𝐕𝐈𝐈𝐈. 𝐒𝐟𝐨𝐠𝐨
Tw: omicidio.
I can't seem to face up to the facts
I'm tense and nervous and I can't relax
I can't sleep 'cause my bed's on fire
Don't touch me, I'm a real live wire
Psycho Killer
Qu'est-ce que c'est?
Fa-fa-fa-fa, fa-fa-fa-fa-fa-fa, better
Run, run, run, run, run, run, run away, oh-oh-oh
Psycho Killer
Qu'est-ce que c'est?
Fa-fa-fa-fa, fa-fa-fa-fa-fa-fa, better
Run, run, run, run, run, run, run away, oh, oh, oh, oh
Ay-ya-ya-ya-ya-ya, ooh
You start a conversation, you can't even finish it
You're talking a lot, but you're not saying anything
When I have nothing to say, my lips are sealed
Say something once, why say it again?
Non era pazzo.
Aveva bisogno di scaricare quella rabbia, che scorreva senza fine in lui. La polizia ancora non l'aveva contattato per una collaborazione, così nel frattempo smaltiva un po' di lavoro arretrato.
Uccidere lo aiutava a non pensare.
Atlas sarebbe sempre stato un assassino, non importava che uccidesse esseri deplorevoli, seguendo la propria morale. Se agli occhi di molti pareva un vigilante, ai propri appariva esattamente com'era: un uomo violento che scaricava la propria smania e sete di potere uccidendo.
E avrebbe continuato a farlo, perché così si sentiva vivo.
«L-la prego- non lo farò ancora, lo giuro. Sto cercando di smettere.» La sua vittima, un uomo sulla quarantina di origini asiatiche, era disteso a terra, strisciando a terra e trascinando le gambe dopo che Atlas lo aveva colpito più volte con una mazza. Solo una serpe poteva violentare delle ragazzine ubriache, adescandole nei bar vicino al college. Erano andate in tante da lui a chiedere vendetta, soprattutto quando una di loro era morta per il dolore e il trauma, decidendo di mettere fine da sola alla propria vita, perché non sopportava quel dolore.
Atlas lo voleva vedere strisciare, simile ai vermi che infettano la frutta. Per questo aveva colpito per prima alle gambe. Gli aveva frantumato le ossa del ginocchio, aveva sentito il rumore di come crepavano sotto i suoi colpi ben assestati. Aveva lanciato poi la mazza a terra e aveva iniziato a prenderlo a pugni. Il sangue di quel maniaco gli sporcava la camicia e i guanti.
«Ricordami perché dovrei crederti.» Atlas inclinò il capo, inginocchiandosi al suo fianco.
Era stata una notte abbastanza prolifica. Quella era la sua terza vittima. Aveva un po' di dolori sparsi per tutto il corpo, perché come al solito non accettavano mai serenamente di morire, dovevano per forza ribellarsi. Per gli sforzi, la ferita sul fianco si era riaperta. Doveva chiudere al più presto quel compito per poi disturbare ancora una volta il dottore.
«I-io non lo so-» L'uomo era disperato. Strisciava, cercando di allontanarsi, ma Atlas scosse il capo, sparandogli a un piede. L'urlo di dolore dell'uomo squarciò il silenzio della notte. Per fortuna che abitava fuori città, altrimenti sarebbe stato davvero maleducato svegliare tutto il vicinato. Lo afferrò per i capelli trascinandolo verso il bagno, lasciando una scia di sangue alle loro spalle. Voleva che soffrisse, come tutte le ragazze di cui aveva abusato.
Voleva vederlo implorare la morte e poi lo avrebbe accontentato, augurandogli un meraviglioso viaggio verso l'Inferno, sicuro che poi si sarebbero incontrati anche lì.
Era un bene che avesse così tanto lavoro. Lo aiutava a non pensare a tutta quella serie di eventi, che avevano riportato a galla pagine di storie del suo passato che pensava di aver ben bruciato.
Aprì l'acqua della vasca e si voltò a guardare la vittima, così stanca da socchiudere spesso gli occhi.
«Adesso facciamo un bel bagnetto.» Spostò la leva verso l'acqua bollente e si alzò appena la maschera, rivelando un sorriso cattivo.
L'uomo rabbrividì. «T-ti prego. N-» Atlas fu più veloce. Non voleva le sue preghiere. Lo afferrò per il collo e poi lo spinse con la testa sotto l'acqua così calda da poterlo quasi ustionare. Quello provava ad agitarsi, ma le forze erano così poche, che ormai era consapevole fosse alla fine dei giochi.
Atlas lo tirò fuori, facendogli prendere un ultimo respiro. «Hai delle ultime parole da dire?»
L'uomo tossì. Boccheggiò appena e prese aria per parlare, ma Atlas credeva non meritasse quel privilegio. Così, sadicamente, lo spinse ancora sott'acqua. Attese gli ultimi spasmi, alla ricerca disperata di sopravvivere, poi sentì il suo corpo spegnersi improvvisamente, afflosciandosi e mollò la presa.
Prese un forte respiro e guardò il corpo dell'uomo. Storse appena il naso, abbassando lo sguardo sulla propria camicia sporca di tutto il suo sangue. Si era aggrappato anche a lui, per un attimo, col volto ancora pieno di contusioni e macchiando il suo vestito, per implorare la sua pietà.
Diede appena un calcio al costato, per accertarsi fosse morto e si inginocchiò al suo fianco, tastando il collo. Non c'era più battito. «Mh, adesso puoi dire le tue ultime parole. Non ti sento.»
Uscì dal bagno, richiudendosi la porta alle spalle e osservò l'orologio a parete del salotto. Erano appena le undici e mezza, per mezzanotte sarebbe arrivato a casa del dottore e l'avrebbe costretto a ricucirgli la ferita. Ingurgitò una pillola di antidolorifico, ormai era convinto fosse il suo migliore amico e si avviò alla propria auto.
Teneva la presa salda sul volante, sebbene spesso il suo fianco gli ricordasse il dolore atroce che stava provando. Aveva così tanti impegni che a volte gli risultava difficile riuscire a starci dietro. Il giorno dopo avrebbe pranzato con Lindsay, avevano alcune cose di cui parlare e voleva accertarsi che Paul non volesse niente da lei, che si fossero semplicemente conosciuti quando era andato a chiedergli di uccidere le due gemelle e che da lì fosse scattato l'amore. Voleva provare a credere -per una volta- che non ci fosse un secondo fine, ma gli risultava difficile.
Se avesse solo torto un capello a quella ragazza -stupida vero, ma buona- gli avrebbe fatto pentire del giorno in cui era nato.
Svoltò al solito angolo della strada e, dopo aver sistemato l'auto nel garage di casa, raggiunse a piedi il palazzo dove viveva Hercule. Gli aveva detto di non scassinare porte o finestre, ma era più forte di lui. Riuscì ad infilarsi nel portone e poi aprì la porta di casa del medico, come suo solito, facendo saltare la serratura.
Poi si richiuse la porta alle spalle e bussò. «Dottore, già dormi o sei sveglio?» Iniziò a girare per l'appartamento dell'uomo. Sbuffò scocciato e aprì, con poca delicatezza, la porta della sua camera da letto.
Hercule sussultò all'improvviso e sgranò gli occhi. Prese un cuscino e, con un gesto automatico, glielo lanciò contro. Atlas lasciò che lo colpisse in pieno volto, sulla maschera e sospirò frustrato, poggiando poi le mani sui fianchi. «Bene dopo questa pericolosissima imboscata, gradirei mi cucissi di nuovo la ferita. Si è aperta.»
Hercule si portò le mani in volto. «Ti avevo detto di bussare!» Lanciò un'occhiata alla sveglia sul comodino e borbottò qualcosa.
«È sopravvalutato.» Atlas uscì dalla sua camera e tornò in salotto. Prese il telecomando del televisore e l'accese, lasciandosi cadere poi sul divano. Accavallò le gambe e attese che Hercule lo raggiungesse. Iniziò, allora, a sfogliare tutti i canali, soffermandosi, poi, su quelli per bambini. Erano cartoni troppo stupidi, quelli. Individuò il dischetto del "Re Leone" e decise di farlo partire.
Hercule, intanto stava maneggiando col kit medico. «Senti, mi va bene che tu irrompa in casa mia per guardare cartoni e farti curare. Va bene anche che tu cerchi di svegliarmi con gli infarti, davvero, figurati se è importante per te la mia salute cardiaca. Ma non posso cambiare una serratura al giorno, qui sono dannatamente cari!»
Atlas si voltò a guardarlo. «Sssh. Sto guardando come Simba crede a suo zio Scar.» sbuffò.
Hercule lo osservò per un attimo e poi scoppiò a ridere. Atlas lo guardò appena. Era una risata sincera, forse un po' rumorosa, ma allegra. L'avrebbe definita quasi piacevole come una boccata di vento durante un'arida giornata. «Cosa cazzo hai da ridere?» Gli puntò una pistola contro.
Il medico, però, non si scompose e scrollò le spalle. Gli posò una mano sulla pistola, costringendolo ad abbassarla e gli fece cenno di sbottonarsi la camicia. Atlas lo ascoltò, tenendo lo sguardo fisso sul televisore. «Semplicemente trovo ironico come tu sia pieno di sangue, che suppongo non sia il tuo, e che mi chieda di fare silenzio per guardare un cartone per bambini.»
Atlas lo ignorò. Lanciandogli la camicia addosso, come a volerlo provocare, e indicò la ferita, di nuovo sanguinante. «Scar è un bel cattivo. Insomma, non dev'essere facile accettare l'idea che un leoncino sbarbato ti preceda nella linea di successione.»
Hercule sorrise e scosse il capo. Perché diavolo doveva sempre sorridere? Iniziò a disinfettargli ancora una volta la ferita. «Spero tu non possa mai spiegare a mia figlia la tua visione del suo cartone preferito...»
Atlas storse il naso e si lasciò sfuggire un rantolo di dolore. «Brucia-»
Hercule si fermò e lo guardò incuriosito. «Credo che le pallottole e le coltellate che hai ricevuto siano un po' più dolorose del semplice disinfettante.»
«Parli troppo dottore, io qui sono impegnato a guardare il piano di Scar andare in frantumi.»
Hercule scosse il capo, tornandosene in silenzio e lasciando che solo le voci del Re Leone facessero da sottofondo sonoro a quel momento. Atlas abbassò lo sguardo sulle sue mani esperte, mentre curavano le sue ferite con la stessa delicatezza con la quale avevano sfiorato il pianoforte qualche sera prima. Normalmente si sarebbe scansato, soprattutto da quando aveva saputo che Perez era tornato in circolazione, non riusciva a sopportare un contatto fisico che durasse più di dieci secondi. Adesso, invece, riusciva anche a tollerarlo.
Hercule alzò poi lo sguardo su di lui. «La tua maschera non è male, sai? Mi piace il simbolo della Luna.»
«Cosa non ti piace del silenzio?»
Il medico ignorò quella provocazione. «Comunque ti avevo suggerito di non fare sforzi o si sarebbe aperta di nuovo.»
«E io ti ho suggerito di stare in silenzio.»
Hercule storse il naso. «Quello col bisturi in mano sono io.»
«Vuoi una pallottola al ginocchio, dottore?»
Hercule sorrise. «Ci sono tanti chirurghi, perché io?»
Atlas scrollò le spalle. «Suppongo sia un ottimo accordo il nostro. Tu mi curi le ferite e io continuo a procurarti clienti.»
«Beh, grazie a te devo fare non so quante autopsie al giorno.» Hercule sbuffò un po' scocciato.
«Pensavo fossi felice. Tutto sommato alimento il tuo lavoro, senza di me saresti disoccupato.»
Hercule lo guardò storto e tamponò quasi con cattiveria, anzi ne era certo, sulla ferita. «Oh scusa, non volevo.» Ricucì il tutto con attenzione e gli sistemò ancora una volta i punti. Si tirò in piedi e andò in bagno a cambiarsi e a lavarsi le mani. Atlas distolse la sua attenzione dal televisore e si voltò a guardare l'uomo, mentre si allontanava. Prese tutti i suoi oggetti da lavoro e li sistemò nel kit, posandolo accanto a sé. Il giorno dopo glieli avrebbe fatti recapitare nuovamente puliti e disinfettati.
Tornò a osservare il cartone. Quando Hercule fece ritorno, mise in pausa e spense il televisore. Si tirò in piedi e prese il kit da pronto soccorso, avvicinandosi alla porta per andarsene.
Hercule intrecciò le braccia al petto, sembrava fosse un po' offeso.
«Perché mi guardi così?»
«Tu es un connard.» (sei uno stronzo.)
Atlas scrollò appena le spalle e uscì dall'appartamento di Hercule.
Il giorno seguente era stato abbastanza tranquillo, tutto sommato. Prima di andare in biblioteca aveva pulito tutti gli strumenti che Hercule aveva utilizzato. Li aveva disinfettati e sterilizzati, infine li aveva fatti recapitare al suo appartamento, mantenendo sempre un attento anonimato.
Ormai dall'ultimo attacco delle due gemelle era trascorsa più di una settimana e Lindsay continuava a condurre una strana relazione insieme a Paul, sebbene Atlas non si fidasse minimamente.
Quel mattino aveva lavorato da solo in biblioteca, la ragazza gli aveva chiesto mezza giornata di permesso. Aveva dato da mangiare a Gaston e infine, per ora di pranzo, avrebbe raggiunto Martin ed Hercule a una tavola calda vicino al dipartimento di polizia, per far loro compagnia. Ne avrebbe approfittato per indagare ulteriormente.
Ovviamente, le sue assurde manie di controllo gli permisero di arrivare in netto anticipo a quell'appuntamento, accomodandosi al solito tavolo, nel solito posto, ad attendere i soliti amici. Aveva osservato i piatti del giorno ed era certo che Martin avrebbe preso una bistecca al sangue, invece Hercule avrebbe sicuramente optato per l'insalata di pollo.
Decise di ordinare lui per tutti e tre, prendendo un piatto di pasta, diversamente dai suoi amici.
Pochi minuti dopo, entrambi lo raggiunsero, intenti a discutere con l'ombrello.
Atlas iniziò ad osservare la finestra. Non si era accorto che avesse iniziato a piovere. Fissò le gocce d'acqua scorrere lentamente sul vetro.
«Scusa il ritardo, dobbiamo ordinare.» Martin si mise a sedere di fronte, mentre Hercule al suo fianco, dopo aver sorriso quasi a tutti i presenti del locale.
«Tranquillo. Ho ordinato io per tutti.»
«Che cosa?» Hercule inarcò un sopracciglio. «Ci sono almeno tre tipi di secondi, come fai ad aver scelto?»
Atlas roteò gli occhi al cielo. «Io osservo tutto, dottorino. So bene che Martin avrebbe preso la bistecca al sangue, perché le galline gli fanno senso anche cucinate e il pesce lo prende soltanto di giovedì perché va a trovare sua madre a cena e cucina sempre pesce.»
Martin sorrise, guardando distrattamente il menù delle bevande. «Verissimo, hai fatto bene.» Ormai era abituato, non si poneva più tante domande, piuttosto continuava a ripetergli che per memoria e deduzione avrebbe dovuto lavorare in polizia, magari anche come semplice consulente.
Hercule annuì col capo. «Va bene, conosci Martin da almeno un anno. Di me, invece, non sai assolutamente nulla.»
Atlas alzò lo sguardo sul medico. Gli stava sorridendo, provocatorio. Tamburellava con le dita sul tavolo e aspettava una sua rapida risposta. Sbuffò annoiato, tanto valeva stare al suo gioco, tanto non aveva assolutamente nulla da fare. «Basta saper osservare. Prima credevo fossi vegetariano, non toccavi mai carne o insaccati. Poi ho notato che hai iniziato a mangiare il pollo e spesso, quando qui senti l'odore del pesce, fai una strana espressione, quasi disgustata. Era semplice pensare che volessi mantenere la linea con una stupidissima e triste insalata di pollo.» Scrollò le spalle. «Da bere ho preso birra per tutti, dubito possiate bere vino prima di tornare a lavoro. Tecnicamente neanche la birra sarebbe consigliabile, per questo l'ho presa solo per me e per voi tristissima acqua naturale.» Sospirò. «A temperatura ambiente.»
Hercule sgranò appena gli occhi e lanciò un'occhiata a Martin, che si limitò a scrollare le spalle divertito. «Lo so, è un genio. Gli ho detto di prendersi qualche certificazione o mini laurea per poter fare da consulente, ma non mi ascolta mai. Avrebbe anche una strada agevolata, avendo fatto il soldato.»
Atlas storse il naso e sbuffò piano. Sorrise poi al cameriere non appena portò loro i piatti ancora fumanti. «E allora? Come procede, novità?» Era ansioso, era chiaro. Voleva essere messo al corrente di qualsiasi nuova notizia e Martin lo sapeva bene, conoscendo il suo passato. Non era stato difficile per lui venirne a conoscenza, i file riguardanti la sua traumatica storia erano risaputi a buona parte delle persone all'interno del dipartimento. Ad appena quattordici anni si era salvato da un'esplosione che aveva coinvolto la sua casa. Era riuscito a salvarsi, grazie a un momento di coraggio di suo padre che lo aveva avvisato. Lui era saltato in aria con la casa e Perez. Eppure, Perez era ancora vivo. Atlas era passato da adozione in adozione fino alla maggiore età e l'arruolamento in esercito. Per un anno, però, aveva vissuto in orfanotrofio. Aveva fatto amicizia con un altro ragazzo strano, si chiamava Killian. Aveva un'inquietante fissazione per gli uccelli -soprattutto i corvi- e ricordava bene come avessero pestato a sangue un ragazzo, una sera. Si capivano al volo. A volte si chiedeva dove fosse finito dopo l'adozione da parte di una donna ricchissima. Dopo un forte stress post traumatico, poi, si era allontanato dall'esercito. Tecnicamente avrebbe potuto collaborare con la polizia, visto il suo curriculum, ma non ne aveva intenzione. D'altronde era uno dei loro primi ricercati. Aveva saputo ripulire bene i file riguardanti le sue missioni da sicario dal mercato nero online.
Martin si massaggiò la barba, un po' a disagio. «Un altro bambino è tornato a casa... però adesso non parla con nessuno. L'unico momento in cui lo fa è la sera, quando prega..»
Atlas rabbrividì. Hercule si mosse a disagio sulla propria sedia. «Appena se la sentirà ci parleremo insieme a un'esperta, magari poi ti terrò aggiornato, va bene?»
Atlas annuì. Martin si alzò per andare al bagno ed Hercule posò i suoi occhi chiari su di lui, ancora. Non aveva voglia di parlare, non ne aveva le forze perché i ricordi erano troppo vividi e dolorosi. L'idea che qualcun altro stesse subendo le sue stesse molestie lo innervosiva e non sapeva da dove iniziare. O forse avrebbe dovuto farlo con Paul. «Atlas, tout va bien?» (Atlas, va tutto bene?)
Atlas rabbrividì appena. Era strano da spiegare, ma forse quando parlava in francese con Hercule, era come se non ammettesse sul serio le sue paure. «Je préfère ne pas en parler.» (preferisco non parlarne.)
Hercule annuì. Lo vide tentennare, come se volesse poter fare qualcosa. Gli posò una mano sulla spalla e lo scosse appena, ma Atlas non ebbe il tempo di scansarsi perché vide Lindsay entrare nel ristorante con dei vistosi occhiali da sole. Ordinò una zuppa calda e andò ad accomodarsi a un tavolino.
Sembrava turbata.
Doveva scoprire cosa ci fosse sotto.
Angolino
Allora cosa ne pensate di Paul e Lindsay? siete sospettosi anche voi?
Comunque sia, attenzione ai miei easter eggs! Killian sarà uno dei protagonisti della mia prossima storia. Ovviamente un altro squilibrato.
Mi piace collegare le cose così, lasciandovi solo pezzi.
Alla prossima ❤️🩹
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