Capitolo 14
Ægon
Non sapeva cos'altro fare. L'Akademie era in subbuglio dal giorno precedente.
Dopo lo scontro si era scatenato il caos. Così tante persone erano corse via per tutta Sol; tante altre avevano assaltato negozi e vetrine.
Ægon aveva capito subito di dover tornare a casa, all'Akademie. Miguel lo strattonò per il gomito. «Dobbiamo andarcene.»
Ægon annuì con un cenno del capo. Si sentiva confuso. Poi alzò lo sguardo. «Djævel?»
Herica sbuffò, accucciandosi contro Miguel. «Non lo so. Ma oggi non siamo di turno e dobbiamo nasconderci. I ribelli o i pazzi potrebbero prendersela con noi perché siamo studenti dell'Akademie.»
Ægon aggrottò la fronte. Avrebbe voluto ribattere, ma Miguel lo anticipò, scuotendolo. «Ægon, andiamo. Siamo dalla parte del Governo per loro, Herica ha ragione. Ci serve un nascondiglio.»
Ægon mosse il capo. Si guardò intorno, ancora frastornato. Era troppo preoccupato per Djævel. Se gli fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.
Ma i suoi amici lo trascinarono lontano dalla folla. Miguel camminava avanti, spedito tra le strade di Sol, con una sicurezza quasi disarmante.
Ægon lo osservò. Dopo essersi guardato alle spalle per l'ennesima volta, accertandosi che nessuno li avesse notati o li stesse seguendo, tornò a prestare attenzione al suo migliore amico. «Mi dici come diavolo conosci queste strade?»
Miguel fece un sorrisetto divertito. Si strinse infine nelle spalle e diede un calcio a una cancellata incrostata dalla ruggine.
Davanti a loro si aprì una vecchia villa abbandonata, avvolta da una strana atmosfera misteriosa. Alcuni uccellini cinguettavano dalle finestre opacizzate dal tempo e dalla polvere.
Ægon deglutì, scambiandosi un'occhiata con Herica, che decise di parlare per prima. «Miguel, come conosci questo posto?»
Il ragazzo si grattò la nuca imbarazzato. «Era la vecchia Villa della mia famiglia... prima dell'Incidente, sapete.» Sospirò. «Vivevamo qui da bambini, ma quando mio padre si ammalò dopo il siero, mia madre vendette casa per guadagnare qualcosa. Così ci allontanammo dalla città, trasferendoci in periferia. Lei voleva così tanto che io e mia sorella entrassimo in Akademie o alla Mostra. Ma il giorno del trasloco mia sorella scomparve e noi dovevamo muoverci.» Il suo sguardo si spense di colpo. «Mi manca; spero che, ovunque sia, stia bene.»
Ægon abbassò per istinto lo sguardo. Poi abbozzò un sorriso incoraggiante. «Magari possiamo aiutarti a cercarla... nel frattempo visitiamo questa fantastica catapecchia potenzialmente mortale per un soggetto allergico.»
Spinse in avanti le cancellate, ripulendosi poi le mani sui pantaloni. Forse, una volta, dovevano essere imponenti, adesso scricchiolavano soltanto, riproducendo un suono triste e inquietante, piegate sotto il peso degli anni e dell'abbandono. Le piante rampicanti, con i loro lunghi tralci intricati, avevano preso possesso dei cancelli e delle mura della Villa, avvolgendole in un abbraccio naturale, o forse mortalmente soffocante, celando gran parte della loro struttura originale.
Percorsero il viale dissestato, che si snodava attraverso un giardino selvaggio. L'erba era così alta che gli gnomi da giardino erano stati divorati. Si mossero attenti a non inciampare nei rovi. Herica ridacchiò quando rischiò di crollare col volto per terra. «Potremmo proporre al Comandante di fare qui qualche allenamento.»
Tra le foglie ingiallite e i rami spezzati, emergevano frammenti di statue in rovina e fontane ormai secche. Miguel fece uno sguardo malinconico, osservandole. «A volte, durante le ronde vengo qui, nella speranza di rivedere mia sorella.»
Herica si mise sotto il suo braccio e gli accarezzò il dorso della mano. «La troveremo.» Si voltò a guardare Ægon. «Vero?»
Lui annuì con un cenno deciso del capo. Spostò poi lo sguardo verso la Villa, che si ergeva come un relitto fantasma del suo antico splendore, le pareti screpolate e coperte di muschio, le finestre sbarrate e spente. Raggiunsero l'atrio d'ingresso e Ægon accennò al tetto di tegole, ormai mezzo crollato. «Attenti a non prendere nulla in testa.»
«Tu diventeresti più intelligente, Miguel.» Herica ridacchiò. Si sedette poi sulle scale del patio, sospirando piano. «Aspettiamo qui che passi la tempesta.»
Miguel sorrise e, passandosi una mano sul volto, si lasciò andare a un sospiro di sollievo. «Quindi, adesso Djævel sarà il nuovo Generale?»
«Jacob non la prenderà affatto bene.» Ægon mormorò. Iniziò a camminare avanti e indietro per il portico, scansando i calcinacci polverosi a terra e assestando loro dei calci per lanciarli lontano verso il viale. Conosceva il suo amico: era imprevedibile. Probabilmente si sarebbe lanciato immediatamente in qualche missione semi-suicida per avere vendetta. Si voltò a guardare i suoi amici. «Qualunque cosa abbia in mente di fare, dobbiamo fermarlo. Potrebbe fare qualche stronzata e rimetterci la vita.» Ægon a volte non riusciva a sopportare l'amico, con quella continua rivalità e voglia di sopraffare, ma non per questo avrebbe voluto vederlo soffrire, nonostante tutto.
Herica arricciò il naso, in un'espressione quanto più bambinesca. «Certo, perché Jacob è famoso per darci ascolto...»
Miguel sospirò piano, tenendo lo sguardo fisso nel vuoto. «Però povero anche lui. Insomma, suo padre è stato brutalmente ucciso davanti ai suoi occhi. È normale voglia vendicarsi...»
Ægon annuì. «Ho un'idea. Ricordate che il Comandante voleva creare la squadra speciale che andasse a scovare Thanatos e i ribelli?» Quando i suoi amici fecero un cenno d'assenso, riprese a parlare. «Potremmo convincerlo a portare noi e Jacob in missione, d'altronde eravamo tra i primi candidati.»
Miguel aggrottò la fronte. «Quindi sarò il vostro curatore?» Fece un sorrisetto. «Ci sto! E poi sono sicuro che quel bastardo possa aiutarmi a trovare la mia sorellina: Kaija.»
Ægon gli ammiccò. Tese le orecchie: le urla sembravano sempre più affievolite. Guardò i suoi amici e sospirò piano. «Forse dovremmo tornare all'Akademie, ora. Cerchiamo di non dare nell'occhio.» Accennò vagamente alle loro divise.
Herica sospirò piano, fissando la spilla. «Okay, andiamo.»
All'Akademie c'era una gran confusione, specchio di ciò che era successo in città fino a qualche ora prima.
Ægon corse veloce tra i corridoi, fino alla propria camera. Scansò insegnanti che intimavano ai ragazzi di tornare alle loro stanze. Doveva trovare Jacob e accertarsi che stesse bene.
Si mosse nervoso, svoltando l'angolo, quando una mano gli afferrò il braccio, trascinandolo in un corridoio buio e isolato. Ægon oppose resistenza e fece partire un pugno, che l'altro scansò.
«Che cazzo ti prende?»
Ægon mise a fuoco la figura del Comandante e sentì il cuore rilassarsi pian piano. I battiti, prima frenetici e violenti contro le pareti della gola, iniziarono a calmarsi sempre di più, a rallentare, mentre il sollievo prendeva il sopravvento sul suo corpo. «Cavolo, pensavo fosse qualche pazzo infiltrato.» Osservò Djævel, inclinando il capo con curiosità. «Stai bene.» Trattenne in ogni modo l'impulso di abbracciare l'uomo, che si limitò a scrollare le spalle.
«Non mi hanno permesso di andare allo scontro.» Djævel sbuffò. «Perché se mi avesse sfidato, così come ha fatto, non mi sarei tirato indietro e non volevano rischiare di perdere anche me.»
Ægon fece un piccolo sorriso, cercando di camuffarlo con un leggero colpo di tosse. «Perché mi hai trascinato qui?»
«Stai bene? State bene? Cos'è successo?»
«Schultz è morto.»
Djævel inarcò entrambe le sopracciglia. «Ma davvero? E io che pensavo che l'isteria generale fosse qualche morbo improvviso.» Roteò gli occhi al cielo. «Hanno recuperato il corpo di Schultz. È nell'area medica. Jacob è lì, ti ci accompagno.»
Ægon gli andò dietro. Seguiva la figura dell'uomo farsi largo tra la folla, che sembrava aprirsi al suo passaggio. Si diresse verso l'ala est dell'edificio dell'Akademie. Spinse in avanti una porta battuta in ferro e si spostò lateralmente per farlo entrare per primo. Ægon entrò, si voltò a guardare alle proprie spalle e sussultò quando la cancellata si richiuse, provocando un tonfo sordo che rimbombò in tutto il corridoio, come un'eco inquietante.
«Sei mai stato nell'ala est, sotterranei?» Djævel tastò il muro al suo fianco, illuminando di colpo il corridoio stretto e cupo.
Ægon deglutì. Il sudore prese a incollargli i capelli sulla fronte. Odiava gli spazi stretti, lo terrorizzavano, ma era un soldato. Non poteva di certo permettersi debolezze simili. Si asciugò i palmi sudati sui pantaloni e ciondolò il capo. «No, anche perché immagino che una passeggiata negli obitori non sia poi così piacevole.»
Djævel fece un mezzo sorriso, che gli apparve quasi sinistro, quando la cicatrice si contrasse lungo tutto il lato del volto. «In effetti non è proprio il posto migliore per appartarsi.» gli ammiccò e si incamminò in avanti.
Ægon prese un grosso respiro e si mosse dietro di lui. Mentre si muovevano per i cunicoli stretti, gli sembrava di starsi allenando sott'acqua; tratteneva il fiato, sperando di ritornare il prima possibile in superficie.
L'obitorio era una saletta triste e asettica. Il bianco e il grigiore delle pareti lo trasformarono d'improvviso in un fantasma malinconico.
Su uno dei lettini era disteso il corpo del Generale, ricoperto da un lungo telo bianco. Jacob era di fronte a lui, con sua madre accanto, e aveva gli occhi arrossati di pianto. O forse era rabbia? Ægon osservò le nocche pallide, le mani strette a pugno e la fronte così corrugata da poter intravedere le vene ingrossate sulle tempie.
Ægon gli andò incontro e soppesò bene le parole da dire. Un semplice mi dispiace non sarebbe bastato, in fondo lo sapeva, ma furono le uniche sillabe che gli uscirono a fior di voce. Posò il capo sulla spalla dell'amico. «Riusciremo a vendicarci, te lo prometto. Ho un piano.» Mormorò a tono basso.
Jacob lo osservò con uno strano scintillio nello sguardo, smettendo di ascoltare il medico legale, sua madre e persino il Comandante. Fece un ghigno di approvazione, restando in silenzio, a osservare con la coda dell'occhio il corpo di suo padre.
***
Ægon non sapeva come comportarsi alle cerimonie funebri. La notte era trascorsa e aveva passato tutto il tempo a spiegare a Jacob che il Comandante avrebbe ripreso l'idea della squadra speciale di ricerca. E il suo amico sembrava aver trovato un motivo per riprendere a essere felice.
Si alzò lentamente dal letto e si iniziò a preparare. Prese a sistemare la divisa davanti allo specchio, lucidando ancora una volta, maniacalmente, la spilla della città di Sol. Continuava ad avere flashback convulsi, che non lo lasciavano libero neanche la notte nei suoi sogni. C'era la villa abbandonata di Miguel, poi le urla dei cittadini, che si disperdevano come tante formiche per tutte le strade di Sol. Rivedeva al rallentatore il colpo mortale inflitto al Generale e la risatina tetra di Thanatos riecheggiava come un tamburo battente nella sua testa. Poi rivedeva la piccola ladra, i suoi occhi ambrati lo studiavano e poi lo guardavano con rabbia. «Li proteggo da quelli come te.»
Quelli come te.
Ægon continuava a ripetersi quella frase nella mente, chiedendosi se esistessero davvero dei soldati incapaci quanto lo era lui. Forse avrebbe dovuto essere quanto più simile a Jacob; d'altronde lui era nato per essere un soldato, un combattente.
Ægon era solo l'ennesimo sopravvissuto, forse abbastanza fortunato da essere entrato nell'Akademie e non alla Mostra. E forse solo grazie a qualche magheggio di Djævel.
Quelli come te.
Che diavolo significava? Ægon neanche sapeva chi fosse, non più. O forse non lo aveva mai saputo, gli suggerì una vocina nella sua testa, che lo andava a trovare ogni volta che le paure erano così forti da incastrarlo, come quando era rimasto rinchiuso in un armadio per un giorno intero.
«Ehi, ti senti bene?» Jacob lo osservava con uno strano cipiglio, dalle spalle.
Ægon annuì, ricambiando uno sguardo tranquillo attraverso lo specchio. Fissò il riflesso di Jacob. Quella notte il suo amico doveva aver dormito poco, a giudicare dalle occhiaie. E forse per la prima volta, Ægon si rese conto che non era perfetto così com'era stato progettato. La stanchezza e il dolore lo rendevano più umano di quanto avessero preventivato tutti.
«Sì, ci sono, andiamo?» Ægon gli ammiccò. Gli diede una pacca sulla spalla, per incoraggiarlo, e lo seguì fuori dalla stanza.
Entrambi si mossero verso la piazza dell'Akademie. Le mura attorno all'edificio, nascondevano al centro una piazza e un giardino, dove la maggior parte degli studenti trascorreva il tempo libero a studiare o ad allenarsi per qualche prova. Spesso, però, era anche luogo di riunioni.
Una serie di sedute era stata posizionata al centro. Su un piccolo rialzo era stata stipata la cassa funebre, dove il corpo del Generale riposava, perfettamente rivestito e ripulito da qualsiasi macchia di sangue.
Ægon rabbrividì andando a sedersi in seconda fila, accanto ai suoi amici. Seguì con lo sguardo Jacob, mentre si sistemava in avanti, al centro tra sua madre e Djaevel. Vicino al Comandante - anche se per poco, ormai - c'era sua moglie. Vicino all'uomo, c'era sua moglie. Ægon l'aveva incontrata poche volte in giro, sembravano sempre così freddi e distaccati, almeno in pubblico. Lilian Storm amministrava la Mostra, gestendo Procreatori e Procreatrici.
E poi c'era una ragazza che gli sembrava di aver visto da qualche parte, ma non riusciva a mettere ancora a fuoco la sua immagine, tra i meandri dei ricordi.
Djævel si alzò in piedi, avvicinandosi a un leggio, e si sistemò la divisa con un paio di gesti secchi. Sembrava nervoso, ma, dopo aver tossicchiato, iniziò a parlare. «Non credo ci sia altro da dire se non che Jerome sia morto con onore. Da eroe ha sfidato una delle nostre più grandi piaghe e ha combattuto fino all'ultimo respiro.»
Ægon detestava dover dimostrare il proprio orgoglio così, in battaglia. Erano pur sempre umani e avrebbero dovuto provare paura, li aiutava a restare attenti e in vita. Si chiese se il Generale avesse avuto paura sul punto di morire. E allo stesso tempo si paralizzò, realizzando di aver appena rinnegato uno dei primi insegnamenti dell'Akademie: non è concessa la paura.
«Ma, prima ancora che un leader che avrei seguito ciecamente, era mio amico.» Djævel si prese una piccola pausa, deglutendo a fondo. C'era stato un piccolo tremolio nella sua voce, che causò, come un effetto a catena, un singhiozzo proveniente da una delle file davanti. La madre di Jacob piangeva disperata, non sembrava riuscire a trattenere le lacrime. Jacob la avvolse con un braccio, attirandola a sé. «E non permetterò che quel bastardo la passi liscia. Prometto a te, Vivianne, di impegnarmi in ogni modo affinché tu ottenga la giustizia che meriti. Che noi meritiamo e che tutta Sol merita.»
Ægon aggrottò la fronte. C'era una cosa che detestava della morte: la glorificazione del morto. Non comprendeva come fosse possibile che tutto ciò che di sbagliato aveva commesso, di colpo, diventasse una piccola, minuscola, macchia, su un curriculum perfetto. Il Generale Schultz non era mai stato buono con nessuno di loro, con nessuno studente. Tantomeno con Jacob, che spesso ritornava dalle vacanze col volto ricoperto di lividi. Sua moglie era sempre malata o spenta, e adesso pareva disperarsi per la morte di suo marito.
Ma c'era una sensazione quasi crudele in lui che gli suggeriva che quella sceneggiata non fosse altro che sinonimo di sollievo. Forse, Vivianne era finalmente libera.
Tutti presero ad applaudire. Ægon smise di ascoltare i discorsi, anche quello del rettore dell'Akademie, che aveva sempre trovato un omuncolo viscido e fastidioso, pronto solo a ricordare i loro obblighi e a sottostare alle decisioni del governo e dello stesso Schultz.
Continuò a tenere lo sguardo fisso sull'accompagnatrice del Comandante e sua moglie. Aveva un qualcosa di familiare, che non sapeva spiegarsi. Herica, che parve leggere la sua confusione nello sguardo, si sporse verso di lui, fino a sussurrargli all'orecchio: «Lysa Cullen. È la procreatrice che Lilian ha scelto per lei e il Comandante.»
Ægon sgranò gli occhi. Ecco dove l'aveva vista: praticamente ovunque, non c'era muro o strada di Sol in cui non fosse presente un cartellone pubblicitario della Mostra col suo volto in primo piano. Si sentì un idiota per non essere riuscito prima a individuarla. «Giusto... quindi davvero avranno un bambino?» Mormorò a bassa voce, mentre Jacob dava un ultimo saluto a suo padre, tenendo una torcia in mano.
Miguel si allungò verso di loro, per unirsi al piccolo gruppo sussurrante; le loro voci coperte dalla marcia trionfale. «A quanto pare sarà il nuovo Generale ed è importante avere degli eredi, per poter salire di grado.»
Ægon si soffermò a guardare Djævel; al centro tra sua moglie e la Procreatrice, fissava in avanti, standosene in piedi, vicino alla pira funeraria. Non riusciva a vedere in lui qualcuno capace di sottostare così tanto agli schemi del loro governo, ma al tempo stesso comprendeva le scelte politiche prese.
Eppure, era strano. C'era qualcosa che non gli tornava, come una nota stonata in una lunga melodia. Fu in quel momento, però, che incrociò lo sguardo del Comandante. Un omino basso e tarchiato gli si avvicinò per suggerirgli qualcosa all'orecchio durante la funzione. Poi, Djævel gli fece cenno di avvicinarsi.
Così Ægon si tirò piano in piedi, approfittando del momento solenne, e si spostò in disparte insieme al Comandante. «La missione si farà. Ma non voglio Jacob al comando. Vi seguirò in parte, sarò spesso con voi, quando partirete.»
Ægon sentì il cuore schizzargli in gola. «Ma Jacob deve esserci. Lui-»
«Sarà il tuo secondo.» Il Comandante lo guardò fisso negli occhi. «Porterai con te Miguel ed Herica. Sono i migliori nei loro corsi. Ma partiremo tra un mese, al massimo. Prima vogliono far calmare un po' le acque.»
Ægon sentì il cuore riempirsi improvvisamente d'orgoglio. Il Comandante credeva davvero così tanto in lui. E lui avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non deluderlo. In nessun modo.
☀️☀️☀️
Angolino
Eccoci qui.
Scusate per il ritardo con l'aggiornamento. È un periodo un po' così a casa, per me.
Alla prossima ❤️
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