⊰ 𝗖𝗮𝗽𝗶𝘁𝗼𝗹𝗼 𝟯 ⊱

Kyojiro correva, correva come non aveva mai fatto, per scappare da quelle persone che stavano sicuramente ridendo di lui. Lasciò la Palestra Gamma in fretta e si avviò verso l'infermeria. Non voleva che nessuno lo seguisse, se avessero saputo lo avrebbero sicuramente allontanato per sempre. Recovery Girl non poteva fare nulla per lui, recuperato l'occorrente non avrebbe saputo utilizzarlo. Nessuno al di fuori dei professori doveva saperlo.
Non conosceva ancora perfettamente la Yūei, ma il lungo corridoio che aveva imboccato lo portò direttamente dall'anziana signora. Senza troppe cerimonie le indicò uno degli armadi in alto, e lei intuì subito cosa fare. Si aiutò con una sedia per raggiungerlo, mentre Kyojiro si appoggiava a un mobiletto per riprendere fiato. Quando si voltò nuovamente, la signora aveva in mano una siringa, contenente del liquido rosso fuoco. Il ragazzo l'afferrò subito. Sollevò la manica della divisa sportiva - l'operazione sarebbe stata complicata se fatta direttamente sulla sua fronte - e iniettò il contenuto nelle sue vene. Strinse con i denti il tessuto per il dolore; non lo avrebbe mai perdonato, ne era certo.
Quando la siringa fu vuota, Kyojiro si voltò verso lo specchio che aveva a fianco. La macchia rossa era meno visibile, ma se la toccava faceva ancora male. Ringraziò la signora e uscì dalla stanza. Tuttavia, non tornò subito alla palestra, si lasciò scivolare contro una parete e tirò fuori qualcosa dalla tasca. Era un semplice pezzo di stoffa, ma imbevuto di una particolare sostanza che alleviava il suo dolore, quello con Mitsuri non era stato un incidente, lei non c'entrava nulla. Era un avvenimento che si ripeteva più e più volte da molto tempo. Era fresco, si disse, ancora cinque minuti e sarebbe tornato dagli altri. Ma i suoi piani vennero distrutti da una voce che ormai conosceva molto bene.

— Kyojiro! — esclamò Mitsuri vedendolo — Va tutto bene? Scusa tanto, non volevo farti male...

— Non importa. — buttò lì lui — Non pensarci più.

Si alzò deciso a lasciare il luogo, ma la mano della ragazza lo trattenne. Si girò per ribattere ma incontrò gli occhi dell'altra, sembrava seriamente preoccupata per lui, il suo era uno sguardo dolce e determinato allo stesso tempo, rimase talmente colpito da non riuscirsi a muovere per un po'. Un dolore improvviso lo riportò alla realtà: un guanto stava lentamente scivolando per via della presa della ragazza. Si mordicchiò un labbro e cercò di allontanarsi ma lei non sembrava intenzionata a chiudere così presto la conversazione.

— Perché menti? Non pensare che non me ne sia accorta, nonostante non siamo mai stati in classe insieme abbiamo frequentato sempre le stesse scuole.

— Dove vuoi arrivare? — domandò cercando di mantenere la sua rigidità.

— Io... vorrei aiutarti, se me lo permetti.

— Non ho bisogno di aiuto.

— Sì, invece.

— Posso assicurarti che non necessito della presenza, nella mia vita, di una ragazza sfacciata e impertinente come te.

Mitsuri rimase molto colpita da quel commento, abbassò il capo, decidendo cosa rispondere. Non era arrabbiata, era una frase che si era sentita ripetere spesso negli ultimi anni. Si girò e fece per andarsene, ma non riuscì a trattenersi. Raggiunse il compagno, che aveva acquistato distanza durante quel momento di esitazione, e lo abbracciò da dietro, così forte da potergli rompere due costole. Ciò, fortunatamente, non accadde, ma il dolore fu pressoché lo stesso. Kyojiro cercò di allontanarla, ma Mitsuri era insistente, non aveva alcuna intenzione di andarsene senza sapere come poteva aiutarlo. Era decisa a conquistare la verità una volta per tutte.

— Potresti... staccarti... — disse a denti stretti.

— No, voglio una spiegazione.

— Cos'è, non ti va bene che voglio stare da solo?

— No, tu non vuoi stare da solo, tu hai un problema! — esclamò.

— E dimmi sapientona, perché ne sei così sicura?

— Perché io sono come te. Lo vedevo come guardavi gli altri con invidia, pensando che ognuno avesse la vita perfetta che tu desideravi. Non sei l'unico ad avere problemi, ma proprio per questo desidero darti il mio aiuto, se lo accetterai. — allentò la presa.

Stavolta Kyojiro non poté ribattere, non sapeva cosa dire. Spinse via la ragazza. Pensava di poterlo aiutare, era più sciocca di quanto credeva. Dopo qualche minuto di silenzio riuscì a ritrovare la voce:

— Tu non sai cosa vuol dire essere soli.

— Ti sbagli, lo so eccome. Solo perché mi mostro gentile e paziente con tutti per una mia scelta non ti da' il diritto di fare lo scontroso.

Ma si pentì subito di ciò che aveva detto. Arrossì come nessun altro nei momenti successivi di silenzio che seguirono. Pensava di aver fatto di nuovo la figura della sciocca ragazzina alla ricerca della compassione altrui. Kyojiro, tuttavia, era rimasto colpito dalle sue parole, ancora una volta. Nonostante fosse sicuro di aver neutralizzato il suo quirk durante la conversazione, cominciò a chiedersi se non lo stesse usando. Tornò a sedersi contro la parete e le fece cenno di avvicinarsi.

— E va bene, parliamo. Comincia tu.

— Ma...

— Poi, forse, ti dirò anch'io qualcosa.

Un debole sorriso comparve sul volto della ragazza, finalmente aveva deciso di aprirsi con lei.

— Senti... Kyojiro, posso chiamarti semplicemente Kyo? Suona molto meglio, come nome per un amico. — cominciò.

— Sarà. — alzò lui le spalle.

Si guardarono per un momento negli occhi, i suoi erano spenti, quelli di Fujiwara brillavano di una luce accecante, erano pieni di vita. Kyo si sentì geloso del suo sguardo angelico.

— I miei genitori sono morti quando avevo sei anni, però non ricordo come sia successo. Il direttore dell'orfanotrofio mi disse che si era trattato di un semplice incidente. Dopo qualche anno, una coppia mi adottò. All'inizio erano un sacco felici di avermi con loro, passavamo molto tempo insieme, ma poi finirono per... dimenticarsi di me, presi com'erano. e come lo sono ancora, dal lavoro. — si fermò, forse non sapeva come continuare. Tremava.

Kyojiro aspettò che continuasse, ma dato che rimaneva in silenzio decise di aprirsi un po' anche lui. Watashi glielo diceva da secoli che doveva mostrarsi più inclusivo con gli amici nelle questioni che desiderava portare a termine.

— Mio fratello. — disse inizialmente, attirando la sua attenzione.

— Sì?

— Non posso toccare niente e nessuno, oppure succede come in palestra.

Gli occhi di Mitsuri si riempirono per un attimo di lacrime, girò il volto verso l'amico, non sapeva cosa dire, aveva paura che qualsiasi cosa potesse ferirlo più di quanto aveva già fatto. Rimase immobile, il mento appoggiato sulle gambe. Nessuno dei due sapeva se parlare ancora. Il suono della campanella segno la fine della prima ora di lezione.

— Il prof sarà preoccupato, meglio andare ora. — si decise a dire Kyo.

Mitsuri annuì in silenzio e seguì l'amico lungo il corridoio. Stavano per raggiungere la palestra quando il ragazzo si fermò.

— Ho dimenticato una cosa. Torno subito. — disse senza voltarsi.

La ragazza rimase da sola per un buon quarto d'ora, ma il tempo bastò a farla riflettere. Il comportamento di Kyojiro le era sempre sembrato strano. A scuola restava in disparte e spesso lo incontrava solo anche per le vie di Kyoto, avrebbe voluto aiutarlo fin da subito, ma lui scappava ogni volta. Era intoccabile. Adesso capiva che il problema era più grande di lui e neanche lei sapeva come risolverlo. Ripensò per un momento ai giorni felici in cui si occupavano ancora di lei: le gite in montagna, le serate al cinema, i pranzi dai parenti. Ora non facevano che cercare di allontanarla; le davano tutto ciò che desiderava come per scusarsi di quell'ingiusto comportamento. Solo Fuji sembrava volerle stare accanto, ma lo studio gli portava via molto tempo.

"Ah ah, divertente" pensò "Ogni tanto vorrei proprio non averli, dei sentimenti".

Giocherellò con le punte delle trecce, gli venne in mente di tagliarle, magari, arrabbiandosi, sua madre si sarebbe ricordata di lei. Ma l'ultima volta che aveva rotto una finestra invece di sgridarla l'avevano consolata, quindi decise di rinunciare. Si alzò dal pavimento, scuotendo la polvere dalla divisa. Kyo stava tardando a tornare, chissà cosa doveva prendere di così importante. Non le piaceva intromettersi nelle questioni private, in realtà, ma era davvero curiosa, per quel ragazzo aveva sempre provato un certo attaccamento. La incantava.
Finalmente Kyojiro tornò, in mano aveva un paio di occhiali da sole molto strani e a tracolla una spada; era inserita nella custodia quindi avrebbe dovuto aspettare per vederla bene, o forse gliela avrebbe mostrata subito, per farle capire che tra loro c'era una certa confidenza. Si sbagliava. Si incamminarono subito verso la palestra, senza aprire o parlare di nulla. Mitsuri cominciava a stancarsi di quel silenzio, ma lasciò che decidesse l'altro cosa fare.
Alla fine arrivarono a destinazione senza fiatare. Tsukino appese la spada alla cintura per poter inforcare gli occhiali. La ragazza voleva che Kyo facesse un'entrata ad effetto, quindi spalancò la porta di botto ed esclamò:

— Eccoci!

Tutti si girarono vedendoli arrivare, Mitsuri corse subito nel cerchio, a differenza del ragazzo, che la raggiunse con calma. Si scusò con il professore per averlo fatto attendere e lui sembrò capire il motivo del ritardo. Poi cominciò.
Ora che erano tornati, Yuji si sentiva più tranquillo, nessuno si era perso per i corridoi della scuola, nessuno si era fatto male. Scacciò finalmente l'incolumità dei suoi compagni dalla mente e si concentrò sulla presentazione. Tsukino aveva tolto la spada dal fodero e ora tutti potevano ammirarla. Era completamente di ferro, il manico di pelle non c'era, la lama sottile presentava delle scritte, il ragazzo non riusciva del tutto a leggerle, essendo lontano, ma ipotizzò che fossero "Forza, Lealtà e Verità", parole profonde, si disse. Abbassò gli occhiali da sole sugli occhi per coprirli, Yuji vide che presentavano delle fessure sulle lenti, in questo modo lui poteva vedere gli altri ma gli altri non potevano vedere lui. Astuto.
Finalmente Kyojiro si decise a fare qualcosa, roteò in aria la spada e la puntò dritta contro la sua compagna, per un momento Yuji pensò che volesse vendicarsi del torto che gli aveva fatto, ma Mitsuri era ancora intera. Solo in quel momento si accorse che aveva una mela tra le mani. La alzò sopra la sua testa. Con un'abile mossa Kyo saltò in alto e la tagliò in due, era stato molto veloce, nessuno si era accorto che muoveva la spada perché tutti erano concentrati sul salto. Era riuscito a distrarli abilmente. Alcune delle ragazze più vicine lo guardarono sognanti. Dopodiché indicò un paio di compagni: Mitsuri, ovviamente, un'altra compagna di nome Chifuyu e Yuji.

"Aspetta, Yuji sono io!" pensò così forte che Sukuna ebbe modo di ribattere:

"Problemi signorino intoccabile?"

"No, ma è che non so quale sia il suo quirk..."

Kyojiro lo accontentò, neanche lo avesse sentito:

— Il mio quirk si chiama Erasure, quella di prima era solo una dimostrazione delle mie abilità con la spada, che uso spesso per combattere e proteggermi dai villain. Grazie al mio potere posso annullare i quirk dei miei nemici, in questo modo ottengo un vantaggio sulla prossima mossa. Sicuramente vi verrà in mente l'hero Eraserhead, dato che lui ha il mio stesso quirk, ma io riesco a mantenere il contatto con la vittima per circa cinque minuti e ha riprenderlo in pochi secondi, quindi il risultato è migliore. Per evitare che gli altri si accorgano che sto usando il mio quirk indosso questi occhiali da sole. Ho scelto un paio di persone per la mia dimostrazione, dato che i quirk sono tutti differenti. Fujiwara sarà la prima, se non riuscirà a controllarmi vorrà dire che il mio quirk ha agito correttamente.

La ragazza si avvicinò al compagno, aspettò un po' prima di usa la sua voce, ma infine cominciò:

— Prostrati a terra, inchinati davanti alla mia figura, non avrai altra regina al di fuori di me.

Ma non successe nulla, questa volta. Kyojiro rimase in piedi a fissare la ragazza, le labbra dischiuse, finalmente, in un debole sorriso. Anche Mitsuri sorrise: Kyo gli piaceva di più quando era felice.
Poi invitò Chifuyu a farsi avanti. Anche il suo quirk fu subito annullato e dal suo corpo non provenne alcuna luce. Infine toccò a Yuji. Raggiunse Tsukino nel cerchio, era un po' spaventato perché il suo quirk era diverso dagli altri, aveva una voce e dei sentimenti, per quanto gli ricordasse ogni giorno. E se alla fine non fosse più ricomparso?

— Ehi, Sukuna, puoi prendere il controllo. — disse, ma non ottenne risposta. Si accorse che improvvisamente la sua testa era più silenziosa del normale. Cercò lo sguardo del ragazzo ma gli occhi erano nascosti dagli occhiali da sole bianchi.
Incontrò il suo riflesso nello specchio in fondo alla palestra: le sue cicatrici sotto gli occhi erano sparite.

— Ehm... grazie, un quirk bellissimo, ma potresti far tornare Sukuna? — chiese cercando di sembrare meno preoccupato di quanto non fosse.

Kyojiro si sfilò gli occhiali. I suoi occhi brillavano di una luce intensa, segno che stava ancora usando il quirk.

— Certo.

E finalmente la luce si spense. Le ginocchia gli cedettero, si portò le mani al viso, sentendo che le fessure si stavano riaprendo. Gli ci volle davvero molta concentrazione per riuscire a impedire a Sukuna di prendere il controllo, ma alla fine il corpo era ancora il suo.

"Di certo Sukuna è ancora il mio quirk..." pensò.

— Bene ragazzi, la lezione finisce qui. Scusatevi con il prof dell'ora dopo per avergli rubato qualche minuto, ma non potevo privarmi della dimostrazione di Tsukino. Un lavoro eccellente. — gli fece l'occhiolino — E ditegli che mi dovrò tenere Kimura ancora per un po'. Voi altri andate.

Ume, che si era avvicinata per aiutarlo, non aveva intenzione di lasciarlo da solo, le due cicatrici perdevano sangue ed era intenzionata a portare Yuji in infermeria, ma il prof convinse anche lei ad uscire.

— Finalmente soli, eh Yuu-chan? — disse imitando Akyra.

— Gojo-sensei... — si rialzò da terra — Si può sapere perché è venuto alla Yūei?! — esclamò.

— Be', mi avevano detto che potevo, quindi eccomi qui. — fece la linguaccia.

— Ma-ma, Akyra e Rin? Resteranno da soli, e chi li allenerà?

— A quanto sembra Kento è riuscito a tornare in tempo, quei villain non erano poi così difficili da gestire... quindi ho lasciato lui con i tuoi fratelli e io ho accettato il posto di professore. Non lascerei mai il più talentuoso dei miei figli da solo.

Lo abbracciò teneramente e rimasero così per alcuni minuti. Solo loro due. Gli venne di nuovo in mente quando si era svegliato in quella stanza, i suoi occhiali neri indimenticabili e lo sguardo gentile. Nessuno lo avrebbe voluto, un ragazzino di dieci anni con un quirk dall'incontrollabile parlantina e il carattere più spigoloso e duro di una roccia. Ma lui non si era tirato indietro. Lui, su sette miliardi.

— Yuji, mi prometti che starai attento?

— Sì.

— No, ehi, dico sul serio. Non voglio venire a un altro funerale.

— Starò attento, davvero! — esclamò, ricordando quando aveva salvato una vecchietta per strada finendo investito al suo posto.

Stranamente era ritornato in vita, Sukuna gli aveva spiegato che poteva rigenerare qualsiasi parte del suo corpo, anche il cuore, ma quello avrebbe potuto farlo solo una volta. E l'aveva già esaurita.
Gojo-sensei lo lasciò andare.

— Vai, hai ancora tanto tempo prima di tornare a casa. Io invece ho finito.

— Sul serio?!

— Ti andrebbe di venire a dormire con me all'hotel? — si girò prima di andarsene.

— Be', ecco... io avrei fatto scomodare Ume per ospitarmi, non mi sembra carino dirle solo ora...

— Non fa niente, rimani con la tua amica per tutto il resto dell'anno. Ci vedremo a scuola, e poi così non sospetteranno nulla. Non vorrei che pensassero che sei il mio preferito solo perché sei mio figlio.

Yuji annuì. Poi si ricordò di avere lezione di matematica e prese la direzione imboccata dai suoi compagni, sperando di non essere troppo in ritardo. Il professor Ectoplasm aveva una certa attitudine a sbatterlo fuori dall'aula ogni volta che arrivava in ritardo. Sperava non capitasse quell'anno dato che veniva a scuola con Ume, e lei si alzava sempre presto la mattina, così da svolgere la funzione di sveglia anche per lui. Il prof era girato quando entrò, quindi cercò di far notare il meno possibile la sua assenza. Si sedette dietro a Mitsuri e recuperò il libro e il quaderno dalla borsa.

— Kimura.

Sentendo la voce del professore per poco non cadde dalla sedia.

— Sì, esco... — disse mogio.

— Prof, Kimura era con il professor Gojo prima, è in ritardo per quello. — intervenne Kaneki.

— Non mi pareva vero che fossi in ritardo anche alla seconda ora. Per oggi rimani in classe, sei perdonato.

Il ragazzo si tranquillizzò e si sbrigò a ringraziare Kaneki, che lo tirava sempre fuori dai guai. Cercò il seguire il resto della lezione, ma aveva perso metà spiegazione, quindi decise di rinunciare. Quando suonò la terza ora si ritrovò un foglietto sul banco. Nessuno gli era passato vicino, eppure il pezzo di carta era lì. Lo lesse con gli occhi perché gli altri non sentissero.

"Stasera mega partita a basket. Non dire di no o non ti aiuto a fare i compiti di mate.

Baibai

Ume"

Intuì che il messaggio era letteralmente rimbalzato sulla scrivania quando la ragazza si era spostava verso il suo gruppo di amiche.

"Sfida accettata" scrisse sul retro, e lo lasciò nel quaderno aperto.

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Più tardi, uscendo da scuola, Ume non poté far a meno di domandargli cosa voleva il prof da lui. Non era preparato quindi cercò una valida scusa e cambiò subito argomento, incentrando la conversazione sulla sfida che gli aveva lanciato.

— Perché vuoi fare quella sfida?

— Perché non ho nessuno con cui giocare, e volevo approfittare della tua presenza.

Yuji le sorrise:

— Menomale che so giocare.

— Posso sempre batterti, non credere di avere possibilità di riuscita.

Continuarono così fino alla porta di casa, quando furono costretti a fare silenzio dalla nonna della ragazza.

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Nel frattempo Mitsuri era riuscita a convincere Kyo a tornare a casa con lei. Abitavano molto vicino e non voleva percorre quel tratto di strada da sola. Lungo il tragitto il ragazzo non aprì bocca, ma lei continuò a raccontargli tutte le cose che aveva ricevuto dai suoi genitori da quando era con loro; la lista era davvero lunga ma a Kyojiro non dispiaceva ascoltarla, le piaceva la sua voce, quando parlava non sembrava che si stesse vantando, ma raccontando le sue esperienze come una storia preziosa. Alla fine decise di aggiungere qualcosa di suo a quel racconto:

— Mio padre era molto severo, mi ha lasciato solo quella spada prima di morire.

— Oh, non sapevo fosse morto! Mi dispiace molto.

— Non dispiacerti, sta bene dove è adesso — rispose seccato, poi aggiunse — Comunque siamo arrivati, vivo lì. — indicò una palazzina grigia.

— Io devo continuare ancora per un po'. Ci vediamo domani! — lo salutò con la mano.

Kyo la salutò a sua volta prima di entrare in casa. Forse, alla fine, quell'amicizia bizzarra non gli dispiaceva così tanto.


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