e i suoi occhi mi trovano. Si sposta dal muro e lascia cadere la sigaretta, io riprendo a camminare fingendo miserabilmente di non averlo visto, di non essermi resa conto di lui.

So che vuole delle spiegazioni e che io probabilmente dovrei dargliele, però so che non lo farò. È solo che quando sono davanti a lui non posso più fingere, perché l'ho visto e so che è lui, ormai ho imparato a saperlo ogni volta.

«Ciao» dice, la voce roca e bassa, ancora attraversata dal fumo.

«Ciao» gli rispondo e vorrei chiedergli perché è qui, se aspettava me, come sapeva che sarei entrata da qui. Vorrei sapere se anche questa volta mi abbia data per scontata.

«Stai bene?» mi chiede e c'è qualcosa nella sua voce, nel modo in cui lo fa che per un momento mi fa credere che a lui importi davvero. Che voglia davvero saperlo, che non si tratta soltanto di convenevoli. In quello stesso momento mi sento quasi nel modo in cui mi sento con Eve, solo che con lui ho paura. Ho paura perché non voglio che mi legga dentro, non voglio neanche che ci provi. Ho paura perché non so se riuscirei a fermarlo, ho paura che glielo lascerei fare.

«Sto bene» dico poi, velocemente. «Perché sei qui? Non è venerdì.»

Il modo in cui solleva l'angolo destro delle labbra mi fa rendere conto che probabilmente non avrei dovuto dirlo, che non avrei dovuto continuare e che sarei soltanto dovuta entrare nel Midnight, scappando nel modo in cui mi riesce ogni volta.

«Ero qui anche sabato» dice e abbassa la testa solo per un istante, prima di rialzarla e guardarmi, senza mai lasciarmi andare.

«Ti avevo detto che non sarei venuta» replico cercando di non vacillare e di non perdermi, di sembrare scostante.

«Non credevo mi avresti evitato a tal punto da non venire neanche per il tuo turno» continua, ma il suo tono resta neutro, e mi destabilizza più di quanto non lo faccia già.

«Non stavo evitando niente» rispondo e lo sorpasso, aprendo la porta del retro per entrarci e chiudermela alle spalle, solo che Harry è più veloce di me e avvolge le dita scoperte intorno al mio braccio.

«Mia, aspetta» dice e io ci metto più di quanto dovrei e meno di quanto vorrei per voltarmi e guardarlo. Solo che non dico niente, aspetto che sia lui a continuare. Harry mi guarda, indugia e non sono sicura di cosa cerchi nel mio volto, come non sono sicura neanche che riesca a trovarlo.

«Domani. Riproviamoci, niente aspettative. Andrà come deve andare.»

«Perché lo fai?» Le sue parole inaspettatamente riaccendono qualcosa in me, e che sia l'accenno di una speranza o la consapevolezza che di aspettative non devo averne, non posso lasciarmi coinvolgere in questo modo da lui.

«Perché non farlo?» Replica lui, e mi rendo conto che forse è troppo tardi, che sono già coinvolta e che forse, forse non voglio fare niente per ostacolarlo.

A/N

Per la prima volta con questa storia penso di avervi dato un capitolo più "ricco" sotto più punti di vista. Spero davvero vi sia piaciuto e che la storia in qualche modo vi stia prendendo, in caso contrario (e non), fatemelo sapere!!

Ne approfitto per darvi gli auguri di un buon anno, l'ennesimo trascorso con voi che seguite me e ciò che scrivo dall'inizio. Grazie davvero di cuore, e che possiate sempre essere felici 🌹

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