𝙰𝚖𝚋𝚛𝚘𝚜𝚒𝚊 {𝟝/𝟝}
Ava era sola, o meglio, così si sentiva in quel preciso istante, dove tutto le sembrava, oramai buio, cupo, dolente. Sentiva freddo, terribilmente freddo - a tal punto che le sue ossa, si fossero irrigidite ed i suoi occhi, a causa del pianto incessante, fossero divenuti gonfi, rossi.
Aveva paura, ma una paura matta, che le due persone più importanti per lei, per la sua esistenza, fossero in quel momento, in pericolo - entrambe supine, prive di coscienza, su quel maledetto letto di ospedale.
«Signora Miller» la richiamò un medico, nonché amico di suo marito, con delle cartelle tra le mani.
«Robert - Oh Robert, che notizie hai per me» la sua voce era rotta, distrutta e leggermente tremolante ed egli, serrando la mascella, inspirò. «Non buone Ava, non buone» ammise con l'amaro in bocca, abbracciando quella povera donna quando si mise nuovamente a piangere, disperata.
«Natal-»
«Natalie sta bene, lei sta bene» e con le mani, le massaggiava la schiena, sospirando. «L'airbag ha attutito il colpo e fortunatamente ha riportato solamente una piccola frattura alla gamba sinistra - l'abbiamo operata di urgenza, ma il danno era lieve e presto starà bene. Stiamo solo aspettando che apra gli occhi, che torni tra noi - forse ci vorrà una giornata, forse due, dipende da lei - il trauma è stato forte» la sentì respirare con fare cadenzato, mentre virò lo sguardo dolente in quello benevole e comprensivo del medico. «La mia bambina, è una giovane donna forte. Deve farcela!» rispose, più per farsi forza e convincersi che tutto, presto o tardi, sarebbe tornato al proprio posto. «Eh Carl, oh il mio Carl-»
«Stiamo facendo il possibile, Ava. Sei consapevole della stima che nutriamo per lui, è un uomo - collega, marito e padre meraviglioso sempre pronto a farsi in quattro per gli altri. È il nostro miglior chirurgo e..» la vide commuoversi ancora, pervasa dal dolore. «L'impatto è stato forte per lui, moltissimo e ha riportato varie lesioni lungo tutto il corpo, il viso - e purtroppo..»
«No, Robert - oh no, ti prego..»
«È entrato in coma Ava, purtroppo Carl -» la vide accasciarsi a terra, mentre con le mani teneva salde le sue. «Dimmi che si sveglierà, ti prego - io non po-posso farcela, io..»
Robert inspirò, nonostante però, non sapesse cosa davvero dirle, come farla stare quel poco meglio, dopotutto - le due persone che più amava al mondo, si trovavano distese su un dannatissimo letto di ospedale, e l'uomo che più amava, il suo compagno di vita, era in bilico - in un gioco beffardo con l'intera esistenza.
«Posso ve-vederli?»
❀ ❀
«Bon, avanti - vieni» il ragazzo indiano, temeva davvero il peggio, mentre era seduto di fianco alla riccia, che era rimasta nei pressi di Los Angeles per quei giorni. Il cantante le aveva permesso di rimanere con la sua amica bionda, mentre lui ed il giovane, si fossero occupati di lavoro in Africa, per via del nuovo album.
«Abel-» ella lo guardò stizzita, mentre entrambi osservarono Ava, chinata sul letto della bionda che ancora - riposava, apparentemente tranquilla, attaccata ad una moltitudine di cavi. Il respiro era calmo ed il suo petto, si muoveva lentamente, su e giù.
Il ragazzo era mesto, visibilmente preoccupato per la sua più cara amica, che in quel momento giaceva immobile: dalla sua pelle bianca, estremamente pallida e le sue labbra, di ampio volume ma meno morbide, bensì aride - come se la sua ninfa vitale, l'avesse abbandonata in quel preciso momento. Con le dita, le sfiorò una guancia, speranzoso che ella prima o poi, avesse aperto gli occhi e lo avesse guardato, mesta e caparbia, come era solita.
«Dai ragazza, svegliati! Sei forte, audace, bellissima. Sei come una so-sorella per me..» ebbe un sussulto, come se qualcosa lo afferrasse da dietro la schiena, pronto a divorarlo. Era la paura - ed Ava tentò di farsi forza mentre, prese parola. «Abbi fede, Abel. Si sveglierà, deve farlo» e la donna matura gli posò una mano tra le scapole, invano di ricevere in qualche modo, un qualsiasi tipo di rassicurazione.
Bonnie nel frattempo auspicava in un miracolo, in qualcosa che li avessi destati in fretta da quel brutto sogno, ma era inutile. La stanza dove vi era la ragazza, era colma di fiori di ogni tipo: da delle graziose rose bianche; mandate da Amanda - da alcuni mazzi di queste medesime, ma di colore rosso, da delle margherite - da Abel che era seduto vicino alla sua figura, nei momenti in cui Ava si assentava per andare da suo marito, nel reparto apposito.
Era consapevole però, che mancasse qualcuno alla lista, qualcuno di importante, che meritasse a sua volta di sapere quanto stava succedendo in quel preciso istante a quella famiglia e così, frugò nella sua borsetta in pelle, alla ricerca del suo telefonino.
«Oh dannazione Frank rispondi, è importante..»
«Bon, amore. Dimmi!»
«Oh Frank-» la voce del ragazzo risuonava soave e dolce, nonostante fosse a migliaia di chilometri da lei e così, percependo per un momento, la meravigliosa sensazione di sollievo, si abbandonò ad un pianto liberatorio. «Bonnie, ehy - amore, che sta succedendo?» l'altro si stava preoccupando e virando lo sguardo altrove, attese una risposta.
«Si tratta di Natalie..»
[...]
Il cantante nel frattempo, completamente ignaro di tutto, era indaffarato da alcune pratiche burocratiche, legate al suo futuro disco in uscita ma - tentava in ogni modo di comporre, scrivere, registrare brani, ma percepiva che qualcosa dentro di lui, mancasse. La sua assenza, il suo essere, il suo dono - sembravano come spariti in quel medesimo istante, e così sbuffò sconsolato.
Le mani erano ferme lungo i tasti bianchi e neri del pianoforte e con il piede, si preoccupava di tenere il tempo, di una melodia sconosciuta e priva di alcuna magia. Era volato fino in Africa, per godersi dal vero le sue innumerevoli opere di beneficienza e perché amava guardare ogni creatura, bambino, meraviglia del creato con i suoi occhi e partecipare così, al meraviglioso operato di Nelson Mandela ed in più, desiderava un giorno comprarsi una casa in quei vasti terreni immersi nella natura e lontani quindi, dai caos mondano della sua chiassosa America.
Sbuffando prese la cornetta del telefono, componendo il numero di Rodney Jerkins [*1] - un suo amico, nonché suo collaboratore per diversi brani passati e futuri.
«Pronto, Michael?» rispose l'altro, in tono canzonatorio, mentre sorseggiava del buon whiskey, da un grande bicchiere in vetro.
«Rod, ti disturbo?»
«Oh no, figurati, anzi se non mi avessi chiamato tu, lo avrei fatto sicuramente io»
«Allora, le hai sentite?» domandò il moro, curioso di sapere se quell'uomo fosse davvero interessato a lavorare, al suo operato, al suo essere. «Come le hai trovate?»
«Mi piacciono molto, Michael ma-» e fece una pausa, abbozzando un sorriso dilettato. «A parer mio dobbiamo lavorare sul sound, svilupparlo - modellarlo totalmente. Molti pezzi mi ricordano Off the Wall-»
«Dannazione» imprecò l'altro. «No, assolutamente no! Dobbiamo rifare tutto da capo allora, voglio qualcosa di nuovo per questo album, qualcosa di potente. Sono stanco di rimanere ancorato al passato, sento il bisogno di cambiare, di evolvermi. Vorrei che questo album fosse diverso e che avesse un sound più - futuristico!»
«Beh, il capo sei tu, Jackson! Perché contraddirti? Dopotutto è la tua musica, la tua arte - io sono qui, solo per affiancarti» l'uomo rise con fare mesto e i due; parlarono del più e del meno, sempre rimanendo in tema musica, brani e successi passati.
Frank nel frattempo, era venuto a conoscenza di tutto quello che in quel preciso estate, stava succedendo a Los Angeles ed il cuore, era un continuo battere, spaventato per la ragazza, per suo padre e la plausibile reazione che da lì a poco, avrebbe tenuto il cantante, una volta messo al corrente del fatto.
A passo svelto lo raggiunse, aprendo la porta senza nemmeno bussare e con le mani giunte al viso, camminava avanti e indietro.
«Mike, devo parlarti - ora, è urgente!» e con gli occhi spalancanti, studiava la celebrità che sommessa, congedò il suo fonico con una semplice e non troppo falsa scusa.
L'uomo schiuse le labbra, inumidendosi il labbro inferiore con la punta della lingua, prima di prendere nuovamente parola. «Frank, stavo parlando di lavoro. Cosa succede?» e posò le grandi mani, sulle spalle del fanciullo che turbato, non sapeva come raccontargli il tutto.
«Mike, siediti, per favore. De-devo parlarti..» e lo fece accomodare sul morbido sofà, affiancandosi al suo corpo nell'istante dopo.
«Frank, mi stai facendo preoccupare - insomma! Cosa succede? Si tratta dei miei bambini?»
Il ragazzo scosse il capo. «I tuoi figli stanno bene, sono con Grace nel grande giardino dell'albergo..»
«E allora di cosa si tratta? Avanti, non tenermi sulle spine!» lo canzonò, alzando di poco la voce, mentre non riusciva minimamente a comprendere quell'atteggiamento bizzarro del suo manager.
«Natalie e suo padre..»
Michael sbuffò, battendo il palmo destra della mano, sulla coscia, mentre batteva il piede sul suolo, in modo compulsivo. «Cosa? Oh andiamo..»
«Sono in ospedale, Mike. Si, sono ricoverati in ospedale ed entrambi, sono privi di coscienza» il fanciullo aveva parlato, trattenendo il fiato nel mentre - tremava, la sua voce stessa, tremava e non riusciva ad immaginare che dolore, o meglio terrore, stesse provando ora, la persona che aveva di fronte in quel momento.
«Co-come Frank? Che stai dicendo? In osp-ospedale?» l'altro, balbettava, mentre assopì lo sguardo, accusando un dolore lancinante al petto, alla testa, ad ogni parte del corpo.
«Hanno avuto un grave incidente questa mattina, la macchina si è ribaltata e sono finiti fuori strada. Carl è in coma, ha perso i sensi nel momento dell'impatto stesso e Natalie..» nel mentre che il ragazzo parlava, egli aveva smesso di udire, percepiva solo il suono basso e lento, del suo cuore, ridursi in mille - piccoli pezzi. «Natalie ha subito un'operazione alla gamba sinistra, a causa di una lieve frattura. Ma sta bene..»
«No, no - no, non è vero Frank - ti prego, dimmi che non è vero» si era alzato, mentre dai suoi occhi, erano solcati da alcune lacrime, e le labbra gli tremavano visibilmente. «No, per favore - è così giovane, ed io, oh io la amo così tanto..»
«Michael, lei sta bene, ok?» ora era lui, a tenerlo dalle spalle mentre l'altro, manteneva il capo chino, continuando a piangere sommesso. «Sta bene, i dottori hanno detto che i parametri sono buoni e che dobbiamo aspettare il momento che si svegli..»
«Perché non si sveglia, allora?»
«Questo-» e fece una pausa, socchiudendo le palpebre. «Questo io non lo so, ma - dobbiamo avere fede, okay? Non è da sola. Bonnie è con lei, anche Abel, la madre..»
«E Carl?» il moro era affranto, desiderava solo scomparire. «E se non ce la farà, come pensi starà lei? Ama suo padre - Oh non voglio nemmeno pensarci, io..» agitava le mani in aria e respirava a fatica. «Dove cazzo ero io, mh? Lo vedi? Lo vedi che sono un mostro?» era uscito di senno, vaneggiava.
«Michael, tu non hai colpe. Che potevi saperne tu? Nemmeno io ne ero a conoscenza fino a qualche minuto fà, non distruggerti per ogni minima cosa, bensì cerca di reagire!» nonostante fosse lui l'adolescente, delle volte si ritrovava a fare da fratello maggiore, a quell'uomo.
«Ma Frank..»
«Niente Frank, non è questo il momento per piangersi addosso, o peggio, andare nel panico! Dobbiamo riflettere sul da farsi..» e camminava per la stanza, sbuffando. «Bonnie mi ha detto che volendo possiamo andare, ma..»
«Ma sono Michael Jackson - se vengono a sapere che sono in quell'ospedale, succederà un caos mediatico e non perderanno tempo ad inventarsi storie, per nuovi titoli di giornale!» aveva preso parola la celebrità, portando le mani alle tempie. «La voce del divorzio con Debbie, ha iniziato a girare e tutti mi stanno col fiato sul collo - se mi vedono insieme a Natalie..»
«Oh al diavolo Jackson, cazzo!» Frank lo aveva interrotto bruscamente, oramai esasperato. «La donna che ami è in ospedale, priva di coscienza e tu pensi a cosa diranno i giornali?» lo spintonò un poco, dopotutto il suo intento era quello di farlo riflettere, ragionare. «Oh insomma, esisterà un modo per..» e si grattava il mento mentre l'altro, prese nuovamente parola. «Frank, non stavo dicendo di non voler andare da lei, ovvio che lo voglio! Per chi mi hai preso?» ora il suo tonto era più risoluto, più lucido. «Stavo solo riflettendo a voce alta e comunque, fà le valigie!»
«Cosa?»
«Fà le valigie, avverti Grace e i bambini, io penso al resto - mi inventerò una scusa per anticipare la nostra partenza!» era deciso, dispotico, la classica celebrità a cui tutto, era permesso. «Chiama Bonnie e avvertila che per domani sera, saremo lì e nel frattempo..» gli prese il volto tra le mani, con gli occhi ancora scossi, ma di un colore nero, profondo. «Dille che qualsiasi cambiamento, cosa - deve tenerci aggiornarti!»
❀ ❀
Los Angeles - 02 Novembre 1999
«Grace, per favore» teneva lo sguardo nascosto dalle scure lenti dei suoi occhiali, mentre con premura teneva la piccola Paris tra le braccia. «Te ed i bambini andrete a Neverland, scortate da Bill-» e con voce leggermente impastata dal sonno perso, auspicava alla comprensione mesta della sua governante. «Mentre io e Frank...» e la voce gli morì in gola, al solo pensiero della sua dama, in quelle medesime condizioni.
«Non si preoccupi signor. Jackson, ai bambini penserò io e aspettiamo presto vostre notizie, Oh-» e congiunse le mani al petto, a mo' di preghiera. «Ho pregato tanto per la giovane e bellissima Natalie, durante questo viaggio di ritorno. Mi auguro solo che si riprenda presto-»
«È quello che speriamo tutti» rispose l'altro, con la chioma arruffata e la bocca arsa, mentre si massaggiava l'addome con la mano destra. Aveva tentato di risposare durante il lungo volo, ma ogni tentativo fù vano in quanto ogni tal volta serrasse le palpebre, l'immagine di lei, in ogni veste e condizione, gli apparisse dinnanzi.
Grace abbassò lo sguardo, abbozzando un sorriso sghembo quando l'uomo, finse di essere sereno agli occhi dei suoi innocenti bambini, mentre baciava loro le testoline e scompigliava i capelli.
Michael decise di farsi scortare dall'altra sua fedele guardia del corpo, sempre presente in ogni suo viaggio, spostamento, evento: Javon Beard [*2] - alto, ben piazzato e dalla pelle scura, densa.
«Come mai hai scelto Javon, invece che Bill?» domandò il giovane, mentre con una mano si stropicciava l'occhio sinistro.
L'altro respirò sommesso, mentre scrutava l'ingnoto da dietro i vetri scuri del SUV. «Perché sono consapevole dell'ammirazione provata da Bill, nei confronti di Natalie. L'ho visto turbato, preoccupato, triste e per una volta, ha mostrato il suo lato fragile, umano nei miei confronti» spiegava il tutto, con piena nonchalance. «Mi ha riferito che preferiva aspettare a Neverland mie notizie, dato che non si sentiva all'altezza di rimanermi affianco, data la sua preoccupazione. Temeva di non essere professionale, credo» e il ragazzo annuì, prima di lasciar che il silenzio calasse tra di loro.
Tuttavia erano entrambi esausti, a tal punto che il manager venne rapito dal magico mondo di Morfeo, lasciando apparentemente sola la celebrità, immersa totalmente nei suoi pensieri, turbe, dolori.
Egli difatti, percepiva l'aria intorno a sè divenire sempre più stretta, pesante ed era consapevole che in quelle circostanze - solo la giovane, era in grado di calmarlo, senza l'aiuto di altro, che potesse nuocere ulteriormente la sua salute ed il suo stato d'animo.
Frugando nella tasca dei suoi pantaloni, prese una scatolina di latta, contenente due piccole pasticche bianche, di forma ovale: era solito portare lo Xanax con sè, per tentare di tenere sotto controlli i leggeri attacchi di panico, che di tanto in tanto gli prendevano, nei periodi di eccessivo stress; ed osservando che il ragazzo, fosse ancora addormentato nel sedile dinnanzi al suo, le mise in bocca, mandandole giù con un goccio d'acqua.
Inspirò, accusando il battito del suo cuore, divenire mano a mano più calmo, leggero, cadenzato e prendendo il telefono, digitò un numero - che mai pensava di fare in quel momento.
«Michael, che piacere sentirti» gli disse una voce femminile dall'altro capo, dopo che aveva lasciato suonare l'apparecchio, per vari secondi.
Ebbe un brivido lungo tutto il corpo quando percepí quel suono delicato, audace e femminile, che lui conosceva fin troppo bene.
«Lisa, ciao..perdonami se ti chiamo a quest'ora» era imbarazzato, confuso, rilassato - dopotutto quella sostanza, stava compiendo il suo operato e delle volte, lo portava ad assumere atteggiamenti bizzarri ed a compiere gesta confuse.
«Figurati, piuttosto è insolito» rise la donna, dolcemente. «È successo qualcosa? Stai bene?»
«Ho divorziato da Debbie, un mese fa» aveva iniziato il moro, socchiudendo le palpebre e rilassando l'addome. «Avevi ragione, mi amava, mi ha sempre amato - ha iniziato ad amarmi da quando noi due, stavamo ancora insieme, come mi dicevi tu, tutte le volte, ma io stentavo dal crederti e ti additavo come paranoica, ti allontanavo..» non comprendeva perché stesse parlando del passato, con la sua prima ex moglie per giunta. «Se sto bene? Il solito, forse non merito nulla, come non ho meritato il tuo amore, nè quello di Debbie, nè..»
«Michael, calma!» lo precedette la Presley, leggermente scossa dall'attuale conversazione intrapresa dal suo ex marito, nel cuore della notte. Stava per domandargli nuovamente cosa avesse, cosa lo turbasse nonostante fosse consapevole che fosse uomo riservato, cocciuto, megalomane, che amava quindi essere al centro dell'attenzione, dove però, teneva per sè i suoi problemi, quasi sempre.
Era vero, lo conosceva bene ma - ignara del fatto che egli fosse riuscito ad aprirsi con quella fanciulla che ora percepiva lontana e temeva per la sua vita, lo sentì piangere, piangere in silenzio.
«Che succede Michael?» era preoccupata, rare volte aveva assistito ad alcuni suoi crolli emotivi, ma a distanza di anni, la sensazione era diversa, più fraterna, intima.
«Lisa, scusami se ti ho fatto soffrire quando eravamo sposati e scusami se non ti ho dimostrato davvero, il mio amore - ma cazzo, ti ho amato davvero» singhiozzava, ed ella rimase in silenzio. «Sono un mostro, non merito la tua comprensione, la tua amicizia - ma cazzo, dimmi che c'è ancora speranza per me Lisa, dimmi che merito di essere e sentirmi amato. Io la amo, io..»
«Chi è lei, Michael?»
Lui prese respiro, tentando di calmare i suoi singhiozzi sommessi mentre ammise a quella donna, decisamente importante per lui, della fanciulla capitata per caso, dei suoi occhi, della sua essenza, dei loro caratteri affini e di quanto lei riuscisse a capirlo nonostante la loro esistenza così diversa. «Sono innamorato Lisa, ne sono davvero innamorato - la amo ed in questo momento sta lottando tra la vita e la morte e non sono riuscito a dirle davvero, quanto io la ami..»
Lisa lo ascoltava, con un lieve sorriso sulle labbra quando egli, calmatosi dal pianto, le raccontava come si sentiva ogni tal volta l'avesse vicino. «Perché ridi?» la canzonò lui, dopo poco.
«Perché ti voglio bene Michael e sono felice di sentirti così, innamorato e spero che un giorno, tu possa presentarmela - ovviamente mi dispiace così tanto, ma vedrai andrà tutto bene. Ha carattere, da come la descrivi e tornerà da te» la donna inspirò. «Dopotutto sei un ottimo medico, quando vuoi. Ricordi quando avevo la febbre e sei rimasto vicino a me per tre giorni consecutivi?»
«Certo, era il minimo» e si chiuse nelle spalle, imbarazzato.
«Si, ma era solo febbre, Jackson!» egli rise, seguito da lei. «Vedrai, si sveglierà! Và da lei, stai facendo la cosa giusta, stai facendo bene a buttarti, a viverti il tutto» e nel mentre vide Frank muoversi nel sonno e lui, prese a parlare con tono di voce più soave, lieve.
«Grazie Lisa, grazie» e si era leggermente calmato, grazie a quella presenza, anche se non fisica - ma era una delle poche donne, capace di comprenderlo a pieno e di non giudicarlo, per quando le fosse stato possibile. «Te invece, come stai?» e presero a raccontarsi, a parlare con animo solare, tranquillo, privo di malizia ma colmo di quell'affetto fraterno, vero.
I due si congedarono non molto dopo, con un saluto dolce e quando riuscì ad intravedere l'insegna dell'ospedale, destò Frank dal suo sonno. «Siamo arrivati, Cascio!» e l'altro, sobbalzando sul posto, imprecò leggermente per via del forte spavento preso.
❀ ❀
«Oh Frank, sei qui anzi, siete qui» disse Bonnie, alzandosi dalla sedia, raggiungendo il suo ragazzo che la accolse velocemente tra le braccia. La vide pallida, con due grosse occhiaie ed il volto stanco. Tuttavia Michael si tolse la sciarpa intorno al volto, seguita dalla mascherina di velluto e gli occhiali da sole - lasciando i dottori del reparto, leggermente scossi.
«Michael - sei davvero qui» gli disse Ava, abbandonandosi al tocco della celebrità, che la strinse al suo addome. «Non potevo non essere qui, fisicamente» le aveva confidato quest'ultimo, mentre Abel lo fissava da lontano, leggermente sollevato.
«Abel-»
Il ragazzo gli fece un cenno di entrare nella stanza della ragazza ed egli titubante, lo fece. «Come sta?» domandò poi a Robert, che era fermo dinnanzi l'indiano, che in quel momento temeva anche per l'incolumità del cantante.
«Signor Jackson, lei è qui..»
«Ti prego, chiamami solo Michael e confido della sua massima riservatezza e di quella dei suoi colleghi. E vorrei che la mia presenza qui, passasse inosservata e riguardo le motivazioni..»
«Non si preoccupi, Michael» lo interruppe Robert, comprensivo. «Non è tenuto a darmi giustificazioni a riguardo, certo la sua presenza, mi lascia leggermente sbigottito data la grande ammirazione che provo nei suoi confronti» e gli sorrise sommesso. «Ma per me, quando siamo qua dentro, siete pazienti, familiari, amici - e siamo tutti uguali» il moro ne fu sollevato e quando la vide, inerme, bellissima, supina su quel lettino, ebbe un capogiro.
«I parametri sono buoni, l'operazione è andata bene. Stiamo solo aspettando che si svegli» spiegò il medico, gesticolando con le mani.
«E riguardo il padre?» chiese nuovamente la celebrità, congiungendo le mani al petto.
«Per lui invece...» Robert osservò un punto remoto della stanza, spiegando poi che la situazione di Carl fosse più complicata, dolente e che dovevano attendere che il corpo, lanciasse loro dei segnali per comprendere a pieno la sua situazione; ed a quella notizia Michael prese posto sulla sedia vicino al lettino della dama, osservando di sottecchi Abel.
«Sei sempre stato al suo fianco?» non era geloso, preoccupato che quel ragazzo celasse qualcosa di più, di semplice amicizia per la giovane - anzi, percepiva che egli fosse sincero, leale.
«Si, sperando che aprisse gli occhi in ogni momento. Le ho parlato tanto della danza, di Amanda, di te - dicendole che presto o tardi, l'avresti raggiunta..»
«Non riesco ad immaginare, un altro luogo dove essere in questo momento, se non questo..»
«La ami?» e il ragazzo inspirò, incrociando i suoi occhi scuri, profondi, penetranti in quelli altrettanto neri, sinceri del moro che schioccando la lingua al palato - accarezzò con le dita affusolate, una guancia fredda e morbida, della fanciulla.
«Se ti rispondessi un banale si, non basterebbe per dirti quando il mio cuore, batta per questa giovane donna, Abel. Ma si, ne sono innamorato, perdutamente» e le sue gote si dipinsero di rosso ed i suoi occhi, si riempirono nuovamente di piccole e calde goccioline salate. «E non meritava questo, ne lei, nè suo padre..»
«Nè voi, Michael» lo interruppe l'altro, abbozzando un sorriso sghembo. «Meritate di più e sono sicuro che presto o tardi, tutto si risolverà e che questo sia solo l'ennesimo ostacolo» e fece una giravolta su stesso, prima si raggiungere la porta.
«Sei un ottimo amico per lei, Abel e ti ringrazio»
Il giovane si chiuse nelle spalle, sorridendo. «Ora vi lascio soli, penso che ne avete bisogno» e lo congedò con un piccolo cenno di capo.
«Ehy bambina» e la guardava, venerava, amava mentre le sue iridi percorsero l'intero suo corpo, coperto dal misero camice azzurro, soffermandosi sulla gamba sinistra, ricoperta dal gesso. Temeva per la sua reazione, del suo stato d'animo quando ella, una volta ripreso coscienza, pensasse che la sua carriera da ballerina, dovesse finire lì.
Con il pollice le sfiorava le labbra aride, il naso, le guance. «Sono qui, Natalie - sono qui, piccola. Sapessi quante pazzie ho fatto per arrivare da te, per essere qui. Ti amo, davvero. Vorrei che tu lo sentissi, che lo sapessi» e nel mentre che sussurrava quelle parole, temeva il viso posato, vicino a quello di lei. «Sei così giovane, così acerba e hai ancora tante cose da affrontare, vivere, divorare con gli occhi. Svegliati, ti prego - svegliati» pregava, rimaneva in silenzio ed assopiva lo sguardo, laddove nessuno potesse udirlo e illudendosi al fatto di essere solo in sua compagnia, in una stretta totalmente intima.
Passarono due ore ed Abel, fece irruzione destando il cantante dal suo sonno in quanto si era coricato sulla poltrona presente, vicina la fanciulla, mentre non aveva lasciato la sua minuta mano, nemmeno per un secondo.
«Vuoi qualcosa da mangiare?» e il ragazzo sorrise, candido mentre l'altro, scosse il capo con dissenso. «Solo un tè, grazie» e si tolse il cappello di fedora mentre si rimise in piedi, per stiracchiarsi un poco.
Nonostante fosse una celebrità mondiale, la notizia che lui fosse lì - per ragioni non specificate, si era contenuta molto bene, all'interno di quelle mura. Egli aveva raggiunto anche Carl e vederlo completamente intubato ed inerme, glie si strinse il cuore. Era un ottimo e bravo uomo e si era promesso che una volta svegliata la sua dama, avrebbe fatto tutto il possibile per salvare il padre, mettendosi in contatto con i suoi medici e con i migliori di quel settore - non badando a spese ed a circostanze.
Natalie nel frattempo ebbe un sussulto in quanto, aveva udito in quelle lunghe ore, ogni parola, ogni gesto, ogni carezza da parte delle persone a lei care ma per qualche motivo a lei ignaro, il suo corpo non riusciva a rispondere alle sue richieste, ai suoi impulsi.
Mosse un dito, seguito da un altro ed un altro ancora, lottando con tutte le sue forze per aprire lo sguardo ed accecarsi così, con la luce bianca della stanza.
«Michael - Michael» balbettava Abel, battendo sul braccio destro del cantante, che osservando la fanciulla, percepí il cuore, fare una capriola nel petto.
«Presto Abel, chiama il medico» disse euforico. «È- è sveglia» e le baciò la fronte quando ella, gli sfiorò il dorso della mano, delicatamente con le sue dita.
«Mi-Michael-» mormorò infine ella, in un sussurro.
Continua-
[*1] Rodney Jerkins: fonico di Michael, nei periodi di Invicibile. (1997-2001)
[*2] Javon Beard: guardia del corpo di Michael.
Spazio Autrice:
Questo capitolo è stato davvero pesante, duro, dolente ma penso di essere, per una volta, soddisfatta del mio operato.
Ovviamente è stata dura, sopratutto cercare di far trapelare a voi, le mie emozioni a riguardo, e mi auguro di esserci riuscita.
Spero nei vostri commenti, nei vostri parere qua sotto, ci tengo davvero a sapere cosa ne pensiate a riguardo!
Vi aspetto, I love u girls.
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