XXXV. Carte Scoperte
Izar
Era una strana situazione. Adesso che era tornato Orion, tutte le carte erano scoperte sul tavolo da gioco e tutti volevano la propria ricompensa.
Zalia voleva la sua famiglia indietro. Izar, invece voleva solo delle risposte.
Il giorno seguente, nonostante tutti i ragazzi avessero cercato di convincere Robert e Arthur a saltare la scuola, erano tutti costretti a seguire la solita routine.
Izar aveva fatto colazione in silenzio, osservando con curiosità Orion.
Ne avevano sempre parlato tutti di lui. Anche Altair, sebbene si ostinasse a continuare sulla strada martoriata del rancore, sembrava felice che fosse tornato.
Tutti erano attorno a lui, parlavano, lo ascoltavano. Eppure, Izar non poteva far a meno di chiedersi se fosse davvero così come appariva: un uomo affascinante e semplice. Simpatico nella sua arroganza.
C'era qualcosa che non gli tornava.
Strinse le mani attorno alla forchetta e abbassò lo sguardo sui pancakes. Anche la fame sembrava averlo abbandonato. Sua madre non aveva mai speso parole dolci e gentili nei suoi confronti. Diceva che non era un vero Grey, che la sua adozione avesse annebbiato gli occhi della famiglia.
Ma più lo osservava, più Izar non poteva far a meno di sorridere ai suoi modi di fare.
«Buongiorno bella gente.» Orion prese un pancake dall'enorme pila e si accomodò accanto ad Altair. Rubò un biscotto dal piatto di Arthur, che si limitò a scoccargli un'occhiataccia, senza riuscire a nascondere un lieve sorriso.
«Buongiorno. Siete pronti?» Robert si rivolse ad Eris e Leon, che si voltarono a guardarlo un'ultima volta con i loro sguardi più buoni.
L'uomo si portò una mano a coprire gli occhi e iniziò a muoversi a memoria per la casa. Prese le chiavi dell'auto e uscì.
Leon si imbronciò, girandosi a guardare suo fratello Altair. «Per piacere, dai. Ti prego.» Mise in mostra il braccio ingessato.
Lo sguardo di Orion si addolcì. Sembrava fosse pronto a prendere le loro parti, ma Altair non gli diede il tempo di rispondere. «No. Avete già fatto abbastanza danni. Oggi scuola.»
Eris sbuffò contrariata. Si tirò in piedi e si sistemò lo zaino in spalla. Salutò tutti e trascinò Leon fuori dalla cucina. Il fratello afferrò una mela al volo prima di uscire.
Izar si passò una mano in volto. Pochi istanti dopo anche Zalia li raggiunse a tavola, rumorosa come un uragano, come al solito. Rischiò di inciampare nella ciotola d'acqua di Anita e si voltò verso il cane, accarezzandole poi il capo. «Oh! Scusa cucciola! Scusa non volevo-» Si aggiustò i ciuffi di capelli, che le coprivano la visuale, spostandoli dietro le orecchie. Sorrise a tutti, imbarazzata. «Buongiorno! Come va? Tutto bene? Dovremmo muoverci o arriveremo tardi-» Zalia lanciò anche un'occhiata ad Izar, che però preferì ignorare.
Sapeva di aver sbagliato probabilmente sia i tempi sia i modi, ma non riusciva a smettere di pensare che non sarebbe stato altro che un semplice amico -come sempre- per lei. Era stupido, ma non poteva accettarlo. Quella delusione scottava ancora e fingere che nulla fosse successo non faceva per lui.
Preferiva restare ancora un po' in disparte, lontano dal loro legame, per quanto gli mancasse.
Altair abbassò lo sguardo sul proprio orologio da polso. «In realtà noi abbiamo finito la colazione, hai fatto tu tardi.»
Zalia roteò gli occhi al cielo. «Gne. Scusami Frozen.»
«Smettila di chiamarmi così.»
Orion aggrottò le sopracciglia e ridacchiò. «Uh mi piace! Frozen come il regno di ghiaccio. Effettivamente non ti sta male come soprannome fratellino...» Gli toccò poi il petto. Altair osservò il dito del fratello, come se fosse in preda a una crisi isterica e potesse staccarglielo a morsi a momenti. «Ma lo sappiamo tutti che sotto sotto sei un teneron-»
«Benissimo!» Altair batté i pugni sul tavolo e si tirò in piedi. Si avvicinò ad Izar e lo costrinse ad alzarsi. «Noi siamo pronti e ti aspettiamo in macchina!» Prese la propria borsa a tracolla, uscendo dalla cucina. Non dopo avere comandato ad Arthur di tenere sotto controllo Orion.
«Non sono mica un bambino di tre anni che ha bisogno di una babysitter.» Orion incrociò le braccia al petto.
Arthur inarcò un sopracciglio. «Oh, ma davvero?»
Orion si illuminò d'improvviso. Bevve un sorso di caffè e si passò smaniosamente le mani nei capelli. Si avvicinò appena ad Arthur. «Perché a te dispiace farmi da balia?»
Arthur gli assestò una gomitata al fianco. «Finiscila.»
Zalia continuò a mangiucchiare in piedi alcuni biscotti. Izar seguì poi Altair, dopo che l'altro ebbe picchiettato sulla sua spalla per attirare l'attenzione.
Uscirono dal salone, riversandosi in giardino fino a raggiungere l'auto. Izar osservò il cielo nuvoloso, chiedendosi quando anche per lui il sole avrebbe iniziato a rischiarire le tenebre.
Voleva solo poter essere di nuovo felice, sorridere spensierato come una volta. Voleva risposte sul proprio passato, solo così avrebbe trovato pace nel futuro.
Salì in auto, accanto ad Altair. Erano sempre stati in ottimi rapporti, ma Izar aveva iniziato a prendere -stupidamente- le distanze anche da lui. Aveva visto come Zalia lo guardava.
«Come stai?» Altair interruppe il suo flusso di pensieri.
Izar si limitò a scrollare le spalle. «Sto bene, sono un po' impegnato con gli esami.» Si sistemò un ciuffo di capelli all'indietro. «Tu piuttosto? Non dev'essere facile questa situazione.»
Altair storse il naso. «Non so cosa sento in realtà. Sono confuso e tutto mi sembra così assurdo...» Mise in moto l'auto, aspettando che il motore si riscaldasse appena. «Ma cos'è successo? Perché tu e Zalia vi ignorate?»
Izar sbuffò piano. «Diciamo che non è andata come speravo.»
Altair aggrottò la fronte. «Beh, io non sono per niente bravo in queste situazioni, ma mio fratello ti direbbe che l'oceano è pieno di pesci...»
Izar ridacchiò. Avrebbe voluto dirgli che non lo detestava. Non odiava Altair se sentiva qualcosa per Zalia. Semplicemente non riusciva ad accettare che qualcuno non restasse abbastanza tempo nella sua vita. Appoggiò il capo contro il finestrino e sospirò piano.
Altair sbuffò scocciato. Iniziò a bussare istericamente il clacson. Pochi istanti dopo, infatti, Zalia uscì dal portone principale. Scoccò un'occhiataccia ad entrambi e corse verso l'auto. Salì poi. «Sei un idiota! Ti pare il caso di bussare come un pazzo maniaco esaurito?»
Altair iniziò a guidare verso Harvard. La osservò attraverso lo specchietto retrovisore. «Se tu non ti fermassi ogni istante a inciampare ovunque o a parlare anche coi muri, forse, non faremmo poi così tardi!»
Zalia roteò gli occhi al cielo. «Ti prego, sei insopportabile.»
«Smettetela.» Izar sorrise. Accese la radio, sperando in qualche canzone allegra, per poter ammazzare la monotonia dell'ennesima giornata di studi.
Una volta arrivati al campus, Altair li lasciò soli all'ingresso, avviandosi a parcheggiare. Zalia si dondolò a disagio sui talloni e prese un grosso respiro. «Mi dispiace.»
Izar aggrottò la fronte. «Per cosa?»
«Per tutto.» Zalia gli accarezzò la mano. «So che la questione sulla mia famiglia ha preso il sopravvento negli ultimi tempi e mi dispiace essermela presa con te. Mi dispiace averti coinvolto in questa storia e non voglio perdere la nostra amicizia. Mi sento una bruttissima persona a non riuscire a ricambiare i tuoi sentimenti, ma non devi avere dubbi su quanto io tenga a te. Mi sono allontanata perché credevo avessi bisogno del tuo tempo.» Iniziò a torturarsi le mani. «Non posso ricambiare quello che senti, ma posso prometterti che ti sarò sempre accanto.»
Izar le sorrise appena. Era difficile provare a portarle rancore. Forse, avrebbe dovuto imparare da sua madre che l'odio non gli avrebbe mai dato la pace. Forse qualche risposta, ma a cosa gli sarebbe servita se poi fosse rimasto solo?
«Scusami anche tu.»
«Adesso basta fare i sentimentali e abbracciami, stupido idiota!»
Izar ridacchiò e tirò Zalia a sé. La sentì sospirare stanca. Si allontanò poi, sistemandosi i capelli ricci in un alto chignon. «Allora mettiamo fine alla guerra fredda?»
Izar annuì. Si sistemò lo zaino in borsa. Sfilò il cellulare dalla tasca, quando lo sentì vibrare e aggrottò la fronte, riconoscendo il numero di sua madre. Le mani presero a tremargli appena. Doveva nascondere quell'improvviso nervosismo. Così si limitò a sorridere in direzione di Zalia. «Devo rispondere... sto aspettando notizie da vecchi colloqui, sai per guadagnare qualcosina quest'estate-»
«Ah! Sì, certo. Io vado a prendere i posti in aula, ti aspetto alla solita fila!» Zalia lo salutò, lasciandolo da solo.
Izar attese che fosse abbastanza lontana e si spostò in un posto più appartato. Nervoso, iniziò a comporre il numero di sua madre e attese che rispondesse. «Che succede? Perché mi hai chiamato?»
«Volevo solo sapere come stessi, tesoro.» A volte la voce di sua madre era una cantilena d'amore. Lo stomaco gli si contorceva quando parlava con lei. Avrebbe voluto sollevarla da tutti i problemi. «Dopo lezione ti va di passare qui? Ho un paio di cose di cui parlarti...»
Izar si morse l'interno guancia e soppesò bene. Avrebbe dovuto inventare una scusa abbastanza valida. Un appuntamento o un nuovo colloquio potevano funzionare come imprevisti plausibili. Si guardò un'ultima volta attorno. Per fortuna era solo. «Sì, va bene. Credo di riuscire a passare. È urgente?»
«Direi di sì, tesoro. Altrimenti non ti avrei mai disturbato.»
Izar richiuse la telefonata, dopo aver salutato. Raggiunse Zalia a lezione, si accomodò al suo fianco e iniziò a sfilare dalla borsa tutti i libri e i quaderni, con gesti nervosi.
C'era moltissima gente in aula. Ogni lezione era così affollata da essere quasi asfissiante. A volte Izar arrivava a conclusione degli esami così stordito, da ricordare a stento il proprio nome, ma soltanto la matricola. A volte ci scherzava su con Altair, ma, ripensandoci, trovava assurdo come il mondo universitario riuscisse a farlo sentire solo un numero tra tanti. Non era rilevante nell'indifferente meccanismo di studi ed esami. Era solo un piccolo numero codificato per distinguerlo dagli altri. Era agli occhi dei professori una prestazione e nulla più.
Non riusciva a smettere di pensare a sua madre. Anche durante la lezione i suoi pensieri volavano istantaneamente altrove. Si grattò istericamente dietro la nuca. Aveva timore che potesse esserle successo qualcosa. Sbuffò piano.
Zalia gli toccò il gomito. «Qualcosa non va? Stai agitando la gamba e stai facendo ballare tutta la fila...» bisbigliò, cercando di trattenere una risatina.
Izar le sorrise e si passò le mani tra i capelli. «Oh uhm. Sì. Ho un piccolo colloquio dopo e sono in tensione...»
«Se vuoi io e Al ti possiamo accompagnare. Se ti va del supporto noi ci siamo, lo sai.»
Fissò gli occhi scuri della ragazza, a volte gli ricordavano quelli di un cerbiatto, sebbene il suo modo di agire era tutt'altro che accorto come quello dell'animale. Scosse il capo. «No, non preoccuparti. Preferisco stare da solo, davvero.»
«Va bene. Poi mi farai sapere come andrà.» Zalia tornò a prestare attenzione alla lezione. Eppure, Izar aveva notato quanto anche lei fosse distratta. Tutta quella serie di avvenimenti non era facile. Non riuscivano a restare concentrati sul proprio obiettivo. Poteva anche solo immaginare quanto stesse soffrendo. Certo, era felice anche lei che Altair e gli altri avessero ritrovato un fratello, ma Zalia era ancora in attesa del proprio ricongiungimento con la famiglia.
A fine lezioni, Izar si sistemò la borsa in spalla. Salutò frettolosamente Zalia, che avrebbe atteso in aula studio Altair. Il ragazzo aveva ancora due ore di lezione da seguire, così Zalia ne avrebbe approfittato per provare a studiare un po'.
Gli dispiaceva doverla lasciare sola, ma aveva delle questioni importanti da risolvere.
Si allontanò dall'università a piedi, fino a raggiungere la metro. Si guardò attorno in tensione. Salì sul treno e si sistemò, attendendo la fermata giusta. A volte, si divertiva ad osservare la confusione che abitava e popolava le stazioni. Era un piccolo teatro. C'era chi correva, chi si fermava a parlare a telefono e anche chi trovava il tempo per leggere un romanzo o il notiziario del giorno.
Izar tamburellò le dita sulle gambe, in tensione.
Sussultò, quando si rese conto che ormai era arrivato il momento della propria fermata e si alzò in piedi. Dovette strabuzzare gli occhi per abituarsi di nuovo alla luce, dopo aver attraversato i bui corridoi della metropolitana.
La strada era trafficata. Il rumore dei clacson gli inondò la testa e la puzza si smog non era poi così piacevole. C'era un repentino cambiamento dal posto ricco in cui viveva, con tutta la famiglia Grey, al piccolo quartiere dove abitava sua madre.
Non era uno dei più poveri o malavitosi, per fortuna, ma comunque non brillava in nessun modo. Izar sospirò piano, stringendosi nel proprio giubbotto e arrivò davanti al solito palazzo. I mattoncini color ruggine lo illuminavano e lungo la ringhiera alcune piante rampicanti avevano iniziato a fiorire.
Salì le scale e sfilò dalla tasca dei pantaloni le chiavi. Una volta in casa, si guardò attorno. «Mamma, sono io. Come va?» Posò la borsa a terra.
«Izar! Amore!» Sua madre gli andò incontro e lo abbracciò forte. Si lasciò cullare da quell'abbraccio caloroso, affondando il capo nell'incavo della sua spalla. Le accarezzò la schiena e, quando si allontanò, poi i capelli biondi come i suoi. Gli occhi neri della madre erano circondati da alcune occhiaie violacee. La rabbia e il dolore per la perdita del suo unico amore l'avevano lacerata, insieme alle difficoltà del doversi occupare di un bambino completamente da sola.
I suoi nonni li avevano aiutati finché erano stati in vita. Izar amava sua madre. Erano sempre stati solo loro contro il mondo e le aveva promesso che le avrebbe regalato la verità. Le avrebbe rivelato cos'era successo davvero a suo padre. Forse sarebbe riuscito a farle trovare un po' di quella pace tanto agognata.
«Allora? Che succede? Stai bene?» Izar le sistemò alcune ciocche di capelli dietro le orecchie, con gesti dolci e premurosi.
Sua madre, Fiona, gli diede un bacio sulle mani. Poi lo costrinse a seguirla in salotto, dove aveva preparato tre tazze di the con alcuni biscotti. Izar aggrottò le sopracciglia, confuso. Si accomodò sul divano e si guardò intorno. «Perché tre?»
«Perché ho un ospite a casa. È al bagno adesso. Credo che potrà aiutarci. Inoltre, mi ha detto che eravate già in contatto da un po' di tempo...»
Izar si irrigidì appena. Deglutì. Maximillian doveva essere lì. E se era lì era pronto a minacciarlo. Credeva di avergli dato già abbastanza informazioni. In cambio, però, non aveva quasi mai ottenuto nulla.
Si agitò sulla propria seduta e bevve un sorso di the, provando a darsi una calmata.
«Oh! Eccolo qua il mio preferito del trio dei desideri.» Max gli sorrise tetro. Gli assestò una pacca sulla spalla e si accomodò su una poltrona, allungandosi a bere, poi, il the, poggiato su un tavolino di legno.
«Ti ho inviato il contenuto della chiavetta. Cos'altro dovrei fare? Mi hai promesso risposte, ma non me ne hai volute dare. Adesso basta. Non tradirò la mia famiglia per nulla.» Izar strinse i pugni.
Sua madre aggrottò la fronte. «La tua famiglia? Sono loro che hanno ucciso tuo padre!»
«Non abbiamo nessuna prova, mamma! Sono solo le tue congetture e fissazioni di anni interi! Sono tutti bravissime persone e se tu volessi conoscerli, ti accoglierebbero con amore!»
Maximillian scoppiò a ridere. «Ed è qui che ti sbagli. Ti nascondono tantissime cose, ragazzo. Ti sono vicini perché il senso di colpa li guida.» Bevve un altro sorso di the. «So chi ha ucciso tuo padre. Tu aiutarmi a trovare e ad avere Orion Grey e io ti assicuro che sarà un bene per entrambi. Vinceremo insieme. Ci stai?»
Izar prese un grosso respiro. Voleva risposte, ma non voleva tradire la sua famiglia. Altair era un fratello per lui, Arthur e gli altri erano importanti nella sua giornata.
Eppure, voleva disperatamente la verità. «Ho bisogno di tempo.»
Angolino
Ed eccoci qua.
Prima o poi tutti i nodi verranno al pettine e sarà un tantino difficile decidere da che parte stare 🌝
Alla prossima ❤️🩹
Ps. Grazie per continuare a supportare questa storia.
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