IV. Paul.

Passato.


Soundtrack – Everything I Wanted, Billie Eilish.

🌻

Una parte di me è titubante. L'altra vuole mostrarmi scenari del mio io che non pensavo di possedere.

Percorro gli scalini troppo velocemente, e sebbene sia in discesa, il mio fiatone si mescola all'energia e alla fatica di non farmi prendere dal panico. Le dita mi tremano, ed è un pizzicore che accompagna la medesima sensazione in gola. La frescura del mattino non è riuscita a placare la sensazione di vuoto, desolazione e tormento che mi rende sconcertante agli occhi di chiunque passi nei paraggi. E il giubbotto inizia a starmi stretto e sudato, ma tutto ciò che m'importa è raggiungere la destinazione.

Nelle scale c'era il vuoto assoluto, in questo piano inizio a udire delle voci. Il tono provocante e suadente di Copperfield lo riconoscerei anche in una stanza affollata, e sta raccontando di qualche avvenimento della sua vita che suscita il riso di tutti per il modo sboccato con cui si esprime. Adesso è il turno di Dubois, la cui voce squillante e marcata con un leggero accento francese è una prassi. È sempre lui a interrompere i discorsi di Ares, e sempre lui a fargli da braccio destro.
In questo caso, riesco a udire una sua battuta sul fatto che ultimamente Ares mastica una quantità di gomme da arricchire le industrie di produzione mondiale, e Ares a sua volta risponde con la sua solita volgarità dicendo che in bocca vorrebbe ben altro, ma è costretto a diminuire il suo vizio del fumo prima che il coach lo spenni vivo.

Un tempo questi siparietti erano la mia quotidianità. E forse lo saranno ancora. Ma dubito fortemente che, dopo ciò che ho da dire oggi, qualcuno potrà mai vedermi con gli stessi occhi.

Quella parte di me che ho provato a seppellire, a dormirci su, a conviverci e accettarla... ora sta fuoriuscendo in contrasto con il mio modo abitudinario di agire.

Non è così che desideravo diventare. Non è così che desideravo comportarmi. Ma ho la testa che mi scoppia, e il cuore a un passo dall'esplosione. E una volta spalancata la porta, tutte le mie promesse di agire con criterio svaniscono nell'aria.

E allo sguardo incrociato con Blade Parker, capisco che non è possibile tornare indietro.

I ragazzi in un primo momento si ammutoliscono, poi sussultano. Solo Ares si esprime d'impulso.

"Ma che cazzo fai, Hills!"

La schiena di Parker viene sbattuta contro il metallo dell'armadietto. E a procurarlo sono io.

Paul Hills. L'uomo che non ha mai perso la calma. L'uomo dalle mille sfumature di educazione e quietezza. Sono sempre io, ma di un lato che non pensavo di avere.

Fino a quando non mi hanno portato via tutto. Fino a quando non mi hanno portato via lei. L'unica che mi aveva trasmesso una luce nella mia vita di ombre.

Non possono capire. Nessuno di loro può capire cosa significhi farsi inghiottire dall'oscurità. Crescere da soli, con la costante paura di deludere una sorella per poi scoprire che non hai fatto abbastanza per salvarla. Nessuno di loro può capire quanto mi abbia dato Francisca Ortega nel tempo che ci siamo donati l'un l'altro, e non può capirlo neanche l'uomo che sto tenendo stretto dal colletto della camicia.

La sua camicia è stritolata nel mio pugno, ma sono i suoi occhi a interessarmi. Non mi serve il suo corpo, né il suo dolore. Voglio spiegazioni, e le otterrò in ogni modo che considererò opportuno.

"Mi hai mentito."

La sofferenza e la rabbia con cui espiro il pensiero rendono incredulo più di un volto dei presenti. Blade, invece, era spaventato in partenza, ma ora si sta comportando come se sapesse di aspettarselo. Che sarei arrivato qui, e avrei voluto una sua reazione.

Ma lui non reagisce, né vacilla. Ha un batticuore elevato, l'afflizione nelle iridi ancora più castano scuro del solito, e io non posso perdonarglielo. Perché sono io a essere stato tradito. E da due persone che mai avrei potuto immaginare.

"Come hai potuto..." gli respiro ancora in faccia.

Il luccichio nei suoi occhi, miscelato al silenzio della stanza, non migliora la situazione. Più secondi passeranno senza ricevere chiarimenti, più l'ira mi formicolerà nelle mani. Per il momento, il formicolio va di pari passo con l'energia che impiego a stringergli la camicia. E quando faccio pressione per spingergli la testa contro l'armadietto, al suo sussulto ricevo una mano su una spalla.

"Calmati, Paul."

È la voce di Jul Miller.

E per uno abituato a parare i tiri degli attaccanti avversari con la forza dei suoi muscoli massicci allenati da anni di palestra, è uno stupore vederlo prendere le difese di qualcuno con una calma straordinaria.

Intravedo i suoi capelli rossi e umidicci con la coda dell'occhio, e capisco che è appena uscito dalla doccia. È stato l'unico a non aver assistito all'attacco, ma il primo ad avere il coraggio di avvicinarsi a me.

"Possiamo risolverla con il dialogo. Qualunque cosa Blade–"

La mia risata malefica echeggia in tutta la stanza. E un misto di atroce sconfitta e rassegnazione, miscelata al nervosismo e alla collera.

"Nessuno di voi è a conoscenza di nulla, vero?"

Alta. Alta e comprensibile da superare le pareti. Lo scroscio della doccia ora non è più un'ipotesi. E sempre Jul ha la forza di schiudere le labbra e trattarmi con una tranquillità che mi innervosisce. Ora come ora, qualunque suono incline alla pace colliderebbe con il mio stato d'animo.

"Spiegaci, Paul. Davvero. Ti capiremo ma..."

Giro il viso verso di lui. Percepisco il disagio nei suoi occhi, poiché i miei saranno di sicuro iniettati di crudeltà. Ma non osa parlare e attende una mia aggiunta, che arriva solo quando ho la certezza di avere tutti gli occhi catalizzati su di me e la forza necessaria a sgolarmi.

"Blade Parker è un traditore. Ha mentito a voi, ma soprattutto ha mentito a me. Sposerà la donna che fino a qualche giorno fa era la mia ragazza."

Un brusio da parte di alcuni componenti della seconda squadra si leva alto, seguito da Jul che socchiude gli occhi e fa un profondo respiro.

Non è da lui reagire così posato. Ma d'altronde, l'intera situazione è surreale. Perché io non sono capace di riflettere e dare retta alla mia razionalità.

"L'uomo a cui donate la fascia di capitano in assenza di Arthur, mi ha pugnalato alle spalle. Pretende il mio perdono. Mentre si dichiara alla donna che amavo, e che si è portato a letto senza il minimo pentimento."

"Io non–"

Lo sbatto ancora più forte contro l'armadietto, tenendolo fermo e irrigidito.

"Prova di nuovo a difenderti o mentirmi e giuro che passerai il resto dei tuoi giorni a marcire sottoterra." gli ringhio a un centimetro dal viso, e lui non se lo fa ripetere due volte ad assottigliare le labbra e zittirsi.

Jul non avanza più. Ha le mani sui fianchi, e lo sguardo di chi gli sta crollando la terra sotto ai piedi.

Evidentemente non lo sapeva neanche lui. Evidentemente, Blade ha mentito anche al suo migliore amico.

"Lo vedi, Jul? La senti questa sensazione? Bene, è la stessa che ho provato io. La stessa che mi consuma le ossa da giorni. Per capire dove cazzo ho sbagliato per fidarmi così scioccamente e ciecamente di un amico."

La mia voce alta non scalfisce Miller, perché subito dopo aggiunge lieve: "È vero, B?"

Questo figlio di puttana di Parker non ha il coraggio di guardare il migliore amico negli occhi. Annuisce, e il mio pugno parte in automatico.

Questa volta, Jul ha una prontezza da ammirare. Mi ha afferrato il polso prima che io potessi scagliarmi senza pietà sulla mandibola di Blade, e lo sta mantenendo stretto per non farmi fare cazzate. Una minuscola parte di me, la più flebile e razionale, mi sta suggerendo che lui abbia fatto la cosa giusta.

"Dimmelo in faccia, B. Di' davanti a tutti che sei andato a letto con la sua ragazza." chiede Jul. In un tono che mi confonde.

"È vero."

"No, B. Guardandomi in faccia. Ora."

Non capisco Jul a che gioco stia giocando, perché non migliorerà certo la situazione a permettere al suo amico di ammettere i suoi peccati credendo di poter essere perdonato dal sottoscritto. Ma c'è un velo di inconsapevolezza nella mia mente quando vedo Blade irrigidire la mascella e fissare il vuoto.

Perché non vuole dirlo davanti a Jul? Cosa cambia?

Il tradimento è avvenuto nei miei riguardi, quindi è con me che dovrebbe avere il timore di una reazione. Così, provo a giocare anch'io una carta, e mollo la presa spingendolo ancora contro l'armadietto. Blade reagisce solo stringendo i denti e strizzando gli occhi, ma si riprende con una smorfia.

Se lo lascio stare per qualche frangente, forse la tattica di Jul potrebbe funzionare. Non comprendo perché Miller voglia sentirselo dire, ma se serve alla mia causa, sono disposto ad assecondarlo.

Devono sentirlo tutti. Tutti devono essere a conoscenza delle parole che mi ha detto Francisca nei suoi riguardi.

Dio. Francisca.

Mi sento soffocare al ricordo di lei che mi fissa dritta negli occhi. Quei suoi splendidi occhi color cioccolato pieni di lacrime, per dirmi che per lei non ero nient'altro che un'avventura. Qualcuno con cui svagarsi nell'attesa che Parker si accorgesse di lei. O forse era già successo. E io ero semplicemente la pedina della loro scacchiera traballante.

Mi si contorcono le budella, e non escludo la possibilità di rigettare tutto nel momento in cui Parker eseguirà quanto detto dall'amico. Ma non lo fa. Per qualche strana ragione a me ignota, il tradimento che riserverebbe al migliore amico sarebbe più deleterio di quello che riserverebbe a me.
Maledetto figlio di puttana senza coscienza.

"Riformulo la domanda. Tu e Francisca siete una coppia?"

Blade ci impiega un po' a rispondere, e gli occhi sono sempre fissi in un punto indefinito che non appartiene a questo mondo. Ma all'annuire lento della sua testa, ricambiando lo sguardo di Jul, il soffitto potrebbe crollarmi addosso.

È tutto vero. Francisca non si è inventata nulla. Mi ha usato.

Ha approfittato delle mie attenzioni. Del mio affetto. Della luce che poteva vedere nei miei occhi tutte le volte che trascorrevamo del tempo insieme. Per me non è mai stato finto. Non è mai stata una messa in scena. L'ho amata con tutta l'anima, con ogni fibra del mio corpo e senza maschere, e crollare con le ginocchia a terra è la logica conseguenza di chi non riesce ad affrontare in faccia la realtà, se non mostrando le debolezze.

Parker.

Il mio amico Parker.

Tutti loro stanno assistendo alla mia rovina. Come amico, come uomo, come testa e coscienza pensante.

"Perdonami, Paul." vocifera. "Ma devo farlo."

Tremante e con poca convinzione. Ma abbastanza da farmi perdere la testa.

Mi avvento su di lui senza ragionare. Sento le urla dei ragazzi, ma non percepisco il corpo che obbedisce ai miei comandi. Il pugno che rilascio sul mento di Blade gli fa perdere l'equilibrio, e si mantiene la mascella con rabbia e dolore mentre Jul cerca di fermarmi.

Ma devo averlo spaventato parecchio, perché la solita resistenza fisica di Miller non è abbastanza, e non sono abbastanza neanche le braccia di Ares intorno al mio busto. Tutto intorno a me è confuso, tranne che ho una voglia matta e omicida di farla pagare all'uomo che mi sta osservando con altrettanto desiderio omicida.

Dall'agnellino che era fino a pochi secondi fa, ne è rimasto la parvenza di un concetto astratto.

"Abbi le palle di affrontarmi!" grido. "Abbi il coraggio di difenderti, figlio di puttana!"

E lo fa. Lo fa contro ogni aspettativa dei presenti, che vedevano in lui la vittima e in me il carnefice. Ora che ha reagito, che Jul e Ares mi hanno lasciato per lo shock, e Blade mi ha sferrato un pugno nello stomaco da farmi crollare a terra nello stesso modo in cui è accaduto a lui, è chiaro a chiunque che non sia innocente. E io non ho intenzione di lasciarlo andare.

Tossisco, e con la coda dell'occhio vedo lui in piedi e il suo petto sollevarsi a sorsi d'aria per lo sforzo disumano. La mia risata secca e dolorante non sembra allarmarlo, poi aggiungo: "La faccia è più in alto, stronzo."

E asseconda i miei comandi. Asseconda il mio desiderio di vendetta, e si avventa di nuovo su di me per colpirmi. Ma io sono più lesto ad alzarmi, e sebbene barcolli, riesco ad afferrarlo per i fianchi e spingerlo con brutalità contro l'armadietto dove tutto è iniziato.

Il boato questa volta è più forte, la stanza è pregna dei nostri grugniti, di lui che cerca di reagire con testate e io che rispondo a mia volta pressando sul suo corpo. I ragazzi provano a separarci più di una volta, ma è tutto inutile.

La conferma ha distrutto tutto. La facilità con cui l'ha proferita mi ha consumato il senno.

È tutto finito. Ogni barlume di fiducia che avrei pensato di raggruppare da questa situazione, si è polverizzato nell'aria come minuscoli granelli di sabbia. Non c'è più modo di ristabilire un ordine in questa situazione, perché un ordine non c'è mai stato.

Lui mi ha tradito. Francisca mi ha tradito. E mentre ci spingiamo e schiviamo a vicenda per evitare i punti e i calci, i nostri corpi cadono comunque rovinosamente l'uno sopra l'altro per farci male.

"Come cazzo hai potuto, Blade! Come cazzo hai potuto!" Riesco ancora ad afferrarlo per trascinarlo giù con me, ma lui mi dà una gomitata che mi fa volare di qualche centimetro. E con le mani a terra e il fiatone brutale per lo sforzo, mi rialzo e riprendo a combattere. "Eri mio amico! Eri mio amico, cazzo!"

Jul riesce ad afferrarmi un polso, ma la presa e le sue urla durano pochi secondi. Nella stanza c'è il caos più assoluto, e io non so più dove finisce il rispetto e iniziano le mie grida che tremano di dolore. La mia voce è rotta dall'arrivo di un pianto che mostrerebbe tutte le mie emozioni, e non voglio dargliela vinta. Non posso dargliela vinta. Non alle persone che mi hanno lacerato il cuore, l'anima, ogni microscopico pezzo di me affinché io mi rivoltassi contro di lui più forte, più forte e ancora più forte.

Precipitiamo entrambi contro l'armadietto, e il rumore è così assordante da coprire le voci dei ragazzi che provano a fermarci. Ma è tutto invano. È tutto inutile. Nessuno dei due vuole mollare, ed è ufficiale che qualcosa si è spezzato. Qualcosa non tornerà più come prima. E quel qualcosa è la mia squadra, che ha visto una versione di me sepolta nel mio essere, venuta a galla soltanto nel momento in cui tutto è precipitato. E io ho ingoiato un'unica e amara verità: è da chi ami con tutto te stesso che subisci il più profondo dei tradimenti.

"Ehi!"

Il ruggito che si leva alto è inconfondibile.

Il Capitano. Arthur.

Il Capitano Wild è tra noi. E il tempo si ferma.

Lo spogliatoio diventa quasi spettrale, perché oltre ai ragazzi che arretrano, siamo io e Blade che rallentiamo i movimenti di attacco e contrattacco per renderci conto di cosa sta succedendo. Non abbiamo il tempo necessario per metabolizzarlo, perché una mano mi trascina via come se il mio peso corporeo fosse paragonabile a una piuma. Ed è questa constatazione a farmi capire che si tratta della forza fisica ineguagliabile del mio migliore amico.

Con una sola mano a tirare il mio colletto, Arthur ci rimette tutti in riga. Blade arretra per riprendere fiato, e alcuni graffi sulla sua faccia si gonfiano e colorano di rosso. Non riesco a decretare un vincitore a chi abbia l'affanno più incontrollabile, ma in quanto a voce suprema, è l'uomo che mi trattiene come un ostaggio ad avere la meglio.

"Si può sapere che cazzo vi è saltato in mente?"

Non ho mai udito Arthur con un tono così rude e autoritario.

È chiaro che sia arrabbiato con entrambi, perché in anni di amicizia in cui i Black Lions hanno imparato a conoscersi, mai, e dico mai nessuno aveva procurato una lotta di questo tipo al fine di far del male a un compagno di squadra. Ma al mio migliore amico vorrei anche dire che mai nessuno aveva tradito la fiducia di un altro in questo modo. E sono dell'idea che Arthur non me la faccia pagare con gli interessi soltanto perché il pizzicore nei miei occhi è chiaro mentre osservo Blade massaggiarsi la bocca e la mascella: sono sul punto di esplodere. Esplodere in un pianto irrefrenabile. E sarebbe la fine.

Arthur mi strattona, come a volermi suggerire di dare delle spiegazioni più concrete su quello a cui ha appena assistito. Apprezzo che in questo momento abbia la lucidità adeguata a non andarmi contro, perché a parti inverse non so se avrei garantito una protezione all'uomo che avrebbe fatto del male a lui. Il capitano invece sta ponderando la situazione, dando la possibilità a entrambi di illustrare la propria posizione.

"Ha iniziato lui." tossisce Blade, e una mano sul costato mi fa capire che in quella zona abbia ricevuto più colpi di quanti ne avevo presagiti.

Quella risposta inietta in me un meccanismo perverso, perché ho solo voglia di reagire. Razza di bastardo. Ha anche il coraggio di dire che ho iniziato io? Dopo che lui mi ha inflitto tutto il resto?

Non faccio in tempo a concretizzare lo slancio verso di lui, però. Arthur è più gagliardo, forte e testardo di tutti noi messi insieme, e continua a bastargli la sola presa sul colletto della mia camicia per trascinarmi indietro con lui, fino a raggiungere una panca della palestra in cui mi lancia per farmi sedere.

"Uscite." tuona lui.

"Arthur..."

"Uscite! Ora! Voglio parlare io con lui. Tornate a casa. Il divertimento è finito."

A nulla è servito l'intervento di Jul che avrebbe voluto riassumere l'accaduto.

Quando il Capitano Arthur Wild ordina un comando, tutto il suo esercito si prostra ai suoi piedi e obbedisce senza obiezioni.

E non ricordo l'ultima volta che qualcuno è stato in grado di contrastarlo.

🌻

Sono partito dal principio.
Ho ancora la voce rotta dal pianto trattenuto, quindi non è stato facile ricordare la mattina in cui Francisca si è presentata alla mia porta e mi ha confessato tutte le sue menzogne, per poi concludere con gli avvenimenti di oggi.

Ho ancora il suo viso impresso nella mia mente, quel suo corpo per cui avrei fatto follie, i suoi capelli morbidi e profumati, e quella dolce risata che riusciva a scacciare via ogni preoccupazione delle mie giornate.

E nonostante tutto, mi manca. Mi manca ogni suo più piccolo dettaglio, dal modo in cui sorrideva fino alle ciocche rosse dei capelli che si trascinava dietro un orecchio. E quante volte ho accarezzato quei capelli nelle nostre notti insonni, a fissare il soffitto sul letto della mia stanza, mentre ci spogliavamo delle nostre paure e raccontavamo i nostri progetti futuri e i nostri sogni più ambiti o proibiti.

"Restarci così male per averla lasciata andare, nonostante il dolore con cui dovrò convivere per sempre, è la parte che più odio di me stesso, Arthur. Perché io non sono capace di odiare. Non sono capace di lasciare che le emozioni negative decidano tutta la mia vita. Ma ora sono colmo di rabbia, vorrei spaccare la faccia di Blade per tutte le volte che ha avuto il coraggio di guardarmi in faccia e mentirmi. Cazzo, sono stato così stupido..." mi trascino una mano sulla fronte, e mi spremo le meningi.

Sono sicuro che Arthur stia prestando attenzione alle mie reazioni, perché da quando siamo arrivati al Kelly&Rowland's Club non ha toccato cibo né bevande. Ha una tazza di caffè lungo e fumante tra le mani, ma non ha ancora detto una sola parola e tantomeno fatto un sorso. Mi ascolta, ignora le persone che passano, chiacchierano e interagiscono intorno a noi. E sono anche contento che i proprietari non siano presenti, ma sostituiti dallo staff di camerieri storici, perché non avrei retto di rivedere Kelly e Matthew proprio oggi.

Che cosa avrei detto? Che non avrei più frequentato il loro locale perché ogni angolo mi ricordava la donna a cui compravo i croissants preferiti? Mi ricordava tutte le mattine a fare colazione insieme per poi separarci e andare io agli allenamenti e lei ai corsi di make-up della sua agenzia?

Non potevo dare spiegazioni. Non se Francisca aveva lasciato che io scoprissi tutto in quel modo. Eppure, sono ancora qui. Ad aver proposto il locale come prima scelta quando Arthur mi ha chiesto un luogo dove potermi sfogare, non facendo alcuna domanda una volta ottenuta una risposta. Avrebbe potuto prendermi per pazzo, ma non l'ha fatto. Mi ha ascoltato per un'ora intera, mentre ogni dettaglio delle ultime ore della mia vita è uscito fuori con la brutalità con cui li avevo vissuti.

E non riesco più ad aggiungere altro. Una volta giunto al resoconto dello spogliatoio, faccio un lungo sospiro che inglobi tutto il mio umore e le mie sensazioni interiori. Arthur continua a osservarmi, un'espressione pensierosa e decisa al tempo stesso, e il suo caffè emana vapore che si condensa con il suo respiro.

Oggi fa particolarmente freddo a Toronto, e i riscaldamenti dei locali contribuiscono solo in minima parte. Il Kelly&Rowland's Club sa essere accogliente con i suoi fili di luci calde a led che sostengono polaroid, e le piante rampicanti con girasoli abbelliscono il soffitto e le colonne sparse all'interno del luogo. Il calore emanato dalle lanterne appese alle pareti conferisce una tranquillità e soavità mischiata al jazz della radio e agli odori dei dolci sfornati.

"Mangia qualcosa."

Le sue prime parole dopo i miei discorsi sono quelle per invitarmi a riempire lo stomaco. E non ha tutti i torti, perché non riesco a toccare nessun cibo da due giorni. E forse lui lo immagina anche. I suoi trascorsi non gli impediscono di farlo. Ma il blocco che ho in gola non mi permette di ascoltarlo.

Osservo il pezzo di torta al cioccolato davanti ai miei occhi, e afferro una forchetta per iniziare a spezzettarlo. Ma è il massimo che riesco a fare, prima di fare un lungo sospiro che ad Arthur non sfugge.

"Non riesco a capire."

La sua risposta sussurrata blocca il mio taglio del dolce. Sollevo lo sguardo e cerco di captare qualche informazione dall'espressione del suo viso, ma lui sta scrutando il locale per riflettere sulle parole da usare con me.

"Vuoi il mio parere onesto?"

Certo, Arthur. Siamo qui per venirne fuori. Per cercare di capire cos'ho sbagliato. Cos'è che è andato storto. Mi limito ad annuire, e l'attesa della sua risposta mi sembra un'eternità.

"Non credo a una sola parola di entrambi."

Tutto mi sarei aspettato, fuorché questo.

Le mie mani si congelano, e non riescono più a compiere movimenti. "Che intendi?"

"Intendo ciò che hai sentito." Si porta la tazza di caffè alle labbra, e fa il suo primo sorso. "Non credo a Blade. E ancora di più, non credo a Francisca."

"Francisca è stata molto chiara. Un futuro con me non è contemplato. Mi ha ingannato dal primo giorno e..."

"E tu ci credi?"

"Certo che ci..."

Una quantità infinita di pungiglioni invisibile punge la parte più sensibile della mia gola. Vorrei che tutto questo fosse soltanto un incubo, ma il problema cardine è stato udire quelle parole con le mie stesse orecchie. E la domanda mi sorge spontanea.

"Oppure credi che sia io a mentirti?"

"No. Credo che tu mi stia riportando i fatti concreti di ciò che è accaduto fra voi due. Ma per tutto questo tempo che siete stati insieme, ho ascoltato i tuoi racconti sulla relazione. Come passavate alcune giornate, cosa le donavi, le piccole attenzioni che soltanto una coppia consolidata può avere la facoltà di raccontare... non mi sono immaginato tutto, Paul. Ero qui e non altrove quando mi raccontavi di quanto per lei eri speciale, e viceversa. Dov'è finito quel Paul? E dov'è finita quella Francesca?"

In una parte sepolta del mio io, vorrei dirgli. Ma abbasso il mento e fisso il mio dolce.

"Inoltre..." si schiarisce la voce. "C'è una cosa che non ti ho detto."

La mia concentrazione è mutata. Ed è tutta sul suo volto. Se anche il mio migliore amico si fosse coalizzato per nascondermi tutto questo, potrei non rispondere più delle mie facoltà mentali.

"La mattina in cui è venuta a parlarti, l'ho vista. Ci siamo incrociati mentre stavo uscendo di casa dopo averti consegnato le valigie con le nuove tavolozze di colori che mi avevi chiesto. Non credevo che lei potesse essere lì per questa ragione, ed è stata mia premura salutarla. E scherzando, le ho detto che ti saresti imbarazzato a svelarle cosa stavi dipingendo. Avevo già percepito la stranezza nel suo sguardo, ma credevo fosse dovuto alla stanchezza dei suoi corsi nell'agenzia dove lavora. Non avrei mai immaginato un esito simile della vicenda. Ma nonostante questo, credimi se ti dico che quello non era lo sguardo di chi stava per mentirti. Era lo sguardo di chi stava nascondendo qualcosa. E sempre con estrema sincerità, ti dico che dovresti occuparti a scoprire di cosa si tratta anziché struggerti o assalire un nostro compagno di squadra."

Sussulto leggermente al ricordo di cos'è accaduto nello spogliatoio dei ragazzi. "Non posso crederci che tu stia difendendo Blade."

"Non sto difendendo nessuno, Paul. Sto esponendo la realtà. Sei entrato nello spogliatoio dei miei Black Lions inveendo contro una persona specifica, e hai fatto un casino. Sono stato chiamato dalla sicurezza non appena ho timbrato il tesserino all'entrata. Mi avevano informato che stava succedendo un bordello nello spogliatoio, e non avevo messo un piede in palestra neanche da un minuto. Non solo avete rischiato di farvi davvero male, ma non avrei potuto prendere le tue difese."

"E perché no?"

"Perché sono un capitano, Paul. Ed è mio dovere stabilire l'ordine. Se il coach venisse a sapere che vi siete quasi sbranati vivi per una ragazza, trafiggerebbe prima le mie palle e poi le vostre, e le esporrebbe nella sua stanza dei trofei."

"D'accordo, ma ciò non cambia che sono il tuo migliore amico. E ti ho appena raccontato della mia ex ragazza che mi ha tradito per tutto questo tempo con un componente della squadra. Sei tu a ripetere che la fiducia va messa al primo posto. Abbiamo un regolamento, ricordi? Le donne degli altri non si toccano."

E tu per primo dovresti ricordartene, vorrei aggiungere. Ma lui per me ha fatto cose che gli altri non si sono neanche minimamente avvicinati, ergo non merita di sentirsi dire cose di cui potrei pentirmene in tempo zero.

"Già. Esatto. E proprio perché conosco le regole per diretta esperienza, e abbiamo instaurato un regolamento, credo in ciò che dico."

Gli ingranaggi del mio cervello si mettono in moto più di prima, ma non riesco ancora a comprendere. E la mia sete di risposte si sta aggravando.

"Non capisco." Mi prendo una pausa. "Se credi a lui... credi a lei... e credi a me... dove sarebbe la verità?"

"Questa è una domanda che dovresti porti tu." Fa un altro sorso del suo caffè. "Hai chiesto spiegazioni? Non credo. Hai parlato civilmente con Blade per sapere nel dettaglio la sua versione dei fatti? Ancora non credo."

"L'hanno fatto, Arthur! Lei mi ha detto che si è scopata un altro per tutto questo tempo, e lui non ha negato davanti a tutti noi. Perché credi che io stia mentendo, diamine? Vuoi che te lo faccia dire dai ragazzi? E scordati di Jul, cazzo. Jul difenderebbe Blade anche se commettesse un omicidio. Quei due hanno un legame che non so se definire malato o fottutamente leale."

"È questo che credi?" gira un cucchiaio nella tazza, e ci presta molta attenzione prima di dirmi: "Che lei sia stata con un altro in quel senso?"

Sospiro esausto, chiudo gli occhi e mi massaggio le tempie: "Parole sue. Parole sue, Arthur. Non mie."

Resta in silenzio per qualche secondo. "D'accordo." E poi si china con la schiena e incrocia le dita, spostando la tazza. Riflette sulle parole da usare, e poi sospira: "Quindi mi stai dicendo che, fino ad adesso, tu sei stato innamorato di un'estranea. Di una donna che non hai mai conosciuto. Neanche per un secondo. Neanche quando ti ha confidato cose sui suoi trascorsi lavorativi, sulla sua famiglia, sulla sua vita, cose che non ha detto a nessun altro. E di punto in bianco, ti avrebbe mentito nel tempo che è trascorso dall'inizio della relazione ad oggi. Ho riassunto bene il concetto?"

Questa è manipolazione. Non c'è altra spiegazione. Resto sbigottito.

Per come la intende lui, Francisca si sta proteggendo. Da qualcosa o qualcuno. Ma una come Francisca non si farebbe mettere i piedi in testa da nessuno. Una donna che a cinque anni ha difeso un compagno di scuola dagli atti di bullismo di cinque ragazzini della stessa età, è il sunto di un animo talmente buono quanto guerriero. Ed è questo che fa male. Il fatto che lei abbia potuto farmi questo... dopo ciò che ha donato al mondo. E a me.

"Sì." sospiro. "Hai riassunto bene il concetto."

Mio Dio. Mi avrà iniettato qualche veleno con il solo potere di uno sguardo o della nostra vicinanza, perché altrimenti non si spiega come sia riuscito a farmi sentire una merda con poche e semplici frasi in successione.

Credo nella bontà di Francisca Ortega. Credo nella sua dolcezza. Nel suo coraggio. Nella sua intraprendenza. Nella sua determinazione. Eppure, tutte queste qualità sono anche frutto di una donna che mi ha guardato dritto negli occhi, e mi ha confessato il male che mi aveva procurato. E gli occhi di Francisca hanno sempre parlato laddove lei taceva.

Non posso sentirmi una merda perché sono stati gli altri a tradire la mia fiducia. Non posso logorarmi nel dolore se non sono gli altri a farsi per primi un esame di coscienza. Eppure, non ci riesco. Non ci riesco a cancellarla dalla mia testa. Non ci riesco a mettere una pietra su tutto quello che abbiamo vissuto insieme.

E sono qui. Al centro di un locale pregno di ricordi. Con un migliore amico che mi incita a riflettere e ponderare le mie decisioni. Ma l'unica cosa che vedo è la dura realtà dei fatti: Paul Hills, il più ingenuo del gruppo. Quello buono. Quello calmo. Quello che riappacifica tutti. Quello che vede il bene in tutti. Eppure, ero io in quella stanza. Ero io a spingere Blade contro un armadietto di ferro. Ero io che dovevo essere fermato. Io che ho reagito al mio dolore.

Io.
Il Paul ingenuo, buono, calmo.
Io. Non gli altri.

Il telefono di Arthur vibra, e riconosco la suoneria impostata per Ares. Lui risponde alla velocità della luce, e quando si alza afferrando il giubbotto di pelle lasciato sulla sedia, capisco che la nostra conversazione si chiuderà qui. E io avverto il vuoto allo stomaco di chi sente la necessità che lui resti. Resti e mi faccia riflettere.

Perché in questo momento, non ragiono. In questo momento, potrei rinchiudermi in un bagno e piangere e vomitare fino a quando non mi tolgo dalla testa l'idea dell'ennesima persona che mi ha abbandonato. L'ennesima persona che mi ha lasciato andare.

I miei nonni. I miei genitori. Francisca. Sono tutti parte integrante di un puzzle che non ne vuole sapere di rimodellarsi. E mi chiedo quale messaggio implicito dovrebbe esserci dietro tutta questa sofferenza gratuita che mi lacera gli organi e l'animo da quando sono al mondo.

"Devo andare." borbotta Arthur, con uno stuzzicadenti fra le labbra mentre infila le braccia nelle maniche del giubbotto di pelle. Poi, si sistema il colletto e infine si passa le dita nel ciuffo di capelli.

"Domani sera ci sei?" chiedo.

"Per?"

Resto in silenzio per qualche attimo prima di osservarlo con occhi spenti. "Deve esserci per forza un motivo?"

Lui comprende. C'è qualcosa che non va. Come un interruttore che ha smesso di funzionare. La sua espressione che si addolcisce è significativa, così come la sua immobilità.

"Certo. Ci sono." mi sorride. Poi si avvicina, e mi da una pacca sulla spalla.

Ci fissiamo ancora negli occhi. Vuole carpire informazioni che non potrei dirgli a voce. Studia il mio viso come se ci fosse un segreto inestimabile di Stato cucito addosso. E con un'altra pacca ma sulla nuca, esala il suo ultimo avvertimento con un sorriso largo, che trasuda malinconia e dispiacere.

"Non fare cazzate."

Annuisco. E gli regalo il sorriso più finto che esista.

Perché, quando lo vedo sparire oltre la porta d'uscita, attendo il tempo necessario a fargli raggiungere la Maserati. E poi mi dirigo nel bagno del locale.

Mi chiudo a chiave. Mi assicuro che non ci sia nessuno. Sciacquo le mani e poi il viso. La musica jazz questa volta non mi sarà d'aiuto. Perché oltre la patina di fermezza e sangue freddo che ho dimostrato in altre occasioni, adesso ho bisogno di concedermi un po' di vulnerabilità.

Adesso ho bisogno di sollevare il viso, fissare i miei occhi azzurri allo specchio, constatarne la lucidità, il bagliore e il bagnato che si sta formando.

E piangere.

Piangere e sfogarmi.

Lo faccio mentre guardo il mio riflesso, rosso e umido sulle gote. Lo faccio mentre appuro che la mia esistenza mi sta crollando fra le mani pezzo dopo pezzo, come cocci scheggiati in grado di ferire nelle profondità della pelle e della psiche.

Non esserci stato quando mia sorella aveva bisogno di aiuto. I miei nonni morti quando avevo bisogno dei loro preziosi consigli. Le prime volte nelle mie relazioni affrontate da solo, senza il sostegno di un familiare. Mio padre scomparso per sempre. Mia madre ricoverata per tossicodipendenza. E infine, la mia ragazza che ha visto la giusta bontà in me per poterla tradire e sfruttare.

Tutte le sofferenze che avevo incanalato, nascosto e respinto fino ad adesso si raggruppano in un unico pianto liberatorio di cui perdo il filo del tempo. Mi immergo nei miei ricordi e non ne esco più.

Ringrazio che nessuno venga a bussare. Ringrazio che il tempo trascorra così lentamente. Perché la mia voce è un disastro, e i miei occhi appannati non mi permettono più di vedere il mostro che sono diventato.

E il mio animo lo sa. Il mio corpo lo sa. La mia mente lo sa. Il mio cuore lo sa, e più di tutti.

Non ho più il controllo delle mie azioni.
Non ho più il controllo della mia ragione.
Sono un uomo morto, la cui anima sulla terra viaggia per ritrovare un po' di serenità laddove la vita terrena l'ha tolta.

È questo che lo specchio mi racconta.
È questo il segreto interiore che mi sta sviscerando.
Ed è solo questione di tempo prima che io possa raggiungere il bordo della perdizione umana che mi spetta.

🌻

Quando apre la porta, i suoi occhi spalancati mi riportano a immagini, sensazioni, emozioni che vorrei scacciare dalla mente con un gesto.

Ma è ciò che mi serve. È ciò che può aiutarmi a capire chi sono e cosa merito.

"Ciao."

C'è una dolcezza nel suo timbro in risposta che non le avevo mai sentito prima. La sua pelle sembra più luminosa, e i suoi occhi pieni di eye-liner da gatta le fanno concorrenza. Indossa un vestito giallo a pois, un fermaglio dello stesso colore, e il suo caschetto nero è ancora più sano e voluminoso di come lo ricordavo. Il suo sorriso gigante ha il sapore della ciliegia e del colore rosso. Lo so perché quel rossetto l'avevo regalato io a lei tempi addietro, quando ancora potevo permettermi la felicità di avere una donna che mi volesse accanto.

E per Cordelia Copperfield, il tempo si è fermato anni fa.

Quando il destino ci sorrideva.
E il mondo ci invidiava.

"Posso?"

"Certo." Mi indica il salone di casa con un braccio disteso e si sposta per farmi entrare, ma io sono titubante.

Mi guardo intorno con le mani nelle sacche della tuta. "C'è qualcuno?"

Nega con il capo. Non ricordavo la sua voce così mielosa e... entusiasta. "Ares dormirà da Arthur. Stanno svolgendo un progetto di ricerca accademica insieme, e li terrà impegnati tutta la notte. Mia madre ha il turno di notte in ospedale, e mio padre è fuori città per lavoro." Un altro sorriso che le fa luccicare gli occhi di una sincerità che mi spiazza. "Siamo solo io e te."

Un altro di quei silenzi che mi confortano e mi procurano disagio al tempo stesso. Nell'ultimo periodo, ne ho vissuti fin troppi per poterli contare.

E ora non ho più voglia di tenere il conto di nulla. Non ho più voglia di attendere, e sperare in qualcosa che non accadrà mai. Non ho più voglia di credere di aver capito male, che ci possa essere una realtà intrinseca nascosta dietro quelle parole di Francisca che ricordo ancora a memoria.
Ricordo ogni singola lettera, il tono di voce cattivo, il modo in cui mi ha guardato, e il modo in cui ha respirato e lacrimato davanti a me. E ho necessariamente bisogno di convincermi che non si può tornare indietro nel tempo, né si può mutare la realtà dei fatti.

Mi chiudo la porta dietro le spalle, mentre lei si inginocchia e abbassa per sistemare i filamenti del tappeto d'entrata. E sobbalza quando avverte le mie mani sui suoi fianchi nel momento in cui si rialza.

Inizio a darle baci impercettibili sulla mascella, ma lei è rigida come una statua. Posso vedere i suoi occhi spalancarsi e fissare la cucina oltre le ciglia finte che indossa, e le sue dita calde sono strette intorno alle mie. Inoltre, c'è anche il suo odore di mimosa e miele dei suoi capelli a inondarmi le narici.

"Era proprio quello che volevo sentire."

Alla mia affermazione, la sento deglutire. Non ha paura. Non vuole respingermi. È soltanto lo shock di metabolizzare quello che sta accadendo. E devi credermi, Cordelia. Lo è anche per me.

Le infilo lentamente una mano sotto la gonna dell'abito corto, e al mordersi del suo labbro capisco che lo vuole. Che non mi sono immaginato il calore che le ha invaso il corpo quando le ho cinto i fianchi, né mi sto immaginando il respiro che sta trattenendo.

Il respiro lo tolgo ulteriormente dalla sua gola quando le afferro la mandibola per farla girare. Al bacio delicato che le do su una guancia, e poi sul collo, lei rotea gli occhi e reagisce spingendo il sedere verso di me.

Il mio membro risponde istantaneo alle sue provocazioni, e lei spalanca la bocca quando avverte la turgidità fra le sue natiche. Con la mano libera le afferro e stringo un gluteo, e lei mi sorprende.

Non mi dà più la schiena. Ora i suoi occhi lucidi stanno fissando le mie iridi azzurre con una lascività che conosco fin troppo bene.

Anni fa era tutto ciò che mi aveva fatto capitolare la prima volta che è entrata nella mia vita. Ma ora... ora non sento più nulla di quell'esperienza. Solo un bisogno estremo di dimenticare chi sono e cosa farne della mia esistenza.

Lei inizia a sbottonarmi il giubbotto con foga. I suoi respiri sono disarticolati, al contrario dei miei che sono controllati e costanti. Osservo le sue unghie lunghe e gialle infiltrarsi tra i miei occhielli, e poi strappare e gettare l'indumento a terra. Quando tira i lacci della mia tuta, compie un gesto che non mi sarei aspettato: mi bacia sulle labbra, con foga e passione, e supplica alla mia lingua di invaderla.

Ci impiego poco a trovare i muscoli interni della sua bocca, e a lavorare la sua lingua con l'ingordigia di cui ha bisogno. Geme quando le raggiungo un punto profondo, e si stacca da me solo per sfilarmi la felpa e poi la maglia termica. Resto senza indumenti, e le sue mani esplorano i miei addominali con un'energia travolgente e peccaminosa. Continuo a prosciugarle ogni angolo della sua bocca affamata, assecondo i suoi desideri, e quando stringe i lacci dei miei pantaloni per trascinarli giù, la blocco dai polsi.

Non si è resa conto di nulla. Il bacio era diventato così travolgente da ignorare che ora si ritrova con il culo contro il divano del salone. Un gemito misto a un respiro affannoso le scappa dalla bocca, e io ne approfitto per stringerle la gola e fissarle le labbra. Non ho il coraggio di guardarla negli occhi. Non ho il coraggio di capacitarmi di cosa stia accadendo.

"Adesso tocca a me."

Le afferro il girovita e la faccio girare. Spalanca la bocca e le scappa un gemito. E mentre afferra il divano, ansima: "Prendimi qui."

Per un attimo, spero di non averlo sentito. Spero che l'immaginazione mi stia facendo degli scherzi nell'abbassarle la cerniera del suo vestitino inguinale e sfacciato.

"Ti prego..." sospira, così piano e così ansante da farmi capire che no, non sta scherzando. Vuole davvero che io la prenda sullo schienale del suo divano.

Le abbasso le mutandine strette, e lei le fa scivolare a terra. Sporge il suo culo verso di me, e fa in modo di appoggiare la pancia tesa sul divano. Ma ancora una volta, le afferro il girovita e trascino la sua schiena contro il mio petto, perché al suo ennesimo sussulto devo replicare con un sospiro nelle sue orecchie.

"È così che vuoi ricordare questa notte?"

Non l'ho mai sentita così in affanno. "Qual...siasi cosa, Paul. Ti prego. Qualsiasi cosa, ma ti scongiuro. Scopami."

Non provo ciò che lei vorrebbe che provassi. Certo, è una donna magnifica. È stata la mia prima volta in tutto, abbiamo vissuto una relazione profonda e speciale a suo tempo, e la sua sensualità e il suo corpo non sarebbero indifferenti ad alcun uomo. La mia eccitazione può dire lo stesso, ma la mia testa è altrove. In un punto remoto e di non ritorno della mia mente. A chiedermi se io stia facendo la cosa giusta, sebbene in questo momento io voglia questo sesso duro con tutto me stesso.

Le allargo i glutei, e il suo gemito è sofferente e supplichevole mentre solleva il capo con il mento verso il soffitto e mordendosi un labbro. Avvicino due dita alle sue grandi labbra, e noto che lei è già umida e appiccicosa. La sua schiena inarcata fa su e giù perché il suo respiro è incontrollabile.

Dannazione, meriterebbe un uomo che possa darle un sesso epocale tutti i giorni della sua esistenza. E per un secondo, mi chiedo se lei non stia pensando lo stesso quando spinge il culo verso di me per invitarmi a entrare con il mio membro fra le sue pacche lisce.

"Paul... ti prego..."

"Stenditi sul divano."

"Cosa?"

"Stenditi."

All'inizio resta perplessa, ma poi non se lo fa ripetere due volte. Corre verso i cuscini lunghi, quadrati e soffici dell'oggetto ricoperto da un tessuto di cotone bordeaux, e ci si stende spalancando le cosce.

La visione è celestiale. La sua figa pulsa dei suoi umori, lei si succhia le dita, le riempie di saliva e poi le usa per allargarsi le grandi labbra per mostrarmela meglio massaggiandosi il clitoride, mentre la schiena si inarca di più e lei emette suoni soffici e provocanti.

È tutto così semplice. Tutto così voluto. Se assecondassi la mia idea di sfogarmi dentro di lei e dimenticare ciò che mi circonda, le darei davvero ciò che vuole da me.

Se suo fratello ci scoprisse, erediterebbe le capacità del coach di appendere palle umane al soffitto. Se a farlo fossero i suoi genitori, confermerebbero ciò che pensavano di me all'epoca. Che ero un approfittatore, un bastardo, un depravato che dalla loro figlia voleva soltanto il sesso.

Ma non è mai stato così. Io Cordelia l'ho amata davvero. E rivivrei quella relazione da capo, senza cambiamenti e senza ascoltare nessuno di loro. Lei mi ha mostrato questo mondo, e in questo momento solo lei può aiutarmi a evadere con esso.

Inizio a rimuginare su tutte le volte che Blade ha toccato Francisca. A come l'avrà stretta forte mentre sprofondava nelle sue cosce bianche tenere, annusando il suo profumo dolce. A come si saranno burlati di me mentre nascondevano quella relazione al mondo. Riesco quasi a udirne il rumore delle risate, i gemiti delicati che lei gli avrà notato, i "ti amo" che ha detto anche a me... e alla sola idea, sprofondo in uno stato di angoscia e dolore che sto fottutamente cercando di allontanare da minuti.

Perso nei miei pensieri, è il vestito striminzito di Cordelia a farmi ritornare nella realtà. Me lo lancia addosso con furia, e la visione di lei che si sgancia il reggiseno a cosce spalancate e fica bagnata mi fa ricordare perché sono qui. E cosa vogliamo entrambi.

Resta nuda. Completamente nuda. Ancora più bella dell'ultima volta che abbiamo fatto l'amore, e ancora più bella di come appare sui social. E io scuoto la testa per poi raggiungerla, iniziando a sciogliere i lacci del pantalone e ad abbassare la stoffa sottile che mi separa dal compiere quest'atto di disperato volere.

Lo voglio. Lo vuole anche lei. Devo dimenticare ciò che ho alle spalle, e concedermi il lusso di avere qualcuno che nella vita sarebbe disposto a darmi il suo tutto, così come farei anch'io.

Lei è impaziente, e appena vede che ho tolto tutto e sono nudo quanto lei, mi afferra i polsi e mi aiuta a posizionarmi e stendermi fra le sue gambe umide e calde.

Mi afferra la nuca e mi bacia ancora, facendo attenzione a non lasciarla mai. Conficca le unghie nei miei capelli, e poi si stacca perché il respiro le è diventato troppo pesante, e le guance rosse confermano l'umidità che sento fra le sue gambe. Il mio cazzo non vuole proprio collaborare, e se dipendesse da lui sarebbe già sepolto fra le sue grandi labbra per toccarle quel punto che le piace tanto.

Ma lei mi afferra il culo e fa in modo che il mio amico sia ben appoggiato sulla sua entrata lucida, bollente e rasata. Tocca a me gemere. E finalmente riesco a sentire anch'io quel brivido dell'eccitazione che deve regalare un buon sesso.

"Odiami." mi ansima sulle labbra, fissandomi negli occhi.

"Cosa?"

"Odiami per tutto il tempo, Paul."

Non accadrà più. Non accadrà mai più nulla di tutto questo.

E me lo ripeto ancora e ancora mentre la penetro con un primo colpo profondo e secco, e lei spalanca la bocca e rotea gli occhi all'indietro per l'attrito che sentiamo entrambi. Inizio a muovermi con calma, poi avverto le sue unghie che fanno pressione sui miei glutei per suggerirmi di spingere più a fondo. L'accontento, e il piacere travolge anche me in un vortice che mi toglie il respiro, costringendomi a spalancare la bocca come lei.

La sento aprirsi intorno al mio glande, e le sue tette scivolose e tenere sono spiaccicate contro il mio corpo che oscilla per prendere un ritmo di cui possiamo godere entrambi, strofinandole e arrossendole i capezzoli piccoli e turgidi. Quando stavamo insieme, le sue tette piccole ma sode sono sempre state la mia tortura preferita, e riaverle sotto di me è come tornare indietro nel tempo.

A ogni strusciata su di esse, lei fa un sospiro più acuto. Poi abbandona i miei glutei per afferrarmi la schiena, perché ora si fida che io possa dargli ciò di cui ha bisogno.

Ed è vero. Ne ho bisogno anch'io. Ho bisogno di un sesso duro e veloce, che mi ricordi quanto questa donna abbia fatto per me. Quanto sia stata paziente la prima volta che le avevo confessato che non sapevo come muovermi.

Non ha riso di me. Non mi ha giudicato. Mi ha mostrato i trucchi e i modi per rendere quella prima volta speciale, unica, e mi ha fatto desiderare di ripeterlo per anni, rendendomi l'uomo esperto che sono oggi. I suoi occhi non sono mai cambiati da quella prima volta, poiché ora mi guarda come se quel momento si stesse ripetendo, e potesse durare per sempre.

E quando ferisce la pelle delle mie spalle con le sue unghie affilate, sono io a ringhiarle in un orecchio. Poi ristabiliamo il contatto visivo, e sebbene il suo viso sia un disastro di rossore e le sue labbra si siano gonfiate e screpolate, io le mordo il labbro inferiore per attutirle l'urlo che mi regala quando la mia spinta diventa molto profonda. Mi sfilo e rientro con urgenza, e lei ha bisogno di inarcare la schiena e staccarsi dal mio morso per urlare e godere dei miei movimenti.

Mi sollevo sui gomiti, e da qui iniziamo a fare sul serio. Spingo ed esco, spingo ed esco. Scivolo meravigliosamente. Un ritmo veloce che inizia a prendere forma, con i suoi fianchi che seguono i miei e la sua voce che si indebolisce. Avverto i miei glutei contrarsi a ogni spinta, e alla più forte zittisco lei e i suoi gemiti con un bacio.

Lei mi permette di raggiungere una profondità inaudita, poiché avvolge le sue lunghe gambe affusolate intorno al mio fondoschiena, e ciò mi garantisce di avere più spazio e possibilità di muovermi dentro di lei. Mentre la bacio con impeto facendo danzare le nostre lingue, le mie spinte iniziano a coordinarsi con i suoi gemiti.

Il suo tono di voce sale, e non mi stupisce. Così come non mi stupisce che io possa scivolare nella sua fica allargata e fradicia con una semplicità estrema, perché quel tremore lo conosco. Grazie a lei, so quando una donna sta per venire. E me lo conferma alla sua schiena fatta di spasmi, e alle sue labbra aperte in una o perfetta.

"Paul... ti prego..."

Decido di farla finita. Ho bisogno anch'io di quell'orgasmo. Ho bisogno anch'io di meritarmi questa scopata che sta germogliando nella mia mente come un punto da cui ripartire per volermi bene.

Le afferro i fianchi e lo stupore le contorna il viso mentre mi inginocchio sul divano. E alla penetrazione che ne segue, lei capisce che dovrà aggrapparsi a qualunque oggetto solido e resistente trovi nei paraggi. Le sue dita raggiungono il bracciolo del divano, ed è qui che inizia la mia rabbia ed è sempre qui che inizia il suo godimento.

Ogni spinta veloce, cruda, secca e profonda è finalizzata allo scopo di farci godere. La sua voce implorante, sofferente, stanca, goduriosa, echeggia in tutta la stanza con un'energia che mi sconvolge, ma al tempo stesso mi carica per dare il meglio di me. E comprendo la possibilità di riuscirci quando lei non è altro che uno straccio vivente, con gli occhi costantemente all'indietro e il timbro ridotto a versi.

Era scontato che lei potesse stringere il mio cazzo e venire prima sulla mia durezza. Ma sa che ne ho bisogno anch'io, e anziché rilassarsi per l'orgasmo che le ho appena strappato dalle viscere, mi chino e inizio a scoparla più duro.

Non molla la mia schiena neanche per un secondo, e accetta tutto il dolore e il piacere che voglio prendermi per minuti interi. Non penso più a nulla. C'è solo il calore della sua fica bagnata a ospitare le mie palle nude e crude, e la sensualità strozzata del suo tono quando il mio corpo decide di regalarmi quella scarica elettrica che non provavo da tempo. Le ringhio in un orecchio, e le vengo dentro con una forza che la fa sobbalzare e bagnare di nuovo. Continuamente. È un costante bagno di sudore ed eccitazione quando si tratta di me, e questo dovrebbe portarmi a riflettere.

Poi, lo metabolizzo.

Lo shock a cui non avevo pensato.

E lei sembra leggermi nel pensiero quando boccheggia senza forze: "Prendo la pillola."

Mi sento in colpa. Perché forse lei non l'avrebbe voluto in questo modo, ma le ciocche bagnate che mi sposta dal viso e il bacio che mi dà dopo anticipano cos'ha da dirmi. "È stato meraviglioso. Splendido."

Già. Lo è stato. Meraviglioso e oltre. E la dolcezza e il rilassamento nel suo tono mi fanno sentire l'uomo più corrotto e sporco dell'universo. L'uomo che era venuto qui per una scopata che mi facesse perdere la testa, e l'ha ottenuta senza pentimenti. Ed è quest'ultima parte a farmi sentire così male nei miei stessi riguardi.

"Paul..." cattura la mia attenzione con una soavità nuova, e mi costringe a guardarla nei suoi occhi emozionati. "Non lasciarmi."

Mi pietrifico.

"Non lasciarmi. Mai più."

Un altro bacio. Questa volta dolce, delicato, una versione di lei che pensavo di aver dimenticato e custodito gelosamente nel mio passato.

Ma invece è qui. Invece, Cordelia Copperfield è ancora innamorata di me.

È ancora disposta a darmi il suo tutto. È ancora disposta ad andare contro il volere di suo fratello e dei suoi genitori. È ancora disposta a guardarmi con quegli occhi persi e innamorati di un ragazzino che, prima di lei, non aveva avuto alcuna esperienza.

Le accarezzo i capelli. Le sposto la frangetta bagnata di lato. E una parte di me si rende conto, senza volerlo ammettere, che ho iniziato a credere a un qualcosa in più fra noi nel preciso momento in cui le ho tolto i vestiti. Ho iniziato a credere di voler sperimentare di nuovo quell'amore totalizzante che mi aveva fatto sentire speciale. Vivo.

"Sei sempre stato l'unico, Paul. L'unico e il solo."

Non dovrebbe, ma questa dichiarazione mi scalfisce nel profondo. Sfiora e apre fibre della mia anima che non mi aspettavo. Tocca una parte sensibile di me in un momento della vita in cui sento un'immensa necessità di appartenere a qualcuno.

A qualcuno che non mi abbandoni. A qualcuno che mi ricordi di esserci sempre, come io posso fare altrettanto. A qualcuno che sia disposto a condividere i momenti belli dell'esistenza con me, senza che io abbia la costante paura di essere pugnalato alle spalle.

Cordelia era tutto questo. E me la sono lasciata scappare per la paura di rovinarle il rapporto con la famiglia.

Ma ora sono stanco. Stanco di soffrire. Stanco di essere abbandonato. Stanco di non sentirmi abbastanza. Stanco di essere la seconda scelta o la presa in giro. Stanco di pensare di non valere nulla, e di meritare soltanto che la mia bontà e il mio cuore fragile vengano sfruttati.

Sono stanco di desiderare di non essere più al mondo per la paura di soffrire ancora.

E a chi è disposto a donarmi tutto questo, le do un bacio profondo e sentito.

Sigillando nei nostri cuori un nuovo inizio.

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