Capitolo 3

I know that you're waiting for me like a dog
But have some patience for the part of me that's lost
There's been a hundred times
When I don't recognize
Any of you that love me
I try to memorize and identify
But it's all getting foggy
My head is in the clouds right now
Just pray I come around, around
Hello, hello, are you lonely?
I'm sorry, it's just the chemicals
Hello, hello, do you know me?
I'm called Mr. Forgettable

Mr Forgettable, David Kushner

Nubìvago
Che vaga tra sogni e idee

Ægon

𖣔𖣔𖣔𖣔

Scansò l'ennesimo attacco del suo compagno, abbassandosi sulle ginocchia. Assestò un calcio alle gambe di Jacob e lo fece ruzzolare a terra. Si tirò in piedi e rivolse la punta della propria spada contro il petto dell'amico. Poi abbozzò un sorrisetto divertito. «Ritenta la prossima volta, sarai più fortunato.»

Jacob si lasciò sfuggire un rantolo di dolore e si tastò il fianco. «Solo fortuna. Le altre volte ti ho fatto il culo.»

«Non me lo ricordo. Sai dirmi perché?» Ægon si strinse nelle spalle. Si passò una mano tra i ricci scuri, tirando alcuni ciuffi appiccicaticci all'indietro.

Jacob sbuffò scocciato e afferrò la mano dell'amico per tirarsi in piedi. Si sistemò la divisa e abbozzò un ghigno. «Sai bene che siamo pari. Ma i miei voti continuano a essere maggiori. Soffri troppo la competizione, amico mio.»

Ægon non rispose alla provocazione. Alla fine la sua sfortuna era essersi fatto le ossa da solo. Nessun aiuto per entrare in Akademie, solo tanto tantissimo sforzo e sacrificio. Jacob aveva le porte spalancate. Il figlio del Generale, nato dall'unione con una delle migliori Procreatrici. Già prima di nascere era stato programmato come un essere perfettamente in salute. Il fisico era stato scelto come quello di un combattente e l'intelligenza tattica del padre.

Una perfetta macchina da guerra.

Ma le ali della sua presunzione avrebbero potuto bruciare presto.

«Io continuerei a lavorare, fossi in te. Stai iniziando a perdere i colpi.»

La risata dell'amico lo colpì come uno schiaffo in pieno volto. La sua voce era intrisa di superbia e un pizzico di fastidio. «Andiamo, Ægon. Io sono stato programmato per essere sempre performante. Non ho bisogno di migliorarmi. Sono già nato perfetto. Non sono una generazione come la tua.»

Ægon strinse i pugni. Certo, non era nato come alcuni coetanei della sua generazione. Entrambi i suoi genitori erano fertili, non avevano avuto bisogno di una Procreatrice.

Si limitò a fare un piccolo ghigno.«Vedremo.»

«Non starete di nuovo litigando, vero?» Herica si avvicinò ad entrambi, con un sorrisetto divertito a incresparle le labbra. Afferrò uno degli archi e centrò il bersaglio. Annuì soddisfatta e li guardò. «Posso battervi senza problemi, quando più mi pare.»

Jacob ridacchiò, posando un gomito sulla spalla di Ægon che roteò appena gli occhi al cielo. «Non ricominciate. Vi prego.»

Tutti nella sala allenamenti si ammutolirono, quando le porte si spalancarono. Si misero sull'attenti, col petto in fuori e le braccia all'indietro.

Il Generale Schultz e il Comandante Djævel Storm fecero il loro ingresso. I tacchi degli stivali rimbombavano sul pavimento. I loro sguardi erano nervosi e preoccupati.

Ægon ebbe la sensazione che l'ennesima brutta notizia fosse in arrivo. Si guardò intorno, rendendosi conto che mancavano i soliti tre idioti all'appello. Kobe, Jade e Flynn di solito tendevano a essere ritardatari cronici, ma erano tra i migliori studenti, nonostante tutto. Avevano una media alta e quell'anno avrebbero partecipato alla cerimonia del grado, festeggiando finalmente la fine degli studi e l'inizio della carriera nell'esercito.

Si accostò ad Herica. «Dove sono i tre moschettieri idioti?»

Lei si guardò intorno, quasi smaniosa. «Non ne ho idea.»

Schultz aveva il volto cupo. Tossicchiò attirando la loro attenzione. Sospirò piano e lanciò uno sguardo stanco a Djævel, che invece teneva gli occhi bassi, fissando la punta delle scarpe.

Ægon lo conosceva abbastanza bene da sapere che stesse cercando in ogni modo di non farsi sopraffare dalle emozioni.

«Purtroppo devo darvi una notizia che negli ultimi tempi vi ritrovate a dover sentire anche troppe volte.»

Ægon si raggelò sul posto. Le mani presero a tremargli.

Non poteva essere.
Non ancora.
Non di nuovo.

Il generale continuò a parlare, sospirando affranto. «Kobe, Jade e Flynn sono stati brutalmente uccisi da Thanatos». Si voltò verso la parete alle sue spalle e la collegò al proprio orologio.

Sul muro apparve un'immagine violenta e simbolica.

Lo stomaco di Ægon ebbe un sussulto. Un groviglio acido iniziò a ruggire nella sua pancia e dovette cercare in ogni modo di trattenere i conati di vomito, mentre guardava quelle scene, che scorrevano una dopo l'altra come un video che forse avrebbe sognato per sempre nei suoi peggiori incubi.

Le videocamere di sorveglianza avevano ripreso ogni attimo. Thanatos trascinava dietro di sé il corpo di Kobe, come se fosse un sacco da boxe che aveva sfinito di pugni. Il sangue macchiava il volto del ragazzo, tumefatto dalla morte.

Lo spinse davanti all'ingresso dell'Akademie e sfilò un pugnale, recidendogli la giugulare.

Si bagnò le dita di sangue, lasciando un messaggio sul pavimento.

La Morte non dimentica l'Incidente.

Ægon rabbrividì.

L'Incidente era come il Governo chiamava il suo più grande fallimento. Ma per fallire o vincere, bisognava tentare.

Avevano provato in ogni modo a diffondere un siero dell'immortalità e c'erano stati così vicini.

Ma vita e morte non erano altre che due volti della stessa medaglia. Non esisteva l'una senza l'altra. Come non esisteva il bianco senza il nero, né la luce senza la notte. In una continua ricerca di fondersi, di incontrarsi ai confini dell'universo, continuavano a combattersi l'una con l'altra, non riconoscendosi come sorelle, ma come nemiche.

Di conseguenza, quel vaccino aveva causato migliaia di morti. I più sfortunati, tra coloro che avevano assunto la dose, avevano perso la vita, piuttosto che guadagnare un eterno futuro davanti. Quelli baciati dalla Sorte, invece, erano diventati sterili.

I pochi che ancora non erano stati sottoposti alla dose si erano salvati.

E a molti giovani era stato dato il compito più importante: quello di salvare l'umanità e riparare agli errori del Governo, che cercava in ogni modo di tenere i suoi cittadini al sicuro, provando ancora, in fondo, a regalare loro un futuro radioso e immortale. Come quello degli dei.

Prima o poi gli uomini si sarebbero innalzati al loro livello.

Ægon tornò alla realtà, osservando la parete di fronte, su cui erano proiettate le immagini di quella violenza ingiustificata. Strinse i pugni fino a far impallidire le nocche, realizzando quanto quel demone di Thanatos dovesse essere mostruoso e senza scrupoli per prendersela con dei ragazzini come lui.

Schultz spense il quadrante e quelle scene violente scomparvero di colpo. Si strinse nelle spalle. Aveva lo sguardo incattivito, ora. La sua rabbia si specchiava in quella dei suoi allievi, delle sue giovani leve.

«Non permetteremo ancora un sopruso del genere. Quei tre ragazzi erano la nostra famiglia. Adesso siamo stanchi.»

Il Comandante Djævel fece un passo avanti e socchiuse gli occhi. Quando li riaprì, le sue pupille nere sembravano dilatate. «I piani alti ci fanno sapere che da questo momento in poi il coprifuoco scatterà due ore prima. Ogni giovane allievo farà ronde notturne. Da oggi partiremo con perquisizioni in ogni angolo di questa città alla ricerca di Thanatos e dei suoi uomini. Qualsiasi ribelle verrà punito pubblicamente davanti a tutti. Verrà istituita una squadra speciale che darà la caccia al demone della notte.»

Ægon rabbrividì. Si guardò intorno. Tutti i suoi amici si sorridevano tra loro. I ghigni felici, divertiti contorcevano i loro volti.

Jacob gli diede una gomitata al fianco. «È il nostro momento». Alzò una mano e il generale Schultz, suo padre, gli fece cenno di parlare. «E chi saranno i futuri assassini di questo pazzo?»

Il Comandante si scambiò un'occhiata con il Generale. «È un'informazione confidenziale. I quattro studenti che verranno selezionati saranno avvisati singolarmente e costretti a mantenere il silenzio. Partiranno con me per una missione speciale.»

Djævel si aggiustò nevroticamente i polsini della divisa. «Andate a sistemarvi. Si comincia con le ispezioni tra poco.»

Ægon attese che la maggior parte dei suoi colleghi abbandonasse la sala. Si avvicinò al Comandante, che aveva preso a lisciarsi la divisa davanti allo specchio. «Si può avere uno spoiler?» Fece un mezzo sorriso, poggiandosi contro una parete. «Magari devo aspettarmi una convocazione?»

Djævel si girò a guardarlo con calma. Lo osservava con quegli occhi scuri impenetrabili e quasi insensibili a tutto. «Non ti dirò niente, peste.»

«Andiamo. Sono il tuo preferito.»

«Non mi sembra di averlo mai detto.» Djævel gli ammiccò. Si voltò a guardarlo, distogliendo l'attenzione dal proprio riflesso. Gli sistemò il colletto sgualcito. Poi fece cenno col capo verso l'orecchino. «Dovresti liberartene. Anche perché può essere usato per farti male.»

Ægon ridacchiò e saltellò lontano dirigendosi verso la propria camerata. Fin dal principio aveva adorato le lezioni del comandante, così come il suo stile di combattimento. Era l'unico che aveva creduto in lui da sempre, soprattutto perché non l'aveva mai visto più debole, non provenendo da nessuna delle sacre famiglie.

Ormai suo padre era morto per lui. Non c'era mai stato, in realtà. Ed Ægon desiderava più di ogni altra cosa dimostrare a Djævel che poteva essere motivo d'orgoglio.

Jacob già stava indossando il giubbotto anti proiettile. «È la nostra occasione» sorrise divertito «non possiamo lasciarcela sfuggire. Faremo una strage oggi e ci faremo scegliere.»

Ægon si strinse nelle spalle. «Secondo me ci hanno già presi, sai?»

L'amico si voltò a guardarlo di scatto, sniffando l'odore delle novità come un segugio con la selvaggina. «Che cosa sai? Il tuo comandante protettore ti ha spifferato qualcosa?»

Gli scappò una risata genuina. «No. Ma sono sicuro che siamo noi i prescelti. Siamo o no i migliori?»

𖣔𖣔𖣔𖣔

Le strade di Sol al mattino si riempivano di persone.

Passeggiando tra i vicoli, si vedevano i negozi aprire le loro porte; le vetrine esponevano merci invitanti, quanto artificiose e -soprattutto- sintetiche. Ægon non era abituato ai sapori reali, li aveva quasi dimenticati. Dopo l'incidente, buona parte delle persone comuni era morta e così anche i loro campi. Alcuni test sugli animali, poi, avevano portato alla lunga alla loro sterilità e ucciderli per nutrirsene li avrebbe condannati tutti. Ægon sapeva bene che fossero le piccole possibilità di intoppo della scienza.

Alla fine, era stato un errore in buona fede. Si stava cercando di combattere la più grande paura dell'uomo dall'albo dei tempi: la morte.

Le strade della zona commerciale iniziarono ad animarsi di tante persone, che correvano qua e là come tante piccole formiche, creando una sinfonia di voci sussurrate e passi. La maggior parte attraversava la strada al passaggio delle guardie. Ægon non si stupì più di tanto quando una donna trascinò suo figlio sul marciapiede opposto al suo.

Sentì lo stomaco brontolare, quando il profumo di brioche appena sfornate gli inondò le narici.

«Ci temono perché, in fondo, molti di loro hanno tanto da nascondere.» Fece notare il capitano Schultz.

Ægon si ritrovò ad annuire, mentre camminava spalla a spalla con Herica. La ragazza si guardava attorno con uno strano interesse; gli occhi scuri le luccicavano eccitati mentre si voltava a fissare ogni piccolo angolo di strada. Sussultò quando quella calma appena caotica venne interrotta dal ritmico tonfo di un martello che batteva sul legno, proveniente da un laboratorio di falegnameria.

«Cosa dovremmo fare, allora?» Jacob interruppe suo padre, che si voltò a guardare tutti loro, suoi studenti, con un'espressione seria. «Tra poco risuonerà per tutte le strade l'allarme. Tutti correranno via a nascondersi come ratti nelle case. Sfondate qualsiasi porta, fermate chiunque vi sembri sospetto. Cerchiamo ribellisti.»

Ægon si scambiò una veloce occhiata con Djævel. Il Comandante aveva uno sguardo freddo, imperscrutabile. Cercare di capire cosa frullasse nella sua testa era impossibile. Per questo era uno dei combattenti e spadaccini migliori dell'esercito. Era troppo imprevedibile; a volte, tra studenti, si divertivano a immaginare chi fosse davvero migliore tra lui e il Generale. Probabilmente sarebbero rimasti per sempre col dubbio.

Un cupo silenzio si abbatté sulla città, interrotto solo dal leggero fruscio delle foglie mosse dalla brezza mattutina. Il cielo azzurro era un tranquillo sipario sopra le vie, dove, dietro le quinte, il mondo continuava a recitare la sua parte. Tutto sembrava immerso in una serenità assoluta, finché improvvisamente un suono inconfondibile squarciò l'aria.

Un allarme violento, penetrante e inesorabile iniziò a risuonare attraverso gli altoparlanti pubblici della città. Il suono era un lamento distorto, un grido elettronico che trasmetteva immediatamente un senso di emergenza. Ægon si portò d'istinto le mani alle orecchie. Il cuore gli schizzò in gola. Si sentì all'inizio intontito, non era abituato ancora a quel rumore così assordante.

I cittadini, spaventati dalla drammatica interruzione della quiete, sollevarono gli sguardi tutti insieme, come congelati di colpo.

All'improvviso ci fu il caos.

Le strade, che prima erano animate da passi tranquilli e chiacchiere rilassate, si riempirono di una folla in movimento. Come un gregge impazzito, tutti correvano via. Le urla si disperdevano come echi lontani tra i vicoli stretti. Espressioni di puro terrore si dipinsero sui loro volti.

La paura si diffuse come un contagio, un morbo devastante. Ægon arretrò di colpo, tirando Herica accanto a sé. L'amica era rimasta paralizzata a osservare l'orda di panico con sguardo confuso. Entrambi si voltarono a osservare il Generale, che sorrideva divertito. «Forza! Al lavoro!»

Le vetrine dei negozi si richiusero in fretta, le persone abbandonarono i mercati, e le vie si svuotarono rapidamente. Un turbine di attività frenetica si abbatté per tutta Sol, mentre gli uomini, le donne e i bambini cercavano rifugio nelle loro case, inseguiti dalla paura e dalla preoccupazione. L'allarme, un presagio indesiderato, continuava a risuonare implacabilmente, trasformando la città da un'oasi di tranquillità a un palcoscenico di inquietudine.

Ægon si mosse veloce sul posto, imbracando il proprio fucile.

Si lanciò all'inseguimento di un gruppo di ragazzini, tallonandoli attraverso i vicoli stretti. Jacob lo seguiva, ridacchiando di gusto. «Così imparano a uccidere i nostri, questi bastardi del cazzo.» Sparò ai piedi di uno di loro, che cadde, scivolando a terra.

Jacob spinse Ægon in disparte, avvicinandosi a passo deciso al ragazzino caduto. Lo afferrò per il maglione e lo spinse contro la parete sudicia. «Dov'eri ieri notte?»

«A casa! A casa! Lo giuro. Lo giuro!» Tremò con una voce spaventata.

«Thanatos! Dove lo nascondete, brutta feccia?»
Ægon si frappose tra i due. «Non abbiamo nessuna
prova che sia un ribellista-»

«Non mi importa! Jade, Kobe e Flynn erano nostri amici! Lo hai dimenticato? Quel bastard-»

«Conosco delle persone che aderiscono al partito ribelle!» Il ragazzino piagnucolò. Ægon credeva che l'uomo era di base vigliacco. Se, per salvare se stesso, avesse dovuto tradire anche la propria famiglia, l'avrebbe fatto. E i ribelli amavano crogiolarsi nell'idillio di volere giustizia, ma erano i primi a rubare vite e tempo agli altri.

Jacob fece un sorrisetto contorto. «E dove?»

«A Est. Vicino la zona del mercato, accanto al fiumiciattolo. Di solito si radunano lì o vivono lì-»

Jacob gli diede un buffetto sulla guancia, spingendolo poi all'indietro. Fece cenno ad Ægon di seguirlo. Ægon obbedì, prima di voltarsi a osservare quel ragazzino per qualche istante. Alla fine, era solo poco più piccolo di loro.

«Non credi di aver esagerato?»

«Non hai sentito mio padre, eh? Questa gente non sa cosa vuole. Chi non può permettersi un procreatore, si diverte a giocare a fare il ribelle. E per cambiare cosa? Il Governo sta cercando in ogni modo di migliorare le loro fottute vite del cazzo. Un errore è umano. Non siamo ancora divinità, ricordi?»

Ægon annuì, sconsolato. Si morse l'interno guancia e assottigliò lo sguardo verso il punto indicato dal ragazzo, dove si stavano dirigendo.

Jacob spinse di lato un uomo sulla cinquantina, infilandosi all'interno della sua casa.

«No! Vi prego! Non toccate i miei bambini!»

Ægon lo ignorò, scavalcando il suo corpo disteso sulle scale, mentre continuava ad implorarli.

La donna all'interno si parò davanti a due bambini col proprio corpo. Ægon e Jacob li superarono, raggiungendo la loro camera da letto. Non fu difficile rovistare tra gli armadi e trovare la divisa nera dei ribellisti, con le maschere bianche, simili a quella metallica di Thanatos.

Ægon socchiuse gli occhi, inviando la propria posizione al comandante, tamburellando le dita sul quadrante al polso.

«Bastardi.» Jacob corse in cucina e afferrò la donna per i capelli, che cominciò a gridare disperata. La spinse sul tavolo, facendola ruzzolare a terra.

Ægon osservò i due bambini. Potevano avere al massimo cinque anni a testa. Tremavano come foglie al gelo. Si piazzò davanti a loro. «Andate in camera...»

«No!» Jacob gli urlò contro. «Sarebbe meglio che vedano cosa succede a essere dei pezzi di merda come i loro genitori!»

Ægon deglutì.
Non di nuovo.

Il marito corse in casa e aggredì Jacob, spingendolo a terra. Ægon scattò sul posto. Mirò col fucile contro l'uomo, ma si rotolava sul pavimento di continuo con Jacob, non poteva ferire il suo amico.

Uno sparo risuonò nel silenzio e il sangue macchiò il pavimento. Gli occhi dell'uomo rotearono all'indietro, mentre Jacob si liberava del suo corpo morto con uno strattone. «Fanculo».

Ægon afferrò la donna, che cominciò a singhiozzare. Le sue urla disperate si mescolarono nei pianti dei bambini. Una melodia atroce che risvegliò qualcosa nei suoi sensi, lasciandolo paralizzato.

Jacob spinse la donna contro il tavolo, piegandola e strappandole la gonna. Ægon si avvicinò ai bambini, per portarli via. «Smettila! Basta! La impiccheremo in piazza-»

Non di nuovo.

«Sta' zitto! Non sai neanche sparare con quel fottuto fucile! Che cazzo ti prende, eh? Non vuoi vendicare i nostri amici?»

Ægon sentì la porta di ingresso cigolare. Il sudore gli imperlava la fronte. La rabbia pulsava contro le pareti della sua testa. Certo che voleva vedere i responsabili pagare, ma non avrebbe violentato una donna. Né avrebbe permesso che i suoi figli assistessero a tutto. Si sentiva sotto pressione, sporco. Stava forse tradendo i propri principi? Gli stessi che aveva giurato di seguire fino alla morte, di tatuare nella propria anima, come una seconda pelle?

Non di nuovo.

Strinse il fucile e colpì Jacob alla testa con un colpo secco, facendogli perdere i sensi.

L'ansia gli attanagliò la gola. Gli mancava il respiro, mentre osservava il corpo svenuto dell'amico ai suoi piedi.

«Che cazzo succede qui?» Djævel lo stava studiando attentamente.

«I-io-»

«Ægon, guardami. Va bene, so cosa voleva fare. Non lo dirò a nessuno. Dobbiamo portarla via.» Afferrò la donna per il braccio.

«Voleva-»

«Va bene. Il Generale è qui fuori. La porteremo in piazza e diremo che è lei che vi ha aggrediti. Tu stavi pensando ai bambini.»

Ægon annuì confuso. Aveva sbagliato. Aveva colpito un compagno per difendere chi, poi? Quella feccia?

Deglutì in tensione e si caricò il corpo dell'amico sulla schiena, seguendo il Comandante fuori dalla casa. Si voltò a guardare quei due bambini tremanti, piangevano disperati, mentre vedevano la loro mamma essere trascinata via a forza.

Il comandante la spinse tra le braccia di Schultz, che fece un ghigno cattivo, quando la vide. Poi alzò lo sguardo su Ægon e Jacob, svenuto tra le sue braccia. «La pagheranno questi ribelli del cazzo.» Indicò altri tre uomini alle sue spalle, con delle catene a bloccargli i polsi, collegate al collo. Fecero lo stesso con la donna di poco prima, che, singhiozzando, mormorò a bassa voce nella sua direzione. «Grazie.»




☀️☀️☀️

Buongiorno!
Nuovo capitolo "allegro" a vostra disposizione!
Spero che SaC vi stia piacendo.
Vi ho presentato Ægon, l'altra faccia della medaglia di Sol🌝
Alla prossima❤️‍🩹

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