𝐗𝐈𝐈. 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐚
You were running through me like water
Now the feeling's leaving me dry
These days we couldn't be farther
So how's it feel to be on the other side?
So many wasted (wasted)
Nights with (nights with) you (you)
I still could taste it (taste it)
I hate it, wish I could take it back, 'cause
We used to be close, but people can go
From people you know to people you don't
And what hurts the most is people can go
From people you know to people you don't
𝐇𝐞𝐫𝐜𝐮𝐥𝐞
Forse era stupido cercare di avere notizie da Atlas. Aveva capito, in poco tempo, che se arrivava a chiudersi in se stesso, era impossibile cercare di scalfire quella corazza o la muraglia che innalzava attorno a sé.
D'altronde conosceva bene la storia del suo passato, o almeno era un caso di cronaca abbastanza famoso.
Proveniva da una famiglia abbastanza violenta, sua madre era morta in un incidente e suo padre, da allora, era caduto in una forte depressione, che lo aveva spinto ad affidarsi a un prete, dalle idee piuttosto originali, per così dire.
Fatto stava che, durante una solita sessione di violenza, (molti sostenevano lo abusassero fisicamente, ma l'Atlas allora ragazzino di appena tredici anni, non ne aveva mai voluto parlare) la casa aveva iniziato a prendere fuoco, dopo esplose. Il padre, in un ultimo atto di lucidità, era riuscito a mettere il figlio in salvo. Era tornato in casa, poi, per salvare il prete, suo amico, ma entrambi avevano perso la vita in quel sanguinoso incidente. Quello era il resoconto descritto dalla polizia, dopo il racconto di un giovanissimo Atlas, ancora terrorizzato dagli eventi. Così dicevano, almeno.
Quel giorno si era svegliato di buon mattino.
Era anche il suo compleanno e non appena aveva messo i piedi a terra, alzandosi dal letto e lasciando che il pavimento freddo riscuotesse i suoi sensi, aveva preso il cellulare per dare un'occhiata agli ultimi messaggi.
Oltre ai soliti auguri da parte di tutti i colleghi, aprì capricciosamente la conversazione con Atlas e sbuffò piano.
Ancora nessuna risposta.
Erano trascorsi un paio di giorni circa e di Atlas nemmeno l'ombra. Non si era presentato al bar per fare colazione come ogni mattina, né rispondeva ai suoi messaggi.
Martin gli aveva detto che spesso aveva bisogno dei suoi spazi prima di reinserirsi in società, come se avesse l'esigenza di staccare la spina.
Hercule tamburellò con le dita sullo schermo, indeciso sul da farsi. «Ma sì, adesso glielo ricordo, tanto comunque nel peggiore dei casi nemmeno risponderà.» Mormorò i suoi pensieri, come se pronunciandoli potessero diventare verità assolute. Si morse l'interno guancia e iniziò a digitare sul telefono.
H: "Non voglio ricordarti che oggi è un giorno importante, ma questa sera festeggio a casa, niente di che. Beviamo qualcosa e stiamo tutti insieme. Se ti va, ti aspetto.
Ps. Come stai?"
Dopodiché spense lo schermo del telefono e diede il via a quella giornata.
A lavoro era un caos continuo. Negli ultimi due giorni, gli avevano consegnato almeno quattro o cinque cadaveri, o forse di più, ne aveva perso il conto. Martin si lamentava del fatto che il vigilante notturno si stesse divertendo un po' troppo. Se prima colpiva ogni criminale grave, adesso anche chi aveva tentato di rubare dei soldi a un'anziana rischiava di essere in pericolo.
Sbuffò piano, consegnando l'ennesimo fascicolo tra le mani del suo amico e si appoggiò alla sua scrivania, dopo essersi sfilato gli occhiali. Si massaggiò le tempie. «Oggi le acque sembrano tranquille, eh?» Così credeva, almeno non aveva ricevuto chiamate notturne per andare su qualche inquietante e sanguinosa scena del crimine.
Martin si poggiò contro lo schienale della propria sedia e si lasciò andare a un sospiro frustrato. «Tu dici?» Indicò tutte le proprie scartoffie, accumulate in ogni angolo della scrivania. «Quel tipo è un maniaco... sta facendo una piazza pulita, non solo qui, ma anche in altri posti vicini. Si sta nutrendo del male. E io ho un gran da fare per via sua...» Si portò le mani ai capelli, tirando i riccioli ramati all'indietro. «Tra l'altro abbiamo anche nei prossimi giorni l'incontro con uno di quei bambini e, per opera e virtù dello spirito santo, dobbiamo sperare che questo schizzato vigilante accetti di collaborare con noi.» Sembrava stressato e non poteva dargli torto per tutto quel lavoro da smaltire.
Hercule sorrise appena. Raccolse alcuni fascicoli, mettendoli in ordine, costruendo una pila stranamente stabile. «Allora inizierei a studiare il modo migliore per procurare un appuntamento piuttosto che dargli la caccia.» Gli diede poi un paio di pacche sulla spalla. «Anche, perché, diciamocelo Martin, sei in un vicolo cieco per acchiapparlo...»
Martin si lasciò andare a una risatina quasi isterica. «Va bene.» Alzò le mani in segno di resa. «Questa sera a che ora? Ti ho fatto gli auguri, vero?»
Hercule annuì. Nascose le mani nelle tasche dei pantaloni e scrollò appena le spalle. «Alle nove.»
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e delle labbra umide accarezzargli la guancia sinistra.
«Tanti auguri, dottore. Ci vediamo questa sera?» Tanya gli sorrideva. I suoi occhi chiari splendevano quel giorno e aveva piastrato i corti capelli biondi.
«Sì, certo. Vi aspetto con piacere.»
Martin sembrò in dovere di far innervosire la sua ex moglie, sperando in qualche modo di avere ancora le sue attenzioni. A volte Hercule credeva che non volesse davvero andare avanti e lasciarsi il passato alle spalle. «Posso portare con me Shayla? Mi farebbe piacere.»
«Nessun problema.» Hercule scrollò appena le spalle e sorrise sornione. Se solo Martin avesse saputo la verità. A volte si sentiva quasi in colpa a dover reggere tutta quella grande scenata, per portare avanti solo la missione per cui era davvero a Edimburgo. A volte pensava di non vedere l'ora di tornare a Tolosa, dalla sua famiglia. Eppure, nonostante fosse lì esclusivamente per lavoro, iniziava a credere di sentirsi sempre più legato a quella città magicamente spettrale.
Odiava un po' se stesso per la situazione in cui si era cacciato, inevitabilmente tra l'altro, ma non aveva potuto farne a meno. Se voleva proteggere la sua famiglia e i suoi cari doveva continuare a fingere e a tenere sotto controllo Atlas Spector. Soltanto non perderlo di vista e, a dirla tutta, iniziava a non dispiacergli affatto quello strano compito, sebbene fosse difficile stare dietro ai cambiamenti d'umore di Atlas.
Non gli piaceva dover portare avanti due ruoli, ma era costretto. Quando aveva accettato, non credeva di poter trovare davanti un'anima così stranamente devastata, ma a suo modo altrettanto brillante, perché credeva che in Atlas ci fosse davvero dell'arte. Non immaginava di poterne restare colpito e affascinato, a tal punto che quel compito non gli pesava, anzi. Forse sentiva solo il rimorso di poter deludere le sue aspettative, ma se avesse conosciuto i suoi motivi magari lo avrebbe compreso. Sebbene fosse difficile immaginare che Atlas potesse capire l'ampio spettro delle emozioni umane.
Abbassò un'altra volta lo sguardo sul telefono e ancora nessuna risposta. Sbuffò stanco e Martin gli sorrise. «Lo so, fa sempre così. Ma vedrai che verrà non credo mancherebbe il tuo compleanno...»
Hercule ignorò quelle parole, non era più un ragazzino che aspettava sull'uscio della porta la sua cotta adolescenziale. Semplicemente era davvero preoccupato per le condizioni di salute mentale in cui Atlas poteva versare. L'aveva visto bloccarsi sul posto, completamente in panico e non era stato facile permettergli di farsi aiutare. Infatti, poco dopo, lo aveva quasi aggredito quando aveva provato a seguirlo per aiutarlo.
Non si era arrabbiato, né tantomeno provava rancore, non era nel suo modo di essere serbare rabbia e aspettare che esplodesse. Preferiva discutere con calma di qualsiasi problema. Credeva, inoltre, che un sorriso potesse migliorare la giornata di chiunque.
Dopo una giornata abbastanza sfiancante, fece ritorno a casa. Sfilò il cellulare dalla tasca e compose un numero, avviando poi la chiamata. Si lasciò cadere sul divano e sospirò stanco.
«Ehi.» Quella solita voce femminile sconsolata rispose dall'altro lato del telefono. «Buon compleanno, eh.»
Hercule sorrise appena. Si passò una mano fra i capelli ricci. «Mh, grazie... lei come sta?»
«Sta bene, come al solito la tengo sotto controllo, potrebbe fare un pasticcio da un momento all'altro, la conosci... A te, come procede?»
Hercule sbuffò. «Mi avete messo in un casino assurdo. Sono stanco di riparare ai danni che tu e mio padre lasciate in giro.»
«Lo so e mi dispiace, ma quando tutto sarà finito potremo tornare alle nostre vite... ti passo Heaven? Te la porto il prossimo weekend così potere festeggiare insieme.»
Hercule annuì. Sorrise non appena sentì la vocina stridula della sua bambina. Tutti i problemi sembravano svanire in un attimo. «Buon compleanno, papi!»
«Grazie tesoro, come stai? Stai facendo la beava o stai facendo arrabbiare la mamma?»
«Io sono sempre bravissima, lo sai. È scritto nel mio nome, no?» ridacchiò. «Questa sera vado a un pigiama party a casa di una mia amica! Ci divertiremo un mondo.»
Hercule ridacchiò. «Ti amo tanto.»
«Anch'io papi! Ti ho preso un bel regalo, spero ti piaccia. Così poi possiamo ascoltarlo insieme!»
«Non dirmi altro! Voglio sia una sorpresa, va bene?»
Heaven annuì. Lo salutò poco dopo.
Hercule richiuse poi la chiamata. Si chiese se fosse giusto quello che stavano facendo, le scelte prese. Sua figlia, però, era l'unico motivo che gli dava la motivazione per continuare. Stava cercando di tenere lei in salvo, sua ex moglie e suo padre, non poteva fare diversamente. Socchiuse appena gli occhi e poi si tirò nuovamente in piedi. Si sgranchì le gambe e iniziò a preparare qualcosa per quella sera, eppure aveva la costante sensazione che qualcosa non andasse.
Man mano casa si riempì di ospiti. Tutti gli sorridevano e Martin gli andò incontro abbracciandolo forte, quasi alzandolo da terra. Salutò anche Shayla, che gli sorrise complice. Gli fece gli auguri bisbigliando appena al suo orecchio e la guardò grato.
Si passò una mano tra i capelli, gironzolando per casa ed elargendo i suoi soliti sorrisi gentili a tutti. Si fermava a chiacchierare e a bere.
Si intrattenne a chiacchierare con Tanya, mentre gli altri si divertivano a organizzare un piccolo karaoke in salotto. Si accomodò sulla poltrona al suo fianco e le versò altro gin.
«Bella serata, Hercule. Eppure ti vedo altrove.»
Sorrise, non era difficile notare i suoi sguardi fugaci alla porta, in attesa che arrivasse qualcun altro.
Non si era mai sentito così stupido dai tempi del liceo e un po' si maledisse. Era strano provare quelle sensazioni sepolte da tempo. Si strinse appena nelle spalle, sorseggiando il proprio drink, con lo sguardo un po' perso nel vuoto.
Iniziava a girargli la testa, doveva ammetterlo. Non era abituato a bere tanto e si era lasciato trascinare dai colleghi, che lo avevano incitato per tempo. «Forse, sono un po' preoccupato, ma passerà, giusto? È pur sempre la mia festa. Mi piacciono le feste. Mi mettono allegria-» Fece un singhiozzo.
Chiaramente, quando era brillo, non riusciva a smettere di parlare, diventava stranamente logorroico.
Tanya sorrise divertita e gli allontanò il bicchiere dalle labbra. «Forse è meglio che tu non beva ancora, mh?»
Hercule sorrise sornione e si voltò a guardare Martin che rideva con altri colleghi, tenendo un braccio attorno alle spalle di Shayla. Inclinò appena il capo. «Non ti fa nessun effetto? Davvero?» La guardò con curiosità. Non era mai stato un grande esperto dell'amore, d'altronde non aveva mai provato un sentimento così forte per qualcuno. Gli piaceva forse ancora vivere nella convinzione per la quale, se si ama davvero, non si riesce mai a dimenticare quelle sensazioni. Non ci si poteva semplicemente lasciare, una parte di se stessi sarebbe rimasta per sempre nell'altro e viceversa. Per quanto sembrasse assurdo detto da chi non aveva mai amato, ne era fermamente convinto.
Posò il suo solito sguardo comprensivo sulla figura di Tanya. Era una bella donna, alta, carismatica e intelligente.
Si era lasciata trascinare dalla propria ambizione, dimenticando forse l'amore della persona che aveva affianco, deludendola nel profondo. Martin gli aveva raccontato che la loro non era stata un competizione onesta, sebbene fossero marito e moglie. Tanya non si era fatta scrupoli a far notare alcuni suoi piccoli errori ai superiori, pur di superarlo.
La donna sospirò piano, tirando un ciuffo biondo di capelli all'indietro. «Mi fa uno stranissimo effetto, Herc. Ma l'ho deluso e forse adesso merita di essere felice, no? Ho pensato a me stessa soltanto, ho messo lui in cattiva luce e non ho più pensato al noi. E questo lacera un rapporto. Capisco la sua rabbia e il suo risentimento. E proprio per questo voglio che lui stia bene. Lo ignoro perché se mi avvicinassi di nuovo a lui, probabilmente gli farei ancora male. E sai perché?»
Hercule scosse il capo, in risposta negativa. Teneva lo sguardo sui suoi ospiti, chiedendosi ancora perché diavolo Atlas non fosse lì. Sarebbe stato divertente vederlo commentare nauseato da tanta allegria. Avrebbe voluto la sua compagnia e forse detestava ammetterlo.
«Perché rifarei esattamente tutto daccapo. Il mio lavoro è troppo importante per me, non ci rinuncerei mai. Per questo Martin ha bisogno di riprendere la propria vita in mano, senza di me. Starà meglio.» Sospirò piano, bevendo un altro sorso di gin. «Molto meglio.»
Hercule trovò quelle parole assurdamente giuste e mature. Mangiò la torta con i suoi amici e colleghi, evitando accuratamente di spegnere candeline per i suoi trentacinque e sentiti anni. A fine serata, dopo aver salutato tutti, iniziò a pulire stanco e si accasciò sul divano, lasciandosi andare a un sospiro frustrato. A volte era così difficile essere introverso e felice in ogni momento. Era estenuante cercare di portare sempre tranquillità a chiunque gli stesse attorno.
Storse il naso, sfilando il cellulare dalla tasca. Forse doveva solo abituarsi all'idea che era impossibile cercare di avere contatti normali con Atlas Spector e smettere di interrogarsi.
Alzò lo sguardo sull'orologio a parete: senza nemmeno accorgersene erano arrivati alle due e un quarto.
Avrebbe finito di sistemare il giorno dopo, tanto era di riposo.
Fece per andarsene in camera quando sentì il campanello.
Inarcò un sopracciglio, forse uno dei suoi ospiti aveva dimenticato qualcosa.
Si avviò alla porta e la aprì, dopo aver intravisto dallo spioncino un volto familiare. Era difficile trattenere un sorriso, ma effettivamente era da Atlas presentarsi a festa finita in piena notte.
Eppure l'uomo di fronte a lui sembrava a pezzi.
Aveva delle occhiaie ancora più violacee dell'ultima volta e sull'occhio sinistro sembravano essere diventate un tutt'uno con i lividi. Teneva un pacco regalo in mano e glielo posò contro il petto. «Atlas? Stai bene?» Si spostò di lato per farlo entrare.
L'uomo annuì, sconsolato, ed entrò in casa. Si guardò attorno e si posizionò alle sue spalle, mentre Hercule chiudeva la porta. Poggiò, quasi come se stesse cadendo sui propri piedi, la testa contro la sua schiena. Forse era il primo strano contatto che cercava con lui. Lo sentì sospirare stanco. Hercule si irrigidì, non voleva interrompere quel piccolo istante di fiducia che l'altro gli stava riservando. «Atlas? Mi stai facendo preoccupare. Che succede?»
«È morta.»
Hercule si voltò di scatto. «Cosa? Chi?!»
«Lindsay. È morta. Ed è colpa mia.»
Angolino
Buon salveee! Non mi odiate dai, sembrava strano che nessuno di loro morisse 😂
Mi dispiace per la cucciola Lindsay, ma era programmato dall'inizio.
Che ne pensate del pov di Hercule?😏
Ps. Vi ricordo che come sempre mi trovate su Instagram per scleri ed edit sui miei bimbi🫀(letsbealonetogheterwtp2)
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