Capitolo 40

Djævel

Era divertente vederli perdere il controllo. Credevano davvero che avrebbe ceduto a quelle tecniche di tortura che lui stesso aveva testato? Si era allenato per sopravvivere, non avrebbe perso il controllo così facilmente.

Lilian se ne stava di fronte a lui, seduta su una sedia e con le gambe accavallate. I capelli rossi erano racchiusi in una coda alta e lo guardava in modo strano.

Era delusa, forse.

Avrebbe dovuto sapere quanto lo era stato lui in tutti quegli anni. Djævel alzò il mento, in un atteggiamento di sfida.

«Allora, Djævel, è tardi. È stata una giornata pesante per tutti.»
«Dici? Io potrei andare avanti tutto il giorno.»

«È quello che hai fatto.» Lilian fece uno sbuffo e una ciocca di capelli si alzò verso l'alto. «Niente test, nessuna videocamera accesa. Solo io e te.»

Djævel storse il naso. Come se ci credesse. Sapeva che Lilian lo aveva spiato anche quando parlava con Lysa. Aveva imparato col tempo a non fidarsi di nessuno.

E poi era arrivato Eros.

Il suo solo nome gli bruciava la gola. Pronunciarlo era troppo difficile e stava diventando un'impresa insormontabile anche solo pensarlo. Lo aveva spinto oltre. Lo aveva venduto come un animale al macello.

Forse avrebbe dovuto aspettarselo. Non pretendeva di essere amato, era un sentimento anche fin troppo forte per uno come lui, ma non si aspettava che quell'odio potesse arrivare a tanto. Djævel avrebbe strappato dal cielo le stelle, cambiato il movimento dei pianeti per Eros.

E adesso tutto quello che avrebbe voluto era ferirlo. Era di nuovo in quell'angolo dell'ufficio di suo padre, mentre lui gli urlava contro di aver fatto saltare in aria il suo grande progetto.

«Che cazzo hai fatto?» Suo padre gli assestò un ceffone in pieno volto. L'anello che aveva al dito gli graffiò il labbro e una goccia di sangue cadde a terra. Djævel si toccò il punto ferito e socchiuse gli occhi, cercando di riprendere fiato.

Aveva ucciso uno dei clienti di sua sorella. Non riusciva più a sopportare l'idea che qualcuno la sfiorasse, che le facesse del male, strappandole via la pelle.

Era entrato nel salottino per allontanarlo. Ma poi l'aveva vista distesa di schiena. L'aveva vista piangere a occhi chiusi, mentre quella bestia le baciava il collo, la schiena nuda.

Aveva afferrato il lume dal comodino e gliel'aveva sfracassato sul cranio. Più volte.

E adesso era lì.

«Ti rendi conto di quanto io abbia lavorato per portarci a questo punto?»

Djævel provò a tirarsi in piedi, ma i calci allo stomaco lo avevano indebolito. Non c'era muscolo che non gli facesse male. Leopold posò un piede sul suo petto, premendo la suola contro lo sterno. Gli bloccò qualsiasi movimento. «Dovrei farti a pezzetti.»

Djævel avrebbe voluto gridare aiuto. Tremò nervoso, cercando di divincolarsi.

Leopold lo afferrò per il bavero della casacca e gli diede un pugno in pieno volto. Djævel piegò il capo di lato. Una fitta lancinante riverberò per tutto il suo corpo. «Ti rendi conto o no? Il mio circo! Il mio lavoro, mi farai perdere ogni cosa!»
Djævel sospirò piano. «Non è così che funziona il circo.» Borbottò, ma suo padre, in collera, lo scaraventò dall'altro lato dell'ufficio.

Djævel batté la schiena e si lasciò sfuggire un rantolo. I suoi muscoli erano così intorpiditi e doloranti che ebbe le sensazione che infiniti aghi invisibili gli stessero lacerando la pelle. Si mantenne alla scrivania di Leopold, tirandosi in ginocchio. Fissò il riflesso di suo padre attraverso la vetrinetta. Lo vide avvicinarsi a lui coi pugni chiusi.

Doveva contrattaccare.

Al momento giusto afferrò il pugnale e si voltò di scatto verso suo padre. Conficcò la lama nel suo stomaco. Lo fissò sgranare gli occhi. E sorrise. Fece un ghigno cattivo. Non si era mai sentito così potente.

Lilian schioccò le dita davanti ai suoi occhi. Djævel scosse il capo. «Che cazzo vuoi?»
«Delle spiegazioni, Djævel.»

Lui fece un sorrisetto irriverente. «Sai, com'è. Mi annoiavo a stare in una sola squadra.»

Lilian roteò gli occhi. «Ti rendi conto di tutto quello che ti faremo?»
«E hai intenzione di fermarli se facessi il cucciolotto pentito?» Djævel serrò la mandibola. Provò a divincolarsi dalle catene che gli bloccavano i polsi dietro la schiena. Le caviglie erano immobilizzate ed era abbastanza certo che quella cena, che gli avrebbero fatto mangiare sotto costrizione, tenesse dei sonniferi o tranquillanti per evitare una seconda fuga.

Lilian si morse l'interno guancia, ma non rispose.

Djævel scrollò le spalle. «Come immaginavo.»

Lilian scosse il capo. «Quando è successo? Quando abbiamo smesso di essere amici?»

«Quando hai creato un impero sui traumi delle mie sorelle. E lo sapevi». Djævel la guardò con odio.

Sua moglie fece un sorrisetto. Gli angoli della bocca si incurvarono all'insù. «Se tutta la tua famiglia è morta, Storm, è colpa tua. L'hai sempre saputo. Avresti potuto non far fare loro quella puntura.»

Djævel scattò, come se potesse liberarsi. E sentì una punta d'orgoglio montargli nel cuore quando vide Lilian arretrare, con uno scintillio di terrore nel suo sguardo. «Quando sarò libero, ucciderò tutti voi, Lils. Te per prima.»

Lei inarcò un sopracciglio. «Domani ti chiederanno dei tuoi colleghi. Se vuoi restare ancora vivo, io ascolterei i miei consigli. Fa' come ha fatto quell'idiota per cui ti sei preso una cotta. Pensa a te stesso. Nessuno penserà a te, altrimenti.»

Djævel serrò i pugni. Sentì le unghie affondare nei palmi delle mani e socchiuse gli occhi. «Fanculo.»

Lilian si strinse nelle spalle e prese a girargli intorno. Poi si avvicinò al suo orecchio. «Sai, mi dispiace che gli Storm debbano cadere. E mi dispiace perderti. Mi darai il figlio che mi devi. Tanto vale approfittarne, no?»

Djævel si irrigidì. Alzò lo sguardo verso di lei e fece un ghigno. «Dovrò deluderti ancora. Non avrai mai un figlio da me, Lilian. Dovrai passare sul mio cadavere. E sappi che non sarà mai tuo figlio e non potrà mai amare un mostro come te.»

Lilian si irrigidì. Un ceffone gli fece voltare il capo a sinistra. Le sue urla riempirono il silenzio di quella stanza. Djævel la fissò. Non c'era mai stato amore nei suoi confronti, ormai ne era certo. Tutto ciò che era capace di attirare era morte e dolore. La vita non faceva altro che ricordarglielo da sempre.

«Oh, vedremo. Non devo per forza liberarti dalle catene per ottenere quello che voglio. E quando sarà, verrai giustiziato davanti a tutti.» Lilian si allontanò, dandogli le spalle. «E farò in modo che tuo figlio sappia che genere di traditore era suo padre.»

Djævel serrò la mandibola. «Lilian.»
«Cosa vuoi?»
«Voglio essere giustiziato come Thanatos. Non voglio la divisa da Generale.»

Lei lo guardò con odio e si richiuse la porta alle spalle con un tonfo.

Djævel abbandonò la maschera di sicurezza che portava addosso come una seconda pelle. Prese dei grossi respiri. Il silenzio. Lo detestava. Avrebbe dato qualsiasi cosa per qualche rumore. La sua testa si perdeva nel vuoto di quella stanza. Non aveva idea di cosa gli avrebbe riservato il futuro, di cosa lo avrebbero costretto a essere o diventare. Doveva scappare da lì, con tutti i mezzi possibili.

Ripensava, ripensava solo a tutte le sue scelte. Se dopo aver ucciso suo padre, non avesse venduto il circo allo zio, come sarebbero andate le cose? Lui gli aveva anche proposto di viaggiare insieme. Forse sarebbe riuscito a non portare mai l'Incidente nelle loro vite.

Ciò che desiderava più al mondo era tenere al sicuro le persone che amava. E ci aveva creduto. Aveva creduto davvero nel Governo, quando aveva accettato la chiamata della sua famiglia per l'immortalità. E poi li aveva visti morire uno ad uno. Il suo più grande incubo si era avverato.

In Akademie si era disseminato il panico. Morivano così tanti pazienti. I pochi in vita erano costretti a essere circondati dalla morte.

Djævel andava a fondo. Cadeva in ginocchio e si ritrovava davanti il fantasma di Eros, che l'aveva illuso. Gli aveva fatto credere che uno come lui poteva essere ancora amato per una volta. E poi l'aveva odiato così tanto. Sapeva di averlo deluso. Ma voleva tenerlo al sicuro, come non aveva fatto con le sue sorelle.

Ovunque andasse, lo spirito di suo padre lo seguiva. Era un demone. E avrebbe portato morte dappertutto.

Adesso era bloccato in una cella con tutti i ratti che odiava. Doveva uscire da lì. Sarebbero andati a recuperarlo?

Diede un altro strattone alle catene e un sibilo di dolore gli sfuggì dal controllo, quando il metallo grattò contro i polsi già abbastanza provati. Era stanco. E aveva fame. Lilian non gli aveva dato la cena.

Meglio.

Non avrebbe permesso a quella strega di imboccarlo.

Lasciò ciondolare il capo all'indietro.

***

Spalancò gli occhi quando una luce bianca gli fu puntata nelle pupille. Sussultò e rabbrividì, quando si rese conto che la giornata precedente non era frutto della sua immaginazione. Un brutto incubo. Si era svegliato pensando che Eros non avrebbe mai fatto una cosa simile.

Destarsi in un mondo in cui anche Eros l'aveva tradito era un incubo. Si mosse nervoso sulla sedia.

L'Imperatore se ne stava di fronte a lui. Schioccò le dita e fece cenno a tre soldati di avvicinarsi. Gli uomini lo circondarono, come se potesse scappare da incatenato. Djævel ghignò, pensando che lo reputassero in grado di farlo. Il fatto che lo temevano e lo credevano capace di qualsiasi cosa era un vantaggio che avrebbe prima o poi sfruttato a proprio favore.

«Oggi ci faremo una bella chiacchierata. Tiratelo su.»

Djævel sorrise. «Menomale. Iniziava a pesarmi il culo a stare tutto questo tempo seduto.»

L'imperatore storse il naso e Djævel sentì la presa dei soldati rafforzarsi sulle sue braccia. Lo trascinavano lungo i corridoi. Teneva le caviglie legate e storse il naso. Se anche fosse riuscito a liberarsi dei suoi gorilla personali, non sarebbe riuscito a fare più di un metro neanche strisciando e saltellando come un pesce fuor d'acqua.

I corridoi della Mostra lo inquietarono. Una serie di uomini in camice camminavano lungo la sua direzione, sussultando confusi. Vide alcune persone sedute in attesa, fuori degli uffici. Coppie che si tenevano per mano.

Djævel storse il naso. Era tutto troppo normale. Vide una donna ringraziare infinitamente un dottore. Altri sfogliavano dei volantini e lanciò una breve occhiata. Erano rappresentati una serie di giovani ragazzi o ragazze. C'era età, colore dei capelli, passioni.

Altri ancora orbitavano attorno a dei tablet giganti, selezionando preferenze. Il sistema reagiva immediatamente, schematizzando e assorbendo i loro gusti, per poi offrire le proposte migliori.

Lo stomaco ebbe un sussulto e un conato di vomito risalì su per la gola.

Non sembravano neanche notarli. Troppo immersi nella progettazione del loro futuro. Provò a dimenarsi. Diede una testata a uno dei soldati, che andò a scontrarsi contro una parete di vetro di lato. Stavano passando in un corridoio che affacciava sulle sale della Mostra.

Ma loro non potevano vederli. Djævel sgranò gli occhi.

Lilian, poco più avanti, ridacchiò. «Pensavi davvero che avremmo rivelato l'identità di Thanatos così? Tutti sapranno chi sei, quando verrai giustiziato.»

Djævel le rivolse un'occhiata torva. «Spero di avere una ghigliottina con una lama d'oro, allora. Dev'essere lo spettacolo migliore degli ultimi anni.»

L'imperatore gli rivolse un'occhiata veloce. Poi spalancò la porta e i soldati lo trascinarono all'interno. Legarono le catene al muro. Djævel si guardò intorno, provando a liberarsene. Socchiuse gli occhi, dando l'ennesimo e inutile strattone.

«Ora ti faremo un po' di domande. Cerca di essere collaborativo.» Lilian schioccò le dita e alcuni uomini portarono una vasca vicino a lui. La riempirono d'acqua bollente.

Djævel la fissò. Poi alzò lo sguardo su Lilian, fissandola con odio. Avrebbe dovuto strangolarla prima, si ritrovò a pensare.

«Volete lavarmi il culo, dopo?» Inclinò il capo.

L'imperatore sbuffò scocciato. Fece un cenno con la testa e degli uomini gli afferrarono i capelli e lo spinsero sott'acqua.

Djævel chiuse d'istinto gli occhi, mentre l'acqua calda gli ustionava la pelle. Quando lo tirarono fuori, prese un grosso respiro e tossì. I polmoni affaticati. Fanculo. Li avrebbe uccisi tutti.

L'imperatore si lisciò i vestiti bianchi con dei gesti secchi. «Allora, perché non iniziamo da chi ti ha assoldato?»
«Tua madre.»

E di nuovo giù. I capelli gli si erano appiccicati in fronte e tossì, provando a riprendere fiato.

Lilian scosse il capo. «Credo che abbia bisogno di qualche incentivo-»
«Non ancora.» L'Imperatore alzò la mano per impedirle di continuare a parlare.

«Allora, ti va di collaborare?»
«L'acqua si sta freddando, eh.» Djævel ghignò. Quando notò il getto in continuo cambiamento e i vapori risalire e annebbiare la sala, deglutì. «Doom.»

«Non conosciamo nessun Doom qui.»
«Oh, andiamo. Certo che lo sapete. Quando ero Generale ho autorizzato a drogare i ragazzi con le benzodiazepine per far dimenticare il suo nome. Dovreste dirmi voi perché.»

L'imperatore storse il naso.

Il terzo bagnetto iniziava a infastidirlo particolarmente. Aveva bisogno di una via di fuga.

«Dove vi nascondete?»

Djævel scrollò le spalle. «E perché dovrei saperlo?»

Lilian sbuffò e lasciò la sala. Djævel seguì con lo sguardo la sua figura allontanarsi. Non avrebbe mai rivelato i cunicoli che scorrevano sotto Sol, preservando i vecchi ricordi della città prima della guerra.

Scosse il capo e affogò ancora nell'acqua bollente.

L'imperatore si libero della giacca e la posò su una sedia. «Lasciatelo a torso nudo.»

Djævel si irrigidì. I soldati gli strapparono la casacca da dosso. Li lasciò fare e fece per mordere uno di loro, che si scostò terrorizzato. Ghignò. «Che c'è, piccolino? Hai paura?»

Pochi istanti dopo fece il suo ingresso Jacob Schultz. Spinse lontano il ragazzo. «Lasciare fare a me.» Gli diede uno strattone. Legò Djævel con le catene al soffitto, costringendolo a tenere le braccia in alto. Djævel ne approfittò per sussurrare al suo orecchio: «Chissà cosa penserebbero di te se sapessero che i tuoi amici sono tutti vivi e hai voltato le spalle ai tuoi uomini.» Ciondolò il capo di lato.

Jacob serrò la mascella. Gli assestò un pugno allo stomaco e Djævel si impegnò per non lasciarsi scappare alcun rantolo.

Odiava la sua cicatrice. La rivide nel riflesso dello specchio al lato. Percorreva la fronte, tutto il lato sinistro del volto. Arrivava fin sopra la spalla.

L'imperatore passò una serie di fruste ai suoi uomini. «Doom comanda tutti?»

Djævel storse il naso. «Boh. Che cazzo ne s-» Gli scappò un gemito, quando sentì tutta la schiena bruciare. Deglutì, mandando giù il dolore.

«Forse ti sei fidato della persona sbagliata, Storm.» L'imperatore gli girò attorno. Un altro colpo. Djævel si mordicchiò il labbro, spaccandolo a sangue, pur di soffocare un urlo. Il sapore metallico gli inondò la bocca. «Ti offro un modo per parlarne e uscirne.» L'uomo si piazzò di fronte a lui. Strusciò il pollice sul labbro inferiore e ne asciugò un rivolo di sangue.

Djævel aggrottò la fronte.

«Tu dammi informazioni e non ti ucciderò. Ma so anche come smuovere alcune corde del tuo cuore.»
«Hai sbagliato reparto, idiota. Quello non c'è. Ma già da tempo.»

«Vedi, caro. Doom non è altro che Anthony Fate. Tu combatti noi per lui. Accusi il Governo della morte della tua famiglia e mi dispiace. Mi dispiace per Cælin, Rosie, Fyona, Velvette e Karina. Sul serio. Ma stai pescando i pesci sbagliati.» L'imperatore intrecciò le mani dietro la schiena.

Djævel mandò giù quel groppone acido che gli infiammava la gola, al solo risentire i loro nomi. Gli mancavano. Così tanto che sentì la terra crollargli sotto i piedi.

«Ma che cazzo stai dicendo.»
L'Imperatore scrollò le spalle. Detestava quella maschera d'oro e quella voce metallica. Djævel avrebbe voluto urlare dalla frustrazione.

«Anthony Fate è la causa dell'Incidente. Era uno di noi. Era il mio capo.»

Djævel rabbrividì. Non poteva essere. Gli aveva detto che erano esattamente identici. Lo aveva trovato morente e gli aveva proposto di unirsi a lui, di vendergli la sua anima e in cambio lo avrebbe aiutato a scalare la carriera in Akademie, gli avrebbe fatto avere i nomi dei colpevoli da uccidere.

«E perché dovrei fidarmi?» Gli aveva chiesto.
Doom aveva sorriso. Le pupille di ghiaccio sembrarono dilatarsi. «Perché vogliamo la stessa cosa, noi due. La vendetta.»

Scosse il capo. Non aveva fatto tutto quello per nulla. Non era stato il suo braccio destro per sgomberargli la strada per l'ascesa al potere.

«Andava di fretta. Era convinto di aver ottenuto tutti gli ottimi risultati. Secondo te perché la siringa fu testata solo su persone comuni, non su quelli come te?» L'imperatore ridacchiò. «Erano tutti cavie. E lui sapeva che era pericoloso. L'incidente è causa sua e della sua smania di immortalità.»

Djævel si irrigidì. Una goccia di sudore ticchettò a terra, cadendo dalla sua fronte. Non poteva essere.

Smania di immortalità.

I loro sistemi. I sistemi che Doom aveva inventato con Asclepio. Rubavano vite. Accumulavano anni, un'infinità di anni. Avevano progettato tutto quello insieme. Gli anni accumulati si registravano sul quadrante, che iniettava le informazioni e le modifiche nel sangue con una puntura quasi insensibile. Il corpo si modulava. Il corpo si adeguava, restando fermo ai suoi anni.

Rabbrividì.

No. Stavano davvero scavando per Notturn Desert. C'era una spiegazione. «Fanculo.»

L'ennesima frustrata gli strappò un rantolo di dolore. La pelle bruciava. Sentiva le aree scorticate e il sangue scorrere addosso.

«Forse preferisci avere uno stimolo in più a parlarci.» Lilian fece il suo ingresso nella sala, spingendo Aaliyah a terra. La ragazza perse l'equilibrio, cadendo sulle ginocchia.

Lei alzò i suoi occhi ambrati su Djævel. «Tu-»Djævel scosse il capo in modo convulso. «Peste.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top