III. Faccio amicizia con un idiota

Kronos


Forse ho esagerato.

Ma quale idiota passeggerebbe tra le strade della città dei reietti come se stesse trascorrendo una giornata al parco?

Mi rannicchio contro il muro, sotto la finestra. La sigaretta mi penzola ancora tra le labbra e prendo un paio di grossi respiri.

Iapetus, disteso sul letto a giocare con le costruzioni, alza lo sguardo su di me e inarca un sopracciglio. «Perché hai chiuso la finestra? Fa caldo oggi.» Inclina poi il capo, con quel solito sguardo curioso, «e perché ti stai nascondendo? Cos'hai visto?»

Non mi sto nascondendo.

Okay, forse un po'. Ma nessuno di solito mi saluta, anzi. Scappano dal lato opposto della strada quando mi incrociano anche per errore. Non so cosa rispondere a mio fratello, sto valutando tutte le possibili opzioni da proporgli, prima che trovi un modo per prendermi in giro e andarlo a spiattellare a Hyperion.

Pensi al diavolo e spuntano le corna...

Hyperion spalanca la porta della camera. Ha lo sguardo un po' annebbiato e i capelli in disordine. Si lascia cadere contro lo stipite della porta e mi osserva. In pochi secondi entra in modalità fratello maggiore impiccione. «Perché sei nascosto sotto la finestra, scusa?»

Deglutisco. Mi tiro in piedi e mi liscio il maglione con tre gesti secchi. «Un tizio mi ha salutato.»

Hyperion si scambia un'occhiata con Iapetus e ridacchia. Si porta le mani al petto. «Oh mio dio. Come si è permesso?»

Mentre Iapetus continua a inveirmi contro in sottofondo per farmi aprire la finestra, cerco di trovare una ragione sufficiente per non prendere a pugni Hyperion. Gli scocco un'occhiataccia, che mi piacerebbe potesse fulminarlo sul posto. «Cos'avrei dovuto fare, scusa? Non mi salutano mai di solito.»

«La apri quella finestra?!» Iapetus urla così forte da poter raggiungere gli ultrasuoni.

«Ti prego, apri quella stracazzo di finestra prima che lo strozzo.» Hyperion si porta le mani in volto.

Decido di accontentare il mio fratellino perché oggi è più insopportabile del solito e spalanco di nuovo le finestre.

Hyperion tossicchia, attirando la mia attenzione. «Comunque, ritornando a prima... avresti potuto salutare anche tu, no?» Si lancia sul letto e accavalla le gambe.

«Non vorrei essere puntiglioso, ma credo di essere più bravo a uccidere le persone, piuttosto che a socializzarci.»

Mi avvicino al letto di mio fratello e storco il naso, osservando la camicia bianca stropicciata.

Hyperion ridacchia e sbuffa. Abbassa lo sguardo sulla sigaretta ormai spenta, che ho tra le mani. «Ne hai una anche per me?»

«Fottiti. Mi hai già rubato un pacchetto.»

«Io? Non è vero!»

Rido esasperato. «Sei un pessimo bugiardo.»

«Sono stato io a rubarti le sigarette...» Iapetus parla tranquillamente, impilando su una torre, già abbastanza alta, l'ennesimo pezzo di costruzioni.

Mi giro di scatto verso quel nanerottolo. Hyperion ridacchia in sottofondo e fischietta trionfante di non essere per una volta preda dei miei scleri.

«COSA? E PERCHÉ?»

Iapetus si imbroncia. Ha giusto un paio di anni in meno a me, ma è davvero infantile. «Dovevo fare un esperimento.»

Hyperion si mette seduto e mi guarda. «Di che tipo?»

«Volevo vedere se con le sigarette riuscivo a dar fuoco a uno dei foulard di Rhea.»

Cazzo.

Mi lancio subito verso la porta, per chiuderla a chiave. Potremmo dover restare rintanati qui dentro per l'eternità, come fossimo in trincea. Rhea non ce lo perdonerebbe mai e scaglierebbe la sua furia su di me. Già ce la vedo a indagare sul reato, individuando i miei mozziconi di sigaretta. Non crederebbe mai che il nostro iperattivo fratellino possa giocare con le mie cose e, se lo scoprisse, mi ammazzerebbe.

Hyperion nel frattempo ripete per la decima volta che non deve toccare le cose di noi altri, senza il nostro permesso. Non faccio in tempo a chiudere la porta, che le urla di Rhea, appena tornata da una passeggiata in spiaggia, rimbombano nel corridoio.

Spalanca la porta, rischiando di suonarmela in faccia e aggrotta le sopracciglia. «Non lo chiederò due volte. CHI È STATO?!»

Mi gratto dietro la nuca. Certo che la sigaretta che tengo poggiata dietro l'orecchio non mi rende scagionabile. «È stato un incidente-»

Rhea si incupisce come una vipera, pronta a scagliare il morso fatale. Mi assesta uno scappellotto dietro il collo e mi punta un dito contro. «Perché diavolo devi fumare tra le mie cose?!»

Alzo le mani. «Non sono stato io.»

Iapetus alza la mano. «NEMMENO IO!»

Che bugiardo.

Mi volto a guardarlo di scatto.

Hyperion poggia il gomito sulla mia testa, vantandosi di quei tre centimetri -letteralmente, abbiamo preso le misure, non siamo mica dei barbari- in più rispetto a me. «Senti, principessa,» roteo gli occhi al cielo, le premesse di mio fratello non sono buone, «hai intenzione di piagnucolare e andarlo a dire a papà? Sono solo stupidi foulard.»

Rhea sorride sadica. «Ora ti strozzo con uno di quelli! Idiota!»

«Non ti azzardare ad alzare la voce!»

«Io non sono statooo» Iapetus ripete come una cantilena.

Mi porto le mani in volto. Mi chiedo ogni giorno perché sia finito in un covo di pazzi starnazzanti.

«Ehi, oh, che succede? Avete deciso di superare gli allarmi di casa, oggi?» Nostro padre batte un pugno contro la porta, bussando, per attirare l'attenzione.

Le urla cessano in pochi istanti e mi sento ristorato, almeno un po'. Mi guardo attorno e Iapetus sta ancora canticchiando perso nel suo magico mondo fatato, mentre Rhea sta tirando i capelli di Hyperion, come se avessero ancora cinque anni.

Cinque anni divisi in due, non a testa, sarebbe troppo.

«Hanno dato fuoco ai miei foulard!» Rhea sbatte i piedi. «Vi strangolo nel sonno-»

«Tesoro-» mio padre tossisce, provando a placare l'ira dell'unica donna di casa, che a mio parere è più pericolosa di qualsiasi bestia mostruosa di cui abbia mai letto in qualche libro, «-andiamo con calma. Li ricompreremo, chi è stato?»

Mi passo una mano dietro la nuca. «È stato un errore.»

«Non sono stato io.» Iapetus ripete quella dannata bugia per la terza volta e sono sul punto di tirargli fuori la lingua.

Tutti ci voltiamo a guardarlo e Iapetus sbuffa. «Tanto per chiedere quando l'avete capito che sono stato io?»

🫀🫀🫀🫀

Ho voglia di spaccare qualcosa. Non posso stare altro tempo a casa o distruggerei il salotto e inizierei a urlare contro i miei fratelli.

Decido di svignarmela prima che la rabbia mi accechi così tanto da farmi prendere decisioni di cui mi pentirei.

Sento le loro voci rimbombarmi nella testa.

«Bravo, resta fermo.»

«Se non ti lamenti, andrà tutto bene e non farà male.»

«Io ti voglio bene, Javier. Se non ci fossimo noi, chi si prenderebbe cura di te, altrimenti?»

Penso sia una stronzata il credo comune secondo il quale il tempo cicatrizza ogni cosa.

Non è vero.

Il tempo è una condanna.

Credi di essere libero, che quelli siano ricordi sbiaditi, e poi tornano a tormentarti, con più foga di prima.

Io le loro voci non riesco a dimenticarle.

Le sento nitide nella mia testa. Ho ancora la sensazione che le loro mani mi stiano accarezzando la pelle. Mi brucia, vorrei strapparmela da dosso e vomitare anche l'anima, solo per sentirmi più pulito.

Esco dalla finestra della camera. Stanno riposando tutti e non si accorgeranno presto della mia assenza. Mi calo giù, dopo essermi messo a cavalcioni,facendo attenzione a dove mettere i piedi, tra i piccoli interstizi dei mattoni, fino a scivolare a terra. Mi pulisco le scarpe dal fango e prendo un grosso respiro.

«Adesso uccidiamo qualcuno?» Javier mi guarda da un angolino remoto. A volte torna a trovarmi. «UCCIDILI!» mi urla contro e arretro.

Strizzo gli occhi e accarezzo le tempie. I mal di testa sono lancinanti oggi. Non ricordo un giorno in cui non abbia sentito dolore. Mi sembra che le unghie di Javier stiano scavando nel mio cervello, arrancando stanco, ringhiando contro di me per uscire fuori.

Mi porto le mani ai capelli e tirò alcuni riccioli per tre volte.

Mi acquatto contro il muro e prendo grossi respiri. Quando riapro gli occhi, ho la vista annebbiata. Abbasso lo sguardo sulle mie mani: tremano ancora nervose.

Mi mordo le labbra in tensione. Ho bisogno di prendere aria, di starmene da solo coi miei pensieri. Devo aspettare che la tempesta passi, poi potrò tornare a casa, sebbene esausto.

Inizio a incamminarmi verso la spiaggia. Il verso dei gabbiani mi accoglie già in lontananza e la brezza leggera mi solletica la pelle.

Aggrotto la fronte, quando uno sconosciuto mi viene incontro zoppicante.

Lo vedo spesso girare nel nostro distretto. Ha infastidito anche Iapetus una volta e ho la sensazione che continuerà a farlo.

«Ehi, bellezza. Hai qualche spicciolo?» Mi squadra con attenzione.

Non credo sia il suo giorno fortunato, in effetti. Le mani mi prudono. Una scarica quasi elettrica mi percorre la spina dorsale. «Togliti di torno».

Lui ridacchia e mi poggia la mano sulla spalla. «Dai, amico. Allora?»

Inizia a infastidirmi il fatto che non conosca bene chi sono. Peggio per lui.
L'ho avvisato d'altronde.
Se non è scappato, allora non è più una mia responsabilità. Il mio l'ho fatto.

Lo afferro per il collo della giacca e lo spingo dall'altro lato della strada. Stramazza al suolo, sbattendo il capo contro il marciapiede e il sangue gli sporca la fronte. Alza le mani. «Ehi- oh! Lasciami stare-»

«Troppo tardi.» Ghigno cattivo. Sfilo il pugnale dalla giacca. Lo costringo a rialzarsi e lo trascino contro un muro sudicio, puntandogli il pugnale alla gola.

Adesso che lo osservo meglio, ricordo che anche Rhea e mio padre si sono lamentati di lui. Va in giro a importunare chiunque ed è arrivato qui da poco. Forse lo spirito di sopravvivenza non è uno dei suoi talenti.

Mio padre diceva che fosse bravo a nascondersi e a scappare, ma che prima o poi lo avrebbe tolto dai giochi. Tanto vale alleggerirgli il lavoro.

«Ti-ti prego-»

Sorrido. «Vorrei che la gente mi pregasse di più, in effetti. Ma preferisco credenti fedeli. E tu non mi piaci.» Lo pugnalo allo stomaco due volte e osservo i suoi occhi spegnersi, diventare sempre più vacui, mentre il sangue mi sporca le mani.

Mi allontano ed estraggo il pugnale, quando la sua presa sulla mia spalla si fa più leggera. Abbasso lo sguardo sulle scarpe. Alcune gocce di sangue hanno macchiato le punte e storco il naso.

Ripulisco il pugnale, dopo aver sfilato un fazzoletto dalla tasca della giacca, e lo ripongo a posto.

Javier ha ancora fame, ma almeno si è appagato per qualche istante.

Do le spalle al corpo senza vita, ormai, e mi avvio di nuovo verso la spiaggia. Il mare è un po' mosso, ma mi aspetto la mareggiata per questa sera. Di solito le giornate qui diventano sempre più grigie e nere. Non mi stupirebbe si agitasse di colpo.

Mi abbasso a raccogliere un paio di conchiglie. Sono sicuro che a Rhea piacerebbero, ne colleziona tantissime. Le sistemo in alcuni fazzoletti, per evitare che i granelli di sabbia appiccicati mi inondino le tasche dei pantaloni.

Mi guardo attorno e individuo la grotta blu.
E il solito pensiero folle mi attraversa.
Non sono un codardo, ma non sopporto gli spazi chiusi.

Eppure se voglio convincere mio padre a farmi partecipare al prossimo torneo, devo dimostrargli di non temere nulla, di poter affrontare qualsiasi pericolo.

Prendo un grosso respiro e mi faccio coraggio, avvicinandomi. Non è un posto chiuso, lo so, ma è abbastanza scomodo e angusto da farmi salire immediatamente i conati di vomito. Se il mare dovesse agitarsi, potrei restare incastrato all'interno e affogare.

Mi sembra abbastanza pericoloso da poter affrontarlo.

Mi acquatto a terra e mi siedo su un masso.

L'ansia inizia a braccarmi. Chiudo gli occhi e la gamba prende a muoversi su e giù così tante volte da perderne il conto. Mi fa male in petto. La bile risale lungo la gola e cercare di mantenere un minimo di controllo inizia a essere difficile.

Mi gira la testa. La gola si fa secca e brucia.

«Non sono un codardo», mi ripeto a voce bassa, sebbene sia tremante.

Gli angoli degli occhi iniziano a riempirsi di lacrime, ma non posso piangere, non posso permettermelo.

Non sono più un ridicolo bambino terrorizzato dall'uomo col sorriso buono.
Non ho bisogno di nessuno. Non ho bisogno di essere salvato, sono già all'Inferno.
Non sono in pericolo, sono il pericolo adesso.

«Ehm- ehi tu!» una voce mi risveglia i sensi.

Apro gli occhi e alzo lo sguardo verso il biondino che mi fissa confuso.

Per l'esattezza, il biondino semi nudo, con soltanto le mutande addosso e i capelli bagnati, che mi fissa.
Mi manca l'aria.
Ed è una sensazione diversa dall'attacco di panico di pochi secondi fa.
Vorrei parlare, ma la voce mi si mozza in gola.

«Senti, tesoro. Hai intenzione di farti ammazzare dal mare? Perché non esci da lì?» Mi studia con uno sguardo misto tra il preoccupato e il curioso.

«Tu perché non ti fai i cazzi tuoi?» gli sibilo contro. Non volevo mi uscisse così scortese quella frase, ma ormai il danno è fatto.

Il biondino idiota poggia le mani sui fianchi e sorride sfrontato. «Oh, ma allora ce l'hai una lingua...» inclina il capo, «perché non esci da lì?»

Abbasso lo sguardo sulla punta delle scarpe. L'acqua ha iniziato a bagnarmi anche l'orlo dei pantaloni. Forse dovrei uscire davvero da qui, ma le gambe mi si sono immobilizzate. Non ho intenzione comunque di chiedere aiuto a quel ragazzo che ha l'aspetto di un idiota. Perché solo un idiota potrebbe farsi il bagno in un mare così agitato. «Perché sto facendo una cosa importante.»

«Una gara di sguardi minacciosi col mare? Perché, lasciatelo dire tesoro, mi sa che stai vincendo.» Mi ammicca.

Non so se ridere o guardarlo male per quanto sia stupido. Inizio a credere che nella città dei reietti siano arrivati più deficienti del previsto. Osservandolo meglio, mi sa che è proprio il ragazzo che una settimana fa mi ha salutato. Sono piacevolmente sconvolto nel sapere che sia ancora vivo. «Sai? Sei una gran rottura di coglioni...»

«Adonis.» Allarga le braccia. Non gli ho chiesto come si chiama, nemmeno mi interessa. «E tu sei?»

Sbuffo. «Kronos.»

«Kronos come Kronos Hell?»

Ghigno. «Kronos come ti spacco la faccia se continui a parlare.» roteo gli occhi, «sei davvero perspicace...»

Scrolla le spalle. «Grazie.»

Dio mio, è così stupido.

Adonis sembra ignorare completamente il mio sarcasmo e si dondola sui piedi. Si sistema i capelli con un gesto delle mani e lo osservo lentamente. «Sai, tesoro, ho appena sentito dire che sei un genio, eppure mi aspettavo qualcosa in più da uno che fissa il mare in un agguerrito gioco di sguardi.»

Gli spacco la faccia, è deciso. Mi alzo di scatto ed esco dalla grotta, lo raggiungo ad ampie falcate, tenendo le mani strette a pugno. Lui ridacchia e arretra.

«Meglio che inizi a scappare, Adonis.» Gli punto un dito contro.

Lui sghignazza divertito e mi schiaffeggia la mano, allontanandola. Si avvicina e inclina il capo. «Vedi? Ti ho fatto uscire da lì dentro. Non ti ho appena salvato la vita, dolcezza?»

Lo guardo torvo e mi volto a fissare la grotta dietro di me. Aggrotto la fronte, corrugandomi infastidito. Fino a pochi istanti prima avevo voglia di vomitare e non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo. Poi questo idiota ha iniziato a parlarmi e mi ha distratto.

Probabilmente dovrei ringraziarlo, ma è già abbastanza stupido e montato di suo. Preferisco non alimentarne l'ego.

Torno su di lui a osservarlo e inarco un sopracciglio. Adonis sta raccattando da terra i propri vestiti e riprende a sistemarsi. Mi perdo per qualche istante non so dove a fissargli gli addominali, poi i capelli biondi ricci e scompigliati. «Allora, non mi ringrazi?» Adonis torna a sorridermi e i suoi occhi blu prendono a studiarmi.

Assottiglio lo sguardo. «Sei fastidioso quanto un palo in culo.»

Allarga le braccia. «E tu che ne sai se è fastidioso o meno?» Abbassa lo sguardo sul proprio polso e si incupisce.

Vorrei spaccargli il muso. Sul serio, sarebbe divertente prendere a pugni quel bel faccino. Roteo gli occhi e ignoro la provocazione. «Che ti prende?»

Adonis si muove nervoso sul posto e si lagna. «Non funziona più l'orologio! Insomma, ci sono affezionato e non voglio buttarlo.»

Allungo la mano e gli faccio cenno di farmelo vedere. Me lo consegna come se fosse il tesoro più prezioso al mondo. Storco il naso e lo avvicino all'orecchio. «Potrebbe essere la batteria, va solo cambiata.»

«E dove la cambio?»

Scrollo le spalle. Inizio a incamminarmi verso casa. So che mi pentirò amaramente un giorno di averglielo detto. «A casa ne dovrei avere alcune di riserva. Vieni. Provo a cambiarla. Se non funziona, lo buttiamo.»

Mi sorride come se gli avessi promesso la Luna. Saltella sul posto e mi segue. Lungo tutto il tragitto non sta zitto un attimo e vorrei potergli urlare di darmi tregua.

Ma sono così concentrato sulle stronzate che spara al secondo, che per un po' mi sembra di sentire lontano la voce di Javier.




🫀🫀🫀

Angolino
Ecco il primo incontro ufficiale😭
I primi dieci/dodici capitoli sono abbastanza focalizzati su di loro prima del Torneo, perché altrimenti non avrei saputo spiegarvi come avessero fatto ad aiutarsi durante il loro torneo, sette anni dopo.
Bene, sperando vi sia piaciuto, alla prossima ✋🏻

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