𝚇𝙸𝙸𝙸
Si vis pacem, para bellum.
Proverbio latino
𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝚇𝙸𝙸𝙸
Taehyung e sua madre avevano una strana abitudine.
Ogni domenica raccoglievano un mucchio di giornali e si sedevano al tavolo della cucina. Trascorrevano ore ed ore a ritagliare lettere e poi le mettevano insieme per creare nuove frasi— frasi felici.
Taehyung non ricorda come sia nata questa abitudine, ma sa che era importante per sua madre.
«Mi piace», disse un giorno il piccolo Taehyung. «Ma perché lo facciamo?»
Dall'altra parte del tavolo, sua madre gli rivolse il suo solito sguardo caloroso. «Cosa raccontano i giornali la maggior parte delle volte?»
Taehyung sporse il labbro inferiore. «Cose brutte.»
«Giusto, orsetto.» Lei allungò una mano verso i suoi capelli e li arruffò un po'. «Noi trasformiamo le cose brutte in cose belle.»
«Ma le cose brutte non scompaiono.»
Sua madre ridacchiò, forse con più tristezza di quanto pensasse lui in quel momento. «Sì, ma noi non ci facciamo condizionare da loro.»
Del resto, non potevano permetterselo. I genitori di Taehyung erano sempre stati gentili con lui, ma quelli erano tempi duri, soprattutto per le persone gentili. La crisi li stava mettendo a dura prova, perché si erano sempre rifiutati di ricorrere a mezzi illegali per far soldi.
I suoi genitori erano grandi lavoratori, ma erano persone buone.
E il mondo non è gentile con le persone buone. Cerca di farle a pezzi giorno dopo giorno, anche senza averne l'intenzione.
Il fatto è che i suoi genitori erano teneri, ma mai deboli. Avevano fatto tutto il possibile per tenere in piedi la loro famiglia. La loro tenerezza era una debolezza? A volte Taehyung non può fare a meno di chiederselo, ma poi pensa a ciò che di tenero gli è rimasto nella sua vita di adesso— pensa a Jimin, e la risposta diventa chiarissima. Essere teneri non è di per sé una debolezza, la vita è dura per tutti.
Taehyung amava ritagliare le lettere dai giornali con sua madre.
Ma odiava doverlo fare per colpa di quel mondo di merda.
Da allora Taehyung non ha più ritagliato le frasi scritte sui giornali. Le legge a malapena, ma quando lo fa pensa a sua madre. Al modo in cui ha sempre cercato di trasformare le cose brutte in cose belle.
Lei ormai non vede più il mondo allo stesso modo, ma suo figlio vorrebbe che fosse così.
«Abbiamo un altro problema», annuncia Taehyung entrando nel seminterrato, con la valigetta in una mano e un giornale nell'altra. Solleva il braccio, lasciando che tutti vedano la prima pagina, poi lo getta sul tavolo comune, dove troneggia la loro fottuta macchinetta del caffè. «Il Chicago Sun-Times, signore e signori.»
Seokjin lo aveva avvertito con un messaggio.
«Richard aveva ragione allora», dice Seokjin bevendo un sorso di caffè.
«Se non altro il suo informatore aveva ragione», aggiunge Jeongguk, sorseggiando il suo fottuto caffè. Gliel'ha detto Seokjin stamattina o lo ha appreso nello stesso momento di Taehyung?
«Beh, è stato veloce.» Leroy prende il giornale e legge il titolo ad alta voce. «Nuova task force ad Harrison.» Aggrotta la fronte e annuisce. «Bel riassunto.»
«Non sanno un emerito cazzo, eppure l'hanno comunque usato come titolo», dice Taehyung, ma si corregge quasi subito. «Beh, qualcosa la sanno, ma non a proposito delle firme.»
«Hanno scritto i nomi delle vittime, però», nota Leroy, leggendo l'articolo.
Sì, questo è vero. Ma almeno la parola serial killer non è ancora emersa.
Tutti danno un'occhiata al giornale mentre Taehyung va a sedersi dietro la sua scrivania.
«Hai detto a Seokjin di Byron?»
Jeongguk gira appena la testa per guardare in faccia Taehyung. «Si, non preoccuparti.»
«Non mi stavo preoccupando.» Taehyung non sopporta quel sorrisetto presuntuoso. Vorrebbe farlo sparire dalla faccia della terra.
«Allora andiamo lì verso mezzogiorno?»
«Sì», risponde Taehyung, facendo a malapena lo sforzo di parlare.
Non ha dimenticato quello che gli ha detto Jeongguk, sul lavorare insieme eccetera. Sa che la task force ha bisogno che entrambi facciano uno sforzo, ma Taehyung proprio non ci riesce. Come può lavorare con qualcuno che odia così tanto?
Forse suona più infantile del dovuto, ma è la verità, giusto? Come potrebbe lavorarci insieme?
Certo, per ora sta effettivamente lavorando con lui, ma la situazione è insostenibile. Sono trascorsi appena un paio di giorni e quell'odore di menta gli fa già venire il mal di testa, dopo soli due minuti passati con Jeon. Beh, forse non è la menta, ma Jeongguk in generale. Sì, probabilmente sì.
Che cazzo, si sta davvero comportando come un bambino.
Deve ammettere che Jeon è molto intelligente—però, dannazione, anche questo è difficile da accettare. È lui che ha pensato per primo a Ollie, anche se prima o poi ci sarebbe arrivato anche Taehyung.
«Ho letto quel fascicolo arrivato da New York», borbotta Taehyung dopo un po', e questo sembra cogliere di sorpresa Jeongguk. Incredibile, Taehyung sa parlare, allora?
Cazzo, sta davvero cercando di fare uno sforzo?
«Allora, che ne pensi?» chiede Jeongguk ruotando la sedia, con le dita intrecciate sullo stomaco.
Penso che non meritavi tutte quelle attenzioni.
«Non capisco perché l'assassino abbia emulato un conto in sospeso tra gang.»
Jeongguk scrolla le spalle. «Io non capisco perché abbia emulato il tuo primo caso.»
«Se non altro ha scelto lo stesso contesto, ma nel tuo caso non si tratta nemmeno della stessa città.»
Il minore si scrocchia le nocche e inclina la testa da un lato. «Non è questione di contesto, ma di noi due.»
Taehyung resta in silenzio per qualche secondo, poi sospira. «C'è solo un modo per scoprire se è davvero così.»
Jeongguk annuisce lentamente e poi aggiunge: «Un terzo omicidio.»
«Se non c'è, giuro...»
«Shhh, sta' a vedere.»
Come sarebbe a dire, shhh? Col cavolo che se ne starà zitto... Aspetta, quella è una Harley? Taehyung strizza gli occhi per vedere se ha ragione, anche se è praticamente sicuro che lo sia, a giudicare dal frastuono che inonda la strada. Sono parcheggiati piuttosto lontano dalla casa, perciò Byron non può vedere il loro SUV se non guarda in quella precisa direzione.
«Te l'avevo detto.»
Taehyung stringe la mascella e non risponde. Una volta che Byron ha parcheggiato la sua bestia davanti alla casa, il detective apre la portiera e scende, dirigendosi verso l'edificio senza aspettare Jeongguk— il quale però lo segue ugualmente. È una casa decorosa, non appariscente. Taehyung tira fuori il suo distintivo e bussa alla porta, con Jeongguk al fianco. Non devono aspettare molto: è l'uomo che cercano, alto, robusto, con i capelli lunghi e una giacca di pelle, come ha detto Jaime.
«Salve, lei è Byron Cox?»
Il motociclista li guarda e annuisce. «Sì, lei è?»
«Detective Kim.» Mostra il suo distintivo e si volta un po' verso Jeongguk. «E questo è il mio collega, il detective Jeon.»
Anche il minore solleva il distintivo, prima di rimetterlo a posto.
«Bella Harley», dice Taehyung.
«È un appassionato di Harley?»
«Non proprio, ho sempre preferito le supermoto.»
«Tutto un altro stile.» Byron si schiarisce la gola. «Ma immagino che non siate qui per questo.»
«No, infatti», conferma Jeongguk. «Possiamo entrare?»
«Fate come se foste a casa vostra», dice l'altro, facendosi da parte.
Un altro spacciatore accogliente, eh? Uno che non ha nulla da nascondere in casa sua, almeno. Accettano il suo invito ed entrano nella tana del lupo. Le stanze sono sobrie, ma ci sono numerosi pezzi di ricambio sparsi un po' ovunque. In effetti, sembra più un'officina che una casa. Byron offre loro di sedersi, ma rifiutano cortesemente, perciò alla fine non si siede neanche lui.
«Sarò diretto», esordisce Taehyung. «Lei sapeva della morte di Francis Goodman, vero?»
«Capisco.» Il motociclista appoggia i gomiti sul bancone dietro di lui. «Sì, lo sapevo, ma non me ne sono andato per questo, se queste sono le vostre conclusioni.»
«Chi ha parlato di conclusioni?» interviene Jeongguk.
«Nessuno, ha ragione.» Byron alza un po' le spalle.
«Ora lo sanno tutti.»
«Grazie a quel giornale, sì.»
«Un omicidio, mh? Strano.»
«Perché?» chiede Jeongguk.
«Francis, lui... Era un coglione, è vero, ma addirittura ammazzarlo? Non ha mai dato così tanto fastidio a qualcuno.»
«Ci sono persone capaci di uccidere per motivi futilissimi», risponde Taehyung.
«Sì, immagino di sì.»
Ma non lui, giusto? O magari avrà anche ucciso qualcuno, ma di certo non Francis. Taehyung si fida sempre del suo istinto, perciò...
«Perché dovrei uccidere un uomo che mi deve dei soldi?»
Esattamente.
«Senta», esordisce Jeongguk. «Ad essere sinceri, non pensiamo che l'abbia ucciso lei, ma forse può aiutarci.»
Taehyung stringe la mascella, più per riflesso che per altro, mentre Jeongguk sembra perso nei suoi pensieri. Stavolta devono attenersi solo all'omicidio, e Taehyung ritiene che conoscere il motivo esatto per cui Francis deve dei soldi a quest'uomo non li porterà da nessuna parte. Non è poi così rilevante. Devono solo fargli delle domande di routine, ed è quello che alla fine fa Taehyung.
«Ha notato qualcosa di strano ultimamente? Qualsiasi cosa.»
Byron si tocca la barba e se la arrotola tra l'indice e il pollice. Sembra la versione depravata di una statua greca. Taehyung nota che il motociclista sta per scuotere la testa, ma all'improvviso aggrotta le sopracciglia e guarda per terra, colto da un pensiero.
«C'è una cosa, sì.» Alza lo sguardo verso di loro. «Sono andato a casa di Francis qualche giorno prima che... beh, avete capito.»
«Quanti giorni?» chiede Jeongguk.
«Otto, forse nove, non ne sono sicuro. Erano circa le dieci di sera quando a un tratto ho visto un'auto nera parcheggiata vicino alla casa. Me la ricordo perché aveva dei vetri oscurati che costavano un rene o due.»
Vetri oscurati a West Lawn? Scordatevi la discrezione.
«Ha visto la targa?» chiede Jeongguk, anche se di sicuro non si aspetta una risposta affermativa.
«No, ero troppo lontano ed era troppo buio, mi dispiace. Ma era un piccolo minivan, non se ne vedono spesso da queste parti.»
Sì, è più probabile che appartenga al Loop e dintorni, vigilanza privata e cose del genere. Gente ricca, insomma. Molto strano.
«Meglio di niente», afferma il minore. «Nient'altro?»
Byron scuote la testa. «Non credo.»
Taehyung annuisce e porge la mano al motociclista. «Grazie, allora.»
«Grazie», dice Jeongguk dopo di lui, stringendo la mano di Byron più a lungo del necessario. «Righi dritto, Mr. Cox.»
Il sole è scomparso da tempo quando Taehyung esce dalla stazione, lasciandosi dietro tre dei suoi colleghi. Jeongguk se n'è andato un po' prima di lui, dicendo che avrebbe lavorato meglio a casa. Malgrado il suo caratteraccio, a Taehyung non piace molto lavorare da casa. C'è troppa desolazione e al contempo troppo disordine.
Il detective si china e sale sulla sua vecchia Ford. Sospira quando si siede, con la schiena schiacciata contro lo schienale in pelle mezzo distrutto. Oggi non hanno scoperto un cazzo, a parte la storia del minivan. Senza una targa o un altro testimone, per ora è un'informazione del tutto inutile, ma almeno potrebbe aiutarli se...
Sì, se si verifica un nuovo omicidio. Questa è l'unica risposta che hanno, a quanto pare, e questa cosa infastidisce da morire Taehyung. Due persone sono morte, ma non ci sono prove. Quell'assassino è il bastardo più intelligente o il più fortunato della Terra. In ogni caso, non la farà franca—e quello stronzo non avrà una Annalise Keating al suo fianco quando lo prenderanno.
Sta per accendere il motore, quando il suo telefono squilla nella tasca.
Chim, 21:02.
vieni da me!
Taehyung si acciglia. Non è certo una sorpresa, però che tempismo.
Chim, 21:03.
cibo gratis, non puoi rifiutare
Perfetto. Non può rifiutare nemmeno di vedere Jimin.
Taehyung, 21:03.
sto arrivando, idiota
Il motore stavolta prende vita per davvero e Taehyung si avvia verso il Near North Side e la Old Town. Il traffico rispecchia bene i suoi pensieri in questo momento: denso e rumoroso, irrequieto e pieno di cose inutili. È contento che Jimin gli abbia chiesto di andare da lui, perché gli manca già. E poi, pensare a qualcosa di diverso dal caso gli farebbe davvero bene.
Taehyung è in piedi dietro la porta, con la valigetta in una mano e l'altro braccio già pronto ad abbracciare il ragazzo che tra poco aprirà la porta. Il problema è che qualcosa lo coglie di sorpresa non appena la porta si apre. «Cazzo, mi prendi per il culo?»
Il sorriso di Namjoon diventa più ampio mentre invita Taehyung a entrare, i capelli rosa pallido che gli ricadono sulle tempie.
Fanculo a lui.
«Dov'è Jimin?» chiede Taehyung quando arrivano nella sala da pranzo.
«Buonasera anche a te, Taehyung.»
«Chi ti credi di essere?» Il detective stringe la mascella e guarda il giornalista negli occhi.
«Dov'è?»
«Si rilassi, ispettore Lestrade. È al supermercato.»
Taehyung la prende sul personale. «Tuttalpiù potrei essere Sherlock Holmes.»
Namjoon ci pensa su per qualche secondo e poi storce il naso. «Watson.»
«Oh, vaffanculo.» E glielo dice con tutto il cuore. Non è amichevole neanche un po', non importa ciò che pensa Namjoon.
Taehyung posa la valigetta per terra, si toglie il cappotto e lo poggia sull'appendiabiti, ignorando lo sguardo insistente di Namjoon.
«Quindi sei nella nuova task force, giusto?»
Taehyung si accorge del giochetto che sta cercando di fare Namjoon, ma vorrebbe averlo notato prima.
«Hai mandato tu quei messaggi, non è vero?»
Il giornalista batte le mani e annuisce leggermente. «Forse sei davvero Sherlock.»
«Vieni qui.»
Namjoon socchiude gli occhi, ma lo fa. Taehyung si china e gli sussurra all'orecchio: «Non ti dirò un emerito cazzo.» Poi lo spinge leggermente e si siede sul divano, in attesa che torni Jimin.
«Sai che lavoro per il Tribune, vero?»
«Sì, e quindi?» Taehyung alza un sopracciglio, infastidito. «Probabilmente è per questo che il Sun-Times ha avuto la notizia prima di voi.»
«Il mio capo vuole che contrattacchiamo.»
«Lui può volere quello che vuole, ma io non vi dirò niente. Soprattutto a te.»
«Lei», lo corregge Namjoon. «Il mio precedente capo—»
«Namjoon?» lo interrompe Taehyung. «Non me ne frega un cazzo.» E niente potrebbe essere più vero di questo. Non gliene frega un cazzo di Namjoon e, beh, non gliene frega un cazzo dei media. Li odia.
Sentono la porta d'ingresso aprirsi e subito dopo vede apparire Jimin.
«Tae!» Il biondo gli va incontro, abbracciandolo prima che Taehyung possa alzarsi. Il più piccolo, anche se solo di qualche mese, lo tira sul divano e lo tiene stretto per un po', prima di farlo sedere accanto a sé. «Cosa ci fai qui?»
«Chiedi al tuo fantastico coinquilino.»
Jimin si acciglia e guarda Namjoon, che alza le spalle. «Mi servivano informazioni sulla task force.»
L'agente di polizia tira fuori il suo telefono, lo sblocca e fa una risatina sarcastica quando legge la conversazione. «E tu hai preso il mio telefono per questo.»
«Lo lasci sempre in giro.»
Jimin si scusa con Taehyung e sospira. «Cosa non hai capito quando ti ho detto "Taehyung non ti dirà nulla, è inutile che insisti", mh?»
Namjoon ride, con quella sua aria da moccioso. «Insistere è letteralmente il mio lavoro.»
«Che lavoro di merda, allora», dice la voce bassa di Taehyung.
«Io avrò anche un lavoro di merda secondo te, ma secondo il resto del mondo sei tu che hai un lavoro di merda.»
«Brutto stronzo», ringhia Taehyung mentre sta per alzarsi, ma Jimin lo trattiene. «Non ti ho portato del cibo per vedere te che ti azzuffi con lui.» Jimin lascia il colletto di Taehyung e guarda Namjoon accigliato. «E tu non hai invitato qui Taehyung per provocarlo in questo modo.»
«In realtà, sei tu che l'hai invitato», obietta Namjoon, compiaciuto, perché è l'unica cosa che sa fare.
«Oh, sta' zitto.» Jimin si alza dal divano e batte le sue piccole mani. «Forza, è ora di cena. Tutti e due.»
Namjoon stringe le labbra. «No, passo.» Prende il telefono e lo appoggia sul passavivande accanto a lui. «È morto, non chiamarmi.»
«Non l'avrebbe fatto comunque.» Taehyung finge un sorriso e si alza per mettere un braccio intorno alle spalle di Jimin. Quest'ultimo gli dà una leggera gomitata, ma non si ritrae.
«Sì, sì.» Namjoon si infila la giacca e il berretto e poi li saluta. «Divertitevi.»
Taehyung aspetta che la porta si chiuda e poi tira un sospiro. «Il tuo fidanzato è incredibile.»
Jimin fa una smorfia e alza un po' lo sguardo per incontrare quello di Taehyung. «Sei più vicino ad essere tu il mio fidanzato che lui.»
«Mi sembra giusto.» Taehyung bacia la fronte di Jimin e fa un passo indietro. «Onestamente, meriti di meglio di... quello.» Fa una faccia disgustata che fa alzare gli occhi al cielo a Jimin.
«Non essere cattivo.» Il suo pugno colpisce il petto di Taehyung. «E tu sei migliore.»
Taehyung non può fare a meno di ridacchiare un po'. Jimin è un tale adulatore, è incredibile anche lui.
«Sì, questo lo pensi tu e soltanto tu.» Taehyung si scrocchia il collo. «Forse con la bocca piena la smetterai di dire balle.»
Jimin ha un'aria offesa, ma si dirige comunque verso la cucina. Poi svuota la busta sul tavolo, rivelando ciò che ha comprato.
«Zuppa di pollo, sul serio?»
Jimin alza le spalle, questa volta con aria innocente. «Morivo dalla voglia di mangiarla.»
Moriva sempre dalla voglia di mangiarla, per l'amor di Dio. Per qualche motivo, e soprattutto per amore di Jimin, Taehyung si limita a fare un sospiro, lasciandogli fare quello che vuole.
«Ecco perché sei minuscolo», lo prende in giro Taehyung sedendosi a tavola, mentre Jimin fa bollire l'acqua.
«Sono atletico.»
«Un atleta minuscolo, allora.»
Jimin gli dà le spalle come se fosse arrabbiato, ma subito dopo la sua voce riecheggia di nuovo nella stanza. «Non ho detto nulla perché c'era Joon, ma adesso...» Jimin si volta di nuovo e fissa Taehyung. «Raccontami tutto.»
«Oh, lei è troppo gentile, signorino Park», lo prende in giro Taehyung, appoggiando i gomiti sul tavolo. «Non ho niente da dire.»
Ha un bel po' di cose da dire, in realtà. Più di quante vorrebbe.
«Un nuovo omicidio, una nuova task force e soprattutto un nuovo partner, e non hai nulla da dire?» Jimin alza un sopracciglio. «Quel partner.»
«Lo stronzo.»
«Quindi hai qualcosa da dire.» Jimin versa l'acqua calda nelle ciotole che ha preso. «No?»
Taehyung alza gli occhi al cielo. «È insopportabile come prima, anzi è peggio perché sta sempre in mezzo ai coglioni.»
«È tipo il suo lavoro.»
«Va bene.» Taehyung inspira profondamente, l'odore di pollo gli riempie le narici. «Sono passati solo un paio giorni e il suo odore di menta mi fa già venire l'emicrania, il modo in cui si comporta mi dà sui nervi, il–»
«Un'altra una settimana e ti innamorerai di lui.»
Maledetto Jimin. Sa meglio di chiunque altro che è impossibile.
«Un'altra settimana e lo uccido.»
Jimin appoggia le mani sul bancone dietro di sé, per nulla impressionato dalle parole di Taehyung. Sì, è assolutamente incredibile.
«E Dio solo sa che ti prenderai quella settimana extra, non è vero?»
Più che una semplice settimana, teme Taehyung.
«Sì, quei fottuti omicidi mi stanno facendo uscire di testa.» Le sue palpebre tremolano un po'. «Mi sento un idiota.»
«Ma non lo sei.» Un sorriso sghembo storce le labbra di Jimin. «E nemmeno Jeongguk lo è.»
«Due sforzi.» La voce di Taehyung è solo un mormorio.
«Che hai detto?»
Cazzo, perché ha parlato?
«Jeon, lui...» Taehyung non può fare a meno di alzare gli occhi al cielo. «Mi ha detto che dovremmo lavorare insieme.»
«E avevi bisogno di lui per capirlo?» Le mani di Jimin si posano sulle spalle di Taehyung. «Riformulo: il tuo culo testardo aveva bisogno di lui.» A Jimin scappa una risata non appena si rende conto della sua scelta di parole.
«Non avevo bisogno di lui.» Alza un sopracciglio. «E nemmeno il mio culo, Jimin.»
«Interessante.»
«Vai a cagare.»
Jimin ridacchia, ancora una volta per nulla colpito dai modi di fare di Taehyung. Poi prende le ciotole, le poggia sul tavolo e si siede di fronte a lui.
Taehyung è contento che Namjoon se ne sia andato.
Taehyung non è mai stato un grande bevitore. Il suo consumo di alcol in una vita intera si riduce a qualche birra con Jimin, quando erano più giovani e desiderosi di libertà. Hanno imparato presto che bere non è sinonimo di libertà, ma piuttosto il contrario. Taehyung l'ha imparato nel peggiore dei modi. Dopo la morte del padre, ha scoperto la verità su quella roba di merda. Etanolo è una bella parola: scivola sulla lingua senza forzature, e questo non è mai un buon segno. Le cose apparentemente belle di rado lo sono davvero e, il più delle volte, sottendono grosse ripercussioni. L'alcol non fa eccezione.
Certo, ci sono molti motivi per bere, ma nessuno di questi è valido. Spesso è solo una questione di divertimento, almeno all'inizio. Si è giovani e sprovveduti, si vuole bere perché gli amici lo trovano figo e si organizzano più feste del necessario. L'alcol non sembra dannoso, alcuni pensano addirittura che sia un meraviglioso strumento di socializzazione. Sì, non sembra dannoso.
Eppure lo è. Il tempo passa e non si può più fare festa senza alcol. Anzi, non si vuole nemmeno festeggiare se non c'è l'alcol, perché altrimenti che senso ha? Il concetto stesso di fare festa non è più legato alla gioia, ma l'alcol sì. Il fatto è che quella non è gioia. È già di per sé una forma di dipendenza, anche se pensereste che sia impossibile, perché queste cose succedono solo agli altri, giusto? Poi, però, arriva un giorno in cui ti rendi conto di essere diventato uno degli altri. O forse non sei tu a rendertene conto, ma qualcun altro.
In alcuni casi, non sei neppure un gran bevitore, ma la vita ti massacra giorno dopo giorno e hai bisogno di qualcosa, qualunque cosa, per arrivare a fine giornata. Alcuni si rifugiano nel cibo, altri nel lavoro o nella musica. Qualunque cosa.
E alcuni, beh, prendono una bottiglia. All'inizio è solo una bottiglia, diciamo anche un bicchiere. Ben presto un bicchiere diventa due bicchieri, tre, quattro e così via. Un bicchiere o due la sera si trasformano in una bottiglia la mattina, e non ve lo aspettavate, perché l'alcol è una cosa viziosa. È un passo avanti a te, finge di essere tuo amico e un bel giorno ti pugnala alle spalle. A un certo punto, ti rendi conto che l'alcol non ti resta accanto perché è tuo alleato, ma piuttosto per mantenere il potere che ha su di te, la sua influenza. Una bottiglia non ha braccia, ma Dio solo sa sa che può tenerti stretto, può stringerti la gola fino a farti soffocare, persuadendoti che sei a secco anche se hai finito una bottiglia trenta minuti fa. Anche se non ricordi nemmeno dove sei, perché a un certo punto è questo che succede. Inizi a dimenticare cose banali, una o due volte, ma poi anche questa diventa una cosa abituale e, col passare del tempo, inizi a dimenticare le cose importanti.
Taehyung non l'ha letto su Wikipedia, l'ha vissuto. In un certo senso, lo vive ancora, perché l'alcol provoca danni che non si possono dimenticare, anche se non eri tu a bere.
Un altro aspetto dell'alcol è che raramente colpisce un solo individuo. I danni collaterali fanno parte del pacchetto completo. Prima di diventare una vittima, Taehyung era un figlio– e lo è ancora. Un figlio che ha visto l'alcol avvelenare la sua adorata madre. Lei non era mai stata una gran bevitrice, fino a quando, un maledetto giorno, suo marito morì. L'amore della sua vita, un semplice tassista che faceva il suo lavoro, era stato ucciso da uno psicopatico. Taehyung non l'aveva capito subito, ma quel giorno aveva perso sia suo padre che sua madre.
L'alcol aveva pian piano preso in ostaggio sua madre e la donna che conosceva era diventata soltanto un vecchio ricordo. A volte, quel ricordo gli provoca una sensazione di tepore nello stomaco, gli ricorda momenti felici, anche se la loro vita non è sempre stata facile. Guarda vecchie foto che lo fanno sorridere, come quella scattata da suo padre quando andarono in campeggio al White Pines Forest State Park, o quella scattata dalla mamma quando Taehyung si sedette per la prima volta sul taxi del papà. A un certo punto, però, quella sensazione di calore si trasforma in una sensazione di malessere, un dolore sordo che ricorda a Taehyung che ormai è tutto finito. Gli ricorda che la vita è ingiusta, che un ragazzo di diciassette anni ha perso il padre per colpa di un figlio di puttana, ma che le cose stanno così e non può farci niente. Il ricordo che quello stesso ragazzo ha perso anche la madre che aveva, e che quella madre ora non c'è più.
Dopo quasi dieci anni, è ancora un pugno nello stomaco.
Ogni azione, per quanto piccola, ha una conseguenza. Un'eternità fa, un fottuto bastardo ha deciso di uccidere un buon padre di famiglia, un essere umano su cui non aveva alcun diritto, ma quell'uomo aveva voluto giocare a fare Dio, soltanto perché ne aveva voglia. Sua madre aveva cercato sul serio di andare avanti, ci aveva provato con tutte le sue forze, ma non era bastato. Aveva bisogno di un rifugio e l'aveva trovato nell'alcol. Non sapeva che quel rifugio prima o poi l'avrebbe soffocata.
Taehyung non è più arrabbiato con lei.
Vorrebbe solo essere stato il suo rifugio.
Perché quel giorno anche Taehyung ha perso una parte di sé. Ma grazie a chiunque ci sia lassù, ha ancora Jimin e sua zia.
È passato un mese dall'ultima volta che Taehyung è venuto qui. Aspetta sempre un mese prima di tornare, perché: primo, non ha molto tempo libero, e secondo, è piuttosto difficile per lui. Non fraintendetelo: malgrado tutto, Taehyung ama sua madre, le vuole molto bene, ma sa che lì è in buone mani. Dopo aver trascorso così tanto tempo in riabilitazione nel corso della sua vita, si meritava la miglior casa di riposo di Chicago—ecco il motivo per cui Taehyung non spende molti soldi per se stesso.
Quindi sì, Taehyung va a trovarla una volta al mese, indipendentemente da quello che accade nella sua vita. Più che una casa di riposo, la struttura sembra piuttosto una residenza assistita, in cui sua madre ha la sua camera da letto personale e un bagno privato. È davvero fantastica e no, Taehyung non l'ha scelta per liberarsi di sua madre, come qualcuno potrebbe pensare. Anzi, è lei che ha insistito per andare lì, assicurandosi che fosse la scelta migliore. E così è stato.
«Signor Kim!» lo accoglie la giovane infermiera appena entra. «Come sta?»
Taehyung le sorride. È sempre stata gentile con lui e, soprattutto, con sua madre. «Bene. E tu, Lana?»
«Benissimo, grazie!» Sembra sempre così felice, così contenta di fare quel lavoro. «Tua madre è nella sua stanza.»
Taehyung la ringrazia ed entra in una delle sale. È più luminoso che all'esterno di Chicago, come al solito. E sua madre merita quella luce, perciò è contento che abbiano scelto questa struttura. Cammina con calma, facendo un cenno di saluto a chiunque gli sorrida, e dopo poco arriva a destinazione, davanti alla piccola casa di sua madre—con la sua camera da letto e il suo bagno privato.
Andare a trovarla al centro di riabilitazione è stato difficile, ma qui è... un po' meno complicato.
Bussa alla porta ed entra subito.
«Taehyung!» dice sua madre quando lo vede, con un piccolo sorriso sulle labbra. A quanto pare, è una buona giornata. A volte riconosce a malapena suo figlio, ma Taehyung non può biasimarla: l'alcol ti fotte il cervello, forse anche più della vecchiaia.
Taehyung si avvicina e la abbraccia per qualche secondo. «Come stai, mamma?»
«Meglio da quando ci sei tu, orsetto.» Ah, quel soprannome. Taehyung le rivolge un lieve sorriso e si siede sulla seconda sedia intorno al piccolo tavolo rotondo. In tutta onestà, quando Taehyung guarda sua madre, vede suo padre. E può immaginare che anche lei veda il suo unico marito ogni volta guarda suo figlio. Taehyung somiglia molto a suo padre.
«Sei venuto prima del solito.»
Taehyung prende la penna sul tavolo e inizia a giocarci. «Mi aspetto che questo mese sarò molto più impegnato, quindi sì.»
Per la precisione, si aspetta un terzo omicidio.
«Salvare il mondo richiede tempo», aggiunge lei.
«Cerco solo di evitare il declino di Chicago, ed è già abbastanza difficile.»
«Allora stai facendo un buon lavoro.»
Gli piacerebbe credere che sia così, ma anche se sa di essere un ottimo detective, non può dire che sta facendo un buon lavoro, non quando c'è un fottuto serial killer a piede libero.
Ma naturalmente Taehyung le risparmia questo piccolo dettaglio e si limita ad annuire.
«E tu?» le chiede, non volendo parlare di lavoro.
Sì, di sicuro non è andato lì per farsi scappare di bocca le parole "Jeongguk" o "serial killer".
Taehyung si alza bruscamente, il cuore gli batte forte nella cassa toracica. La stanza è ancora buia, che ore sono? E perché il suo telefono continua a squillare? Suoneria di merda, sempre troppo alta. Con gli occhi ancora socchiusi, Taehyung afferra l'aggeggio e risponde senza guardare lo schermo. Deve essere Seokjin.
«Taehyung? Ti ho svegliato?»
Non è Seokjin. «Tu che dici, Jeon?» risponde brontolando, con la bocca che a malapena riesce ad aprirsi correttamente. «Che cazzo vuoi, Cristo santo?»
«Il Tribune.»
«Il giornale?» chiede Taehyung, con la mente evidentemente ancora troppo annebbiata.
«E quindi?»
«Ti ho mandato la testata giornalistica, controlla.»
Taehyung borbotta e apre il file di testo.
Ma che cazzo di titolo è?
Il detective aggrotta le sopracciglia e guarda la foto un'altra volta, sperando di sbagliarsi. Ma non è così. La frase in grassetto recita "Un serial killer a piede libero?", alla portata di chiunque abbia voglia di leggerla. Lo schermo è troppo luminoso per i suoi occhi, perciò riporta il telefono all'orecchio.
«Chi ha scritto questa porcheria?» Taehyung teme la risposta. Come dovrebbe.
«Fammi controllare.» Si sente un rumore di scartoffie. «Mmh, Stacy Grant e Namjoon Kim.»
Ovviamente.
«Cazzo», dice Taehyung, passandosi la lingua sui denti. «Parlerò con quel bastardo.»
«Cosa?»
«Quel Kim, lo conosco.»
«Cos'è, una specie di regola?»
«Cosa?» chiede Taehyung a sua volta.
«Tutti i Kim sono degli idioti.»
«Va' a farti fottere, Jeon.» Taehyung scende dal letto—e con il piede sbagliato, cazzo. «Avvisa la squadra, al resto ci penso io.»
Riattacca senza aspettare la risposta del minore e chiama subito Jimin, con la mente decisamente più lucida di prima.
Il poliziotto risponde subito. «Taehyung, che succede?»
Sa cosa ha fatto Namjoon? E come cazzo l'ha fatto?
«Jimin, sai dov'è Namjoon?»
C'è un piccolo silenzio e poi: «Si sta preparando per andare al lavoro, ma a proposito...» Taehyung si accorge che Jimin è accigliato dall'altro capo del telefono. «Negli ultimi due giorni si è comportato in modo piuttosto strano.»
«Non dirgli niente, Chim. Ti chiamo dopo, ok?»
«Sì, certo», espira Jimin. «Non fare niente di stupido, Kim.»
Taehyung quasi scoppia a ridere. Non è il tipo da fare cose stupide, o no?
La Tribune Tower era molto più elegante del nuovo edificio del Tribune del 2018, anche se deve ammettere che il Millennium Park e il suo fottuto Bean vicino all'edificio sono piuttosto fighi. Ma Taehyung non è lì per fare il figo. In questo momento sta aspettando vicino all'ingresso, con la schiena appoggiata al muro. È ancora presto, ma la gente cammina già veloce sui marciapiedi, anche se più lentamente del solito, perché oggi sono scivolosi. Il cielo grigio è punteggiato di fiocchi di neve, cosa per niente rara a novembre. Taehyung espira solo per vedere la condensa. Gli è sempre piaciuto farlo. Continua a guardarsi intorno alla ricerca di Namjoon e strofina le mani guantate tra loro.
Ah, eccolo lì, che cammina verso la porta d'ingresso come se niente fosse. Taehyung si spinge via dal muro e va incontro a Namjoon, che si acciglia sotto il berretto non appena vede Taehyung. Il detective accelera il passo e, una volta vicino a lui, non gli lascia nemmeno il tempo di fiatare. Afferra il colletto del giornalista e lo sbatte contro il muro, un po' lontano da occhi indiscreti, ma ancora in pubblica piazza.
«Dovrei prenderti a calci in culo in questo momento, Kim.»
Il cipiglio di Namjoon viene spazzato via da quel suo sguardo arrogante. «Per quale motivo, detective?»
Taehyung stringe la mascella e sbatte di nuovo la schiena di Namjoon contro il muro. «Come hai avuto quelle informazioni?»
Il giornalista ridacchia, un po' a corto di idee. «Oh, hai visto il giornale di oggi.»
«Non farmelo ripetere, idiota.»
«Pensi davvero che lascerei il mio telefono a casa senza motivo?»
Gli occhi di Taehyung si allargano quando capisce cosa ha fatto quel bastardo. «Hai registrato la conversazione?»
Le labbra di Namjoon si incurvano con orgoglio. «È stato più facile di quanto pensassi.»
Taehyung vede rosso, il sangue comincia a pulsargli nelle tempie, il petto troppo stretto per qualcuno che non può urlare la sua rabbia. Detesta i giornalisti e soprattutto questo giornalista. Gli avrebbe rotto il naso se non ci fossero stati i passanti. Tuttavia, vuole comunque dargli una meritata lezione.
«Posso aiutarla, signore?» Una voce femminile emerge alle sue spalle. Taehyung aggrotta le sopracciglia, ma Namjoon non lo fa. Quello stronzo sta sorridendo.
Il detective si volta leggermente, senza lasciare andare Namjoon. «Non sono affari suoi.»
La donna bionda gli sorride, ed ha quel tipo di sorriso che lui disprezza profondamente. Quello ipocrita, che sta così bene ai ricconi di merda. «Oh, invece sì.» Fa un cenno a Namjoon. «Vede, il fatto è che lei sta molestando uno dei miei dipendenti.»
Taehyung lascia andare Namjoon e si volta completamente. Quindi questa tizia è la nuova capo-redattrice, eh?
«A proposito...» Ha ancora quel sorrisetto del cazzo stampato in faccia mentre gli porge la mano. «Sono Erin White.»
A Taehyung piace credere di essere, in un certo senso, un gentiluomo. Ma questa volta non ha voglia di esserlo. Si acciglia di nuovo, senza stringerle la mano.
«Hai ragione, non serve che ti presenti.» Namjoon si sposta accanto a lei mentre la donna continua a parlare. «Ti conoscono tutti, detective Kim. Soprattutto dopo il nostro ultimo articolo.»
Sta cercando di fargli saltare i nervi e cazzo, ci sta riuscendo alla grande. Però non può metterle le mani addosso; in primo luogo, perché è una donna – e una persona che non gli ha fatto niente, in fin dei conti – e in secondo luogo, perché se lo facesse si metterebbe in guai seri.
«Non ho finito con te, Kim», dice Taehyung prima di andarsene. Si sta dirigendo verso la macchina quando sente una pressione sulla spalla. Si gira di scatto, pronto a prendere a pugni chiunque abbia osato toccarlo, ma alla fine si limita a grugnire.
«Che cazzo vuoi, Jeon?» Il Jeon in questione gli dà uno spintone, non con forza, ma infastidisce lo stesso Taehyung. «E non mi toccare!»
Jeongguk non lo ascolta affatto e stringe la spalla di Taehyung. «Cosa stavi facendo, idiota?»
«Idiota?» Taehyung si scrolla la sua mano di dosso. «Vaffanculo.»
«Smettila di mandarmi a fanculo e inizia a pensare!» Jeongguk fa un sospiro esasperato e lascia cadere le mani lungo i fianchi. «Maledizione, è questo il tuo modo di gestire le situazioni?»
«Sì, perché?» Il sangue di Taehyung continua a martellargli nelle tempie.
«Allora non gestirle affatto!» Jeongguk si scosta i capelli dagli occhi. «Davvero, amico, che diavolo fai?»
«Non sono tuo amico.»
«Va'a farti fottere, sei proprio un bambino!»
Taehyung alza un sopracciglio. «Di certo non da te.»
«È un dannato modo di dire, non cambiare argomento.»
Taehyung non l'ha mai visto così esasperato. «Namjoon mi ha rubato delle informazioni, io–»
«Rubato come?»
Sospira, sentendosi fottutamente stupido. «Ha registrato una conversazione.»
Jeongguk stringe le labbra e subito dopo scoppia a ridere. «Sei davvero un idiota.»
«E lui è un bastardo!» è la blanda difesa di Taehyung.
«Ma uno intelligente!» Jeongguk inspira profondamente e chiude gli occhi per un secondo. «Seokjin si arrabbierà tantissimo.»
«Da quando lo conosci così bene, mh?» Taehyung fa un verso di scherno.
Il minore lo imita e alza gli occhi al cielo. «È il capo della nostra dannata task force.» Si strofina il ponte del naso prima di fissare Taehyung. «Per ora stai lontano dai media.»
«I media possono baciarmi il culo.»
«Due settimane dall'omicidio di Francis e non abbiamo quasi nulla», ricorda loro Seokjin, seduto per metà sul tavolo dietro di lui e con le mani poggiate sopra di esso. «Anche i risultati del laboratorio richiederanno tempo.»
Sono tutti nel seminterrato, le palpebre che calano di tanto in tanto mentre il livello generale di stanchezza aumenta. Deve essere molto tardi.
«Questo assassino è micidiale», dice Georgie dopo un po'. «Sembrano degli omicidi perfetti.»
«Ma non lo sono», contesta Jeongguk. «Potremmo aver trovato l'auto dell'assassino.»
«Rettifico», risponde Zak, che di solito non parla molto. «Byron ha visto una strana macchina davanti alla casa di Francis.»
«Dai, Zaky», lo guarda Jeongguk. «Un cazzo di minivan nero con i finestrini oscurati? È di sicuro il nostro assassino.»
«Forse, ma non ci porta comunque da nessuna parte.»
«Per ora», borbotta Taehyung.
«E allora che facciamo? Aspettiamo un altro omicidio?»
«Sì, Zak. E preghiamo anche che non succeda, preghiamo che si tratti di un fottuto errore.»
«Mi rode dirlo, ma ha ragione», conferma Jeongguk.
«Allora andate d'accordo, adesso!» afferma Leroy all'improvviso.
«Diavolo no!» protestano entrambi i detective, cosa che fa alzare gli occhi al cielo a Leroy.
Seokjin si schiarisce la voce per attirare la loro attenzione. È vestito come al solito, splendido nel suo abito blu scuro, con le dita lunghe che stringono il bordo del tavolo. Sembra stanco, però.
«Continueremo a cercare indizi, ma devo ammettere che...» Si pizzica il ponte del naso. «I nostri detective hanno ragione.» Il suo sguardo si perde per un attimo nel vuoto, prima di aggiungere: «Ma i media non ce la faranno passare liscia.»
«La gente ha iniziato a parlarne sui social», chiarisce Leroy.
«Fantastico, che notizia di merda», brontola Taehyung.
«Almeno così Taehyung non può aggredirli.»
Taehyung guarda in cagnesco Jeongguk, che si limita a ridere accanto a lui. E sente ancora quel fottuto odore di menta, anche a tarda sera.
Allora ci siamo.
Venerdì 22 novembre.
La notte è appena iniziata quando escono dalla stazione, ma già si gela. Per loro fortuna il SUV è vicino, così salgono velocemente: Leroy e Georgie dietro, Taehyung e Jeongguk davanti. Taehyung si siede al volante, avvia il motore e accende il riscaldamento. Quasi tutti i membri dell'Harrison sono impegnati stasera. Solo alcuni sono rimasti alla stazione di polizia per coordinare tutto, come Seokjin.
Stasera non ci sono solo Taehyung e il suo partner del cazzo. Con loro ci sono anche il ragazzino e Georgie, cosa che a Taehyung non dispiace. Ma non è questo il punto.
Stanotte prenderanno quel fottuto assassino, se oserà colpire ancora. Sarebbe stupido a farlo, ma Taehyung è convinto che lo farà. Ha già lasciato dei corpi a West Garfield Park e Humboldt Park, quindi la piccola squadra di Taehyung è stata assegnata a East Garfield, dove l'assassino potrebbe potenzialmente lasciare la sua vittima questa volta. O almeno lo sperano. È crudele sperare nella morte di qualcuno, ma se questo significa permettere loro di catturare quello psicopatico una volta per tutte, Taehyung può accettarlo. Con un retrogusto amaro, ma può accettarlo.
Stanotte sarà la fine.
Avrà chiuso con quell'assassino e con Jeongguk. Due piccioni con una fava.
«Siete tutti pronti?»
Jeongguk annuisce. Taehyung guarda nello specchietto retrovisore, anche gli altri due annuiscono. Si mette alla guida, seguito da alcune auto che si dirigono nella stessa zona e da altre che si dirigono verso Humboldt Park e West Garfield. Il loro obiettivo non potrebbe essere più chiaro: bloccare l'intera area per cogliere sul fatto chiunque voglia abbandonarvi un corpo.
Una volta arrivati, iniziano a ispezionare ogni angolo mentre Taehyung continua a guidare, alla ricerca di un minivan nero. Devono capire se c'è qualcosa – sul serio, qualunque cosa – di sospetto.
La loro auto non è più monitorata. Sono praticamente soli nella notte buia di Chicago, o almeno Taehyung ha l'impressione di esserlo. Ma sa che non è così. Una volante, civile o meno, non è mai troppo lontana. Inoltre, alcuni furfanti si aggirano ancora per il quartiere. Taehyung non può biasimarli, però: un tempo era nei loro panni, solo che non spacciava merda. Non era da lui, ma ad essere sincero ha fatto anche lui le sue bravate. Ora... beh, ogni tanto combina ancora qualche guaio, ma non allo stesso modo e nemmeno tanto spesso. È cresciuto, ma gli adulti a volte sanno essere peggio degli adolescenti.
«Sono molto sorpreso, Jeongguk», dice Leroy all'improvviso dopo circa trenta minuti di pattugliamento.
Il detective non si volta, ma guarda nello specchietto retrovisore. «Di cosa?»
«Taehyung non ti ha ancora ucciso.»
La risata di Jeongguk riempie l'auto per qualche secondo. «Nemmeno io ho ucciso lui.»
«Touché», ammette Leroy.
Taehyung, più che schiarirsi la gola, ringhia. «Sono qui, lo sapete?»
«Chi potrebbe ignorarlo?»
«Concentrati, Jeon.» Le mani di Taehyung si irrigidiscono sul volante. «Anche tu, teppista.»
Ridono un po', ma alla fine obbediscono. Non è il momento giusto per le stronzate.
L'auto è ferma lungo il marciapiede, dentro è tutto nero.
Taehyung lancia un'occhiata al suo vecchio orologio. Cazzo.
«Sono passate ore», nota opportunamente Georgie.
Quasi le tre del mattino.
Gli occhi di Taehyung incontrano quelli di Jeongguk. Nessuno dei due distoglie lo sguardo. Gli occhi di Jeongguk sono profondi ma scintillanti, con quel loro bagliore che suggerisce che non si è ancora arreso. Jeon è molte cose, ma non è uno che getta la spugna, Taehyung l'ha capito.
«Arriverà», risponde Taehyung a Georgie senza muoversi.
«E se fosse già qui?» Jeongguk si rivolge a Taehyung.
Il maggiore aggrotta un po' le sopracciglia. Già, e se...?
I due uomini rimangono così per alcuni secondi, secondi che devono sembrare lunghi minuti per Leroy e Georgie, ma Taehyung deve interrompere il contatto visivo quando squilla un telefono.
Il suo.
Taehyung risponde subito. «Dimmi, Seokjin.»
«Hanno trovato un corpo.» Due voci riecheggiano all'altro capo del telefono. «Con una firma. Devi andare.»
L'altoparlante non è acceso, ma tutti possono sentire quello che ha detto. «Dove?»
«Near North Side.» A giudicare dal rumore, Seokjin starà digitando qualcosa sul telefono. «Ti ho inviato la posizione. Vi aspetto lì.»
Taehyung riattacca, guarda il messaggio, mette in moto il SUV e accende i lampeggianti. Non c'è tempo per pensare. Parte veloce come un proiettile, cogliendo di soprassalto tre uomini sul marciapiede mentre la sirena inizia a suonare.
«Il 18° distretto?» Leroy è sconvolto.
«È un maledetto scherzo», sibila Jeongguk, che sembra concentrato quanto Taehyung. «Ci ha fregato.»
Taehyung afferra più forte il volante mentre si muove nel traffico, che in quella zona è più intenso. Le auto si spostano quando si avvicinano, ma non abbastanza in fretta per Taehyung, che si lascia andare a un'imprecazione dopo l'altra. Si affretta a entrare nel Near North Side e nella sua fottuta Gold Coast, ma il posto in questione si trova più a sud. Per l'amor di Dio, queste auto possono farsi da parte un po' più veloce?
«Siamo quasi arrivati, calmati.» Jeongguk poggia una mano sulla coscia di Taehyung, cosa che lo fa accigliare ancora di più, prima di spostarla. Che diavolo era?
La sola risposta che Jeongguk ottiene è Taehyung che accelera di nuovo. Ma ha ragione, sono quasi arrivati. Per una volta, Jeongguk potrebbe conoscere la zona un po' meglio di lui. Il detective rallenta una volta arrivati sul posto e parcheggia frettolosamente sul marciapiede. Spegne il motore e scendono tutti dal SUV, facendosi strada tra la folla a suon di gomitate e affrettandosi verso il parcheggio. Per abitudine, Taehyung mostra il distintivo e si accovaccia per passare sotto la linea gialla, proprio come gli altri.
Seokjin è già lì, sta parlando con due agenti in divisa e il loro sergente. Ci sono poliziotti ovunque, soprattutto alla fine del parcheggio e sul marciapiede vicino. A Taehyung ronzano le orecchie per quel fottuto brusio di sottofondo. La gente può lasciargli fare il loro lavoro, maledizione?
«Che cosa è successo?» chiede Taehyung non appena raggiunge Seokjin.
«È una donna.» Non dice altro e poi si rivolge agli altri tre uomini: «Ce ne occupiamo noi, grazie.»
Il sergente stringe la mano di Seokjin e annuisce. «Siamo qui se avete bisogno.»
Seokjin annuisce a sua volta e, una volta che se ne sono andati, si concentra nuovamente sui suoi uomini e su Georgie. «Andiamo, la scientifica è già qui.»
Si dirigono in fondo al parcheggio. Quando giungono in prossimità della scena del crimine, Taehyung alza lo sguardo. Davanti al corpo, sull'altro lato della strada, si erge la cattedrale del Santo Nome, maestosa malgradi l'orrore che la circonda.
«Davanti a una chiesa, ma che cazzo?» mormora Georgie.
«Dannazione», impreca Jeongguk. «È calcolato, come sempre.»
Seokjin inizia a parlare con il capo investigatore della scena del crimine, che li informa: «È stata lasciata qui circa quaranta minuti fa.»
Sì, i colleghi non hanno chiamato subito, ma il corpo è stato scoperto dai passanti. Anche se sono le tre del mattino, era fottutamente rischioso. C'è sempre un casino di gente per strade dei quartieri più ricchi.
«Potete avvicinarvi in tre», aggiunge l'investigatore.
Leroy e Georgie indietreggiano un po' e Leroy dice che parlerà con gli agenti. Seokjin fa un cenno di assenso e procede con Taehyung e Jeongguk.
Fanculo. Fanculo, cazzo. Taehyung non può fare a meno di serrare gli occhi quando vede davvero il corpo, così forte da far male.
Ma guardare il cadavere è ancora peggio. Non per la persona che vede, perché Taehyung non conosce quella donna, ma per quello che le è stato fatto. Janice aveva la biancheria intima addosso, stavolta invece la donna indossa solo le mutande, o almeno ciò che ne rimane. Il suo seno è esposto e costellato di ferite, alcune più profonde di altre. Il suo corpo è più sangue che carne, lacerato ovunque.
«Credo che fosse viva quando le sono stati inflitti la maggior parte dei tagli», dice l'investigatore.
A Taehyung viene da vomitare quando abbassa di nuovo lo sguardo. La bile gli sale pericolosamente in gola. Lo stomaco si contorce, si contorce più che mai quando vede di nuovo la firma.
REMAMBER? è scritto nella parte interna della coscia destra. Sulla gamba della donna, ferite profonde formano le lettere. E anche un fottuto gioco di parole.
«Fa lo spiritoso, eh?» Jeongguk stringe i denti e si gira un po' per guardare Taehyung, che ha ancora lo sguardo basso, con gli occhi fissi sull'orrore davanti a lui. «Lo prenderemo, Taehyung.»
Lui non risponde. Non può.
È un fottuto gioco di parole, non è vero? Come faceva quello stronzo a sapere dell'ultimo caso di cronaca nera di cui si sono occupati Amber e Taehyung? Cazzo, come? Come può giocare con lui in questo modo?
«No.» Taehyung stringe la mascella. «Io lo ammazzo.»
Jeongguk deve essere confuso in questo momento, proprio come Seokjin, che poggia una mano sulla spalla di Taehyung. Lentamente, il detective si scrolla di dosso la mano del sergente e guarda ancora una volta il cadavere. C'è un gran caos dentro la scena del crimine, ma anche fuori, con i poliziotti che urlano di stare lontani. Gente di merda, sempre a farsi gli affari altrui. Taehyung fissa i poveri resti senza battere ciglio, tanto da sentire gli occhi bruciare. Analizza ogni centimetro, imprimendo nella sua memoria ogni fottuto dettaglio, ogni atroce ferita, ogni lembo di pelle brutalizzata.
Dopo qualche secondo, stringe i denti più forte che può, cercando di trattenere l'urlo violento che gli riempie i polmoni.
Sibila due parole, due cazzo di parole che significano tutto, che sente nelle vene, nel petto, nel cuore.
«È guerra.»
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