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quando si compiono 13-14 anni arriva la tua condanna a vita.
Un certo "ΠΕΠΡΩΜΕΝΟ", si pronuncia pepromeno. Il pepromeno è come il tuo grande superiore.
Lui sceglie il tuo futuro e sceglie in che classe posizionarti.
Io faccio parte della classe dei "sottomessi". Noi siamo quelli che serviamo, quelli che danno piacere, quelli che fanno tutto quello che chiedi, ad ogni scopo, ogni ora e ogni giorno.

Le classi si dividono in : superiori, alti, borghesi, poveri e sottomessi.
I superiori stanno vicino al pepromeno, un gradino sotto. Loro sono ricchi, potenti, possono decidere se ucciderti, tenerti in vita, decidono quanto cibo, bevande, droghe, musica deve entrare dentro casa mensilmente.
E sono quelli sempre ricordati per avvenimenti che non fanno.

Gli alti sono i grandi viaggiatori, quelli che studiano, hanno grandi librerie, quelli che anche se vogliono cambiare la terra-tonda non riescono.
I borghesi sono quelli che lavorano come muli che portano grandi pesi. Sono loro quelli che ci permettono di mangiare, di vivere alla giornata.

I poveri... dei poveri non si sa molto, si sa solo che i poveri non hanno una casa, sol perche' il pepromeno l'ha deciso.

all'inizio ho detto che questo viene deciso dal grande quando si ha 13/14 anni. Donne o uomini che si e' bisogna ubbidire.
Un giorno ti arriva un pacco con dentro una lettera e dei vestiti : la lettera ti spiega in che classe sei stato scelto, i vestiti distinguono la classe. Io ho vestiti rossi, perche' sono un sottomesso, schiavo sessuale, amorevole, gentile...
ho vent'anni.
Sono stanco.
Sono cascato così tante volte nell'amore falso, per una notte.
Mi sono illuso e ora voglio ribellarmi. Non ho piu' voglia di soffrire per un uomo che il giorno dopo mi lascia tra le coperte di un hotel a me sconosciuto. 

Ancora una volta il sole spunta dalla serranda della finestra della mia stanza.
Mi alzo di scatto e mi tocco il viso : le mani ora le ho nere; ieri non ho tolto il mio trucco.
Mi è permesso truccarmi anche se sono maschio solo perché sono sottomesso. Gli altri non possono farlo.

Mi sciacquo il viso con acqua e sapone per poi recarmi in cucina, dove vedo sul tavolo l'obbrobrio del cibo che portano. In un altro universo, questo, lo darebbero alle case di riposo... ho letto che sono delle case per anziani.
Ma insomma, non sputiamo sul piatto che oggi mi hanno dato.
Mi siedo, prendo il cucchiaio e provo a mangiare il cibo. Non so come definirlo : non sa di nulla, e io, non so da cosa è fatto. Non so se è carne, se è pesce, se è frutta, se è verdura... mai mangiata quella. Solo i superiori possono mangiarla. Chissà com'è.

Mi infilo il cappotto rosso, indosso la sciarpa ed esco fuori.

Non ho un vero lavoro, non spetta a me.
Per noi l'obbiettivo è soddisfare le classi più alte.

Mentre cammino verso il parco, prendo una sigaretta dal pacchetto e aspetto di sedermi per accenderla.
Fa freddo.
Aspiro lentamente chiudendo gli occhi.
Quando li apro osservo bene la gente che ho intorno a me: bambini innocenti e ignari del loro destino giocano tranquilli, inseguendo le farfalle; adulti borghesi che parlano prima che il loro lavoro inizi; un povero che sta seduto a guardarsi le mani, probabilmente riflettendo sul perché lui è stato scelto per fare quella vitaccia.

Mentre finisco la mia sigaretta, vedo arrivare un ragazzo, appartenente alla classe degli alti.
"Quanti anni hai?" Mi chiede lui sedendosi vicino a me.
"Venti. Tu?"
"Ventinove"
Io lo guardo. È un ennesimo uomo che mi vuole portare con se.
Ha capelli biondi platino, occhi azzurri, alto, un fisico equilibrato e un sorriso smagliante che farebbe cadere chiunque al suo cospetto.
"Vuoi una sigaretta?" Gli chiedo.
Lui mi manda uno strano sguardo, come se gli avessi una parola strana e sbagliata.
"È un po' strano che un sottomesso mi chieda se io voglia una sigaretta"
"È più strano che mi chiedi l'età appena mi vedi, o io che ti chiedo se vuoi una sigaretta?"
Lui mi guarda e si siede accanto a me.
Gli passo una sigaretta e gliela accendo.
"Mi chiamo Gavin"
"Io Daft" gli rispondo.
Sospiro all'idea che tra qualche attimo mi prenda per mano e mi porti in un locale per servirsi di me e scaricare le sue frustrazioni settimanali sul mio corpo.
E se mi rifiutassi?
Cosa succederebbe?
Mi riempio la bocca dell'ultimo tiro e lo bacio, buttandogli tutto il fumo che ho nei polmoni dentro.
Lui tossisce e mi guarda male, alzandosi e puntandomi il dito.
"Sei impazzito?!"
Io mi alzo a sua volta e mettendomi dritto incrocio le braccia al petto.
"Io non voglio venire con te, sono stanco di essere usato, sono una persona, non un fottuto oggetto che viene utilizzato. Potrei essere io al tuo posto e tu al mio. Come reagiresti?! Voi di alta classe sociale avete mai sperimentato l'empatia?!"
Rimane in silenzio a guardarmi, come se stesse cercando qualche parola adatta per contraddirmi.
Invece rimane a pensare a ciò che ho detto.
È come se il suo cervello si fosse attivato.
Magari finalmente la sua persona potrà rispecchiare il significato del suo nome.
Basta monotonia di un sistema sempre uguale.

Appena finisce il suo ragionamento mi lancia uno sguardo, come per scusarsi e se ne va, lasciando di nuovo la mia panchina fredda e vuota.

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