𝐗𝐗𝐗. 𝐈𝐧𝐟𝐢𝐥𝐭𝐫𝐚𝐭𝐨
Do you need, do you need someone?
Are you scared of what's to come?
If you leave then who will the next one be?
Will he do the same or will he let you see?
You don't have to hurt, you don't have to hurt anymore
With a little time, take a look and find what you're searching for
You are broken on the floor
And you're crying, crying
He has done this all before
But you're lying, lying
To yourself, that he'll find help
That he will change to someone else
But you're broken on the floor
Still asking him for more
Will you leave or will you carry on?
Is your love from before still strong?
If you leave, will you keep the memory
That made night so long, that cut so deep?
Shayla camminava davanti a tutti loro. Isak, dietro di lei, teneva un sacco nero in testa e un suo maglione di lana. Aveva inviato un messaggio a Perez, avvisandolo che era riuscita a catturare Atlas, che, invece, li seguiva, tenendo stretta tra le mani la propria maschera da Mr Knight.
Trovava assurdo e anche particolarmente inquietante quell'edificio. Il vecchio orfanotrofio St. Patrick si reggeva ancora in piedi, miracolosamente. Atlas aveva sempre pensato sembrasse un vecchio mattatoio, invece, era l'antico maniero di un conte, che preferiva trascorrere le giornate da solo, piuttosto che in compagnia dei suoi ricchi coetanei. Era situato in un piccolo bosco, lontano dal centro cittadino di Edimburgo e le pareti nerastre e impolverate gli donavano un aspetto ancor più lugubre di quanto ricordasse.
Non gli era affatto mancato quel posto, nemmeno un po'. Ripercorrendo il vialetto alberato, che portava all'edificio, le scarpe si incastravano nel fango e si ritrovò a storcere il naso. Almeno aveva evitato di utilizzare il paio di scarpe nuovo, aveva fatto tesoro delle vecchie esperienze.
Hercule e Ida avevano parcheggiato poco distante, restando nascosti tra gli alberi e la loro fitta vegetazione. L'aria era fredda, ancor più straziante, e Atlas sperava davvero che tutto finisse per il meglio.
Sarebbe stato decisamente meno doloroso.
Guardò le vecchia quercia secolare al centro del piccolo giardino. Ricordava ancora quando sfidò i suoi due amici a chi fosse più veloce ad arrampicarsi e quanto rimase sorpreso e sconvolto dalle abilità di arrampicata di Natalia, sebbene fosse la più piccola. Atlas, invece, non era riuscito ad arrivare in cima e aveva vissuto il tutto come una grande sconfitta. Killian si era rifiutato, aveva paura delle altezze. Aveva cominciato a tremare e la stessa Natalia aveva deciso che sarebbe stato meglio non farne più nulla. Atlas aveva preso quel momento come una sfida personale e, quasi ogni notte, sgattaiolava dalla propria stanza e scappava in giardino. Fissava per qualche attimo intensamente la quercia e poi si allenava ad arrampicarsi, fino a superare i propri limiti. Continuava a imporsi che la propria mente era il suo più grande limite e ne era ancora fermamente convinto, visto come Perez era riuscito a giocarci con tranquillità.
La maggior parte delle volte i suoi amici lo accompagnavano per dargli coraggio. Quando vennero adottati assieme, allora, rimase da solo e continuò quelle sfide comunque. A volte continuava a chiedersi che fine avessero fatto entrambi.
Shayla si avvicinò al portone d'ingresso. Premette su un piccolo tasto del citofono, ancora impolverato, e un suono stridulo e fastidioso fece intendere che la serratura automatica del portone fosse scattata. Atlas indossò la maschera, preferiva che qualsiasi guardia o anche i bambini non lo riconoscessero in volto. Anche perché avrebbe chiamato la polizia non appena fossero tutti fuori, dopotutto stava pur sempre collaborando con loro, sebbene li considerasse degli idioti.
Isak sembrava tranquillo, forse perché consapevole che i lacci che gli stringevano i polsi, in realtà, erano allentati. Non appena furono dentro, Atlas si sentì investito da un alone di ricordi, mentre fissava quel lungo corridoio e dedalo di busti di filosofi. Ricordava ancora quanto avrebbe voluto romperne alcuni, ma il terrore della punizione lo aveva convinto a starsene fermo.
Trovava assurdo che quelle statue fossero ancora tutte intatte.
«Vado a cercare i ragazzini.» Bisbigliò.
Indicò com un cenno del capo quale fosse la sala riunioni. Dovevano prendere tempo. Isak si liberò rapidamente e iniziò a correre verso l'ala opposta dell'edificio. Così avrebbero messo in scena una sua possibile fuga e Shayla e Perez sarebbero stati impegnati a cercarlo, assieme anche al signor Keyles, desideroso di vendetta per un figlio violento e assassino.
Atlas non si pentiva affatto di averlo ucciso a suon di pugni e torture.
Si allontanò dal gruppo. Era abbastanza certo che Perez non volesse far del male subito a quei ragazzini, non finché non avesse concluso con lui. Doveva tenerli per forza nelle camerate, al piano superiore. Mentre saliva quelle scale in marmo, scivolose a causa della polvere, un flash di ricordi lo colpì con violenza. Ricordava quando si divertiva a scendere, come su uno scivolo, poggiandosi sul corrimano, mentre tutti gli urlavano di stare fermo. Aveva sempre mantenuto una strana allegria in quel posto e quando la prima famiglia lo aveva adottato non aveva così tanta voglia di andarsene, tutt'altro. Non voleva legare con delle persone che molto probabilmente gli avrebbero fatto del male, così era riuscito a farsi riportare indietro.
Nessuno era mai rimasto abbastanza nella sua vita e forse un po' era colpa sua. Amava auto sabotarsi e allontanare chiunque, si sentiva più forte: non aveva legami e quindi non c'erano debolezze.
Solo Isak, Bendik, Ida ed Eyre erano davvero ancora lì e si chiedeva per chissà quanto tempo. Era terrorizzato, invece, dal futuro con Hercule, perché consapevole di non potergliene regalare uno come avrebbe meritato.
Una volta arrivato sul pianerottolo, si guardò intorno. Era tutto silenzioso e deglutì. Probabilmente avevano bendato i bambini, cosicché potessero raccontare davvero molto poco di quell'esperienza.
Sperava solo di essere abbastanza in tempo per evitare traumi ben peggiori, perché forse non sarebbe stato positivo, per il mondo e la sovrappopolazione, che tutti crescessero come lui con manie di omicidio.
Spinse in avanti la porta della sua vecchia camera, che cigolò appena. I letti singoli erano sempre gli stessi. Aggrottò la fronte, quando intravide Heaven seduta in un angolino, mentre si dondolava su se stessa terrorizzata. Si avvicinò lentamente, per evitare che si spaventasse, ma la ragazzina sussultò non appena lo vide. «C-chi sei?! Cosa vuoi?!» Gli puntò un piccolo specchio contro.
Atlas si abbassò sulle ginocchia. «Devi venire con me, ti porto a casa.»
I suoi occhi saettarono ovunque per la stanza. Era spaventata e sull'allerta. Scosse il capo. «No. Potresti essere uno di loro, non mi muovo da qui.»
Atlas sbuffò. Non aveva tempo da perdere. «Senti, bimba paradiso, dobbiamo andarcene. Prendo te, gli altri e vi porto fuori. Cerca di collaborare.» Fece per avvicinarsi per prenderla in braccio, ma Heaven -anche se in quel momento sembrava un piccolo diavolo infuriato- si mosse nervosamente e lo graffiò con una scheggia di vetro sul braccio.
Iniziava a stargli simpatica.
«Stai lontano da tutti noi! Nom ho intenzione di fare altre preghiere e prendermi ceffoni per non aver ringraziato per il pranzo.»
Atlas sbuffò piano. Al piano di sotto poteva sentire le imprecazioni di Perez, le urla di Shayla che chiamavano il suo nome, come in una perfetta commedia. Doveva sbrigarsi. Si tolse la maschera e vide Heaven sgranare gli occhi. «Atlas?»
Annuì. Rimise la maschera e le porse la mano. «Adesso dobbiamo andarcene. Sai dove sono gli altri?» La bambina afferrò la sua presa e si tirò in piedi.
«Nella camera accanto...» Lo seguì coi propri piedi, standogli dietro come una piccola zecca. Conosceva quelle piccole espressioni del volto, stava ricominciando ad assaporare il gusto della libertà ed era gratificante. Ricordava bene quella sensazione inebriante. «Scusa se ti ho graffiato.»
Atlas la guardò dall'alto e scrollò le spalle. «Fai un passo indietro.» Spinse poi la porta con una spallata e puntò la pistola, aspettandosi una guardia. Posò l'arma, rilassato quando vide solo altri tre ragazzini, ammassati uno sull'altro come a farsi coraggio tra loro.
Anche loro erano terrorizzati e sentì una morsa allo stomaco riconoscendo alcune piccole cicatrici sulle loro braccia. Erano incubi che non avrebbero mai avuto fine e avrebbe tanto voluto poter avere una soluzione alle loro sofferenze, invece ne era lui stesso schiavo.
Heaven, forse l'unica di cui si fidavano davvero lì dentro, disse loro di seguirlo, che potevano fidarsi. «Andrà tutto bene...» Si avvicinò a uno dei bambini, forse il più piccolo. I suoi capelli biondo cenere, in quella situazione e con quel buio, sembravano sbiaditi. Gli accarezzò il braccio. «È qui per aiutarci, davvero. Non ci farà del male, ve lo prometto.»
Atlas li aiutò a tirarsi in piedi, ma si tirarono indietro, spalmandosi contro la parere, troppo terrorizzati.
Sbuffò piano.
Sentì dei passi dietro di sé e ai voltò, identificando una guardia. Chiuse la porta, lasciandoli soli all'interno, onde evitare un nuovo trauma da aggiungere alla collezione, e sfilò la pistola. Uno sparo secco risuonò nel vuoto, mentre il corpo dell'energumeno si accasciava a terra. Doveva ammettere di non trovare nessun tipo di divertimento a uccidere in quel modo, senza prima giocare con la propria vittima e godere del suo stato di terrore, ma doveva essere veloce e non c'era spazio per il piacere in quel frangente.
Riaprì la porta e li guardò tutti. Forse lo sparo non era stato di grande aiuto. «Vi prometto che non vi farò nulla.» Alzò le mani. «Non vi sfiorerò nemmeno, ma adesso dobbiamo andarcene e anche abbastanza alla svelta.»
Heaven aiutò gli altri a tirarsi in piedi, sebbene titubanti, non avevano altra scelta che affidarsi a lui.
Impose ai ragazzi di restargli dietro, cosicché si accertasse che la strada fosse libera.
Intravide un'altra delle guardie e fece loro segno di starsene in silenzio. Si acquattò contro la parete, sfilando la pistola. Heaven socchiuse gli occhi, così come gli altri e Atlas si sporse di qualche centimetro, mirando alla testa. Era sempre stato un ottimo tiratore, ogni pallottola arrivava a destinazione, così anche quella volta.
Proseguirono. Sentiva alcuni spari provenire da altre parti della casa e sperava davvero che Isak se la stesse cavando bene, gli aveva dato la sua completa fiducia, ma non sarebbe riuscito a perdonarsi se gli fosse successo qualcosa.
Fino all'uscita tutto continuava a procedere bene, aprì il portone principale e si rilassò appena quando vide i bambini correre in direzione di Ida ed Hercule. Isak era appena uscito anche lui, dopo aver sviato Perez. Era intento a riprendere fiato. Tirò un sospiro di sollievo. I suoi migliori amici stavano bene.
Incrociò lo sguardo di Hercule. Era stato in tensione fino a quel momento, ma quando sua figlia gli andò incontro tutti i muscoli del corpo gli si rilassarono. E finalmente lo vide sorridere, di nuovo.
Forse solo Shayla era ancora all'interno e Atlas comprese che potessero prendersela con lei per averlo lasciato scappare. Doveva agire e tirarla fuori da lì, possibilmente viva.
Heaven si lanciò tra le braccia di suo padre. La vide singhiozzare, forse felice di essere ancora in vita, abbracciata e accoccolata ad Hercule, che non faceva altro che accarezzarle la schiena, baciandole il capo, ricordandole che tutto quello era finito. Atlas sorrise un po'.
Non poteva permettere che quella bambina restasse orfana di madre, sebbene questa avesse lo stesso nome di un chihuahua.
Atlas vide Ida avvicinarsi, intenta a volerlo aiutare per non lasciarlo all'interno solo con il suo più grande incubo. Isak sembrò capirla al volo e iniziarono a correre nella sua direzione. Chiuse con violenza il portone di ferro, rinchiudendosi all'interno.
«ATLAS SE ESCI VIVO TI AMMAZZO CON LE MIE MANI!» Isak gli urlò contro. Lo sentì battere coi pugni contro il ferro della porta. «Mi senti idiota del cazzo?» Sembrava davvero arrabbiato, come quando una volta si era azzardato a rubargli l'ultima polpetta dal piatto. Non si aspettava di certo diventasse così crudele, con lui, per giunta il suo migliore amico.
Si spalmò contro la parete e prese fiato. Doveva pensare a tutto il da farsi. Anche Martin doveva concludere quell'operazione, avevano pur sempre fatto un accordo.
Sfilò il cellulare dalla tasca e inviò una chiamata alla polizia, segnalando la posizione e i bambini liberi, pronti per un'eventuale deposizione. Gli chiesero più volte di fermarsi, catturare Perez e non fare altro. Atlas non rispose, chiude semplicemente la telefonata. Quella era la sua storia, nessuno poteva dirgli cosa fare.
Ripose il cellulare a posto e prese un grosso respiro.
«Dove ti nascondi, eh Jeremiah?» Sentiva la sua voce lontana. Quell'idiota non aveva capito di tutta la farsa che aveva messo su.
Adesso era una questione soltanto sua. Il cuore gli batteva forte contro il petto. Non era più un bambino. Doveva affrontare quelle paure una volta per tutte.
Si spinse appena in avanti, incamminandosi lentamente verso la sala principale. Le mani sfrigolavano dalla voglia di distruggere tutti quei busti che lo fissavano dall'alto della loro immensa sapienza.
Spinse in avanti la porta, entrando nel salone principale.
Perez lo guardò con un ghigno soddisfatto sul volto.
Angolino
Chiudiamo con un po' di tensione e nervosismo.
Al massimo entro martedì o mercoledì avrete l'ultimo capitolo e poi l'epilogo.
Ammetto di star soffrendo come un cane per il finale di questa storia, non pensavo di affezionarmici così tanto.
Spero che non mi mandi nel blocco dello scrittore, però.
Comunque sia, alla prossima e vi ringrazio ancora❤️
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