𝐈𝐈𝐈. 𝐕𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚̀ 𝐭𝐚𝐜𝐢𝐮𝐭𝐞
Finisce sempre male quando inizia bene
Finisce sempre male quando inizia, babe
Tequila, limone e sale quando inizio a bere
Non posso raffreddare il sangue nelle vene
Non so se ho realizzato un incubo od un sogno
Sei da solo quando arrivi più in alto del giorno
Sei da solo se vai più lontano della notte
Sei con lui, ma pensi a me, io spero delle volte
Per ridarmi indietro il tempo non mi basta un Rolex (Uno)
Per amarti come tu vuoi non mi basta un cuore (Uno)
Per toccarti non mi bastano due mani
In amor vince chi fugge, io sto volando a Miami
Se attorno è tutto finto, non ti salva un filtro (Nah)
Colori pastello, sì, pasteggiando a Ginto'
Vorrei solo accadesse qualcosa di vero (Vero)
Forse non eri mia nemmeno quando ti stringevo
Ho aspettato per un po', però (Però)
Ora conto fino a cento
È scaduto il nostro tempo
Fioriranno ciliegi a Saigon (Saigon)
Mentre ci stiamo perdendo
Siamo nati già piangendo
Giorni bruciano nel fuoco e poi (E poi)
Resta un po' di nostalgia
Quanto è vera una bugia?
Di tutti i discorsi che Martin avrebbe potuto fargli, di certo non si aspettava si allarmasse per uno simile.
«Hai una faccia cadaverica, che succede?»
Martin poi scoppiò a ridere, seguito da Hercule, che parve rasserenarsi improvvisamente. Atlas, se avesse voluto mettere già in atto il suo nervosismo, lo avrebbe piacevolmente strangolato.
«Nulla! Ho scoperto che a mezzanotte è il tuo compleanno! Dobbiamo festeggiare.» Martin gli sorrise, offrendogli una birra, per corromperlo. Non aveva idea di come avesse scoperto la sua data di nascita, anche perché aveva sempre odiato festeggiare. Odiava dover ricordare di essere nato quel dannato ventitre ottobre e aver rovinato così tante vite che ormai ne aveva perso il conto. Avrebbe strozzato chiunque gli avesse spifferato la data esatta. «Così ho invitato i tuoi amici migliori! Cioè me stesso... ed Hercule perché una festa in due era deprimente.»
Atlas sorrise antipatico, sforzandosi di non sfilare la pistola dalla fondina dell'amico e iniziare a sparare per aria per terrorizzare i presenti. Doveva solo stare calmo. Se Martin avesse saputo che i suoi veri migliori amici erano dei sicari altrettanto pericolosi quanto lui, dubitava sarebbe stato ancora così felice e disinvolto. Si accomodò al bancone, ordinando da bere, e attese che gli portassero una birra. «Com'è andata oggi a lavoro?»
Non che ne fosse particolarmente interessato, ma sembrava l'unico modo per informarsi delle novità del mondo. Hercule si mosse un po' nervoso sulla propria seduta, poi prese a bere. «È stato un primo giorno particolare, ma niente di stressante per fortuna.»
«Ho ancora quel caso del flagello notturno tra le mani. Credimi mi sembra di star dando la caccia a un fantasma. Lascia cadaveri sparsi in giro, ma nessuno se ne interessa finché muoiono persone poco raccomandabili.» Martin si passò una mano tra i riccioli scuri e ordinò poi delle patatine fritte.
Atlas sorrise di sbieco, avvicinando ancora la bottiglia alle labbra. Era assurdo che il suo amico desse la caccia al proprio alter ego. «Beh, allora è ben voluto dopotutto.»
«Certo che no.» Martin scosse il capo. «Sono sicuro si faccia pagare e anche molto. Per quanto quelle persone meritassero di pagarla, di certo farsi giustizia da soli o ucciderli non è una soluzione per un paese normale.»
Atlas finse di annuire, in realtà avrebbe storto il naso. Non sentiva nessun rimorso o senso di colpa quando strangolava le sue vittime o dava loro la caccia, terrorizzandoli. Sapere di avere così tanto potere sulle loro vite lo eccitava. Scosse il capo, ordinando altro da bere. Dato che gli toccava festeggiare il giorno che più odiava al mondo, tanto valeva fare in modo da non poterlo ricordare il giorno dopo.
Avvicinò ancora una volta l'ennesimo bicchiere di birra alle labbra, mentre Martin ormai era partito con un lungo sproloquio sulla sua vita matrimoniale, dispensando ottimi consigli -o perlomeno così credeva- anche allo stesso Hercule. Era stato l'unico a bere poco in tutta quella serata. Ascoltava Martin annuendo di tanto in tanto, sempre con quell'insopportabile modo affabile. Atlas era certo che stesse mentendo, che nascondesse qualcosa. Aveva imparato che quel genere di gentilezza appartenesse soltanto ad anime buone come quelle dei bambini. «- e ti stavo dicendo-» Martin interruppe per l'ennesima volta il discorso dopo un singhiozzo. «-che quella stronza della mia ex mi ha fatto apparire in cattiva luce più volte sul posto di lavoro, per avere lei la promozione al mio posto!»
Atlas roteò gli occhi al cielo. Aveva perso il conto di tutte le volte che aveva sentito quella storia. Tenne lo sguardo fisso su Hercule, che alzò il proprio, incrociando i suoi occhi. Lo osservò per un tempo indefinito, mentre i deliri di Martin riempivano l'aria. Hercule gli sorrise, abbassando poi lo sguardo e tornando a prestare attenzione all'amico. «Vedi che succede a fidarti troppo? E sai cosa c'è di peggio? Che adesso è il mio capo! E io la amo ancora, dimmi Hercule sei mai stato innamorato?»
Atlas voleva evitare accuratamente quell'argomento. Forse era arrivato il momento di una bella rissa che mettesse fine a quella serata. Si tirò in piedi.
«No, Martin. Non so cosa sia davvero l'amore.»
«Aaaah, l'amour. È così che si dice in francese, vero? Tu sei francese. Mi sarebbe piaciuto visitare Parigi con quell'arpia della mia ex moglie, ma sai la vita non ti ascolta mai!»
Martin socchiuse gli occhi, mentre Atlas scrutava l'ambiente alla ricerca di un brutto ceffo, esca perfetta per far scattare la scintilla giusta. Non ne poteva già più di quell'inutile serata, doveva trovare una scappatoia. Trovava anche inutile festeggiare un giorno di vecchiaia in più, ricordandogli che grave errore fosse stata la sua nascita.
Da quando era bambino non avevano fatto altro che ricordarglielo.
"Sei il seme del male dello stupro."
Scosse il capo, nervoso. Si tirò in piedi, così. Si sistemò meglio il proprio maglione, rigorosamente stirato e indossato sopra una camicia chiara, e si diresse verso i bagni, avvicinandosi all'uomo dalla statura più grande della propria, che era seduto a bere; gli occhi erano ancora arrossati dalla sbronza. Aveva tutta l'aria di un semi ubriacone e la sua stazza lasciava presagire un burbero pronto all'ennesima rissa.
La sua esca perfetta per quella serata di merda.
Atlas si sentiva però osservato. Notò attraverso gli specchi delle vetrine, dove conservavano i premi per migliore birreria della zona, che Hercule lo stesse osservando con chirurgica attenzione. Atlas era stato certo fin dall'inizio che in quell'uomo ci fosse qualcosa di strano, doveva solo scoprirlo. Inciampò erroneamente sui piedi della sua esca, ruzzolando a terra. Strisciò appena per rimettersi in piedi. Doveva ammettere che la sbornia e i dolori della colluttazione della sera precedente non erano molto d'aiuto.
«Attento a dove metti i piedi, frocio del cazzo.» Lo sentì ridere, con gli occhi iniettati d'odio. Si chiese perché tra le offese più scontate ci fossero quelle sull'orientamento sessuale. Probabilmente dovevano seguire dei corsi di aggiornamento.
Martin lo conosceva bene ed era troppo ubriaco per intervenire. Lo sapeva benissimo che Atlas avesse seri problemi nel controllo della rabbia, così come non riuscisse a trattenere spesso le proprie emozioni, motivo per il quale preferiva fare un lavoro tranquillo. Martin sapeva parte della sua storia, oltre a quella tragica della sua infanzia -essendo un caso di cronaca conosciuto-, Atlas gli aveva raccontato di aver fatto parte dell'esercito e di essere stato allontanato per stress post traumatico, il che era teoricamente vero.
Non era di certo a conoscenza, però, della sua vera identità. Atlas si tirò in piedi e guardò con fastidio l'uomo. Prese il suo bicchiere di birra e, dopo avergli sorriso gioviale, glielo spaccò sulla testa. Il rumore del vetro infranto spezzò il silenzio generale della birreria. Tutti si voltarono a guardare i due uomini.
L'energumeno si alzò con rabbia e lo afferrò per il collo, spingendolo dall'altro lato del locale. «Brutto idiota, adesso ti faccio male.»
Atlas si sentiva quasi soffocare, ma non era nulla che non aveva già gestito. Iniziò a dimenarsi, maledicendo la scelta del bersaglio, quasi il doppio delle sue dimensioni.
Però, tutto sommato era divertente.
Gli mollò un calcio allo stomaco, così forte da farlo accasciare e lasciare la presa.
Atlas cadde a terra, tossendo. Si alzò ancora, mentre quasi tutti i presenti li incitavano alla rissa. La schiena gli faceva ancora male, si sentiva un anziano troppo arzillo per la sua età.
Vide Hercule fargli dei gesti per farlo allontanare, ma lo ignorò. Che idiota pacifista.
Schioccò il collo, aveva effettivamente bisogno di scaricare un po' tutta quella tensione accumulata. L'uomo gli sferrò un pugno, che deviò con facilità. Si abbassò e gli assestò una gomitata al fianco, non appena il colosso si afflosciò quasi su se stesso, Atlas lo prese alle spalle, circondandogli il collo col braccio, per soffocarlo.
Poteva percepire il respiro affannato del suo avversario.
Musica per le sue orecchie. Era la sua melodia preferita. Quello si agitava sotto il suo tocco, cercando di liberarsi dalla morsa in cui l'aveva avvolto.
Soffriva, ma non gli interessava per nulla.
«Atlas!» Hercule gli urlò contro. Lo afferrò per le spalle, allontanandolo subito dopo, costringendolo a mollare la presa. «Ma che cazzo ti prende?»
Martin, chiaramente ubriaco, gli puntò un dito contro. «Lo sapevo che avresti rovinato la tua festa! Perché fai sempre così?» si lamentò come un bambino irrequieto.
«Mi piaceva questo bar! Sei davvero dispettoso.»
Hercule afferrò entrambi, esasperato. Probabilmente sua figlia doveva essere più facile da gestire. Li fece uscire dal locale. Il proprietario urlò loro dietro, rabbioso. «E NON FATEVI PIÙ VEDERE!»
Atlas sorrise soddisfatto e si liberò dalla presa di Hercule, spingendolo lontano. «Toglimi le mani di dosso!» Rabbrividì. «Quelle mani con cui tocchi i morti.» ci teneva a chiarire.
Hercule alzò le braccia in segno di resa. La notte era calata su Edimburgo, ormai quasi più nessun anima passeggiava per le strade, era troppo tardi e c'era un violento vigilante, che camminava e circolava libero, nessuno voleva vivere l'onore di incontrarlo. «Cazzo.»
Hercule sbuffò scocciato. «Tu hai seri problemi, cosa sei psicopatico?»
Atlas socchiuse gli occhi e strinse i pugni così forte da poter incastrare le unghie nei palmi della mano. Martin si lamentò in sottofondo, dicendogli di non usare quella particolare parola. «No, sono sociopatico se ti interessa saperlo.»
Hercule si paralizzò per un momento, allentando la presa su Martin, che, poi, aveva cominciato a cantare a squarciagola per strada. Scosse il capo. «Comunque sia, dobbiamo accompagnarlo a casa, sai dove abita?» Riacciuffò Martin, prima che si lanciasse in mezzo alla strada per farsi investire da qualche taxi impazzito. Hercule sembrava sudare freddo. Probabilmente voleva tornare al più presto a casa e non avere più niente a che fare con tutti loro. Non poteva dargli torto.
Atlas annuì. Riuscì a chiamare un taxi notturno. Caricarono insieme Martin sui sedili posteriori e diede l'indirizzo al tassista. Lungo il tragitto rimasero tutti in silenzio. Atlas osservava le nocche scorticate delle sue mani e sbuffò piano, mentre Martin ormai russava al suo fianco, tenendo la testa poggiata sulla sua spalla.
Hercule interruppe il silenzio. «Perché hai iniziato la rissa?»
«Non so se hai sentito come mi ha chiamato. O forse sei sordo? In quel caso ti consiglierei una visita da un otorino, non costano tanto, lo dico per te e per gli altri, non sia mai dovessero ripeterti sempre tutto... Ero semplicemente inciampato.» Atlas continuava a rispondere così, era l'unico modo che conosceva. Lo aiutava ad allontanare tutti. Meno amici, meno problemi.
«Questo non giustifica un atteggiamento simile.» Odiava come Hercule non si lasciasse turbare da quelle supposizioni e accuse, se non offese, continue. Sembrava impenetrabile. Forse era stupido. Certo magari non avrebbe mai potuto battere Lindsay, la sua assistente, però poteva tranquillamente qualificarsi per il secondo posto, era ancora libero.
«Ti ci abituerai. O potresti non farlo, sono amico di Martin, non di certo tuo.» Magari così avrebbe capito che era meglio stargli lontano. Si voltò a guardare fuori al finestrino, nella speranza che quella conversazione -insieme a quella stupidissima serata- si chiudessero il prima possibile.
Sentì Hercule ridacchiare sommessamente. Lo osservò con la coda dell'occhio. Scuoteva il capo. Si passò un mano nei capelli scuri e mossi.
«Che cazzo hai da ridere?»
«Lascia stare...»
«Siamo arrivati.» Il tassista, che sembrava abbastanza stanco, attirò la loro attenzione.
Dopo averlo pagato, Atlas sfilò le chiavi di casa dalla tasca interna della giacca di Martin e aprì la porta del palazzo. Raggiunsero il terzo piano, dopodiché entrarono nell'appartamento.
Hercule si guardò attorno. Dopo aver caricato sotto spalla Martin, costringendolo a camminare, nonostante la stanchezza, lo portò in camera da letto.
Atlas osservò il salotto, in disordine. Sul divano c'erano alcune buste di patatine mai chiuse e sul tavolo così tanti articoli di giornali riguardanti il flagello notturno di Edimburgo, che era impressionante quanto ci stesse lavorando su. Doveva essere davvero una super star al dipartimento di polizia, almeno così gli piaceva credere.
Sbuffò piano. Individuò del whisky in una piccola vetrinetta e la aprì, prendendo la bottiglia e due bicchieri, anche se sperava che Hercule evaporasse abbastanza rapidamente.
«Okay, l'ho messo a letto. Certo che è un gran chiacchierone da ubriaco.» Hercule si fermò ad osservare i suoi movimenti e storse il naso. «Che diavolo stai facendo?»
«Voglio bere, problemi?» Atlas si versò del whisky in un bicchiere, porgendone un altro all'uomo di fronte. Hercule lo guardava confuso. «Andiamo, non sarai l'ennesimo stereotipo francese con la puzza sotto il naso?» in realtà ne era quasi certo. A giudicare dalla perfetta postura e dai capelli meravigliosamente in ordine, Hercule doveva essere almeno uno di quei tipi dai quali stare a distanza.
Hercule gli sfilò il bicchiere da mano e bevve subito, mandando giù tutto il whisky. Si lasciò cadere su una poltrona e lo osservò con sguardo di sfida. «Credi agli stereotipi quindi?»
Atlas scosse il capo e bevve un altro bicchiere, sedendosi di fronte a lui. Decise di cambiare posizione e si distese sul divano dell'amico. «No.»
«Tu es un tel menteur.» (che bugiardo che sei)
Hercule osservò il bicchiere di vetro ormai vuoto.
Atlas sorrise divertito, sistemandosi meglio il cuscino alle spalle. «Je comprends ce que tu dis.» (Capisco quello che dici.)
«Questo è divertente, adesso non posso parlare nemmeno tra me e me.» Hercule poggiò il capo contro la mano chiusa a pugno. Atlas si chiese perché dovesse sempre sorridere, il mondo faceva abbastanza schifo per permettersi il lusso di essere felici.
«Dovrai scegliere una lingua diversa dal francese, russo e spagnolo, mi sa.»
Hercule inclinò il capo con curiosità. Si allungò verso il tavolo e prese la bottiglia di whisky, versandosene dell'altro. «Come mai conosci tutte queste lingue? Le hai studiate all'università?»
«No, non sono laureato.» Atlas si passò una mano dietro al collo, dolorante. «Mi piacciono le lingue, tutto qua. Le ho imparate col tempo. Lo spagnolo è la mia lingua madre.»
«Di dove sei?»
«Mia madre era cubana, ma sono nato a Londra.» Atlas preferì sviare il discorso che avrebbe aperto la strada al viale dei ricordi. Si mise seduto e bevve ancora, socchiudendo gli occhi. «Comunque, dottorino, mi hai accusato di essere un bugiardo, ma vogliamo parlare di te? Hai detto di non essere mai stato innamorato, eppure hai una figlia per la quale ti sei trasferito. Questo potrebbe essere amore. Per non parlare di un presunto matrimonio collassato.»
Hercule sorrise lascivo e scosse il capo. «E dove sta scritto che per avere un bambino bisogna che ci sia amore? Mi pare che in molte famiglie non sia così.»
Atlas deglutì. Lo sapeva bene lui. Non c'era bisogno che un idiota francese glielo ricordasse. Socchiuse gli occhi, provando a calmarsi, ovviamente Hercule non poteva sapere tutto della sua storia. Se ne restò in silenzio, per qualche istante, permettendo all'altro di continuare. «Et toi? Tu es déjà été amoureux?» (e tu? Sei mai stato innamorato?)
Atlas lo osservò di sbieco. Aveva avuto qualche relazione, delle storie di breve durata, una scopamicizia, ma mai niente di serio, non solo per il suo lavoro, ma per la sua natura. Quando non poteva uccidere perché poi probabilmente avrebbe rischiato di portare la popolazione mondiale all'estinzione, allora andava in qualche locale o bar per divertirsi un po', per poi tornare a fare la vita di sempre.
Era difficile amare uno come lui, cercare di capire qualsiasi cosa gli frullasse per la testa. Neanche Atlas stesso a volte riusciva a star dietro a tutti i suoi pensieri, erano troppo veloci, schizzavano via. Non sapeva cosa fosse l'empatia, non poteva provarla, né tantomeno il rimorso. Non conosceva l'amore, non l'aveva mai vissuto se non quando sua madre era ancora in vita, ma ormai ne era un lontano ricordo, addirittura sbiadito. Era cresciuto con la consapevolezza di essere un mostro e anche il figlio del demonio, letteralmente. Sbuffò piano e si accoccolò ancora sul divano dell'amico, era abbastanza comodo. Ormai era brillo, quasi senza filtri. Fissò il soffitto, gli occhi gli si annebbiarono per un istante.
«No.»
Hercule rimase in silenzio per un po'. Forse era meglio così. Non gli andava che quella serata si trasformasse in un pigiama party per ragazzine sedicenni con problemi amorosi e ormonali, che non sapevano distinguere un ragazzo intelligente da Topolino. Vide, poi, il medico abbassare lo sguardo sul proprio orologio da polso. Gli sorrise, ancora gentile, e scrollò appena le spalle.
«Beh, è trascorsa la mezzanotte. Buon compleanno, Atlas.»
Angolino
Volevo pubblicare?
Assolutamente no, ma editare non fa bene e mi sprona a fare follie.
Capitolo tranquillo, chissà però se Martin è stato del tutto onesto o stava provando a deviare l'attenzione del suo migliore amico.
Ho lasciato un po' tra le righe qualcosa riguardante il passato di Atlas, ma lo conoscerete voi stessi prossimamente.
Nel prossimo capitolo, invece, vedrete un po' come funzionano gli incontri con i suoi "clienti".
Spero vi sia piaciuto e lasciatemi qualsiasi feedback, ve ne sarei grata perché questa storia è un grande esperimento per me.
Alla prossima ❤️
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