𝙸𝙸𝙸


















I mali congiungono gli uomini.
Aristotele








𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝙸𝙸𝙸








Taehyung si volta e si allontana, precipitandosi là dove è richiesto— e cioè non qui, in mezzo ai peggiori stronzi di Chicago.

«Taehyung», lo chiama Seokjin.

Nessuna risposta, ovviamente. Il detective accelera il passo.

«Taehyung!» ci riprova il maggiore.

Non riesce ad accelerare oltre, ma non si volta, deciso a lavorare per conto suo. Non ha bisogno di quei due.

«Non fare il bambino», dice Seokjin quando raggiunge Taehyung, il quale si ferma subito per affrontarlo.

«Mi menti», punta l'indice contro Seokjin, «porti lui qui, e sarei io il bambino?»

«Non è—»

«Oh, invece è proprio così!» lo interrompe Taehyung. «Non abbiamo nemmeno iniziato! Cos'è? Non sono abbastanza? Solo perché un cazzo di assassino ha lasciato una firma?»

«Una firma?» si intromette Jeongguk.

«Tu...» lo minaccia Taehyung, pronto a tutto pur di farlo stare zitto, ma Seokjin si mette in mezzo.

«Calmati.»

Questa in realtà è la cosa peggiore da dire quando Taehyung sta perdendo le staffe. Con il sangue che ribolle, non ci pensa due volte e afferra la giacca di Seokjin con fare aggressivo.

«Levatevi dalle palle, tu e il tuo cagnolino. Lavorerò da solo.»

Anche se fino qualche minuto fa voleva lavorare con Seokjin. A corto di pazienza, il maggiore spinge via la mano di Taehyung e la sua aura si fa più intimidatoria. Le sue spalle larghe sembrano torreggiare sul detective, sebbene i due uomini abbiano più o meno la stessa altezza. Seokjin si impone raramente su Taehyung, ma quest'ultimo si sente quasi scomparire dinanzi alla sua statura imponente.

«Chi ti credi di essere?» lo rimprovera Seokjin. «Sono comunque un tuo superiore, quindi per una volta dovrai obbedirmi.» Fa un passo avanti, e il suo alito freddo s'infrange sul volto del detective. «Non voglio sentire un'altra lamentela.»

Taehyung rimane in silenzio ma, orgoglioso com'è, sostiene lo sguardo di Seokjin per tutto il tempo necessario. Non può perdere questa battaglia, anche se ne è profondamente colpito, come dimostrano i brividi che gli corrono lungo la schiena. Non è per il freddo stavolta, ma per l'uomo che ha davanti. È sempre quel coglione.

«Sì, sergente», dice alla fine Taehyung, con una punta di ironia nella voce.

Anche se nota l'impertinenza nel suo tono, Seokjin sembra soddisfatto. Sentire Taehyung obbedire a un ordine è sempre un evento straordinario. Ma obbedire non significa accondiscendere, il sergente dovrebbe tenerlo a mente.

«Quindi una firma?» chiede di nuovo Jeongguk, dopo qualche secondo di silenzio.

Taehyung stringe i denti, sapendo che non può farsi saltare i nervi ogni volta che questo stronzo apre la bocca. E Dio se è difficile. Vorrebbe solo rispedirlo dritto a New York.

«Lo vedrai presto», risponde Seokjin iniziando a camminare, seguito a ruota da Jeongguk e, a grande distanza, da Taehyung, che analizza lo scenario per ritrovare la concentrazione e, al contempo, la calma. La lunga strada è deserta, e i pochi lampioni ancora funzionanti non riescono a illuminarla a sufficienza. Un vento timido scuote le foglie secche, strappandole ai loro alberi ormai spogli. Taehyung assomiglia proprio a un albero stamattina. È impotente contro la forza della natura, mentre guarda ciò che gli appartiene scomparire nel buio, molto lontano da lui.

Rumori e voci in lontananza gli suggeriscono che si stanno avvicinando alla scena del crimine, che Seokjin aveva abbandonato quasi subito, una volta arrivati—per andare a chiamare Jeongguk, cosa che fino a poco fa Taehyung ignorava.

«Sei tornato», dice l'investigatore capo della scientifica, avvicinandosi al nastro giallo della barricata. «Non abbiamo ancora finito, ma gli agenti sono ancora dietro al furgone.»

«Grazie. Fammi sapere quando avete finito.»

«Certo. Stiamo per fare il terzo sopralluogo.»

Terzo e ultimo, in genere. Il primo serve per capire che tipo di reato si è verificato, il secondo per fotografare e disegnare schizzi della scena e l'ultimo per la raccolta delle prove in sé.
L'unità investigativa era arrivata più velocemente del previsto, chiamata da Seokjin ancor prima di arrivare sul posto, il quale a sua volta era stato informato dai poliziotti che avevano trovato il corpo.
Corpo che Jeongguk non ha ancora visto. Probabilmente, la sua visuale è oscurata dal team della CSI.

«Aspetta qualche minuto», dice Seokjin al giovane detective, che sembra piuttosto impaziente. Ma Taehyung ha già visto il cadavere da lontano, e Jeongguk non dovrebbe essere così smanioso di vederlo.

«Non è un bello spettacolo», dice Taehyung, gelido.

«Non ho detto niente», protesta Jeongguk, alzando un sopracciglio.

«Non ho mai visto un detective così entusiasta di scoprire il corpo di una persona morta.»

«Entusiasta come tutte le volte che vedo la tua faccia.»

«Coglione», borbotta Taehyung, cercando di mantenere la calma come può. Perché deve esistere qualcuno come Jeon Jeongguk?

Fiero di sé, Jeongguk si volta e segue Seokjin.

Non ha neanche bisogno del guinzaglio, che carino.

All'inizio Taehyung resta lì dov'è, desiderando per un attimo una parvenza di tranquillità, prima di dirigersi verso il furgone che ostruisce la strada dissestata. I due agenti che hanno trovato il corpo fanno parte della terza squadra. Taehyung, che ha già parlato con loro, rimane in silenzio per un po', lasciando che la voce di Jeongguk inquini l'aria.

«Quindi eri di pattuglia quando hai notato qualcosa di strano?» taglia corto il detective.

«Sì, ma ci siamo quasi persi a causa del buio.»

«E non hai visto subito il corpo?»

«No, solo la scritta», afferma il secondo poliziotto.

«La firma?» dice Jeongguk, voltandosi verso Seokjin, che annuisce.

Poi, Jeongguk continua il suo micro-interrogatorio, e il sergente prende da parte Taehyung.

«Ti dispiace se chiamo Zak, Kristin e Leroy? Presto avremo bisogno di rinforzi.»

«Avresti dovuto chiamare loro per primi, non lui», lo rimprovera Taehyung. «Pensavo che fossi diverso dal resto del Distretto, ma a quanto pare non è così. Anche tu sei un suo fan.»

«Fan? Siamo poliziotti, Taehyung, non una squadra di baseball.»

«Io sono un poliziotto, ma tu? E la gran parte del Distretto? Siete solo degli idioti.»

«Sei così invidioso di lui? Per quale motivo? Hai talento quanto lui», dice Seokjin avvicinandosi a lui, ma Taehyung fa un passo indietro, una smorfia gli storce le labbra.

«Quanto lui? Non ha neanche la metà delle mie capacità.»

È una bugia e il detective lo sa, ma non lo ammetterà mai davanti al sergente. È sciocco, ma Taehyung è troppo accecato dal proprio odio per fare altrimenti.

«Non ti dico che sei patetico, ma ci vai vicino.»

«Vuoi vedere un uomo patetico? Guardati allo specchio, Seokjin.»

Il sergente distoglie improvvisamente lo sguardo, destabilizzato, e Taehyung si è già pentito di ciò che ha detto. Lo fa sempre, parla senza riflettere quando è arrabbiato.

«Mi—»

«Basta così. Vai a controllare i dintorni, io chiamo la squadra.»

Taehyung vorrebbe completare la frase precedente, ma le parole sembrano macigni. Non vogliono lasciare la sua bocca. Non riesce a esprimere i suoi sentimenti. Non ci riesce mai, a meno che non sia rabbia. Non più. Specialmente quando si tratta di quest'uomo. Quindi lascia la zona e gira intorno alla scena del crimine senza oltrepassare il nastro, concentrato sugli esterni e sul suo quartiere, freddo e sporco come al solito. Forse di più. Gli uccelli non cinguettano. Gli unici rumori che sente provengono dalle voci e dalle telecamere, dalle foglie mosse dal vento. Ma i primi curiosi stanno già arrivando. Alcune serrande si sono alzate, le porte sono socchiuse. La scena del crimine è un inquietante alone di luce che si staglia nell'ambiente oscuro. I mattinieri per ora sono timidi, ma il caos è alle porte, e Taehyung lo sa bene. È sempre la stessa storia, ma non ci si fa mai l'abitudine. Piuttosto il contrario.

Il nastro blocca l'accesso a un'ampia zona, composta da una casa abbandonata e dal suo giardino. I mattoni rossi sono in pessimo stato, ma le finestre lo sono ancora di più. In verità, non ci sono finestre vere e proprie, solo alcune assi che riempiono dei buchi. La proprietà è piccola ma si erge in altezza, il che dà ancora di più l'impressione che stia per crollare a pezzi. Taehyung tira fuori dal lungo cappotto di lana il suo taccuino rilegato in pelle, insieme a una penna nera. Come al solito, annota gli elementi basilari ma essenziali, a cominciare dalla scena del crimine stessa. È il suo rituale, per ricordare anche i più piccoli dettagli. Sta tutto nei dettagli, sempre.

«Che sta succedendo?»

Eccola. Una voce femminile apre le danze e ben presto si ritrova davanti una donna di colore, dai lineamenti stanchi e occhi vispi.

«È una scena del crimine, signora, l'accesso è vietato.» Senza se e senza ma.

«Chi ha ammazzato chi stavolta, eh? L'ennesima vittima di una gang?»

«Mi scusi, ma non posso dirglielo.»

Ed è la verità. Anche se per un attimo ha visto la vittima, non sa dire né perché né come sia successo. Non ancora. Sorprendentemente, la donna rimane calma. Dev'essere una madre preoccupata per il figlio, o qualcosa del genere. Succede spesso da queste parti, purtroppo.

«Me lo dica, detective.» Fa una pausa. «Abbiamo perso un altro ragazzino?»

Taehyung aveva ragione.

«No, signora», la rassicura. «Non si preoccupi e, per favore, torni a casa.»

La donna assottiglia gli occhi, scrutando attentamente Taehyung, che non batte ciglio.

«Va bene, mi fiderò di lei. Faccia il suo lavoro, giovanotto.»

Il detective annuisce; ha intenzione di fare del suo meglio. Questo sembra convincere la donna, che se ne va subito. Per una volta è stato facile.

«Taehyung?»

Si gira verso Seokjin.

«Hanno finito. Vieni.»

Taehyung lo segue in silenzio verso la zona più interessante, che diventa improvvisamente meno attraente non appena vede Jeongguk.

«Potete entrare, abbiamo tutto il necessario. Signori miei, spero che non abbiate mangiato prima di venire qui.»

Vedere un cadavere a stomaco pieno non è mai una buona idea, in effetti. Il Taehyung di un tempo potrebbe confermarlo.
I tre uomini passano sotto il nastro giallo contemporaneamente, unendosi all'agente della CSI. Il caratteristico fetore diventa sempre più forte, mentre camminano sull'erba umida. L'odore della morte—ma non temete: Taehyung ne ha passate di peggio.

«Morte recente?» chiede Taehyung.

«Affermativo. Hai un ottimo fiuto.»

Certo che ce l'ha. È il miglior detective di Harrison per un motivo.

Ed eccolo lì. Il corpo in carne ed ossa. Anche se il decesso è recente, il suo fetore appesta l'aria. Ma questa non è la parte peggiore. Davanti a loro giace il cadavere. Una donna bianca, più bianca di quanto dovrebbe essere. Capelli biondi imbrattati di sangue, anche se non c'è traccia di emoglobina intorno al cadavere. È seminuda, indossa soltanto la biancheria intima. Ci sono segni di percosse ovunque, anche sulla sua gola.

«È stata strangolata a morte. Lo ioide è fratturato.»

Taehyung annuisce e poi aggrotta la fronte. Le hanno mozzato le mani e le hanno lasciate a pochi centimetri dai suoi polsi, coi palmi rivolti verso l'alto.

Il detective annota qualcosa, mentre Jeongguk si accovaccia vicino ai resti.

«Umiliazione e abuso», dice il più giovane. «E questo...»

Taehyung segue lo sguardo di Jeongguk, che si sposta verso il centro nevralgico di questo omicidio.
La firma. Letterale.
REMEMBER? è scritto con il sangue, a grandi lettere sul muro scrostato. C'era qualcosa che non andava sin dall'inizio e quella parola sembra confermare l'ipotesi Taehyung.

Ricordate?

«Non capisco», afferma Jeongguk.

Certo che non capisce. Non riguarda lui. Taehyung non riesce a smettere di pensarci. Ma perché? È soltanto una coincidenza, vero? Sì, una coincidenza. Eppure...
Annota quella parola e la cerchia diverse volte.

«Penna e taccuino», Jeon non può fare a meno di punzecchiarlo. «Sei un tipo vecchio stampo?»

Stavolta Taehyung lascia correre. Lo sente a malapena, non lo ascolta affatto. Quello stronzo non ha alcuna importanza in questo momento. Non ha mai importanza.
Il detective fissa il cadavere, e poi la firma, e poi di nuovo il cadavere, ancora e ancora.

C'è un lungo silenzio.
Sente i loro occhi addosso.
Deve dirglielo.

«Io mi ricordo.»

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